mercoledì 18 gennaio 2017

Cosa sforna il seminario


Molti miei ex commilitoni, oggi tutti preti, da seminaristi amavano simulare liturgie. Nelle calde sere di inizio estate prendevano un'ostia dalla credenza, si sedevano accanto alla finestra e tenendola tra e dita recitavano: Padre veramente santo...
Erano gli stessi che in assenza dei pretazzi amavano paludarsi di camici, stole e casule (quelli veri) e chiedere seriamente ai commilitoni: come mi sta?

Ma uno dei loro giochi preferiti era fingersi vescovo. Un bastone da tendaggio o una scopa andava bene come pastorale; per la mitria, le rare volte che non ne potevano pescare una vera nell'armadio della sagrestia, utilizzavano la scatola del panettone - qualcuno se l'era addirittura ritagliata nel cartoncino. Impugnato il "pastorale", iniziavano l'omelia. Inutile dire che l'omelia era perfettamente compatibile con quella del vescovo (soprattutto imitandone la cadenza e i tic), perché composta dalle solite frasi fatte e politically correct.

Inutilmente ricordai loro più volte che simili atteggiamenti - dello scherzare sulle cose sacre e addirittura giocare con i paramenti - erano sufficienti come impedimento all'ordinazione. Avrei dovuto ricordare loro che erano anche segno di riduzione della fede a recita di frasi e messinscena di gesti, ma dubitavo seriamente che fossero capaci di capire un concetto del genere.

Non capivano un'acca di latino, ma amavano sciorinare paroloni greci ed ebraici nelle conversazioni; consideravano il sacerdozio un mestiere, il mestiere del parroco che somministra un po' di bigotterie (testuale!) alle vecchiette che devono mollare le offerte, e avevano come obiettivo il lanciare attività (a cui poi avrebbero dovuto lavorare i leggendari "volontari" delle parrocchie) e raccogliere applausi e lodi; consideravano peccato solo ciò che verrebbe annuciato con sdegno e disprezzo nei notiziari televisivi. Tutti sintomi di una chiara vittoria del gesuitismo anni prima del Bergoglio.

Pur essendo i formatori a conoscenza di simili atteggiamenti, tali soggetti sono tutti puntualmente giunti al sacerdozio perché da diversi decenni i vescovi premiano solo la mediocrità. Vogliono preti intercambiabili in modo da poterli spostare di parrocchia in ogni momento: non appena avviene un pasticcio da qualche parte, si prepara il valzer delle nomine, e cominciano i dolori di pancia di chi vuole una parrocchia, di chi non vuole quella assegnata, di chi non vuole essere trasferito, di chi accetta solo se un certo altro prete viene trattato peggio... e tutto puntualmente si risolve nel pestare chi ubbidisce e nel lasciare in pace chi disubbidisce. Per cui il loro ideale di sacerdozio è un soggetto insignificante che non lascia ricordo di sé, sostituibile con uno altrettanto insignificante e dimenticabile e la macchina della "pastorale" può proseguire senza perdere un colpo.

Preti "intercambiabili", cioè appiattiti: non sia mai che uno abbia qualche idea diversa dal mainstream fatto di campi scuola (dilettanti di turismo religioso allo sbaraglio), ottavari (guai a chiamarli novene, guai a farli normalmente), gestione gruppi (la fissazione del voler far sentire ogni laico un "protagonista" di qualcosa), attivazione di qualsiasi iniziativa in cui ci si possa infilare dentro la parola "giovani" che va sempre di moda.

Ecco perché le Messe si sono ridotte a un elenco di formulette e canzonette che circondano il sacro momento dell'Omelia - cioè quei venti minuti di insulsa predica domenicale. Ecco perché i preti gggiovani sono così insignificanti anche all'apice della loro vita sacerdotale.

Episodio. Nel primo anno di seminario maggiore, i commilitoni ebbero la geniale idea di fare un breve sketch comico in refettorio. Un gruppetto di loro adoperando i camici e qualche altro panno bianco si travestì da suore e si produsse in una serie di battutine poco originali oltre che inutilmente volgari, facendo infine entrare con tutti gli onori un seminarista grassone travestito da "madre superiora", strappando così un diluvio di applausi da tutti, compresi i formatori (e il rettore stesso, che aveva pregato tutti di non alzarsi subito perché ci sarebbe stata la breve scenetta comica).

Il sottoscritto non applaudì. Ma si sentì osservato. Cercò di non far notare di provar vergogna al posto di quei dementi. Ma fu osservato, da qualcuno che prese nota e se la legò al dito.

lunedì 9 gennaio 2017

Il rettore frocio

Premessa: gli ingegner Spaccapelo e i cani di Pavlov restino nella cuccia - questa paginetta non riguarda politica o sesso.

Sì, nel parlare di quel rettore di seminario m'è venuto da indicarlo sprezzantemente come frocio. Non intendevo il problema dell'omosessualità in sé ma le conseguenze per i seminaristi della mentalità che da essa viene generata o facilitata.

La sessualità non naturale (pornografia, omosessualità, onanismo...) non sazia l'istinto. Per cui da un lato rende l'uomo schiavo (perché tenta sempre di più di saziarsi con qualcosa che non sazia) e dall'altro influenza il modo di considerare sé stessi e il prossimo.

Il seminario è un ambiente chiuso ed esclusivamente maschile. Dunque un rettore di seminario con qualche tendenza omosessuale anche soltanto latente avrà di conseguenza un metro di giudizio intaccato da tale tendenza verso qualcosa di non naturale.

Le sue simpatie, le sue preferenze, le sue valutazioni, i suoi momenti di generosità e di severità, ecc., non saranno più esclusivamente legati ai legittimi gusti (il rettore milanista), ai legittimi timori (il rettore con la fissa contro gli sprechi), ad argomenti che la ragione può ricondurre sui giusti binari (il rettore avaro, il rettore autoritario, il rettore attento al prestigio...), ma a qualcosa di non naturale.

Col risultato che negli anni la sua solitudine diventa inconsapevolmente l'alibi per l'allestimento del suo harem, la generosità diventa favoritismo a coloro che in qualche modo lo attraggono, la cura spirituale diventa inclinazione a lasciarsi a poco a poco soggiogare da quelli che hanno anche solo simbolicamente a che fare con la sua sete di qualcosa che non disseta...

Basta poco tempo in seminario - al massimo qualche mese di fronte ai casi più latenti - per rendersi conto di aver a che fare con un rettore con inclinazione. In tal caso è opportuno fare immediatamente le valigie perché è una guerra persa in partenza. Sono invece tantissimi che come me hanno appreso troppo tardi, e a prezzo troppo caro, la lezione.

È una dannosissima illusione il credere di poter resistere nella sopportazione, nell'ubbidienza, nella preghiera, nel farsi amici i suoi figliuoli prediletti. Perché significa in fin dei conti o contare solo sulle proprie forze, o esigere ciecamente un miracolo. Gli dai cinque, pretenderà dieci. Gli dai dieci, dodici, quindici, chiederà trenta. Gli dai quaranta, cinquanta, si lamenterà che non hai dato almeno duecento. Non sei del suo harem e perciò ti renderà a poco a poco la vita un inferno. Il cappio attorno al tuo collo può solo stringersi. Con la scusa del metterti alla prova tenterà in ogni modo di farti saltare i nervi, tanto più se si accorge che hai ragione, e ancor peggio se si renderà conto che sai bene che ai membri del suo harem e al suo figliuolo prediletto non è stato chiesto nemmeno un centesimo di quanto viene severamente esigito da te. Tu hai un difettino? Questa cosa non va bene, anche l'anno scorso ti avevo detto che dovevi migliorare ma ancora non vedo frutti, ancora non sei convincente, anzi, si direbbe che sei anche un po' peggiorato... Il suo figliuolo prediletto ha una sfilza di seri difetti? Crescerà, col tempo sicuramente maturerà, lo so io che sono il rettore, che ne puoi sapere tu?

Adopererà con malizia ogni versetto del Vangelo per stritolarti, sorridendoti mentre ti mente, adulandoti mentre prepara una relazione di fuoco e fiamme contro di te, promuovendoti (di qualche bazzecola) mentre mette in giro false voci su di te, quelle sue mani che alle otto ti amministrano l'Eucarestia alle otto e venti vergheranno nero su bianco calunnie contro di te. Non ci sarà mai verso di fargli cambiare idea, né scappatoia ragionevolmente protetta dai suoi colpi di coda nel caso venga sostituito. Si può solo peggiorare: ma lo sa solo chi in seminario c'è stato dentro per davvero, lo sa solo chi ha avuto da ubbidire a dei gai formatori.

Un prete che riconosca di avere anche solo qualche tendenza latente rifiuterebbe di essere posto in un ambiente come il seminario, tanto più con l'incarico di rettore o vice-rettore. Non ci meraviglieremmo se un prete poco casto (anche solo nei pensieri) rifiutasse di essere rettore di una comunità di giovani donne, vivendo con loro in un ambiente chiuso, sia pure qualora le giovani in questione non siano proprio dei fiori di rinomata bellezza. Eppure, di fronte alla tendenza all'omosessualità di un rettore di seminario, non troviamo molto da ridire a che la volpe (anche solo tendenza alla volpe) venga infilata a comandare nel pollaio. A te pollo, con pressappochismo se non cinismo, ti si dirà: resisti, prega, coraggio, pazienta, resisti, prega di più...

Non c'è verso. E se qualcuno stesse ancora pensando "ma io conosco un caso che... io ho visto uno che ce l'ha fatta... la preghiera... bla bla bla...": non c'è verso, e ripeto: non - c'è - verso!

La svirilizzazione del clero postconciliare è dovuta proprio ai seminari ridotti ad harem di mezzi uomini.