sabato 27 dicembre 2014

Il ghiottone

Corre voce che il buon Bergoglio indulga ai piaceri della gola anche di notte. Alla Santa Marta addirittura chiuderebbero a chiave la cucina ogni sera per evitare che vada a rovistarvi e ingrassi ancora di più - come se la bomba calorica argentina (la Crema Blanca) non avesse già fatto abbastanza.

Sarebbe bello avere un papa dottrinalmente ortodosso per poter infischiarsene di eventuali ghiottonerie. O un papa amante della caccia ma liturgicamente tridentino. Oppure un papa accanito fumatore di sigari ma uomo di governo severissimo con gli ecclesiastici tiepidi o ribelli.

mercoledì 24 dicembre 2014

Cosa significa quel sottotitolo

Il sottotitolo di questo blog sintetizza un'infelice espressione di Bergoglio:

«Perché non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo».

Nel contesto, il "Corpo sociale" sono dai fedeli. Per cui l'espressione significa che è meglio offendere il Corpo di Cristo piuttosto che i fedeli.

Solo che io - in qualità di "corpo sociale di Cristo" - mi sento offeso dall'essere considerato superiore al mio Signore e mio Dio.

Mi sento offeso perché quella gesuitata da gesuitante gesuitico (talmente surreale che qualche anima pia si rifiuterà di credervi) ha invertito il piano divino con quello umano.

martedì 23 dicembre 2014

Dall'autorità all'autoritarismo

Quando il superiore di una comunità esige insistentemente obbedienza, significa che non si fida dei suoi sottoposti.

Mentre è plausibile che un generale non si fidi dei suoi colonnelli (poiché un soldato entra nell'esercito non per scelta, non per condivisione di ideali, ma per dovere di leva o - negli eserciti moderni - per convenienza economica), è invece assurdo che il superiore di una comunità sia incapace di fidarsi dei suoi inferiori (che in maggioranza sono entrati per fede, per vocazione, per l'ideale che la comunità rappresenta: e se non sono la maggioranza, significa che ha sbagliato chi li ha fatti entrare e perciò la comunità andrebbe sciolta subito - o almeno drasticamente sfoltita).

Il superiore di comunità che non si fida dei suoi sottoposti sostituisce di fatto l'autorevolezza (che gli viene dall'incarico) con l'autoritarismo (che sistematicamente espelle i buoni elementi, trattenendo dentro solo quelli capaci di recitare ipocritamente una parte, e che al momento buono lo pugnaleranno alle spalle).

giovedì 18 dicembre 2014

Come si diventa lefebvriani

Qualche tempo fa due cari ragazzi chiesero di sposarsi in rito tradizionale. Incontrarono un esercito di agguerritissimi don Abbondio di ogni livello. Finirono per sposarsi dai lefebvriani, e chissenefréga del codice di diritto canonico.

C'era poi un giovane che macinava numerosi chilometri per andare ad una Messa tridentina. Il prete, un giovane religioso polacco, si stufa di celebrarla. In città restano solo i lefebvriani e un pretonzolo che la celebra alla carlona. Il giovane comincia a dirsi che dopotutto i lefebvriani non sono più scomunicati, e ora va sempre a Messa da loro.

C'era un giovane seminarista. Primo anno di seminario maggiore: incaricato sacrista. Mette tre tovaglie sull'altare, fatte stirare "a spighe", e fa trovare ampolline pulite e sempre e solo il calice "buono" (piuttosto che i "calici" di terracotta in dotazione alla sacrestia). Quando il prete animatore trova in sacrestia un cartellino «Celebra Missam ut primam, ut ultimam, ut unicam» e sull'altare il crocifisso rivolto al celebrante, s'incazza: "e che è quel coso?". Nell'ultima Messa prima delle vacanze natalizie il giovane seminarista ricevette il poco invidiabile onore di un'omelia contro di lui: "e qualcuno, sicuramente, dopo Natale non vorrà rientrare in seminario..." (traduzione: sparisci).

Il successo dei lefebvriani è dovuto anzitutto ai vizi e vizietti del clero postconciliare. Si potrebbe tentare di spiegare, a tempo perso, ai preti modernisti, che il fenomeno dei tradizionalisti (che non riguarda solo i lefebvriani) era "gestibile" e che sarebbe bastato un minimo di tolleranza e di compostezza per non farlo esplodere.

venerdì 12 dicembre 2014

L'albero di Natale

Il simbolo pagano dell'albero di Natale è una consolidata tradizione religiosa dei seminari e delle parrocchie. L'amorevole cura per l'albero di Natale, la metodica cerimoniale preparazione, i buoni sentimenti provati e pubblicamente espressi (e perciò la pubblica riprovazione per chi non li esprime), mi convinsero quella domenica sera della necessità di collaborare al devoto e pio esercizio del suo allestimento in seminario.

Con mio sconcerto l'albero fu installato verso la fine del corridoio del piano del seminario, lontano dalla maggioranza delle camere dei seminaristi. Non accettando il sopruso, nottetempo mi portai all'altezza dell'albero, scrutai furtivamente n entrambe le direzioni, staccai la spina delle sacre luci lampeggianti e spostai l'albero di Natale verso i tre quarti del corridoio. Riagganciai la spina, mi sincerai di non essere stato scorto da nessuno, e guardingo rientrai nel massimo silenzio nella mia cameretta.

Il mattino dopo, lunedì, un quarto d'ora prima della Messa, una delle voci più checche gracidò con quanto fiato aveva in gola: "ma l'albero di Natale è stato spostato!" Nessuno se ne curò - i seminaristi, dopo la prima settimana del primo anno di seminario, cominciano ad ottimizzare i tempi del risveglio ("Fantozzi, dopo successivi perfezionamenti, aveva posticipato la sveglia fino alle sette e cinquantuno!") e quindi nessuno ebbe tempo di riportare l'albero di Natale nella sua sede ufficiale. Al termine delle lezioni, tra sbuffi di disapprovazione e fretta di scendere in sala mensa per il pranzo (poco prima di Natale l'ora media comunitaria era già quasi un optional), finalmente l'albero fu traslato nel sacro luogo del corridoio eletto ad ospitarlo.

Senonché il mattino dopo - martedì - un'altra voce checca, più simile ad un bue che ad un uomo, mugghiò: "ma è stato spostato di nuovo, nooo". Anche stavolta si provvide, ma subito dopo l'ora di pranzo. Molti seminaristi si diedero segretamente appuntamento per organizzare turni di ronda e scoprire il malfattore. Ero tentato di aggiungermi a loro per fugare eventuali sospetti, ma in fin dei conti ritenni più prudente rinviare il giocarmi tale carta.

Il mattino successivo - mercoledì - l'albero era nuovamente nella zona dei tre quarti del corridoio, dove poteva essere gradevolmente ammirato dalla maggioranza dei seminaristi, domiciliati nelle camerette lì vicino. Si dice che il prete animatore abbia sbuffato con disprezzo per l'ennesimo spostamento illegale, ma per darsi un tono evitò di commentare prima e dopo la Messa. Lo spostamento fu annunciato dal latrato di un terzo seminarista spione che - ci potete giurare - da quel momento fu in cuor suo determinatissimo a scoprire il malfattore.

Il sottoscritto, coraggioso ma non temerario, rinunciò allo spostamento in tarda ora, preferendo rinviarlo alle prime luci dell'alba del giovedì. Anticipò la sveglia mattutina di mezz'ora e spostò celermente e silenziosamente l'albero di Natale, indi rientrò in camera, per poi uscirne - come tutti gli altri - esattamente un minuto o due prima della Messa mattutina. Anche stavolta ero convinto di aver agito nel più totale anonimato. Pareva che a Messa non si parlasse d'altro che dell'albero di Natale: le voci proferivano le formule liturgiche e i versetti dei canti, ma gli sguardi e i gesti erano tutto un fitto scambio di segnali: ma avete visto? sì, e tu? e che, non me ne accorgevo? e tu? anche tu sospetti lui? sì!

Il rumore è purtroppo alleato del nemico: il leggero scricchiolìo antelucano della porta della mia cameretta fu avvertito dallo spione dei latrati (nonostante avesse fatto le ore piccole nel vegliare contro lo spostamento dell'albero di Natale). Il quale, avendo da tempo notato che l'unico mattacchione della comunità era il sottoscritto, applicò il teorema di Agatha Christie: due sospetti fanno un indizio, due indizi fanno una prova.

Poco dopo la colazione un seminarista bulldog venne a bussare alla mia cameretta a minacciarmi: se io non avessi smesso di spostare l'albero di Natale, «ti alzo le mani addosso» (traduzione fedele dell'espressione dialettale da lui utilizzata). Con aria terribilmente innocente caddi dalle nuvole e gli chiesi perché lo dicesse a me. Lui ripeté distintamente la minaccia e, soddisfatto per aver avuto il suo momento di superiorità si girò e andò via imprecando contro "queste cose insopportabili", andando a riportare personalmente l'albero di Natale nella sede prefissata.

Poco più tardi lo spione non resistette alla tentazione di fare illazioni su di me dicendo che ero stato "visto" e che la mia "dimestichezza" non dava adito a dubbi. Dato che i verbi in forma impersonale mi ispirano antipatia, gli chiesi: chi hai visto? E lui, seccato, di nuovo sull'impersonale: «sei stato visto, non chiedermi da chi». Il sottoscritto negò ogni addebito, pur sapendo che ciò contribuiva ad aumentare i sospetti: era ora infatti della strategia della tensione.

Nonostante tutte le ronde notturne e antelucane, il venerdì mattina l'albero di Natale risultò nuovamente spostato. Due o tre seminaristi si autoincaricarono di riportarlo al suo posto un minuto prima della Messa mattutina, ed entrarono in cappella con un minutino di ritardo. Con voce glaciale l'animatore durante l'omelia annunciò che bisognava finirla con questi stupidi spostamenti notturni dell'albero di Natale, giacché disturbavano la Messa, e che "si era deciso" di porlo lì e che nessuno doveva spostarlo (notare il solito verbo all'impersonale: "io ho deciso" diventa "si è deciso"). Durante la Messa i seminaristi proferivano le formule liturgiche, ma era tutto un fittissimo scambio di segnali: ora gliel'abbiamo fatta, sì, abbiamo vinto, voglio proprio vedere, il rettore è già stato messo in guardia, stavolta ci sarà una punizione storica, che ne pensate?

Il sabato mattina l'albero di Natale non risultò spostato. L'evento scatenò una diluvio di critiche, commenti, proteste, illazioni e sospiri di sollievo. Uscii in corridoio - con la mia solita aria innocente - proprio nel momento di massimo trambusto, cercando (e subito trovando) occasione per pronunciare la formula vittoriosa: "ma come? ieri mi accusavi di averlo spostato e oggi mi accusi di non averlo spostato?"

Fino al rientro delle vacanze natalizie i seminaristi non parlarono d'altro.

giovedì 4 dicembre 2014

Bismarck

Ero stato assegnato alla parrocchia di quel parroco famoso per una particolare bravata: quando aveva sentito aria di trasferimento ad altra parrocchia meno gradita, aveva minacciato di andare in "crisi sacerdotale". Il vescovo aveva finto di credere a questa baggianata (firmando così una cambiale in bianco) e il parroco non era stato più spostato.

Otto von Bismarck una volta disse che i soldati devono essere tenuti sempre indaffarati, perennemente, anche in attività inutili, purché non stiano fermi. Chi sta fermo pensa, e un soldato che pensa è un soldato pericoloso.

In perfetto stile bismarckiano il sullodato parroco mi disse che avrei dovuto occuparmi delle liturgie, preparandogli l'altare per la Messa (qui è in uso avere tutto già pronto sull'altare, talvolta perfino il vino già nel calice, di modo che il parroco esca dalla sagrestia come un presentatore, cioè senza avere altro nelle mani che il microfono wireless).

Avendo precedentemente osservato il suo modo di estrarre le particole consacrate dalla pìsside, escogitai una disposizione tale da facilitargli l'estrazione con un solo gesto senza dover "ritentare". Disponevo le ostie in cerchio, distanziate di poco meno di metà del loro raggio, in modo che fossero anche facili da contare a colpo d'occhio.

L'avreste mai indovinato? Il parroco non gradì che fosse tutto ordinato e facile. "Non perderci tempo, buttale lì pure mischiate, non è importante", mi disse con indifferenza. Gli dissi sorridendo "va bene" (la prima cosa che si apprende in seminario è rispondere ad un sacerdote sorridendo e dicendo "va bene" anche se in realtà vorresti prenderlo a pedate per un mese intero: ma come? diverranno il Corpo di Cristo, saranno il Santissimo Sacramento tra appena un'ora, assicureranno il Paradiso alle anime che lo riceveranno con le debite condizioni... e tu mi dici di trattarle come vecchie scartoffie da sgabuzzino?)

Proprio bismarckiano, con l'aggiunta che le attività in cui tenere impegnati perennemente i seminaristi devono essere poco educative. Non sia mai che un seminarista ami il Santissimo Sacramento... Era proprio vero quel detto che beffardamente ci si ripeteva in seminario: "seminaristi, nemici di Cristo".

martedì 2 dicembre 2014

Quei pontefici che...

Certi pontefici Dio li dona; certi altri li tollera; alcuni li infligge. Per i nostri tanti peccati ci è stato inflitto Bergoglio, uno dei pontefici più imbarazzanti della storia della Chiesa. Chi ama la Chiesa ne soffre come con una ferita aperta.

Al solo sentirne il nome spensi la televisione. Non mi restava più fiato per pregare. Le dimissioni di Ratzinger e l'elezione di Bergoglio mi avevano stremato: riuscii infatti a dormire, una notte lunga a agitata. Da quella sera di marzo 2013 uno dei miei ultimi solidi appigli - "guarda il Papa, per esempio!" - era svanito.

E' un dolore atroce vedersi piovere addosso le bergogliate. Quella che mi ha più addolorato nei primi tempi è stata il notare che non si genuflette alla consacrazione. Dopo che per anni e anni in parrocchia e soprattutto in seminario ho delicatamente e indelicatamente sgridato gente che si stufava di piegare il ginocchio davanti al Re dei Re (gesto fisico che implica umiltà e riconoscimento), dopo averlo fatto ricordando i santi e «perfino il Papa», dopo che in certe occasioni - come in una Messa della notte di Pasqua - ero l'unico inginocchiato delle centinaia di anime presenti (non il parroco, non il concelebrante, non i seminaristi, non il popolo), ecco il Papa che resta in piedi alla consacrazione (ma che è gesuiticamente capacissimo di inginocchiarsi in altre occasioni, come per lavare i piedi ad una giovane musulmana).

Se il Papa smette di difendere la fede, chi altro dovrà difenderla? Se il Papa può risparmiarsi nel dare onore al Santissimo Sacramento, chi penserà mai di aver sbagliato a risparmiarsi?

Sì, è in gioco la fede, perché certi gesti parlano, certi silenzi parlano, certe posture parlano. Perciò il mio dolore. Non è la difesa del singolo gesto, ma il fatto che per anni quel gesto era uno dei pochissimi punti su cui si poteva ricordare ai tiepidi e ai pigri Chi è realmente presente nel Santissimo Sacramento. Se difendiamo il gesto è perché difendiamo la fede: se il gesto fosse inutile, nessun santo si sarebbe mai consumato le ginocchia davanti al Santissimo.

E così giungiamo ad oggi.

Ogni tanto mi giunge notizia di qualche nuova bergogliata ma spesso non ci penso più. Non vale la pena discutere e criticare le bergogliate: settimana prossima sarà peggio, mese prossimo peggio ancora. Talvolta me ne capita una che non riesco a non commentare - ma è per rammarico e desolazione.

Alcuni - con più esperienza di me - hanno sempre e accuratamente evitato di parlare delle bergogliate. La loro è stata la scelta migliore. Si occupano delle cose della fede stando attenti a non toccare argomenti che riguardino le uscite dell'imbarazzante pontefice, in attesa che questi si ravveda e confermi i suoi fratelli.