martedì 8 novembre 2016

«Per timore dei circoncisi»

26 maggio 2014
Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?“ (Gal 2,14)

lunedì 17 ottobre 2016

Quegli esercizi consigliati ma proibiti

Una volta, da seminarista, mi ero iscritto a una settimana di esercizi spirituali per il mese di agosto, una di quelle robe in formato vacanziere anziché contenitore di prediche e asfissianti procedure liturgiche; mi ero iscritto anzitutto per la certezza che nessuno della mia diocesi sarebbe stato lì. L'occasione era stata una di quelle rarissime volte in cui il rettore del seminario ci aveva suggerito di cercarci autonomamente una "esperienza estiva" in aggiunta a quelle che ci programmava la diocesi, e una settimana di esercizi in montagna sarebbe stata considerata "esperienza estiva" senza eccessivi controlli clericostalinisti.

Condivisi la camera con un giovane carmelitano in procinto di lasciare l'ordine e di passare a una diocesi. Un buon uomo, cosciente della sua vocazione, ma coi nervi a pezzi perché si sentiva defraudato dal suo stesso ordine, che gli chiedeva per ubbidienza esattamente le cose che gli aveva vietato durante il noviziato, e viceversa.

A tavola era sempre un'allegra gazzarra, grazie al buon vino e all'arietta di montagna. Ero uno dei pochissimi seminaristi presenti, così socializzai con diversi preti. Sarebbe stata una settimana rinfrescante e rilassante, se non fosse stato per uno di loro, uno dei più anziani, che quando seppe che ero seminarista mi chiese stupito e preoccupato: e il vescovo ti lascia venire qui?

Era la domanda che avrei piuttosto dovuto farle io, gli risposi, non è che la diocesi va in crisi se un seminarista nel mese di agosto va a farsi una settimana fuori - un prete in vacanza, invece... Lui, però, senza cambiare espressione, mi disse che se un vescovo lascia andare così un seminarista, significa che ha già deciso di sbarazzarsene.

Restai senza parole, perché avevo capito che non scherzava, e soprattutto perché non era la prima volta che qualcuno che non conoscevo mi diceva, sulla base di poche informazioni su di me, che il vescovo era a caccia di scuse per dimettermi.

Non troppo tempo dopo ricevei quella famigerata telefonata del rettore del seminario che mi notificava che non avrei avuto l'avanzamento di carriera.

Nel corso degli anni ho scoperto che era esattamente come sapevo - i seminaristi non sono affatto "indispensabili" alla diocesi, sebbene rettori e formatori esigano che si diano da fare come forsennati in ogni momento, specialmente d'estate - e non per indurli a fuggire le tentazioni. Campi scuola, attività estive, animazione giochi parrocchia, e per di più spacciarsi per entusiasti e zelanti desiderosi di ricominciare daccapo come nel gioco dell'oca (o nelle fatiche di Sisifo). Quando all'inizio di un nuovo anno di seminario si era obbligati a "condividere" le esperienze fatte, ognuno elencava sotto lo sguardo falsamente sorridente (ma perfido scrutatore) del rettore le proprie operazioni estive.

E naturalmente il sottoscritto, pur avendo di che elencare (visto che il parroco era stato incaricato di farmi trottare come un mulo da soma), e pur avendo la capacità di imbastire tutto il ricamo (spacciando abbastanza credibilmente la processione del santo patrono come una roba da settimane di lavoro di "preparazione": ero credibile perché ognuno di loro sognava di farlo per settimane, di essere al centro dell'attenzione della parrocchia per intere settimane), il sottoscritto veniva guardato con sospetto e diffidenza perché oltre a dire cosa aveva fatto, aggiungeva blandamente anche cosa aveva imparato.

Quella carnevalata ipocrita, in quanto tale, è sempre stata del tutto inutile visto che una volta ordinati al sacerdozio l'entusiasmo e la parlantina dei novelli pretini ha sistematicamente un calo inesorabile, continuo, netto, fino all'arrendersi al tran-tran quotidiano, adeguando il proprio ministero pastorale al minimo sforzo possibile, e dandosi da fare su altri fronti: chi andandosene per centri di wellness, chi cercando ogni scusa per fare lunghi viaggi in macchina, chi cercando ogni occasione per mangiare senza freni... Il sacerdozio ridotto a un mestiere con le ore di "lavoro" comprimibili al minimo: il prete deve marcare la casellina del campo giovani? Lo indìce, delega a qualche collaboratore laico l'organizzazione, si fa vivo solo quando ha occasione di mangiare, di fare una predica o di celebrare l'inevitabile Messa tutta speciale. E che dire del pretino di famiglia campagnola che approfitta del tempo libero per darsi da fare nell'orto dei suoi familiari? "Braccia rubate all'agricoltura". E di quello che invece hanno dovuto portare in ospedale perché ufficialmente caduto dal ciclomotore? "Braccia rubate all'edilizia": tutto il paese sapeva che era caduto non dal ciclomotore, ma dall'impalcatura mentre aiutava suo fratello a dare una sistematina al loro solaio abusivo.

C'era un giovane prete, di quelli che ritenevo intelligenti e motivati, che mi confidò desolato che dopo sei mesi di omelie non aveva più nulla da dire. Poi, il rettore del seminario che lamentava la scarsa (eufemismo) fedeltà al breviario, specialmente da parte dei preti giovani. Quindi, un giovane parroco manifestamente stufo di celebrare i sacramenti (confessioni? no, tornate mercoledì; messa del Lunedì dell'Angelo? macché, la saltiamo, tanto sono sicuramente tutti in gita, ecc.) Quei giovani preti clamorosamente a corto di nozioni di catechismo, che però passano mesi a predicare sulla Spendibilità Evangelizzante o sulla Opzione Fondamentale (quest'ultima adoperata dal pretino in questione per sottintendere che lui non ha bisogno di confessarsi, tanto ha già opzionato per il bene anziché per il male...)

E così arriviamo al mio caso. Il rettore ha un profondo disprezzo per il sottoscritto seminarista, reo di essere attaccato a forme preconciliari (cioè alla consacrazione mi inginocchio, non disprezzo la preghiera in latino, non uso mai le mani per la Comunione...) o bigotte (cioè dopo l'Ammissione tra i Candidati agli Ordini Sacri, mi presentai alla successiva tornata di ordinazioni sacerdotali in camicia-clergy anziché in jeans e maglietta). Il sottoscritto seminarista era particolarmente disprezzabile in quanto faceva "auto-formazione", cioè leggeva libri cattolici che - in quanto tali - non erano autorizzati dal rettore, per il quale le uniche letture utili e necessarie erano quei libercoli editi a Bose, nella comunità fondata dallo pseudomonaco Bianchi. Il sottoscritto, infine, aveva avuto la faccia di bronzo di prendere sul serio un consiglio elargito distrattamente dal rettore, ed era andato a quella settimana di esercizi in montagna, senza curarsi troppo della scarsa diocesanità di tale gesto.

Bisogna fargliela pagare cara, avrà pensato il rettore. Non è docile, non fa dialogo, non vuole crescere nella spiritualità diocesana, non è abbastanza entusiasta delle già scarse esperienze pastorali estive. Ora gliela combino io, e poi appena ho tempo avviso anche il vescovo e gli dico di togliere di mezzo questo ragazzotto inutile e dannoso.

domenica 16 ottobre 2016

Pornografia per modernisti


Questa foto è vera e propria pornografia per modernisti - come quei miei superiori del seminario, dei quali ricordo ancor oggi le seriose omelie sul tema "chi sono io per giudicare?", l'ossessivo intercalare sul "dialogo" con la "gggente", cioè il "corpo sociale" di Cristo, l'insistenza (e soprattutto il controllo fiscale e persecutorio) sul "darsi da fare" per le attività più disparate... tutto, qualsiasi cosa, pur di cancellare l'essenziale del sacerdozio.

mercoledì 6 luglio 2016

Il supplizio vocazionale di Tantalo

Per chi ancora non lo avesse capito, da tantissimi anni sono convinto di essere chiamato al sacerdozio ma sono stato ripetutamente bocciato da una masnada di frocioni.

Eh, sì, perché la pia credenza che uno chiamato al sacerdozio prima o poi per intervento divino vi acceda è contraddetta da quel passo del Vangelo in cui gli apostoli gonfi di sé scacciarono via uno che esorcizzava efficacemente ma non apparteneva al loro club. Vennero rampognati da Nostro Signore, ma ormai il precedente l'avevano creato.

Ho una vasta collezione di "non posso aiutarti", "non possiamo prenderti", "non devi rivolgerti a me", "vedremo cosa si può fare", "qui non prendiamo seminaristi già adulti o mandati via da altre diocesi", ecc., in tutte le salse.

Già, perché la diocesi di origine mi ha tenuto in caldo per tanti anni, dimettendomi per imprecisate incapacità di dialogo. Magari c'entra qualcosa il rettore che aveva sculettato in mia presenza come una checca scafata, oppure il fatto che non riuscivano a trasformarmi in un gaio clown da parrocchia, o magari il fatto che mi inginocchiavo alla consacrazione, oppure il fatto che nessuno dei parroci ultrà sessantottini riusciva a trasformarmi in un suo clone...

La congregazione, come già detto, mi mandò via perché non avevo pagato le migliaia di euro della tassa retroattiva sul noviziato, ma magari c'entra qualcosa il fatto che il superiore (che si era fatto letteralmente sfondare il culo nelle dark room romane, venendone ammonito dal proctologo di fiducia) era un emerito frocio che non vedeva l'ora di assecondare le piccinerie del suo amato novizio-figliuolo prediletto, in onore del quale raccontava a tavola i propri sogni omosessuali.

E l'altra comunità, invece, andò a farsi friggere perché il superiore, tutto intento a incensare il suo seminarista-figliuolo prediletto, calamitava guai dalla curia a profusione. Quando dalla curia dissero a quella checca repressa che il sottoscritto non poteva avere il tipico avanzamento di carriera, mi tenne nascosta la cosa fino a due settimane prima, notificandomela appena fabbricò una scusa per coprire la propria magagna.

I missionari, al secondo colloquio conoscitivo, mi dissero che non potevano proprio prendermi, neppure ricominciando da zero la formazione, perché nelle carte provenienti dalla mia diocesi di origine c'erano tante di quelle cattiverie - pur riconoscibili come tali - che era chiaro che intendevano farmi terra bruciata. E i missionari di tutto avevano bisogno tranne che di qualche nuovo nemico in zucchetto paonazzo.

Nel carnet ho perfino un prete arcisicuro della propria imminente nomina a vescovo, e la sua faccia quando all'ultimo momento elessero invece un professorino isterico al suo posto (capita ovunque: "indagate pure sul candidato X, tanto poi la Congregazione farà passare comunque il candidato Y"). Non sapendo come scusarsi - e non era mica colpa sua - mi portò a conoscere i monaci che da decenni non vedevano vocazioni. E no, non mi sento chiamato al monastero, tanto meno a fare il badante di un certo numero di vecchi, alcuni dei quali con seri problemi di (omo)sessualità.

Ho un comico elenco di pretini (più o meno frou-frou) desiderosi di fondare una nuova comunità, ma terrorizzati dalle reazioni dei vescovi, perché se hai intenzione di fondare vuol dire che hai le idee chiare su qualcosa, e gli uomini con le idee chiare fanno paura a questa generazione di Don Abbondio con mitria e pastorale orridi come loro. Nessuna di quelle comunità è stata mai fondata, e da giugno 2016 è in vigore un nuovo cavillo per bloccarle preventivamente. (Per reazioni si intende anche il talvolta malcelato desiderio di far carriera: e la paura di vedersi bloccato l'accesso all'ambita parrocchia o al corridoio per l'episcopato erano incluse nell'elenco).

E infine ho anche in lista un patetico elenco di vescovi che hanno promesso per poi non mantenere. Come quello che diceva "aspetta che a breve apro un seminario per vocazioni adulte", dopo dieci anni ancora non ha aperto nemmeno il pacco di biscotti. Un altro disse "fammi contattare dal sacerdote che ti segue" (che conosceva personalmente), e si è sempre fatto negare al telefono (sì, un vescovo che dice alla segretaria "se chiama il tal prete di' sempre che non ci sono"). Un altro ancora che nel fissare un appuntamento mi disse che "non prendo seminaristi da altre diocesi". E poi quello che in macchina (guidava lui) mi promise mari e monti, per poi concludere che tutta la mia formazione sarebbe stata affidata al rettore del seminario (un ricchione isterico che mi accolse dicendo che non si sa se cominciavo, non si sa se continuavo, non si sa se finivo, e se proprio tutto fosse andato bene per tanti anni non si sa se davvero accedevo al sacerdozio).

Ora, in seminario o in una casa di formazione, può ben succedere che un candidato venga verificato come definitivamente inadatto al sacerdozio. E può anche darsi che sia utile, per evitare scandali e strascichi, evitare di precisare pubblicamente i motivi per cui è stato dimesso. Solo che quando quest'ultimo metodo viene applicato per coprire le antipatie, le gelosie, le porcherie dei formatori, si compiono le peggiori ingiustizie.

Ci sono andato dritto con tutte le mie forze (non solo spirituali) in seminario, in congregazione, in comunità, anche macinando chilometri, anche sputando letteralmente sangue, spendendo i migliori anni della mia vita, investendovi una quantità immane di soldi guadagnati lavorando, fidandomi più di quanto mi venisse chiesto. Ho sorriso filialmente quando avrei dovuto randellarli nelle gengive, ho ubbidito con prontezza quando avrei dovuto impalarli con un lampione (qualcuno avrebbe gradito), ho finto di non vedere - quando non esplicitamente coperto - le loro piccinerie, ho incensato con studiata attenzione i loro rispettivi figliuoli prediletti, sono uscito in punta di piedi laddove avrei dovuto sbattere la porta dopo averli accuratamente malmenati... So bene che tutto questo, alla fine della fiera, non importa granché: sono i formatori che ho avuto, il problema, non i miei limiti.

Davanti a Dio, conscio pure di tutti i miei peccati, sono definitivamente sicuro di aver dato tutto il possibile ma di essere incappato ogni volta in qualche esponente della parte più marcia della Chiesa. Un Don Abbondio merita critiche, ma in fondo in fondo la paura gliela perdoniamo. Ma un formatore gay più o meno latente, che ha tutto un particolarissimo metro di giudizio sulle vocazioni (cioè un figliuolo prediletto e tutti gli altri devono esser per forza figliastri invidiosi gelosi pelandroni da far rigare dritto), non può essere dimenticato o perdonato. Sarebbe una buona pastorale vocazionale ridurre allo stato laicale simili soggetti, ricordando che le vocazioni vanno selezionate fra i viri probati, non tra le checche.

sabato 2 luglio 2016

Esercizi: l'episodio dei finti diaconi

Ogni anno di seminario iniziava con una settimana di esercizi spirituali. Che consistevano in una gran quantità di prediche alternate a lungaggini in cappella. Il predicatore era invariabilmente un esperto divulgatore di aria fritta, per cui per non annoiarsi era opportuno portarsi di nascosto qualche buon libro da leggere - non necessariamente di spiritualità.

Siccome negli esercizi Tutto Deve Essere Più Speciale, il predicatore pretese per ogni messa due seminaristi chierichetti che al momento della Comunione trattava col riguardo che liturgicamente spetta ai diaconi. Cioè dava loro la particola (una parte dell'ostia appena consacrata) e pretendeva che facessero la Comunione insieme a lui, dopodiché passava alla distribuzione della comunione agli altri. Un abuso liturgico come tanti altri: nei seminari l'unica cosa che non manca mai è la voglia di Fare Qualcosa Di Speciale, cioè la noia e il disappunto per le cose normali.

Fui selezionato anch'io per servirgli Messa e mi diedi subito da fare per convincere il commilitone a chiedere al predicatore di amministrarci la Comunione normalmente, non come i diaconi. Con mia sorpresa fu subito d'accordo e andammo a parlargli. Il prete predicatore, colto di sorpresa poco prima di celebrare, farfugliò un "va bene" pensando, lungo tutta la Messa, al modo in cui potesse più crudelmente vendicarsi. I seminaristi si accorsero che proprio quel giorno non c'era stata la pagliacciata usuale, e uno di loro - quello che nella sua parrocchia di origine era soprannominato La Checca - mi chiese come mai il predicatore avesse fatto così. Feci il finto tonto. Non avvenne nient'altro di notevole, e l'episodio sembrò essere seppellito nell'oblìo.

Un po' di settimane dopo ci fu una Tregiorni dei seminaristi. Il vescovo celebrò la Messa e distribuì la Comunione. Mi presentai in fila come al solito, a mani giunte. Dopo avermi detto «il Corpo di Cristo», il vescovo si bloccò e aggiunse: «no, voglio darteLo nelle mani». Misi subito le mani a coppa, perché istintivamente a un ordine del vescovo si può solo ubbidire. «Le mani», ripeté sottovoce il vescovo, come se fosse stupito di vedermi ubbidire. Fu una delle rarissime volte in cui ho fatto la Comunione "con le mani". Tornai al posto, senza perdere la compostezza, e dopo aver ispezionato con la massima discrezione palmo e dita per possibili frammenti, mi inginocchiai per il ringraziamento.

Quell'episodio durante gli esercizi del seminario doveva aver fatto il giro del mondo a velocità supersonica, venendo gonfiato ad ogni rimbalzo. Ero passato per quello lì che aveva paura di fare la Comunione "con le mani". Il vescovo si era allarmato e si era personalmente autoincaricato di controllare questo Ribelle al Superdogma del Postconcilio, adoperando il Santissimo Sacramento come strumento utile a trarre elementi conclusivi per l'indagine.

Il mattino dopo il vescovo mi convocò con una scusa per farmi tutto un panegirico sulla Comunione "sulle mani" e sulla assoluta problematicità dell'ostacolare tale attività, così salutare e necessaria nelle parrocchie. Lo ascoltai come al solito, cioè annuendo con calibrato entusiasmo e in attesa del termine della predica personalizzata. Non sembrava una richiesta di perdono, ma solo il voler dar soddisfazione alla propria insicurezza mentre era roso dal tarlo del dubbio e del timore di allevare una serpe in seno, cioè un seminarista che si rifiuta di fare la Comunione sulle Mani! (non gli passerà nemmeno per la testa di averlo compiuto lui, l'abuso liturgico e l'insulto al Signore, rifiutandomi la Comunione "alla bocca" ed esigendola "alle mani").

Finalmente il vescovo arrivò al dunque: mi chiese cos'era successo quando ho servito messa durante gli esercizi. Gli dissi candidamente che in coscienza non me la sentivo di partecipare a quell'abuso e che lo avevamo chiesto in due al predicatore e che eravamo stati accontentati. Dissi "abuso" anziché "abuso liturgico", per non sembrare un professorino con la matita rossa (ma pensate un po' come occorre calibrare accuratamente le parole quando si parla col proprio superiore). Il vescovo, visibilmente imbarazzato, replicò mischiando insieme una considerazione sul dover seguire il Messale, una sul non essere troppo rubricisti, e una sull'ubbidire sempre al celebrante. Dopodiché mi congedò, senza però togliermi dalla lista dei sospetti criptolefebvriani, e senza apparentemente rendersi conto della sua personalità bipolare: da un lato, vescovo che non concede nessun permesso che non sia stato già concesso a tutta la Chiesa, dall'altro, vescovo che non vede l'ora di accontentare i suoi preti più facinorosi in termini di progressismo liturgico, chiesastico e dottrinale.

giovedì 30 giugno 2016

Castrazione vocazionale

In una Chiesa normale, la sola possibilità di una vocazione in più accenderebbe i cuori (di sicuro in Paradiso c'è grande esultanza anche per la sola intenzione di consacrare la propria vita). Gesù ha personalmente raccomandato di pregare per le vocazioni: gli operai per la messe sono sempre "pochi", in qualunque epoca. Se Gesù si è personalmente scomodato a precisare che le vocazioni sono "poche", possiamo facilmente immaginare quanto sia grave nella Chiesa di oggi quell'assurda autocastrazione vocazionale.

In tempi non troppo lontani da noi nella Chiesa c'era posto per tutti i tipi di vocazioni, indipendentemente dall'età, dalla storia personale, dal livello di salute spirituale e fisica. In tarda età ci si poteva ritirare in un convento, a terminare i propri giorni dedicandosi esclusivamente alla preghiera e alla gloria di Dio. "Vorrei essere un frate quando il respiro manca". C'erano persino ordini religiosi penitenziali, adatti a chi proveniva da una vita non proprio limpida, in cui si poteva vivere la consacrazione e perfino il sacerdozio ma lontani dal rischio di scandalizzare. Oltre alle congregazioni religiose di prestigio e di grande ascetica, c'erano anche quelle un po' più rilassate (non proprio osannate da tipi come sant'Alfonso), adatte a coloro che non avevano la tempra spirituale e fisica per le prime.

Insisto a sottolineare il fatto che c'era posto per tutti: forse non il posto che uno poteva ambire, ma di sicuro un posto dove chiunque poteva dirsi: andrò via da qui solo quando smetterò di desiderare la vita consacrata. Padre Enrico Zoffoli considerava l'ingresso nei padri Passionisti un onore, la permanenza una croce, il morirvi una grazia. Un onore accedervi: più un onore che una scelta. Una croce la permanenza, perché la vita consacrata non è una vita comoda. E soprattutto una grazia il restarvi fedeli fino alla morte.

Tutto questo oggi non c'è più. Oggi vediamo una situazione paradossale: da un lato la maniacale caccia alle vocazioni (penso ad esempio a quegli ordini femminili che vanno disperatamente rastrellando giovani filippine e africane), dall'altro la schizzinosità di fronte a chi desidererebbe entrare (non dimentichiamo poi i casi in cui ti accettano, ti parcheggiano a fare l'omino delle pulizie, e poi finalmente dopo un po' di anni decidono che non ti avevano mai voluto: come quel ricchione frocio d'un superiore che con disprezzo disse che nella sua comunità «tre vocazioni sono anche troppe»).

La crisi delle vocazioni c'è perché la gloria di Dio, nonostante tante chiacchiere clericali e tanti documenti vocazionali, non c'entra più niente.

Una decina d'anni fa una mia cara amica, titubante sull'entrare in una certa congregazione, si è sentita dire amorevolmente dalla suora responsabile vocazionale: su, pensaci bene: qui avrai sempre un tetto e un piatto caldo. Ha gentilmente salutato e non è tornata più: oggi il tetto e il piatto caldo se li guadagna lavorando e vivendo da sola. Sarebbe stata una storia diversa se la responsabile delle vocazioni le avesse detto: qui avrai una vita dura, ma ti garantisco per ogni giorno fino alla morte preghiera, silenzio, adorazione, ed Eucarestia.

Un giovane si presentò dal suo vescovo a chiedergli di diventare sacerdote. Il vescovo subito lo raffreddò amorevolmente dicendogli: "sì, ma non devi dire così, devi chiedere di fare un periodo di verifica, che poi il percorso di seminario è tutta una verifica, che in qualsiasi momento può essere interrotto... ci vediamo fra tre mesi, intanto prega..." Uno va lì con gratitudine e col cuore contrito e forgiato da una decisione definitiva sulla propria vita, e si sente rinviare sciattamente a "fra tre mesi" (e tre mesi dopo verrà rinviato di un altro mese, prima di poter avere finalmente un colloquio di almeno due minuti).

Un altro - ugualmente maggiorenne - si sentì dire dal suo vescovo: ma tu non hai esperienza di vita, dai, torna qui da me quando avrai una fidanzata. (e certo, uno si prepara al sacerdozio fidanzandosi, no? E magari pure compiendo gli atti che i fidanzati sono stufi di portare in confessione, no?)

E altri ancora, che credevano di essere stati accettati in seminario, per interi anni - dal primo all'ultimo giorno - si son sentiti dire che dovevano cambiare, che dovevano migliorare, che dovevano crescere nel dialogo. E più "cambiavano", più "miglioravano", e più "crescevano nel dialogo", e più sentivano che i superiori li avevano parcheggiati lì in seminario in attesa di trovare una scusa per mandarli via.

E quando finalmente al termine del seminario quei ponziopilato con faccia di bronzo trovavano il coraggio di dire che non ti ritenevano adatto «neppure con altri dieci anni di formazione», al danno segue la beffa: il seminarista chiede umilmente dove può trovar modo di realizzare la propria vocazione, e si sente rispondere «non so; posso solo dire: certamente non qui».

Ed è anche la mia storia.

mercoledì 29 giugno 2016

Sadomasochismo gesuitico

«Io credo che la Chiesa non solo deve chiedere scusa ai gay, ma deve chiedere perdono anche ai poveri, alle donne stuprate, ai bambini sfruttati nel lavoro, deve chiedere scusa di aver benedetto tante armi. I cristiani devono chiedere perdono per aver accompagnato tante scelte sbagliate».
[Bergoglio]

Nell'esatta ora in cui l'indegno successore di Pietro vomitava tali gesuitiche gesuitanti idiozie, notavamo coppiette omosessuali che si scambiavano effusioni in pubblico, davanti alla cattedrale.

mercoledì 22 giugno 2016

Quelli che se lo...

La Chiesa insegna che gli atti omosessuali sono peccato. Nella vulgata popolare "amore" significa inevitabilmente "sesso", specialmente tra i cattolici televisionati.

Episodio.

Due ragazze della parrocchia, sedute sui gradini dell'ingresso del centro parrocchiale, stavano facendo uno strano discorso. Mentre mi avvicinavo, sentii che parlavano pensosamente del cosiddetto amore omosessuale. Una di loro disse: "ma dopotutto che c'è di male? Se si amano..." e si girò verso di me per estrarmi maliziosamente una conferma o smentita, aggiungendo: "che faranno mai di male?"

Mentre ancora mi avvicinavo, presi fiato e a pieni polmoni dissi in dialetto: "quelli? ...Quelli? ...Quelli se lo chiavano nel culo!" Rimbombò per tutta la piazza.

Le due donzelle gridarono qualcosa come uno "yieeek!" strozzato in gola, e cambiarono immediatamente discorso, mentre io pacificamente entravo nel centro parrocchiale.

lunedì 6 giugno 2016

Quelle promesse che si rimangiarono

Il principale motivo per cui quasi tutte le congregazioni e le diocesi rifiutano vocazioni sopra i 30-35 anni è il fatto che preti e vescovi hanno l'abitudine di rimangiarsi la parola, di inventarsi leggi ad personam per mandare via (o costringere ad andarsene) un seminarista antipatico, o semplicemente per coprire le proprie magagne scaricando colpe e responsabilità sul primo innocente indifeso a portata di mano. Un seminarista con la mentalità da adolescente può ancora essere giostrato in modo da fargli ingoiare il rospo, un seminarista adulto trae invece le logiche conseguenze. La testa di un adolescente è facilmente ingannabile perché il suo orizzonte è generalmente solo quello di far bella figura; l'adulto è più difficile da abbindolare perché prende sul serio la propria vita e le parole che gli vengono dette dai superiori.

Il percorso di formazione sacerdotale è basato sulla fiducia umana. Nessuno può pretendere di essere ordinato in virtù di un elenco di cose già fatte e studiate: se il vescovo o superiore non si fida, è inutile e dannoso insistere. E se quella diffidenza nasce da pregiudizi, è inutile e dannoso tentare di riguadagnare la fiducia. L'adulto lo sa bene: per questo, nel vedersi ingannato, è assai meno disposto a subire ulteriori fregature. Se infatti il responsabile delle vocazioni si rimangia la parola data, in base a che cosa si potrebbe sperare che non faccia di peggio nell'imminenza di momenti importanti come l'istituzione di "ministeri" laicali o addirittura dei sacri ordini?

Il sottoscritto è ingenuamente incappato più volte in casi del genere, perché credeva stupidamente che la volontà dei superiori fosse la volontà di Dio. In realtà, solo la retta volontà dei superiori è la volontà di Dio. Le persecuzioni non vengono da Dio. Le menzogne, gli inganni, l'arroganza, il disprezzo per le vocazioni, non provengono da Dio.

Avvenne una sera di ottobre, mentre andavo nella nuova parrocchia in cui ero stato assegnato. Fatto inusuale, mentre ero per strada a piedi il rettore del seminario mi telefona. Mi telefona per avvisarmi che non avrei ricevuto il "ministero" insieme agli altri seminaristi due settimane dopo, "per decisione del vescovo", che però era in partenza per gli esercizi spirituali. Lo stesso rettore era in partenza per non si sa dove, e perciò mi prometteva che ne avremmo parlato ampiamente al ritorno (cioè fuori tempo massimo per qualsiasi ripensamento). E conclude la telefonata senza darmi nemmeno modo di chiedere perché.

Col senno di poi avrei dovuto chiudere immediatamente tutti i rapporti con la diocesi. Invece, per spirito di obbedienza, ripetendo a me stesso che era necessario accettare le decisioni ingiuste dei superiori, continuai a mendicare la loro benevolenza per mesi e mesi, quando finalmente il vescovo non sapendo più come procrastinare mi dimetterà ufficialmente, sulla base di accuse talmente riconoscibili come false, assurde e infondate, che ancor oggi mi suonano come la certezza di un posto all'inferno per lui e soprattutto per quelli che lo convinsero.

Ironia della sorte, dopo quella telefonata avevo immediatamente chiamato il vescovo per fissare un appuntamento urgente se non quella sera stessa, almeno al mattino dopo per avere chiarimenti su quel fulmine a ciel sereno. Infatti il vescovo cadde dalle nuvole - mi fu chiaro che non aveva assolutamente idea di cosa stesse architettando il rettore -, e nella stessa telefonata farfugliò qualcosa per dire che aveva "deciso" lui questo provvedimento. Tra i preti il senso di giustizia è ridotto ai rapporti nella stessa casta: il vescovo copre le spalle al rettore del seminario, e viceversa, perché l'uno non vuole rappresaglie dall'altro. Così, a farne le spese sono sempre gli innocenti e i fuoricasta.

Quest'altro episodio avvenne una mattina di primavera. Il superiore della comunità deve andare al raduno del clero e mi chiede di accompagnarlo. In macchina mi dice che siccome non mi ero offerto di andare a recitare il rosario a casa di un defunto della parrocchia tre giorni prima, allora non ero ancora pronto per ricevere il "ministero istituito" due settimane dopo. Non gli contestai il motivo assolutamente ridicolo e chiaramente inventato al momento. Gli dissi solo che dopo che da mesi era stata fissata la data, dopo che avevo fatto il diavolo a quattro per far partecipare anche i miei, dopo il precedente storico nella mia diocesi di origine, era quantomeno imbarazzante un simile fulmine a ciel sereno. Farfugliò qualcosa e disse che "la decisione è già stata presa" (da chi? i preti quando vogliono lavarsene le mani usano sempre i verbi all'impersonale: "la decisione è già stata presa") e fece finta di niente per tutto il tempo. In comunità non se ne parlò: come al solito, il diretto interessato era l'ultimo a saperlo, e nessuno vuol rischiare di condividere la stessa sorte. Come in un Gulag.

Col senno di poi avrei dovuto fare immediatamente le valigie e andare via subito, quello stesso giorno, senza nemmeno salutare. Se era così tanto importante il rosario col morto, perché non me lo hai detto subito? In realtà - come scoprirò mesi dopo - era stato il vicario generale della diocesi a prendere la decisione (e non quel giorno, ma già mesi prima), sulla base di un pasticcio fatto dal superiore stesso, e anche per altre antipatie trasversali e vendettine ancor più trasversali. Avrei dovuto fare immediatamente le valigie e partire subito e senza salutare, perché se un superiore fa pagare a me i suoi errori, e per di più mentendo e ingannandomi, è inutile perfino lo sprecar fiato per rispettare il galateo.

Invece, per spirito di ubbidienza, ripetendomi che era necessario accettare le decisioni ingiuste dei superiori, continuai a mendicare per quasi un altro anno, quando finalmente il sullodato vicario stabilì che la nostra comunità le ordinazioni sacerdotali poteva solo sognarsele. Il vescovo ponziopilatesco, felicissimo di aver scansato la rogna senza inimicarsi il vendicativo vicario, blaterò di impedimenti, di conferenze episcopali e di altro latinorum.

Terzo episodio, una mattina di tardo inverno. Il superiore della congregazione mi chiama e mi dice che non trova i miei versamenti. Cado dalle nuvole: quali versamenti? Diverse centinaia di euro al mese, e questo è il quinto mese che stai qui e ancora non hai contribuito in nulla: devi pagare, e dare anche gli arretrati. Per qualche attimo mi sforzo di assicurarmi che non stia scherzando, e poi gli dico che di lì a pochi giorni avrei cominciato a pagare, ma che non sapevo da dove tirar fuori le migliaia di euro di arretrati, avrei dovuto chiederli improvvisamente ai miei familiari (migliaia di euro che sembrano spiccioli per un prete di famiglia ricca, sono invece un salasso dolorosissimo per la famiglia povera che già deve sostenere un figlio seminarista).

Col senno di poi avrei dovuto brevemente rassicurarlo ed andare immediatamente in camera a fare le valigie e andar via senza salutare. Se ci tenevi così tanto ai soldi, perché non me lo hai detto cinque mesi fa, quando mi hai accettato in comunità? Quale può essere il motivo di una improvvisa tassa retroattiva, se non un modo per stroncarmi il noviziato? E da quando in qua il noviziato è diventato a pagamento? Dopo un paio di mesi in cui con duri sacrifici ero riuscito a pagare la quota, ideò altre scuse per mandarmi via.

Se il superiore di una comunità deve prendere decisioni impopolari, dovrebbe avere almeno il buon senso di motivarle a coloro che ne porteranno il fardello, anche solo a partire dalla fiducia nei suoi confronti. Hai bisogno di soldi per una tua spesa improrogabile? Chiedili per fiducia nei tuoi confronti. Hai bisogno di un marcapresenza al rosario in casa del defunto? Chiedilo per fiducia nei tuoi confronti. Temi che il tuo seminarista non stia crescendo nel dialogo? Avvisalo che quest'anno prenderà il "ministero" che non meriterebbe, piuttosto che fargli una brutta sorpresa nel momento peggiore. È davvero troppo chiedere che il rapporto fra un superiore e un novizio debba essere schietto, onesto, da uomo a uomo, senza bugie infantili e senza sotterfugi né da una parte né dall'altra?

Invece no. È davvero troppo. E lo è non per mancanza di buonsenso, ma perché nel metodo di quei mezzi uomini per vagliare le vocazioni non c'è posto per la gloria di Dio, ma solo per l'utilità contingente, le piccinerie, le vendettine trasversali. Con tutto il corollario di ipocrisie, frocerie, mezze verità, e ridicole menzogne. Non avendo neppure il fegato di dire ad un seminarista "voglio mandarti via perché mi risulti antipatico", gli tendono trappole e tranelli. Non trovando appigli per poter dire ad un seminarista "ho scoperto finalmente che sei disubbidiente", s'ingegnano diabolicamente a fabbricartela su misura, la disubbidienza: come il rosario dal morto, come la tassa retroattiva per me insostenibile, come l'incapacità di crescere nel dialogo...

L'aspetto comicamente triste della vicenda è che un suo confratello della stessa comunità si era segretamente offerto di aiutarmi. Di darmi mensilmente quei soldi a fondo perduto, per farmi rimanere in comunità. Gli risposi che se fossi stato convinto che era davvero una banale questione di soldi avrei accettato volentieri quella partita di giro, e che il problema, ancor prima che economico, era in realtà una ridicolissima questione di antipatia nei miei confronti.

sabato 4 giugno 2016

Altro piccolo promemoria

27 maggio 2016: il papa gesuita rifiuta di inginocchiarsi davanti al Santissimo:


«E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli...»

mercoledì 1 giugno 2016

Piccolo promemoria

Siamo nell'epoca in cui è imbarazzante dichiararsi cattolici.

Non per la tiara fatta di palloncini. Ma per il fatto che il successore di Pietro ama non solo demolire e ridicolizzare la Chiesa, ma anche insultare Nostro Signore Gesù Cristo.


mercoledì 18 maggio 2016

La leggenda del primo Seminario Tradizionale in Italia

Pochi giorni dopo la promulgazione del motu proprio di liberalizzazione della Messa tradizionale in latino (7 luglio 2007), in un forum on-line ebbi modo di fare un po' di ironia sulle infervoratissime conversazioni di seminaristi che vidi improvvisamente cominciare a parlare il dialetto di Gricigliano in salsa d'Ecône.

Ecco qui sotto il testo, di fantasia, ma costruito sulle loro stesse affermazioni e insinuazioni (e capi d'abbigliamento).

Insomma, era stato appena creato un nuovo "Seminario Tradizionale in Italia".

Al primo pomeriggio libero, prendo il treno, e dopo soli centotrentanove chilometri arrivo lì da loro.

Fuori sembrava il solito palazzone ottocentesco, ma dentro... dentro era qualcosa che avrebbe fatto passare per modernista perfino il braccio destro di Lefebvre!

C'erano oltre centoventi giovani tradizionali di tutta Italia, e qualcuno anche dall'estero (entrato qui prima che aprissero un "Seminario Tradizionale" dalle sue parti).

Ad eccezione dei computer in biblioteca (comunque con modding tradizionale), sembrava che il mondo si fosse fermato agli anni Cinquanta... anzi, no, al Ventennio... ma, no, che dico! agli anni di san Pio X papa!

Ero ancora stonato e eccitato da quel tripudio di talari e fasce che svolazzavano tra atri e corridoi, da quelle conversazioni in latino che si udivano in ogni dove, che mi ferma uno dei seminaristi - con le scarpe con fibbia - e mi chiede se ho bisogno di aiuto.

Gli rispondo di sì, e gli dico che sono un giovane appassionato della liturgia tradizionale e che vorrebbe entrare in questo "Seminario Tradizionale in Italia", in modo che una volta prete possa tornare nella parrocchia sotto casa a celebrare in latino e in barba al vescovo.

Lui mi dice che c'è una vasta gamma di opzioni disponibili, dall'entrare per diventare rettore di questo stesso "Seminario Tradizionale in Italia" fino al farsi prete con la liturgia tradizionale per poi scegliere la diocesi dove andare a celebrare in latino e in barba a tutti i vescovi, vicari, monsignori e altri scagnozzi di ogni ordine e grado.

Poi, mentre mi porta a fare un giretto turistico per le numerose sale e cappelle (tutte intitolate a santi papi antimodernisti, ma la più grande era intitolata a Lefebvre), mi racconta la storia di questo "Seminario Tradizionale in Italia".

Ad un tratto, si ferma, mi indica una porta e mi chiede: "hai mica bisogno della Sala Paolo VI ?" Lo guardo stupito: "i cessi, insomma!" Resto un po' perplesso perché pur detestando Paolo VI, mi sembra irriverente intitolargli i cessi. Gli dico di no, che non ne ho bisogno, e gli chiedo di continuare a raccontarmi del "Seminario Tradizionale in Italia".

Insomma, subito dopo l'uscita del Motu Proprio più famoso di tutta la storia della Chiesa, un sommo sacerdote antiprogressista e baldanzoso andò dal suo vescovo iper-progressista e burocrate e, con la delicatezza come un rottweiler appena uscito da un terribile digiuno, gli dice: "Eccellenza, vengo a comunicarle la mia decisione: apro un Seminario Tradizionale in Italia!". E il vescovo, atterrito e impotente: "nooo!!!"

In poco tempo, grazie ad un messaggio su un forum (lo stesso che avevo letto io), centoventi giovani accorrono a farsi formare in questo nuovo "Seminario Tradizionale in Italia", in un tripudio di talari svolazzanti (proibito toglierle perfino quando ci si dovesse alzare in piena notte per un attacco di diarrea) dove si studiano solo il latino, la liturgia, e i discorsi di Lefebvre, e i corridoi sono tappezzati di documenti ecclesiastici di tutti gli ultimi papi con nome "Pio" (compreso un probabilmente apocrifo documento sulla decenza che imponeva la copertura delle gambe dei tavoli almeno fin sotto il ginocchio), invettive antimoderniste di ogni genere, e naturalmente foto di monsignor Lefebvre (con piccola speranzosa didascalia: "in attesa che ti tolgano quella terribile scomunica").

Passando accanto alla sala prove di canto, ascolto alcune eccellentissime esecuzioni di gregoriano, che quasi mi meraviglio di come abbiano in così poco tempo imparato i giovani. Non parlo poi della pregiatissima sartoria dove i seminaristi imparano taglio e cucito di talari e paramenti liturgici, zeppe di svolazzi, pizzi e merletti da far sembrare zingaro anche l'inventore del barocco. La cucina è curatissima, perché la mens sana deve stare in corpore satollo: e per districarsi tra le ottantuno forchette e i diciotto bicchieri, c'è perfino una squadra di contesse di nobiltà certificata che danno lezioni di galateo tardo-ottocentesco.

Questo nuovo "Seminario Tradizionale in Italia" è veramente una grande invenzione. Basta che uno abbia l'uzzolo preconciliare, e può correre qui a godersi la vita, più comodamente che in un albergo sulla riviera. La burocrazia clericale può mugugnare, ma non tenterà mica di fermarci!

lunedì 16 maggio 2016

«Ma tu non potevi...?»

Solgenitzin dedica lunghe pagine del suo capolavoro Arcipelago GULag a rispondere alle domande dei faciloni: ma tu non potevi resistere? ma tu non potevi denunciare? ma tu non potevi opporti in qualche modo? ma tu non potevi coinvolgere altri come te? ma tu non potevi ricorrere alla giustizia internazionale?

No.
Semplicemente non potevo. Non potevamo. Nessuno di noi poteva, né può, né mai potrà.

Chi fa quelle domande è abituato alla giustizia dei telefilm, dove puntualmente entro la fine della puntata se il cattivo di questa settimana non si ravvede più convintamente di Zaccheo allora azzecca la meritata figuraccia di fronte al mondo, finisce in galera sommerso dal disprezzo degli onesti, o crepa di morte atroce.

Chi entra in un seminario o in una congregazione religiosa, solitamente impara a proprie spese che la risposta a qualsiasi domanda «ma tu non potevi...?» è sempre la stessa: «no, non potevo».

I vescovi e i formatori possono liberamente dimettere chi vogliono e quando vogliono, poiché il sacerdozio non è un diritto e il vescovo non ha l'obbligo di ordinare chiunque sembri vocato.
Questo però significa che i vescovi e i formatori possono anche sbagliare le proprie valutazioni e portare al sacerdozio candidati inadatti mentre lo negano a vocazioni sincere, per motivi che nulla hanno a che fare con la retta fede e coi requisiti stabiliti dalla Chiesa. È già storicamente accaduto di veder abortire vocazioni, e perciò sappiamo Nostro Signore cosa ne pensa:
Giovanni prese la parola dicendo: "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci".

Ma Gesù gli rispose: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi".

(Lc 9, 49-50)
Fermo restando che l'inettitudine e la cattiveria non sono ugualmente distribuite, il tipico formatore che abortisce una vocazione è come se avesse detto: "Ho visto un tale chiamato nel tuo nome al sacerdozio, ma gliel'ho impedito, perché non è della mia cricca, non mi sembra della mia pasta, non mi va a genio".

Ingiustizie plateali, contro le quali non si può far nulla. E no, non si può scrivere al cardinale, no, nemmeno al Vaticano, neppure al Papa, no, nessun tribunale ecclesiastico accetterà di riesaminare il caso: se l'ordinario ha detto di no, è no - inutile lamentarsi, ed ancor più inutile tentare di far notare le ingiuste ragioni di quel "no".

Ed è ancor peggio lamentarsene in pubblico, sulla stampa, negli ascoltatissimi tribunali laici, perché i formatori non sono persone abituate a riconoscere i propri errori (comprensibile: potrebbe costar loro la carriera), tanto meno dopo aver azzeccato meritate figuracce. E se anche venissero costretti a rivedere le proprie ingiuste decisioni, troveranno modo di vendicarsi a costo di dannarsi l'anima non una ma settanta volte sette.

Il sacerdozio non è un diritto. Chiarito fino alla nausea che non si può attribuire alla malvagità ciò che è spiegabile con la stupidità, se i tuoi formatori non ti reputano adatto per un qualsiasi cretinissimo motivo - come gli Apostoli citati dall'evangelista Luca -, non puoi far ricorso. E anche se per assurdo tu riuscissi a far ricorso, lo perderesti di sicuro perché nella gerarchia nessuno vorrà creare il precedente utilizzabile contro di loro da un vero e proprio popolo di ingiustamente allontanati.

In teoria - cioè sulla carta, ed eventualmente nei discorsi e nelle omelie - il seminarista viene vagliato, indirizzato, educato. In qualche documento ufficiale si dice perfino che è il caso di riconoscere e promuovere i suoi talenti. Ma nulla è previsto contro le decisioni ingiuste di coloro che abortiscono vocazioni.

In pratica, il percorso di formazione verso la professione perpetua o verso il sacerdozio consistono in una interminabile corsa ad ostacoli in cui occorre soddisfare le più turpi aspettative dei formatori: sostanzialmente, essere un clown programmabile a piacere da questi ultimi, essere sufficientemente scemi da farli sentire intelligenti, saggi e perspicaci, essere effeminati quanto basta per non far notare ai fedeli le ricchionate dei formatori e dei superiori...

E no, neppure la più santa ubbidienza può convincerli che sei adatto al sacerdozio. Una volta che ti hanno schedato come inadatto, la tua permanenza in comunità è puro sadomasochismo.

Perciò, se vesti bene, sei un vanitoso.

Se hai il telefonino, sei uno che col corpo è dentro ma con la testa è fuori dalla casa di formazione.

Se hai una laurea, devi necessariamente essere uno che disprezza il lavoro manuale - cioè uno a cui rifilare continuamente le più inutili incombenze manuali, con l'incessante scopo di umiliarti tenendoti perennemente indaffarato.

Se nel tempo libero leggi qualche saggio storico, teologico, apologetico, perfino scritti dei santi, insomma qualsiasi cosa che non rientri nell'elenco delle ricchionate da sagrestia, sei uno che sta facendo "auto-formazione", cioè che sta disprezzando e vanificando la (piatta, ipocrita e insipida) vita comunitaria del seminario e gli (scialbi, logorroici, inutili se non addirittura eretici) studi della facoltà teologica. (e se leggi il Catechismo avranno ugualmente da ridire: "invece di studiar teologia...")

Se hai un qualsiasi interesse o hobby che non riguardi l'attività di sagrestia, anche se ti sei solo limitato a parlarne, sei uno che ama perdere tempo e che perciò va inserito in attività manuali o "pastorali" - cioè estenuanti perdite di tempo.

Se preghi fuori dagli orari previsti e non sei iperattivo in quelli comunitari, allora sei uno che ha una spiritualità troppo solitaria e troppo poco comunitaria, da invitare ad andarsene al più presto a cercarsi un eremo di stiliti.

Se al di fuori della comunità hai amicizie femminili, allora sotto sotto fai sesso con loro. Se invece hai amicizie maschili, allora sei frocio e sotto sotto fai sesso con loro. Se passi in famiglia più tempo del minimo indispensabile allora sei un mammone pantofolone pigiamone incapace di crescere. Se a tavola mangi un filino più della media dei tuoi commilitoni, sei un famelico ingordo che sta temporaneamente compensando qualche vizio represso pronto a scatenarsi.

Se studi più del minimo indispensabile (oppure se consegui voti alti studiando meno della media) allora sei uno che vuole emergere troppo, un superbo che vuol farsi notare, un illuso sfaccendato che anziché dedicarsi alla pastorale vuol fare il professore.

Se fai minimamente notare agli altri (o peggio al docente) che qualche affermazione teologica è ambigua o eretica, allora sei un superbo che crede di sapere già tutto e che vuole mettersi in cattedra per proclamare le proprie opinioni. "Sei solo uno studente, credi di essere già un teologo migliore di lui?"

Se a tavola o nella saletta comunitaria hai qualcosa da raccontare che non riguardi le sagrestie, il gossip su vescovi e cardinali, le attività chiesastiche, allora sei uno che ha vissuto troppo nel mondo e che avrà chissà quali scheletri nell'armadio.

Se prima di entrare in noviziato lavoravi, allora hai sicuramente molti soldi nascosti e sei indubitabilmente un inguaribile tirchio che non vuole donare ai confratelli qualcosa di nuovo ogni giorno (dal caffè al bar ai biglietti del bus alle fotocopie degli appunti).

Se non incensi continuamente tutti i superiori e tutti i confratelli (per esempio se con qualcuno di loro ti limiti al saluto perché non avete proprio niente da condividere), allora sei inadatto al sacerdozio o alla professione solenne perché sei di carattere chiuso, esclusivista e selettivo.

Se ti rifiuti di assecondare gli abusi liturgici (per esempio se ti tiri indietro, durante la Messa, quando il superiore celebrante vuole farti distribuire la Comunione quando non sei ancora accolito) allora sei disubbidiente, poco docile, e con troppi scrupoli, inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Se su una qualsiasi questione hai delle tue opinioni non allineate al buonismo di sagrestia, oppure se non sfumi ogni frase con sciami di ambiguità politicamente e clericalmente corrette, allora sei incapace di dialogo e inadatto alla pastorale, cioè inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Questa lista è grandemente incompleta, ma penso che almeno un po' renda l'idea delle forche caudine che un novizio deve attraversare non per un mese, non per un anno, ma per sei, otto, nove, anche dieci anni prima di raggiungere l'agognata méta.

In tutto questo tempo «non potevi», non puoi, non potrai. Dovrai accogliere con un sorrisino ipocrita ogni ingiustizia, ogni sferzata, ogni crudeltà, anzi, con vivace e convinto entusiasmo, perché non c'è niente di più godurioso per un formatore che il frustrare le oneste speranze di un formando.

È un sistema in cui l'unica forma di difesa è l'appiattirsi, l'auto-lobotomizzarsi, il diventare un robot programmabile e prevedibile. Un sistema che promuove al sacerdozio solo coloro che risultano completamente piallati e ricostruiti: cioè al punto che diresti sinceramente e onestamente che le osservazioni di cui sopra, quando non sarebbero false, sarebbero almeno un pochino esagerate.

E no, non vale l'obiezione secondo cui da me non è mai successo, perché eri tu che non te ne sei accorto, eri tu che tutto ubbidiente ti sei tappato occhi e orecchie, persino in buona fede, perché se tu avessi aperto bocca per dire da uomo a uomo cos'è che non va, non avresti trovato un colloquio diretto e franco, tanto meno avresti ottenuto risultati. Sfido qualunque seminarista a verificare onestamente qualcuno dei punti sopracitati. E per gli amanti del brivido, provare a chiedere l'indicibile, come ad esempio la Messa tridentina, l'allestire un gruppo di studio sul Catechismo tridentino o quello di san Pio X, o perfino una cosa semplice come il sostituire una ricchionata di canto liturgico con un canto dottrinalmente ineccepibile.

Fermo restando che tante volte la cretinaggine ha lo stesso aspetto della malizia, i formatori, oggi, sono la peggior caricatura di come venivano descritti nei libercoli devozionali seicenteschi: viscidi, vendicativi, fiscali, invidiosi di chiunque sia un pelino migliore di loro in qualunque aspetto, pronti alle più sfacciate ed elaborate menzogne pur di azzerare chi non va loro a genio, e contemporaneamente - per quei soggetti di cui sono innamorati: cioè per il loro "figliuolo prediletto" - più affettuosi, garantisti, prodighi, del più scriteriato padre intento a viziare i figli.

Un formatore onesto inevitabilmente soccombe al sistema, perché tutti gli altri formatori sono di quella pasta, e si accaniranno contro di lui con la stessa foga (e gli stessi sorrisini ipocriti) con cui si accaniscono contro i seminaristi che non rientrano alla perfezione nello stampo delle loro aspettative.

Ed il vescovo o il provinciale generale, o se ne infischiano oppure tacciono, perché la formazione al sacerdozio è un marciume fin dalle fondamenta, perché fatto in modo da non sfornare mai un prete che non sia disposto a compromessi in materia di sacramenti, di dottrina, di governo delle anime.

E no, tu non potevi, perché il solo accennare lontanamente a questo stato di cose ti fa prendere l'ineluttabile etichetta di lamentoso, ideologizzato e sovversivo.

domenica 15 maggio 2016

Pulizie, altre pulizie e sovrintendenti sovrintenditori

Il superiore costringe noialtri a lavare fuori perché evidentemente si sente sporco dentro.

Episodio 1. Io e l'altro novizio facciamo una fatica bestiale per lavare la cappella (il paggetto, godendo di perenne immunità, si era inventato qualcos'altro da fare, di molto più comodo). Qualche ora dopo il superiore ci viene a dire che "ci sono macchie, occorre fare un'altra passata". Macchie che vede solo lui. Non è la prima volta. Risultato: dopo averci fatto lavare tre volte la cappella tra sabato e domenica (una quarta volta seguirà il martedì successivo), ancora ci raccomanda lo straccio, ancora trova sporcizia. Dice che se lo facesse lui ci metterebbe "quattro o cinque minuti" soltanto, e che però lui deve "sovrintendere" e non può mica "fare tutto" (avrà da "sovrintendere" anzitutto i 165 amici del suo profilo Facebook).

Episodio 2: nell'annnciarci che si assenterà per 24 ore ci dice, scandendo bene le parole: "mi raccomando, le pulizie in corridoio domani mattina e le scale e una passata di straccio in cappella". Un prete normale avrebbe al più raccomandato puntualità nella preghiera. Lui invece raccomanda solo le pulizie, programmandocele in modo che noi non si abbia un minuto libero neanche durante la sua assenza. Al ritorno, la prima cosa che chiede ancor prima di salutare è: "pulito il corridoio? ora vado a vedere". Non è l'eccezione: è la regola, è successo sempre così. Sabato scorso ha detto con finta aria scherzosa (di come sapevano scherzare gli apparatchik del KGB): "c'erano delle macchie sulle scale: ma le avete lavate o no?" e noi ancora non si capiva se fosse o meno un modo per chiederci se avevamo lavato o se le avesse "viste" davvero.

Lavare, pulire, spolverare, rilavare, ripulire, spostare mobili e masserizie di qua e di là, riportarli di qua e riportarli di là, contrordine, riportarli di là e dare una spazzata, lavare, passare il mocio, una spolverate... Pulire la chiesa (di martedì, anche se sarà utilizzata solo domenica: sabato ci chiederà di nuovo di ripulire perché "c'è polvere"). Pulire il corridoio (l'enorme corridoio e sue diramazioni: per gran parte non utilizzato): ogni sabato mattina il sacro intoccabile rito della pulizia di corridoi e scale anche se già puliti. Testuali parole: "ho messo una fogliolina secca ed è rimasta lì: quindi voi non avete proprio spazzato sotto le finestre!". Ogni volta trova qualcosa che non va, sistematicamente, per cui o ci fa ripassare o ci fa lavare di nuovo.

I turni di servizio ci sono stati assegnati "perché bisogna lavorare insieme" (per esempio lavare il pavimento della cucina ogni volta che si lavano i piatti: litri di Lysoform e candeggina a pulire ciò che non è sporco). Gli faccio presente che dovremmo fare prima le cose necessarie, che rispondono a qualche necessità: inutile lavare dove è già pulito solo per mantener piena la griglia dei turni (lavare certi locali tutti i giorni significa che saranno sempre sporchi, perché "tanto oggi qualcuno laverà"). Ma lui insiste che le cose si devono fare "esattamente" come dice lui. E dato che l'efebo paggetto ha sempre via libera per svignarsela (il malato immaginario, ma il superiore gli crede ciecamente) e dato che il superiore è sempre in giro a "supervisionare" qualcosa, finiamo sempre per lavorare noialtri novizi.

No, non è uno di quei beceri filmetti anticattolici. È solo una comunità con un superiore gay.

E no, denunciare è inutile, e ti costa la carriera.

sabato 14 maggio 2016

Il paggetto del superiore

Eravamo due novizi e un aspirante. Quest'ultimo era il paggetto preferito del superiore della casa.

Il paggetto era un ragazzetto ignorante e psicolabile. Il superiore avvertiva un penchant irresistibile per questo suo Figliuolo Prediletto, ai limiti della pederastia.

Pareva di vivere un film surreale. Il Prediletto ha da cominciare l'anno propedeutico prima degli studi teologici. Gasatissimo, viene a mostrarci la cartella con l'abbecedario, penne, quaderni, e perfino la banconota da dieci euro: il superiore lo aveva dotato di tutti i comfort, come Geppetto con Pinocchio. Perfino la banconota da dieci euro per una colazione al bar.

Un film surreale. Il 21 marzo il Paggetto Prediletto deposita davanti alla camera del superiore un pacchetto di cioccolatini, con bigliettino che recita "Padre questo è X S. Giuseppe [sic], scusate sè poco [sic], sperando che un giorno mi accetterete come figlio. Auguri". [sic]

Un film surreale. A pranzo il superiore nega al Prediletto il permesso di... accompagnare fino a casa una parrocchiana che aveva il polso ingessato. "Ma io faccio un'opera di carità", obietta l'efebo. "Sì, ma quella non è carità" replica delicato e sorridente il superiore. "Ma tanto io lo faccio per il Signore", soggiunge seccato il paggetto. "Ma c'è modo e modo di fare opere di carità", insiste delicato e gioviale il superiore. "Ma uffa, io ho bisogno di una mammina" insiste il paggetto. Non gli bastano suo padre e sua madre (che cominciano a ciondolare un po' troppo spesso negli spazi di questa casa), non gli basta la sua famiglia, non gli basta il "padre mio" superiore a cui aveva regalato i cioccolatini: ora vuole pure una "mammina".

Un film surreale. Una signora in chiesa va a domandare al superiore: "i foglietti della messa non ci sono?" Il superiore automaticamente si volta verso di me e ripete con voce stridula: "i foglietti della messa non ci sono?"

Un film surreale. Mercoledì delle ceneri, giorno di digiuno, ricco di sottintesi (come tra ragazzine dispettose e isteriche), che mi fa supporre che il superiore e il Figliuolo Prediletto si siano organizzati da soli per mangiare, senza avvisare nessuno (come al solito). A ora di pranzo non vedendo nessuno in giro cucino un po' di pasta, presumendo che i superstiti - cioè io e un confratello - ne mangeremo a pranzo e a sera, senza secondo, senza pane, senza altro (digiuno, no?). Mi ritrovo a pranzare da solo. Metto in frigo la pasta avanzata. Ma a sera il Figliuolo Prediletto s'infuria: non trova più la pasta che aveva visto in frigo. Il giorno dopo, a tavola, inveirà contro "l'ingordizia" (sic), sottintendendo che solo lui e il superiore avevano ottemperato all'obbligo del digiuno (che consiste evidentemente nel mangiare senza farsi notare).

Un film surreale. In sacrestia, il superiore chiede al suo paggetto (con un vocione tale che si sente anche in chiesa): "ma hanno pulito?" Si riferiva a noialtri. Lo ha chiesto al paggetto, come se quest'ultimo fosse il kapò incaricato di controllare i furbi che tentano di farla franca. Nessuno aveva tentato di farla franca: era già pulito, ma chi è sporco dentro vede sporcizia dappertutto.

Un film surreale. Il superiore ammette candidamente di essere diffidente (tranne quando si tratta del suo Prediletto): "io la fiducia la do ma bisogna conquistarsela".

Un film surreale. È Pasqua, e le celebrazioni ci hanno prostrato, finalmente è ora di pranzo. Stando alla tabella dei turni tocca al Paggetto lavare i piatti. Il Paggetto si agita di qua e di là per dire che sono troppi piatti da lavare, e sgattaiola via. Restiamo io e un altro a lavare, col superiore che compare ogni trenta secondi per controllare che nessuno la faccia franca. Fino alle cinque del pomeriggio, ogni volta che stiamo per finire, la voce sempre più stridula del superiore ci annuncia altre cose da fare, per lo più con i verbi all'infinito. "Asciugare e separare". "Spazzare". "Il secchio". "Metti in un panno, va bene anche della carta". "Lavare". "Vieni, che c'è da lavorare". "Alle cinque e mezza in cappella per il vespro".

Un film surreale. Siamo a cena. Il superiore è al telefono con un suo amichetto prete. "Te lo passo", dice con voce gioviale, e passa il cellulare al Paggetto. Il quale al telefono dice: "ciao... no, sto seduto su una sedia... no, la sedia è piatta... la sedia è piatta, non ci sono punte..." Quale può essere stata la domanda alla quale la risposta è "no, sto seduto su una sedia e non ci sono punte"? (al termine della telefonata il superiore si lamenterà che è durata ben dieci minuti -orrore e spreco!- e si lamenterà che a tavola non c'è stato dialogo tra noi novizi e che l'unico dialogo c'è stato nella telefonata).

Un film surreale, col superiore in preda all'isteria. "Ma insomma! Non sono un gatto, che cos'è questa roba? Non voglio mangiare come un gatto! Prendete un piatto, su, su!"

Un film surreale. Ci sono quattro camere con bagno, più quattro camere senza bagno, più l'appartamentino interno (due camere più bagno). Provate ad indovinare. Esatto: l'efebo paggetto ha una camera con bagno, noialtri (incluso il superiore) abbiamo camere senza bagno. Le altre camere con bagno sono per gli "ospiti" (mai usate per gli ospiti; anzi, negli unici due casi abbiamo utilizzato camere senza bagno) e l'appartamentino è per quel sacerdote anziano che da anni non abita più qui. Da mesi ci viene annunciato che una delle camere con bagno dovrà diventare "ufficio del prefetto di sacrestia" (qualunque cosa significhi, visto che la sacrestia resta lontana ottantasei scalini e centosedici metri). Il "prefetto di sacrestia" sarà ovviamente il paggetto.

Un film surreale, con la solita voce isterica. "Ma insomma! Per la colazione ci vogliono dieci minuti! Voi non date abbastanza, dovete dare molto di più! Vuol dire che dovrò diventare autoritario!"

(continua...)

mercoledì 4 maggio 2016

Il delirio della sedicente Chiesa conciliare

La Chiesa conciliare.

Una chiesa alquanto “strana”, con sacerdoti “strani”.

Perché questi sacerdoti si scateneranno contro di voi al solo menzionare la Messa tridentina, la Messa di sempre. Non vi spiegheranno i motivi di tale viscerale ritrosia verso di Essa, non vi spiegheranno il perché di tale reazione sproporzionata. Non lo faranno... semplicemente perché la odiano, la detestano. Così come detestano tutti coloro che si rifanno al cosiddetto Vetus Ordo, tutti coloro che intendono rimanere ancorati alla Tradizione. Una Tradizione che impone loro, consacrati sacerdoti, di essere ciò che dovrebbero essere...(ma forse meglio dire) ciò che non vogliono (più) essere. Dirlo apertamente suonerebbe come un capo d'accusa: ma come, un sacerdote che cova odio nel cuore? Invece è proprio così e per di più si tratta di un odio assai profondo che si trasforma fino all'avversione più veemente e spietata nei confronti di coloro che non si sono resi falsi e traditori come loro.

Parlano di misericordia, di umiltà... ma il loro comportamento denota una cinica malvagità e una brutale mancanza di scrupoli morali. Sentimenti che covano nel cuore, dentro l'animo, cercando di celare questa interiore schiavitù demoniaca agli occhi della gente e dei fedeli. Il demonio si scatena a contatto con l'acqua santa, allo stesso modo questi “strani” sacerdoti al solo nominare la Messa tridentina. In tal caso ogni resistenza è vana e l'odio fuoriesce in tutta la sua evidenza.

Si rimane di stucco nell'assistervi. Eppure vi diranno anche che il clero di oggi, grazie al Concilio Vaticano II, è migliore di quello di ieri e la società, grazie ad esso, è migliorata... Siamo al delirio!
[padre Elia]

sabato 30 aprile 2016

Quando pregavamo "per il Papa e il suo successore"

Sono stato involontariamente profetico fin dal regno di Giovanni Paolo II.

All'epoca, una volta dissi agli amici che è facile rallegrarsi per un buon Papa. Cominciammo ad aggiungere al rosario l'intenzione "per il Papa e il suo successore".

Quando la radio annunciò l'elezione di papa Ratzinger, vidi qualcuno fare gesti rabbiosi e trattenere una volgare imprecazione. Pensai: "stavolta ci è andata bene: lunga vita al Papa!" (per la cronaca, Bergoglio nel 2005 aveva già racimolato un po' di voti in conclave). Pur non potendo prevedere il futuro, già dicevo agli amici: visto il calibro di Ratzinger, sarà davvero arduo che il successore sia all'altezza. Continuammo dunque a pregare "per il Papa e il suo successore".

In appena due anni papa Ratzinger liberalizza la Messa tridentina (in verità ce lo aspettavamo già dall'inizio dell'estate 2005 ma tardò di due anni: chissà che inimmaginabili pressioni avrà subìto nel frattempo). Negli anni successivi gode di molta più salute di quanta gliene auguravano a mezza bocca i suoi innumerevoli nemici. Infine, nel 2013, capitola miseramente - un rospo difficile da mandar giù ancor oggi.

Nonostante tutte le preghiere, il Bergoglio ha fatto una tale quantità di danni alla Chiesa che occorrerà cambiare l'intenzione di preghiera in "per il Papa e per i suoi successori", perché a devastare e dilapidare ci vuol poco, a ricostruire e rimettere in sesto non bastano vite intere.

Pregare perché Bergoglio si ravveda e confermi i suoi fratelli significa chiedere un miracolo enorme. Ma stando qui, seduti sulle macerie della Chiesa addirittura rovinata più dal Vicario di Cristo che dagli stessi vescovi (fatto inaudito), è davvero perché non c'è altro.

venerdì 29 aprile 2016

Quale diavolo di "spirito giusto"?

Per la centesima volta mi son sentito ripetere che la Amoris Laetitia andrebbe letta nello Spirito Giusto.

Avevo già i nervi un po' tesi, e perciò ho risposto che anche il Capitale di Marx, con lo Spirito Giusto, sembrerà compatibile col Vangelo, se non addirittura uguale: anzi, qualsiasi porcata immonda, qualsiasi valanga di cazzate, qualsiasi maremoto di merda, leggendoli secondo lo Spirito Giusto, permetteranno di scoprirne e apprezzarne dei sublimi distillati di Vangelo.

Tale Spirito Giusto è infatti quello del piegare delicatamente le ambiguità verso il proprio comodo (ossia verso il buonismo). Cioè quello del Maligno.

lunedì 14 marzo 2016

Quell'incontro ultrasegreto del Gruppo Giovani

Invitato blandamente da un compagno di scuola, da ragazzino avevo preso a frequentare un gruppetto affiatato che pendeva letteralmente dalle labbra di un certo prete. Il prete aveva ideato una comunità di giovani suoi fedelissimi, e da qualche anno stava brigando per farsela approvare dal vescovo.

Ci si vedeva il martedì sera nella sua parrocchia, ma durante la settimana c'era a parte anche l'incontro dei fedelissimi. Quanto più sono ideologizzati tanto più riescono a tenere il segreto, salvo piccoli incresciosi incidenti. Dopo un po' di mesi, infatti, durante l'estate, per puro caso uscendo sentii uno di loro dire a mezza voce che c'era l'incontro giovedì mattina alle undici, «anche se siamo solo noi tre».

Pensai che potevo benissimo essere il quarto, e così quel giovedì mattina mi incamminai verso la parrocchia e mi presentai a sorpresa nella saletta della canonica. C'erano solo due di quei tre, colti di sorpresa al punto che il tappetto farfugliò qualcosa del tipo «nooo, ma cosa ci fai qui» seguito da un «va beh, oggi non si fa niente» detto fra sé e sé, e l'aristocratico tentò prima «noi stiamo studiando cose nostre», poi rincarò la dose «non sono cose che puoi capire», e infine per rimediare alla propria doppia gaffe fu costretto ad ammettere: «stavamo studiando questo articolo». Mi limitai a rispondere loro che avevo sentito "ci vediamo giovedì mattina" e che avevo creduto che riguardasse anche me.

Non ricordo quale fosse l'articolo, probabilmente una roba blanda di filosofia; l'aristocratico lo ripose nella sua cartellina e prese tre fotocopie di un altro articolo, una roba di storia della Chiesa, ma il tappetto aveva deciso che avremmo fatto meglio a chiacchierare del più e del meno e concludere l'incontro con la solita preghiera in chiesa. Dopodiché ci salutammo, e io aggiunsi: «fatemi sapere» (col sottinteso che non mi sarei più presentato a sorpresa), e uno di loro due aggiunse un'ulteriore gaffe dicendo che avrebbero dovuto chiedere prima il permesso al certo prete.

Ero ragazzino e quindi il fastidio per quelle ridicole affermazioni non bastò a farmi aprire gli occhi. Se fossero avvenuti oggi tali siparietti, avrei immediatamente azzerato ogni contatto col prete e col suo club esclusivo di fedelissimi segretissimi che il martedì sera mostrano una faccia e il giovedì mattina un'altra. Il modo più crudele di devastare simili club autoesclusivi è quello di accontentarli e lasciare che si cuociano nel loro stesso brodo.

Senonché a sorpresa il prete comandò che io venissi invitato "qualche volta" alle riunioni segrete dei fedelissimi. Nonostante tale benestare, costò loro un po' di fatica smorzare la diffidenza.

Come tutti i club iper-esclusivi, se vai a genio al capo diventi membro a pieno titolo da un minuto all'altro; se invece appartieni al resto del mondo allora il percorso per diventare membro si allungherà ogni volta che sta per terminare. Quel Gruppo Giovani, benché formato da poco più di una ventina di soggetti, contava già un cerchio magico, onnipotente, sotto cui c'era un primo strato di fedelissimi, e quindi una serie B col sottoscritto e altri cooptabili (questi ultimi però non sembravano essere tanto intenzionati a entrare), ed infine la bassa plebe.

La caratteristica principale dei fedelissimi del cerchio magico era il poter monopolizzare il prete, specialmente col sacramento della riconciliazione. Trenta, quaranta minuti per una confessione, ogni settimana. Ognuno. Una volta uno dei ragazzi durante la sua chilometrica confessione si accorse che il prete aveva cominciato a russare. Un'altra volta, per un lungo percorso in macchina, l'aristocratico pretese di essere solo in macchina col prete, costringendo una delle altre macchine a viaggiare in cinque; non volendo viaggiare scomodo insistei un po' per andare con lui e il prete, e l'aristocratico diede subito in escandescenze urlandomi: "devo parlargli!" con un'espressione in volto da cane rabbioso pronto all'attacco.

Non so cosa avessero tutti da dirgli di così verboso ogni settimana. Magari pregavano insieme, chissà, magari parlavano del più e del meno, colloqui interminabili su qualsiasi argomento, chissà: era sempre a tu per tu, con ognuno di loro, singolarmente. Il privilegio di monopolizzarlo. Cominciai a pensare che ognuno di loro fosse uno scoppiato e un logorroico, oppure tentasse di sembrarlo pur di continuare ad appartenere all'esclusivissimo club.

Passò un annetto di riunioni del martedì sera, talvolta riunione del giovedì sera più esclusiva, di qualche gita fuoriporta del sabato pomeriggio e della Messa della domenica. Era chiaro che sarei rimasto perennemente in serie B: non avevo mai osato chiedere - e neppure alludere - all'avanzamento di carriera, un po' per timore reverenziale, un po' perché non sapevo esattamente cosa chiedere, e un po' per evitare risposte fumose ma chiaramente negative e indecifrabili rinvii alle calende greche. Ero interessato ad una maggiore amicizia col prete, ma l'aria che si respirava nel gruppo era sempre la stessa, per cui per essergli più amico occorreva salir di carriera: e visto che tutti pensavano così, anch'io - ragazzino inesperto - finii per pensarla allo stesso modo.

Nell'estate successiva, in una riunione segretissima e specialissima, dopo la preghiera iniziale il prete ci disse che la forma del gruppo stava per essere «un po' cambiata» a causa delle decisioni del vescovo. Il vescovo, in sintesi, aveva stabilito che era inutile creare un nuovo gruppo giovani per fare cose che si possono fare in qualsiasi gruppo giovani di qualsiasi parrocchia. Sottinteso: aveva capito che il collante del gruppo era solo l'essere fedelissimi di quel prete e cooptati da lui. Evidentemente il vescovo non gradiva che ad ogni spostamento del prete da una parrocchia all'altra sarebbe immediatamente corrisposto uno spostamento di tutto il gruppo in blocco, come già avvenuto qualche anno prima.

Il prete la prese alquanto maluccio anche se fece di tutto per non farlo notare. Fu però capace di trarre vantaggio dalla crisi. Il gruppo divenne ufficialmente più libero e più autonomo (inaudito: perfino qualche riunione del martedì senza il prete!), in realtà ci furono delle promozioni dalla serie A al cerchio magico, delle retrocessioni dal cerchio magico alla serie A, qualche promozione dalla serie B alla serie A (ma non il sottoscritto), e infine la serie A e la serie B furono abbandonate nelle grinfie di altro clero. Per il prete infatti cominciò il valzer dei trasferimenti di parrocchia in parrocchia: aveva deciso di conservarsi solo il cerchio magico di quelli disposti a seguirlo ovunque. In breve tempo tutti smisero di contattarmi, specialmente il cerchio magico: sorridenti come sempre, ma chissà perché avevano sempre da fare e non sapevano mai quando ci sarebbe stata un'altra riunione.

Non so quanto tempo impiegai per rendermene conto - dopotutto ero ancora un ingenuo ragazzino - ma ad un certo punto capii che tolta la figura del prete, di tutta l'amicizia e la condivisione restava solo aria fritta, e che ognuno aveva troppi impegni nei momenti in cui per un qualsiasi motivo pensavi a loro, e che non valeva la pena continuare ad affannarsi ad inseguire il prete e la sua scia di ultrafedelissimi.

Il valzer dei trasferimenti continuò per qualche altro anno mentre per le normali vicende della vita il cerchio magico si ridusse a tre o quattro inseparabili amiconi. Quando si tratta di distruggere, la curia vescovile è di un'efficienza sovietica.

Non credo che ci sia mai stato del torbido tra il prete e i suoi ragazzi. Era uno che sa ascoltare con pazienza, e perciò calamitava a sé quelli che non avendo nulla da dire parlano senza sosta, quelli che hanno qualche squilibrio affettivo e si attaccano al primo che li prende sul serio, quelli che in ogni ambiente in cui si trovano cercano sempre di appartenere a qualche club esclusivo.

martedì 1 marzo 2016

Bastava la sola idea di avere un parente prossimo al sacerdozio...

Un anziano cugino di mio padre, saputo del mio ingresso in seminario, mi chiese di confezionargli una corona del rosario. Un oggetto semplice che probabilmente nelle sue pie intenzioni gli avrebbe rinforzato il legame col sacerdozio, con la Chiesa, con la Beatissima Vergine.

Una sorella di mia madre, ospedalizzata e nell'imminenza della morte, volle vedermi. Mentre mi stringeva forte la mano - quanto le scarse forze le permettevano - non mi disse nulla, ma capii che desiderava Messe in suffragio una volta che fossi diventato sacerdote. Un nipote che le era divenuto più prezioso dei suoi stessi figli.

E poi quei miei due zii che nel vedermi a servire Messa in talare e cotta, tornarono a fare la Comunione. Anche lì un gesto tra la semplicità e l'ingenuità.

Sapere che un loro nipote stava per accedere al sacerdozio... chi l'avrebbe mai detto? In famiglia, a memoria d'uomo, non c'erano mai stati consacrati, né dal lato di mia madre, né dal lato di mio padre. Negli occhi di quei parenti sopra citati era balenata prima l'occasione preziosa che l'occasione di vanto.

Non ho mai coltivato legami con la famiglia allargata, e ancor meno ne coltivavo durante il periodo del seminario. Quando fui ingiustamente dimesso dal vescovo chiusi del tutto ogni contatto con la parentela (cosa facilitata sia dalla mia perpetua assenza da Facebook, sia dall'essermi allontanato dal paese per un lungo periodo), perché semplicemente non volevo dare spiegazioni. Mi avrebbero chiesto - mi è stato ripetutamente e incessantemente e inutilmente chiesto - se avessi avuto una donna, o se avessi fatto qualche grosso pasticcio, o se ci fossero dei motivi impronunciabili...

Nulla di tutto questo. Non riuscivo a spiegare loro che ero stato fatto fuori per antipatie, perché non ero una checca come loro, perché non provenivo dai loro clan. Il vescovo mi aveva detto: «non possiamo dirti di no ma non vogliamo dirti di sì», assumendosi davanti a Dio una responsabilità gravissima. Parenti e amici non sarebbero mai riusciti a credere che coloro che si lamentano della scarsità di vocazioni mandano via le vocazioni tenendosi solo le più effeminate.

domenica 14 febbraio 2016

Chiacchierata surreale

- Sei mai stato fidanzato?
- Sì, una volta...
- E come mai finì?
- Finì che lei mi mandò via.
- Cosa avevi fatto per farti mandar via? Infedeltà?
- No, diceva che non avevo raggiunto gli obiettivi di dialogo...
- Tutto qui? Un'accusa così fumosa? Nessuna accusa più concreta?
- Tutto qui.
- Ma poi in seguito non ti sei più fidanzato.
- In verità ci avevo provato...
- Quanto tempo durò?
- Non durò neanche una giornata.
- E perché ti mandò via anche la seconda?
- Perché la prima l'aveva subito rintracciata per dirle che non avevo raggiunto gli obiettivi di dialogo che si era prefissata...
- E la seconda ci ha creduto? Sul serio?
- Non so se ci ha creduto sul serio. So solo che non voleva inimicarsi la prima.

(sembra assurdo? no: tutto diventa credibile se si sostituisce "fidanzamento, fidanzata, matrimonio" con "seminario, vescovo, sacerdozio").

sabato 30 gennaio 2016

Sulla malintesa ubbidienza

Andai a quel ritiro spirituale praticamente al solo scopo di poter parlare a tu per tu con il Superiore della Comunità. Gli avrei esposto il mio caso e gli avrei chiesto se in un futuro anche non vicinissimo ci fosse stato uno spiraglio per me.

Dopo tre giorni di delicato inseguimento finalmente una sera dopo cena riuscii a salutarlo e a presentarmi a lui mentre non c'erano altre orecchie nei dintorni. Eravamo sull'uscio che dava sul cortile, indecisi se entrare o uscire. Per attaccar discorso, dissi qualcosa sulla liturgia. Una parola tira l'altra, e vien fuori la liturgia tridentina. Che in comunità non si celebrava mai: «noi non vogliamo passare per quelli che...»

Mi caddero le braccia e anche gli altri arti. In quelle poche parole mi aveva confessato la sua pavidità, il conformismo della comunità e l'ipocrisia prodotta da una malintesa ubbidienza a un'imprecisabile entità.

Un attimo dopo, con la tipica arroganza sorridente delle scafate parrocchiane di sagrestia, una delle anziane signore si avvicinò per parlare col Padre Superiore, ed io arretrai di un passo per incoraggiarla a catturarlo e togliermelo dalle balle. Voleva inondarlo delle preoccupazioni riguardanti sua figlia, una faccenda che puzzava di frivolo da un chilometro di distanza. La scafata non mi degnò neppure di uno sguardo di ringraziamento, il Padre Superiore non sembrava aver altro da dirmi, e arretrai di un ulteriore passo svanendo nella penombra del cortile. I preti pavidi meritano di veder sprecato il proprio tempo con la gente insignificante che gode nel parlare per ore di questioni insignificanti.

Per costoro il cercare solo il regno di Dio consiste solo nell'eseguire gli incarichi ricevuti quel tanto che basta per non essere sgridati (e un pizzico in più nel caso aspirino a far carriera o amino gli elogi o sentano un po' di sporco nella propria coscienza). Nel giorno del giudizio il Padre Superiore si sentirà dire: ma come, ti avevo mandato tante vocazioni e tu invece hai fatto entrare solo quegli idioti che avresti dovuto tenere accuratamente fuori dalla porta...

Ed il piagnucolone: «ma come? Signore, io ho ubbidito, ho ubbidito a tutti i Piani di Pastorale Vocazionale...»

venerdì 22 gennaio 2016

Quelle riviste

Nel tardo pomeriggio portai nella sala comune, quando nessuno mi vedeva, la mia piccola e preziosa collezione di riviste. Mi pareva giusto condividere con gli altri seminaristi ciò che avevo di bello. Anche se non avessero capito nulla di aeronautica, erano zeppe di belle foto: aerei, paesaggi, elicotteri, aeroporti.

A sera, poco prima di cena, le riviste erano state trasferite in blocco nel cestino delle immondizie lì a lato. Ho un sospetto che sfiora la certezza, che sia stato il Figliuolo Prediletto del superiore. Mi limitai a recuperare pietosamente le riviste e a riportarle in camera mia, per ripulirle e salvarle.

La chiusura mentale dei seminaristi è qualcosa di inaudito. Da un lato amano commentare cento volte con voce libidinosa ogni foto di ogni catalogo di articoli religiosi (specialmente paramenti), dall'altro si permettono talvolta di inveire contro coloro che sguazzano tra pizzi e merletti, e poi non appena gli si propone la libertà di guardare qualcosa di diverso (e non peccaminoso), istintivamente cestinano tutto. Quelle riviste che avevo donato alla comunità erano state trattate come spazzatura.

Il guaio è che tali seminaristi fanno carriera proprio in virtù di quell'istinto. Un seminarista capace di leggere qualcosa di diverso dal catalogo paramenti e dall'annuario diocesano, è un seminarista pericoloso, "non dialogante", che perde tempo con frivolezze, che non prega, ecc.

domenica 17 gennaio 2016

Quando la Chiesa decide di castrare sé stessa

Sua eccellenza, un successore degli Apostoli, mi disse testualmente: «noi non possiamo dirti di no, ma non vogliamo dirti di sì».

Dal Quinto Evangelo: "la messe è molta e gli operai sono pochi: pregate affinché il Padre vi mandi operai per la messe - ma qualora il Padre ascolti la vostra preghiera, scartate subito tutti gli operai che non siano i soliti incapaci pagliacci effeminati..."

Dal Quinto Evangelo: "ci sono gli eunuchi per natura, e quelli che si fanno eunuchi per il regno dei Cieli, ma soprattutto ci devono essere quelli che si stufano di generare e si fanno eunuchi per comodità, e meritano perciò la massima lode del mondo..."

lunedì 4 gennaio 2016

Archivio - 2 - lezioni sul lavorare su sé stessi

Prima "lezione": la madre di Luigi (non la immaginavo cosi' fine osservatrice) mi vede cercare con occhio languido il ghiacciolo alla fragola (perche' avevo gia' tra le mani quello alla cocacola), e mi dice sorridendo "eh! ...eh! ...un prete non fa gola!!" (intendeva che un prete o futuro tale non dovrebbe lasciarsi andare a peccati di gola). Beh, il gelato alla fragola me lo sono sbafato lo stesso (non prima di aver detto "ma io non sono ancora prete!"), pero' mi sono ricordato di tutte le volte che ho preferito abbuffarmi come un maiale pur di non pensare ad altre cose. E piu' tardi, a ripensare ancora a quella scena familiare (nessun evento eccezionale, solo un apparentemente innocuo scambio di battute), mi sono reso conto di quanto erano dense quelle poche parole: o la prendi come una battuta moralista, oppure, tenendo conto della fede semplice di quella donna, la riconosci per quello che e' - ci tocca lavorare su noi stessi, anziche' sugli altri, per ottenere quello che desideriamo dalla vita.

Seconda "lezione". In macchina, tanto per cambiare, mi lamentavo della mia situazione in seminario, e lei - con una delicatezza che non era qualcosa di programmato dal galateo femminile - mi dice che in fondo in fondo la questione non e' il portare avanti delle idee o il tirarsi dietro della gente, ma lavorare su se' stessi, usare la propria volonta', perche' per quanto stupido e incomprensibile ci appaia il sacrificio che siamo chiamati a fare dalle circostanze (dalle circostanze!), noi siamo chiamati ad essere quello che siamo in qualsiasi posto, anche il piu' odioso dei campi scuola. Ho pensato che questo genere di considerazioni da' fastidio solo perche' quando ci dicono che dobbiamo "lavorare su noi stessi" ci sembra di sentir dire "ha eternamente ragione chi ti maltratta".

Poi mi racconta della sua vita, e dice che e' stata per anni in Azione Cattolica a fare di quelle idiozie (tessere, campi, etc) semplicemente perche' non aveva alternative. E l'alternativa, per essere convincente ad una ben inquinata dall'AC, non poteva essere altro che un imprevisto: durante un potente pellegrinaggio diocesano lei vede uno che prega in ginocchio in Chiesa, e capisce che c'e' qualcosa d'altro, che c'e' qualcosa di meglio dell'AC. Appena pote', attacco' a parlargli, lega amicizia col tizio - ed e' dura, perche' il tizio mostra ampiamente di infischiarsene; e lei invece insiste, perche' ha visto qualcosa che non aveva visto altrove. Dopo anni e anni, quell'amicizia con quello che si e' rivelato uno dei consacrati laici, e' quella che lei trova come guida.

Dopo avermi raccontato questo, mi dice: "ma tu quando vai a un campo scuola, vai mica per convertire la gente? E' quello che sei tu, che vale; il modo con cui la Grazia passa attraverso di te non lo decidi tu. Io ho semplicemente visto uno in ginocchio, non e' che abbia fatto chissa' che cosa. Magari nel piu' odioso dei campi scuola qualcuno ti vede e decide di seguirti, e non certo perche' tu ti sia sforzato a convincerlo".

domenica 3 gennaio 2016

Archivio - 1 - varie

Carissimi, scusate, ma io in quel post di Magister ci leggo principalmente l'ennesima conferma del clericosinistrismo di Bose e della beata compagnia dei cattoprogressisti.

Qui in seminario ci insegnano che Enzo Bianchi, Tonino Bello, etc, sono piu' infallibili del Papa, sono piu' puri di san Domenico Savio, sono piu' intelligenti di san Tommaso d'Aquino.

Si', il priore autonominato Bianchi potrebbe finire in paradiso piu' probabilmente del sottoscritto, ma il Signore terra' certamente conto della mia testardaggine del non voler applicare troppo ingenuamente il "vagliate ogni cosa, trattenete cio' che e' buono", perche' ho il terrore che ci troveremo prima o poi a lodare le virtu' dell'Anticristo come ne "Il padrone del mondo" di Benson.

Apro una parentesi a proposito del pellegrinaggio. Una sua amica le diceva che mi aveva osservato, che durante il pellegrinaggio mi seguiva e cercava sempre di seguirmi perche' mi vedeva dall'inizio alla fine con la stessa decisione, con la stessa foga, nel tirare dritto. Eppure durante quei chilometri a piedi io ci stavo male (ogni tre minuti attaccavano le canzonette di Rinnovamento, focolarine, neocatecumenali - boiate pazzesche), ci stavo male e mi sarei lagnato a pieni polmoni se avessi avuto fiato (il fiato e il movimento dei muscoli erano usati con estrema parsimonia perche' volevo a tutti i costi arrivare fino alla fine).

Capiscimi, non e' solo questione di sani sacramenti, non e' solo il fatto di avere chiarissime le ragioni per cui si fanno, dicono, pregano, vivono, determinate cose. E' un cristianesimo piu' serio, piu' umano, piu' grande di quello che i nostri formatori ufficiali del seminario cercano di propinarci. Questi amici hanno ereditato non una dottrina, e forse neppure un ideale, ma un'esperienza. Anche lui l'ha "ereditata" e se la sta godendo. Ed anch'io, tramite lui. Tant'e' che l'amicizia con voi l'amicizia con te mi e' tornata utilissima per filtrare quanto ci poteva essere di ideologico in cio' in cui mi sono imbattuto e vivo: un amico non puoi prenderlo in giro cercando di convincerlo di cose in cui neppure tu credi e vivi (come fanno in genere i preti coi parrocchiani, come avviene tra marito e moglie, come fanno pressoche' tutti), e una testa diversa dalla mia puo' pensare e percepire e farmi vive delle cose che a me sfuggono o sembrano di importanza secondaria.