martedì 28 marzo 2017

"Questi vogliono farmi fuori!"

Il citato seminarista "madre superiora" ebbe la bella pensata, nei primissimi giorni di seminario, di uscire di pomeriggio in corridoio in pigiama. Evidentemente era un diritto che aveva acquisito nel seminario minore (e che dimostrava quale considerazione si aveva lì per il sacerdozio). Fu solo per le sguaiate risate dei commilitoni che smise di ostentare l'attitudine pantofolaia.

Alla vacanza estiva obbligatoria dei seminaristi del secondo anno non si presentò: era stato "aiutato a capire" che doveva lasciare il seminario (altrimenti la sua assenza alla vacanza sarebbe stata considerata un gesto gravissimo). La notizia della sua espulsione non era ancora ufficiale, ma già la prima sera della vacanza qualcuno osò scherzarci su: imitando la sua voce, si lamentò dicendo: "mamma! la comunità mi prende in giro! il rettore mi prende in giro! l'animatore mi prende in giro! mamma! questi vogliono cacciarmi via!"

Intervenne l'animatore immediatamente, con una voce gelida, dicendo: "qui nessuno vuol cacciar via nessuno". Era una minaccia, perché quando un prete parla occorre considerare come ipotesi seria sia quello che ha detto, sia il suo esatto contrario. Per cui nessuno ci scherzò più su.

Nel settembre successivo, inizio del terzo anno, il soggetto era misteriosamente assente: "ha deciso di prendersi un periodo di riflessione", disse l'animatore. Che tradotto dalla lingua pretesca significa che è stato cacciato via. Così, colui che aveva scherzato alla vacanza, dopo essersi assicurato che l'orecchio dell'animatore fosse nella più remota lontananza, ripeté la scenetta: "mamma! la comunità mi prendeva in giro! il rettore mi prendeva in giro! l'animatore mi prendeva in giro! mamma! questi mi hanno scacciato via!"

"Mamma" era sempre stata un'allusione al fatto che il figuro telefonava a sua madre quasi ogni giorno, per raccontarle spontaneamente cosa aveva mangiato, come aveva dormito, cos'era avvenuto a lezione, e forse anche per lamentarsi. (sì, un candidato al sacerdozio totalmente "mammone", con l'attitudine e l'intelligenza di un bambino di sette anni, e forse anche per questo è stato fatto fuori).

La "comunità" - cioè buona parte dei seminaristi - seguendo l'istinto del branco concesso dalli superiori davvero prendeva in giro il soggetto, visto che l'abuso di bevande gassate e l'attitudine a darsi per malato a partire da temperature di 36,1° era abbastanza frequente. Quando lo stesso rettore ne fece in sua assenza un'imitazione, e quando lo stesso animatore sempre in sua assenza ne imitò gesti e parole, fu chiaro che volevano cacciarlo via. Molto tempo dopo se ne rese conto lui stesso.

L'ultimo ricordo che ho di lui è una sua vanteria, che si ingigantiva man mano che annuivo, secondo cui una ventenne lo aveva già eletto come suo direttore spirituale ed aspettava la sua ordinazione per poterlo avere anche come confessore. Un'idiozia di dimensioni epiche, visto che un prete cretino celebra validamente i sacramenti e ha la grazia di stato, ma un seminarista non può celebrare un tubo e non ha nessuna grazia (e i "ministeri istituiti" di cui eventualmente gode il suo curriculum valgono zero spaccato al di fuori delle liturgie: prima del diaconato è perfettamente sostituibile con un laico qualsiasi).

sabato 18 marzo 2017

Lamentano scarsità di vocazioni, ma intendono mestieranti di parrocchia

Quando vieni ingiustamente colpito, provi dolore e spesso anche risentimento. Ma quando vieni ingiustamente massacrato, oltre ogni immaginabile limite, non hai più nemmeno le forze per provare risentimento. Semplicemente ti rendi conto, proprio a causa dell'atroce dolore, che Nostro Signore sta assistendo attentamente alla scena.

Così, quando il vescovo mi disse che non intendeva in alcun modo portarmi al sacerdozio, lo ringraziai, perché non mi veniva in mente altro. Gli ripetei di essere convinto di essere chiamato al sacerdozio: se perciò non sono adatto alla diocesi, dove devo andare? La domanda era più che lecita: si suppone che un vescovo che ti ha accolto da parecchi anni in seminario, che ha letto attentamente tutte le carte che ti riguardano, che ha parlato di te con tutti i suoi collaboratori di fiducia per tutti questi anni, debba avere un'idea di ciò che potresti costruttivamente fare per la Chiesa.

E invece no. Non ce l'aveva. Farfugliò un non so, passò qualche interminabile e pesantissimo secondo di silenzio, e poi disse che potevo entrare in qualche ordine religioso, o in qualche altra diocesi (esatto: disse che non sono adatto al sacerdozio in diocesi, e poi dice che potrei essere adatto in un'altra diocesi).

Quindi disse che lui era competente solo per la propria diocesi, che poteva dire solo sì o no per il sacerdozio nella sua diocesi. Col sottinteso che il resto non lo riguarda. Dopo che per tanti anni era stato il riferimento ultimo della mia vocazione, mi ha candidamente dichiarato di non avere alcuna idea sulla forma della mia vocazione.

Può darsi che la responsabilità di tutto sia veramente sua. Oppure può darsi che doveva ubbidire all'ordine perentorio di qualcuno che lui temeva. Fu ovviamente irremovibile, e perennemente sulle spine perché temeva che qualche goccia potesse far traboccare il vaso. O forse addirittura se lo augurava: non c'è niente di meglio del poter dire che un seminarista ha dato in escandescenze lì in episcopio, e quindi è da espellere perché esaurito, disubbidiente, e incapace di dialogare. Invece no: mi ero limitato solo a ringraziare, in modo naturale, senza alcun sarcasmo.

Uscito verso le scale, inforcai gli occhiali da sole. Non volevo che qualcuno vedesse le mie lacrime. Uscii dal portoncino e presi la stradina in salita, in direzione opposta rispetto a casa: avevo assoluto bisogno di fare due passi, e di sostituire con aria pulita l'arietta pesantemente velenosa e diabolica respirata lì dentro.

Da quel giorno non solo ho sempre evitato di contattarlo: ho anche evitato di partecipare a liturgie in cui ci fosse anche un minimo rischio della sua presenza, o del rettore del seminario, o dei preti diocesani che avevano contribuito a mettermi nei guai. Dopo che hanno giocato con gli anni della tua vita, ingannandoti, "mettendoti alla prova" (cioè sprecando e agendo con inutile sadismo), non riesci più a guardarli in faccia, non hai nemmeno le forze per maledirli, se mai le avessi avute.

Il vescovo era stato maledettamente chiaro e preciso quella volta che mi disse che non intendeva portare al sacerdozio coloro che riteneva inadatti all'incarico di parroco. Come a dirmi che il sacerdozio coincide col mestiere del parroco, ed in particolare il parroco-manager-clown in voga al momento. Come a dire che il donarsi a Cristo nella forma della vita sacerdotale è un puro accessorio, anzi, non deve ostacolare il mestiere del parroco. Una legge che naturalmente valeva solo per le vocazioni recenti, visto che in diocesi c'erano parecchi preti che in vita loro non erano mai stati parroci.

Tutto ciò strideva con la comica gestione della diocesi, dove gli incarichi di parroco venivano centellinati con estrema parsimonia, in modo da mantenere precari i preti che non si piegavano alle mode clerical-progressiste, e da far salire le quotazioni al borsino curiale dove i volponi di lungo corso potevano meglio speculare. Non sia mai che capitasse una parrocchia dove non ci vuole andare nessuno: e ora come la si copre? Dove lo si reperisce un prete ubbidiente, dal momento che le vocazioni di quel genere le abbiamo soppresse tutte?

Io chiedevo solo di vivere il sacerdozio. Celebrare Messa, amministrare sacramenti, insegnare le cose della fede... "Non era dei nostri, perciò glielo abbiamo proibito". Non ero dei loro. Non ero la checca-clown approvabile dal team degli scrupolosi vagliatori controllori.

"Ma la vita sacerdotale è anche altro", mi aveva detto una volta il vescovo. Notò che lo fissavo, e tentò di tirare fuori qualche esempio. Gli vennero solo astrazioni: "per esempio, dialogare con la gente". Continuai a fissarlo, cercando di capire in quale Vangelo ci fosse scritto "andate e dialogate con la gente della parrocchia e talvolta pure fuori parrocchia: siate gli amiconi del quartiere per i borghesotti annoiati in vena di clericalate, siate l'animale da compagnia per le persone che hanno tempo da perdere, e soprattutto non rovinate il sacro Dialogo con i doveri di stato".

mercoledì 15 marzo 2017

Preti modernisti, siete contenti adesso?

Avete sempre disprezzato la genuflessione («la posizione dei salvati è in piedi!» «io faccio l'inchino profondo!») e l'inginocchiarsi («devozionismo! medioevo! vecchiette!»): come vi sentite adesso che il papa retroattivamente convalida le vostre piccinerie? Soddisfatti? Contenti? Non è una soddisfazione un po' troppo magra?


lunedì 13 marzo 2017

Ora applaudono, ma tra un attimo perseguiteranno senza pietà

Fin dai primi giorni di seminario notai quell'ossessivo ripetere "i poveri, i poveri, dalla parte dei poveri, opzione preferenziale per i poveri, i poveri..." e quindi c'era tutta una gara (a parole che poi non sfociavano troppo nei fatti) a chi baciava i piedi al negro (non sia mai che un pensionato minimo italiano, magari addirittura cattolico, venga considerato "povero").
Salvo poi evitare in ogni modo di inginocchiarsi al Santissimo e guardare in cagnesco chi era anche soltanto sospettabile di pregare segretamente in latino.

I desiderata (desideratissima) dei nostri formatori del seminario sono stati tutti esauditi. E adesso?



mercoledì 1 marzo 2017

Un sacerdote in meno, tante anime a penare in più

Un mio sogno ricorrente: uscendo dal cortile per entrare in macchina, vedo in strada tante persone che avrebbero bisogno di un passaggio. Una donna anziana mi chiede con timoroso garbo se ho un posto libero. Altri, più timidamente, si limitano a guardarmi da lontano nella speranza di cogliere un mio cenno. Costernato, devo risponderle che non ho più posti. Lei mi ringrazia in silenzio, con un breve sorriso, e si allontana. Molti degli altri continuano da lontano a gettarmi qualche timida occhiata, senza parlare, aspettando che qualcosa cambi.

Nello svegliarmi non posso fare a meno di ricordare tutte quelle anime del purgatorio altrimenti dimenticate. E tutte quelle anime viventi che avrebbero bisogno di un sacerdote... ed è stato loro negato. Negato dai vescovi e dai formatori del seminario. Negato dalla mentalità secondo cui il "presbitero" (non sia mai che dicano "sacerdote") dev'essere un uomo di dialogo, un tessitore di comunionalità, uno "vicino alla gente", talmente vicino alla "gente" da ignorare coloro che hanno bisogno di lui per un sacramento, un insegnamento, una guida. La pastorale è infatti in antitesi ai tre munus sacerdotali. Una parrocchia viva è quella dove più si celebrano spettacoli, riunioni, giochi, giornalino, sagre, gruppi, volantini, raccolte fondi, cartelloni, tornei, cineforum, campi scuola, vacanza estiva... La pastorale per una parrocchia viva è infatti quella che la riduce a un'ente morto e inutile, un circolo ricreativo in cui il sacro è solo uno degli accessori secondari e magari anche trascurati.

Non mi illudo certo che la buona volontà mi avrebbe fatto evitare danni una volta giunto al sacerdozio. Ma ciò che mi aspettavo dalla vita sacerdotale era drammaticamente diverso da ciò che si aspettavano i miei compagni di corso. Per i quali, senza mezzi termini, la prima ambizione era rimediare un incarico da parroco, cioè un distributore di prediche stipendiato dalla curia, con entrate economiche supplementari dalle offerte per i sacramenti, e con un piccolo regno (la parrocchia) su cui spadroneggiare. Dopo un certo numero di anni, magari, accedere a qualche incarico importante con supplemento di stipendio e forse pure un titolo da monsignore, e per i più ambiziosi (cioè almeno metà dei compagni di seminario) pure l'episcopato. Le anime, cioè le pecorelle da pascere, c'entrano solo come consistenza numerica del proprio successo, solo come parco buoi che volontariamente sgancia qualche soldino. E le anime del purgatorio - quelle per le quali mi capitava quel sogno ricorrente - sono al massimo l'etichetta in nome della quale aspettarsi il pagamento per le intenzioni a tariffa standard.