mercoledì 16 dicembre 2015

Convocato dal sinedrio del seminario

Pensarono di avermi incastrato. Mi chiamarono nell'ufficio del rettore. C'erano il rettore e altri due preti formatori del seminario. Spostarono una poltroncina al centro della stanza, di quelle da pisolino pomeridiano, ma continuarono a ciondolare in giro, come se la cosa non li riguardasse; uno di loro stranamente riduceva al minimo le luci accese mentre il rettore e l'altro comandavano di sedermi. La poltroncina sembrava fatta per sprofondarci dentro, ma nonostante l'attenzione raggiunsi senza volerlo una posizione più rannicchiata che seduta. L'aria era polverosa, come di quelle stanze a cui le finestre vengono aperte solo una volta l'anno per le pulizie. Restarono in piedi nonostante ci fossero altre sedie accanto alla scrivania del rettore, e mi accerchiarono.

«Dobbiamo chiederti una cosa molto importante, dobbiamo parlare di quello scherzaccio che è stato fatto nella sala dell'ultimo piano», disse il rettore, col tono serio di chi si aspettava una mia utile risposta. Ancora non mi ero reso conto della situazione e perciò risposi quasi lusingato che chiedessero il mio supporto: «certamente, in che modo posso aiutarvi?»

Il prete-che-non-aveva-mai-sorriso prese la parola e con inaudita durezza mi disse: «Sei stato tu a fare lo scherzo nella sala dell'ultimo piano: ammettilo, per evitare conseguenze, dì la verità». Mentre me lo diceva, il rettore sorrideva bonariamente (nel classico schema del good-cop-bad-cop) e il terzo prete mi studiava sospettoso e diffidente.

Risposi nel modo più asettico possibile: «non sono stato io; ditemi cosa posso fare per aiutarvi a scoprire chi è stato, vi aiuterò molto volentieri». Non mi lasciarono finire la frase ed insistettero a turno, e volò anche qualche minaccia di provvedimenti "immediati" concordati col "vescovo". Ricordo con chiarezza, ancor oggi, il tono di voce del prete-che-non-aveva-mai-sorriso, da ultima puntata di un patetico telefilm di detective.

Risposi ancora: «non sono stato io; vi aiuterò come posso, ma non sono stato io». Mi interruppero di nuovo, più nervosi, stringendosi attorno a me. Fu lì che notai come era stata abilmente preparata la scenografia: il sottoscritto seduto, rannicchiato, accusato, intimidito, a cui estorcere abilmente la confessione, e loro in piedi che come giganti si avvicinavano alla preda, guardando dall'alto, minacciosi, con le luci (poche) alle loro spalle. Davanti a me c'erano fisicamente tre sacerdoti, formatori di seminario incaricati del delicatissimo compito di accompagnare vocazioni, vagliare i requisiti minimi per accedere all'altare... ma quello che vedevo - ciò che volevano che io vedessi - erano tre indomiti accusatori a cui l'adrenalina si triplicava ogni volta che rigettavo la falsa accusa.

La "poltrona sprofondante" serviva proprio per rendermi difficile la fuga mentale: solo che loro non avevano previsto di aver a che fare con un osso duro. Ripetei ancora, calcando meglio le parole come si fa quando c'è poco segnale radio: «non sono stato io». Loro alzarono ulteriormente la posta, con ulteriori false blandizie e vere minacce. Così, con la voce più gelida possibile, aggiunsi sillabando e guardandoli fisso negli occhi uno ad uno: «non-so-no-sta-to-io», e subito dopo velocissimo: «in che lingua ve lo devo dire per farvelo capire?».

Mi alzai senza smettere di guardarli negli occhi, finché non abbassarono uno dopo l'altro lo sguardo. Il rettore continuava a farfugliare delle strane frasi delle quali ricordo solo che tentò di dire che i sospetti su di me non erano svaniti. Quando fu passato un istante in assoluto silenzio chiesi seccato: «C'è altro? Posso andare?» rendendomi conto solo in quel momento che avevano fatto un passo indietro. «Per ora puoi andare», disse il rettore con una voce da indaffarato e tentando di sembrare quello che ha l'ultima voce in capitolo.

Ora, in teoria - dico: in teoria - degli uomini di Dio che celebrano ogni giorno il Santo Sacrificio, degli uomini che ogni giorno pregano a tutte le ore e si esaminano continuamente l'anima e amministrano assoluzioni a peccatori pentiti di cattiverie di ogni genere, in teoria non dovrebbero fare porcate, giusto?

Eppure... eppure certe cose succedono. Certe porcate avvengono - specialmente nei seminari, nei conventi, nelle curie, nei posti dove non c'è ricircolo d'aria. Il peccato mortale raramente è un'esplosione improvvisa: a scavare la roccia è la serie di gocce, non la martellata. Quando l'ebbero vinta - dimettendomi dal loro seminario - fu ugualmente per delle false accuse.

mercoledì 2 dicembre 2015

Le parole che non può dire un aspirante seminarista

"Sarò sincero: del vostro fondatore - di cui a stento ho sentito parlare - non me ne importa una beata cippa.

"Sono qui non perché brami di diventare un tifoso ultrà del vostro fondatore, ma perché mi sento chiamato al sacerdozio.

"Se mi garantite un onesto percorso di verifica vocazionale, allora il vostro fondatore potrebbe perfino diventarmi simpatico."
Sarebbe bello potersi presentare con questa chiarezza ed eliminare almeno sei mesi di faticosa interpretazione di subdoli sottintesi.

Nelle comunità religiose e nelle società di vita apostolica, infatti, la preoccupazione principale pare proprio non essere il sacerdozio. Quando ci si presenta come aspiranti bisogna essere cinici col sorriso.

Se un serio responsabile delle vocazioni si ritrovasse davanti alle tre espressioni virgolettate qui sopra, anziché scandalizzarsi ed adirarsi penserebbe:
¹) non è un ipocrita che tenta di prenderci per il sedere fin dal primo giorno
²) non è un ipocrita che vuole accasarsi senza avere le idee chiare
³) non è un ipocrita che scapperà dopo essere stato ordinato al sacerdozio
Dunque gli si può garantire che qui troverà un onesto percorso di verifica verso il sacerdozio, e gli si può promettere che grazie alla spiritualità del nostro Fondatore tale percorso sarà più fecondo e promettente.
Tra uomini ci si intende.

Senonché il tipico Responsabile Vocazionale, anche quando non è un perfetto coglione con la C maiuscola, ha ordine perentorio di appiattire le vocazioni su un preciso schema: quello del seminarista canterino, vagamente effeminato, perennemente citante il Fondatore. Dopo la prima delle tre espressioni virgolettate ti accompagnerà alla porta con un sorriso costruito in modo da farti capire che è un falso sorriso, e con un montante desiderio di vendetta in cuore.

mercoledì 18 novembre 2015

La casta pretesca

Quella dei preti è una casta a cui si accede solo per cooptazione. Da questo punto di vista non ho da lamentarmi sull'essere stato cacciato via dal seminario. Ho invece da lamentarmi sui metodi che hanno usato.

Il peggiore di questi metodi è stato estrarre dalla mia bocca parole non mie. Hanno costruito domande tali che qualsiasi mia risposta apparisse invariabilmente sbagliata, per poi interpretare comunque nel modo più infame ciò che dicevo. E lo hanno fatto pur sapendo bene che ai superiori non ho mai mentito, e che in particolare col vescovo ho sempre voluto essere più chiaro di un libro aperto.

Dal momento che la gran maggioranza della casta pretesca intende solo procurarsi dei galoppini, è statisticamente normale l'impossibilità di essere onesti con le vocazioni. Le vocazioni serie - quelli convinti sinceramente della propria chiamata al sacerdozio - vengono regolarmente eliminate, poiché tale casta ha bisogno di impiegati del sacro, non di curati d'Ars, ha necessità di paggetti e maggiordomi, non di zelanti pastori per il gregge, ha bisogno di anonimi e intercambiabili funzionari del sacro, non di sacerdoti preoccupati per la salvezza propria e di quella delle anime loro affidate. Il problema principale, nelle diocesi, non è la salvezza delle anime, ma il tappar buchi, il "coprire" le parrocchie, il far sembrare ad un immaginario pubblico che ogni nuova iniziativa stia funzionando.

E questo è anche il motivo per cui i preti pasticcioni, inetti, permalosi e vendicativi fanno regolarmente carriera.

martedì 17 novembre 2015

Quella sorpresaccia di cui si lavavano le mani...

Quando ero in seminario, l'avanzamento di carriera (cioè i ministeri istituiti) era il momento più desiderato dal seminarista. Era il momento in cui formalmente le autorità riconoscevano che grosso modo tutto va bene e che il seminarista sta procedendo regolarmente verso il sacerdozio. E perciò era il perno su cui il vescovo e i suoi pretoriani facevano leva quando avevano bisogno di provocare maggior dolore, quando sentivano di dover annichilire un seminarista. A giudicare dagli eventi riguardanti i soli ministeri istituiti, si direbbe che la spiritualità diocesana esiste davvero ed è fondata sui sottili ricatti.

Con uno sporco giochetto mi fu infatti negato l'avanzamento di carriera.

Quindici giorni prima della data di istituzione dei ministeri, un sabato sera, il rettore del seminario mi telefona sul cellulare mentre ero per strada andando in parrocchia. Mi dice che per decisione del vescovo non sarei stato istituito in questa tornata. Il rettore mi invita ad un colloquio, da tenersi però al suo rientro dagli esercizi spirituali parecchi giorni dopo. Ed aggiunge che il vescovo pure è già partito in mattinata e sarebbe rientrato dopo parecchi giorni.

In pratica, all'ultimo minuto utile mi veniva notificata la sorpresaccia e mi veniva detto che era troppo tardi per far cambiare le cose.

Telefonai immediatamente al vescovo. Ebbi la fortuna di trovarlo - non era ancora partito - e gli raccontai in poche parole della telefonata precedente e del mio sbigottimento. Lui, preso alla sprovvista, si lasciò sfuggire che era stato il rettore a decidere. Evidentemente non sapeva ancora cosa rispondere alla mia semplice domanda: "perché?"

Gli risposi che il rettore aveva invece affermato essere stato il vescovo a decidere. Il vescovo si arrampicò sugli specchi: sì, le decisioni le concertiamo, certo, comunque si è deciso così e così deve essere... ("si è deciso così": notare l'uso del verbo impersonale, tipico di chi prende decisioni ingiuste ma non vuole prendersene la responsabilità).

Naturalmente, da quella sera stessa, gli altri seminaristi - ufficialmente ancora all'oscuro della vicenda - cominciarono a trattarmi come un "non persona", come un estraneo a cui si può a stento dire buongiorno e buonasera, qualsiasi sillaba in più sarebbe infettiva, renderebbe compromessi. Il loro atteggiamento di estraneità era tale che in parrocchia ad uno di loro chiesero di me: "ma avete litigato? perché lo tratti così?"

Quindici giorni dopo andai alla Messa con l'istituzione dei ministeri. Dovetti insistere per servire Messa (in quelle occasioni preti e seminaristi vorrebbero in talare e cotta perfino i manichini, pur di aumentare la folla in servizio sul presbiterio). Fui trattato come un "non persona" perfino durante la Messa. Ero l'elemento estraneo, quello con cui anche lo scambiare un buongiorno o buonasera può essere pericoloso per la propria carriera. Persino il vescovo e il rettore del seminario mi tennero a distanza, come si fa con un mendicante seccante e oltremodo insistente. Tenevano a distanza non me, ma la loro coscienza. La mia sola presenza ricordava loro senza dubbio l'ingiusta manovrina. Nessuno voleva rischiare la "carriera" con l'esprimermi anche involontariamente una qualche forma di solidarietà.

La sola eccezione fu ovviamente lo scambio del segno della pace: il momento di massima ipocrisia della vita dei cattolici postconciliari.

Ad un osservatore esterno tutto questo potrebbe sembrare comprensibile se il seminarista "non-persona" fosse accusato di qualcosa di gravissimo (sospetto pedofilo?) o almeno di oggettivamente grave (sedicente veggente con visioni mistiche?).

Nel mio caso il gravissimo peccato era quello di essere "poco dialogante". Eufemismo per indicare uno che apprezza la Tradizione e il Magistero. Per dire uno che freme quando sente una bestemmia o un'eresia. Per dire uno che ritiene tempo sprecato parlare di Abramo e di Mosè a gente che non sa nemmeno come si fa il segno della croce e il motivo per cui è indispensabile la confessione. Per dire uno che convinto che è indispensabile avere la coscienza libera da peccati mortali prima di accostarsi alla Comunione.

La casta pretesca, impegnata solo nel conservare sé stessa e nelle sue piccinerie, non poteva tollerare la presenza di un elemento così estraneo.

E se nel piccolo - con me - si sono comportati così, come meravigliarsi che in casi più importanti si siano comportati allo stesso modo?

lunedì 16 novembre 2015

Signore, fino a quando?

Quanto tempo ci vorrà ai prossimi Pontefici per ricostruire ciò che da febbraio 2013 ad oggi è stato inquinato o distrutto?


domenica 15 novembre 2015

Quel montgomery

Nel negozietto-mercatino c'era un bel montgomery. Un esemplare unico, residuo di campionario. Ed il sottoscritto aveva bisogno di un cappotto. La spesa era notevole per il magro bilancio familiare, e quindi per due o tre volte ci limitammo a osservarlo da lontano.

La domenica il parroco francescano predicò a lungo della povertà e del donare ai più poveri. Al termine del sermone parlò - come prevedibile - delle spese per riparare la parrocchia, invitando ad essere il più generosi possibile. E così fu. Addio montgomery.

Pochi giorni dopo il parroco francescano se ne andava in giro con quel montgomery. Proprio quello. Proprio lui.

Da allora rivedemmo drasticamente il concetto di "generosità" nei confronti della parrocchia e dei francescani.

lunedì 13 luglio 2015

Il primo comunista della storia...?

C’è una foto, del viaggio di “Papa Francesco” in America del Sud, che ha colpito l’immaginario popolare più di ogni altra.

La consegna al Pontefice, da parte del Presidente boliviano Evo Morales, di un crocefisso a forma di… falce e martello!

Non so se una cosa del genere, nell’ambito dei doni che i papi ricevono da personalità di tutto il mondo, fosse mai accaduta. Si erano visti crocefissi invero “particolari”, come quello che, pochi giorni prima della canonizzazione di Giovanni Paolo II, cadde addosso ad uno sventurato: ed era per l’appunto un “crocefisso” a lui dedicato…

Ma quella fu una tragica e… sinistra “coincidenza”, mentre in questo caso si può parlare solo di un dono “di sinistra”, che riprende, strumentalizzandone la forma, il simbolo per antonomasia della tradizione cristiana.

Ora, lungi dallo sbracarci in una stantia retorica anticomunista che sappiamo a cosa è servita in America Latina (Evo Morales non è comunista, né “di sinistra” come s’intende in Occidente), ci chiediamo cosa spinga un Pontefice a non trovare come minimo eccentrico un regalo del genere. Anzi, Papa Bergoglio sembra assolutamente contento di quest’inedito capolavoro di “arte sacra”! E, non contento, lui che nasconde il crocefisso quando incontra i rabbini sionisti, s’è anche fatto mettere al collo un ciondolo che riproduceva il manufatto!

Sarà anche il caso di ricordare la freddezza con la quale, lo stesso Bergoglio, accolse il bel dono, fattogli dal Presidente russo Vladimir Putin, di un’icona sacra della Vergine Maria (quella che Stalin, udite udite, aveva opposto all’avanzata nazionalsocialista). Aveva il “difetto” di provenire dagli “scismatici”? Non comprende quale sforzo sta sopportando la Russia per evitare lo scatenamento finale delle peggiori forze dissolutive? A che gioco gioca il Vaticano?
[Enrico Galoppini]

domenica 12 luglio 2015

Quella frase amena che ha dannato tante anime

«Quella frase amena detta da Bergoglio, “Chi sono io per giudicare?”... ha fatto più danni, in termini di dannazione delle anime, della seconda guerra mondiale»
[Danilo Quinto]

martedì 7 luglio 2015

Sulla barca di Pietro è meglio tapparsi le orecchie...

«Mi sento di dire qualcosa che può sembrare controversa o forse perfino eretica. Non so, ma c’e’ qualcuno che sa che anche con le nostre differenze, noi siamo UNO (uniti)».
Quando una cazzata del genere la diceva il parroco, correvo in privato a fargliela rimangiare.

Quando la diceva il rettore del seminario, mi limitavo a lasciarmi sfuggire qualche battutina in pubblico.

E ora che l'ha detta Bergoglio, mi sento devastato e insultato.

Fino a quando, Signore?

Il guaio è che se dopo Bergoglio comparisse un pontefice "lefebvriano", subirebbe cento(mila) volte tanto ciò che noi non oseremmo augurare al Bergoglio.

sabato 20 giugno 2015

Un'altra di quelle battutine che mi costarono la carriera

Eravamo i soliti nove nel solito furgoncino, diretti alla facoltà teologica. Per diversi minuti il seminarista neocatecumenale ci aveva arringati dicendo che i suicidi non vanno all'inferno (non è che credesse all'esistenza dell'inferno, che secondo lui, se proprio esiste, contiene al più Hitler e qualche carceriere di Auschwitz: gli interessava solo esibire un po' di parlantina "teologica" durante il noioso viaggio mattutino).

All'uscita della galleria concluse la propria omelia centellinando argutamente le parole: "insomma, i suicidi non vanno all'inferno".

Ci furono alcuni lunghissimi secondi di silenzio, rotti solo dal frastuono del traffico. Nessuno aveva intenzione di entrare nel campo minato: o gli si facevano i complimenti, oppure ci si accollava il pesante onere del dimostrare gli errori del giovinotto nei pochi minuti rimasti prima di giungere alla facoltà. Da cui il marcato e prolungato silenzio.

Ad un certo punto riaprii uno degli occhi - mi ero quasi appisolato - e ruppi quel silenzio rispondendogli in dialetto e con un tono di voce stentoreo che sorprese perfino me: gli dissi: «Armà... spàrati».

Quella che seguì fu la risata generale più ciclopica dell'anno, che proseguì fino alla facoltà teologica, e in aula a lezione iniziata ancora si rideva - e si raccontavano sottovoce l'episodio. L'unico a non ridere era ovviamente quello che aveva tentato di togliere dall'inferno la categoria dei suicidi.

Alcuni giorni dopo il vescovo intavolò col sottoscritto, privatamente, un discorso sulla cura pastorale nei casi di suicidio (oh, pura e semplice coincidenza, eh?). Mi interrogò chiedendomi cosa dovrebbe fare un parroco per il funerale di un suicida. Preso alla sprovvista, gli risposi che col permesso del vescovo si poteva celebrare il funerale: "Sì", mi confermò, però bisogna avere la delicatezza pastorale... cura pastorale... organizzazione pastorale... sensibilità pastorale...

Fu il suo modo di sgridarmi per la battuta fatta qualche giorno prima. Pur avendo pienamente ragione, avevo "peccato" evidentemente contro l'Unità Pastorale del Clero e dei Possibili Futuri Candidati all'Ordine Sacro. Avevo "peccato" dando una risposta sintetica e precisa, laddove il Dialogo esige posizioni perennemente sfumate e che non facciano mai sentire dalla parte del torto l'interlocutore (anche quando quest'ultimo dice una vaccata stellare). Avevo "peccato" ricordando la dottrina tradizionale della Chiesa e - peccatone dei peccatoni - avevo adoperato l'ironia contro un chierico.

domenica 7 giugno 2015

Sciatterie pretesche

Ho letto la triste notizia della fèrula riparata con nastro isolante.

Per tutti gli anni del seminario ho combattuto per la dignità dei preti (nella maggior parte delle occasioni è stato di nascosto: ricucendo, stirando, ripulendo, riordinando...) dovendo spesso richiamarli addirittura alla decenza perché i soggetti in questione erano davvero convinti che "prete" dovesse significare "sciatto" (come se la mitica 'gggente si sentisse "vicina" alla Chiesa solo in presenza di preti con l'aria di profughi alluvionati).

In una scala da 0 a 100, dove 0 è "totalmente sciatto", 70 è "ragionevolmente dignitoso" e 100 era "adeguato", era già una grande vittoria riportarli da 10 a 30 o 40.

Ora, dal soglio pontificio, si esibisce in mondovisione una riparazione da bifolco frettoloso, proprio sulla ferula. Nemmeno stavolta sarà una coincidenza.

Con questo pontificato la sobrietà passa dunque da oggetto di irrisione a fastidio da eliminare. Anche gli sciattoni potranno gridare: "ma noi facciamo come il Papa".

venerdì 22 maggio 2015

Camere doppie

In seminario c'erano camere singole per tutti, ma il rettore preferì assegnare alcune camere "doppie" allo scopo dichiarato di smussare gli spigoli dei temperamenti di alcuni seminaristi. Così in una doppia furono assegnati l'intellettuale taciturno e l'ignorante ciarliero; in un altra il seminarista-contessina con la puzza al naso insieme a quello non proprio amante dell'igiene; in un'altra c'era uno discreto e orante affiancato ad un chiacchierone ansioso e agitato.

Il risultato del mescolare di proposito nitro e glicerina non si fece attendere: dopo pochi giorni già correva voce su chi scorreggiava in camera e a che ora e quante volte, su chi passava troppo tempo sui libri ("troppo" significa "più dell'altro"), su chi si sdocciava in più di cinque minuti, su chi faceva la cacca più puzzolente, su chi aveva omesso per un giorno di fare le devozioni personali... Sì, le devozioni personali sono considerate roba da bigotti, per cui vanno fatte in segreto quando nessuno ti nota. Altrimenti, se il tuo compagno di stanza vede che non sei stato puntuale, subito va in giro a dirlo a tutta la comunità.

L'idea dello "smussare gli spigoli" è tutto sommato psicologia spicciola. Anziché smussarne, ne creò di nuovi; anziché risvegliare ed entusiasmare, rese le cavie più cupe e sospettose; moltiplicò - prevedibilmente - solo i cattivi esempi. E soprattutto fece svettare alle stelle l'ipocrisia, perché il tipico andazzo del "tutti controllano tutti" valeva anche nei momenti di riposo.

Nonostante il ciclopico fallimento della sua ridicola iniziativa, negli anni successivi il rettore insistette sempre a ripetere questo errore. Nel corso degli anni di formazione, furono pochissimi quelli che non ebbero almeno un anno di forche caudine.

Quando il rettore stabilì che toccava anche a me ebbi un immenso e insperato colpo di fortuna: durante l'estate fu mandato via (scusate, prese un periodo di riflessione) il commilitone col quale dovevo condividere la stanza.

martedì 5 maggio 2015

Full Seminarist Jacket

Uno dei film che meglio mi riportano l'animo agli anni di seminario è il deprecabile primo tempo di Full Metal Jacket.

Nella scena iniziale un gruppo di ragazzi viene rapato a zero: la tonsura come momento d'ingresso nella vita consacrata, trasformata in umiliazione industrialmente pianificata ed eseguita.

Il formatore è uno che crede di estrarre le virtù a suon di insulti, imprecazioni, bestemmie, ripetizione incessante di futilità e di slogan che storpiano la mente e l'anima. Proprio come un rettore di seminario - ed ancor più come un formatore, meglio noto come animatore della comunità di seminaristi. Con la differenza che in seminario il turpiloquio è molto più sottile (basta uno sguardo ben calibrato da parte del formatore, per farti diventare lo zimbello della comunità), le bestemmie consistono nella banalizzazione di Nostro Signore e di tutto ciò che è santo (quella stessa mano che alle 8:25 ti amministra l'Eucarestia è la stessa che alle 8:45 vergherà nero su bianco calunnie e illazioni contro di te), e le futilità sono quelle teologicamente di moda al momento (inclusa la bandiera della pace, il pellegrinaggio a Bose, il gioco di ruolo a gruppi con la psicologa, l'omelia pre-elettorale per dirci che dovevamo votare a sinistra, ecc.).

Nelle scene successive alla tonsura vediamo una lunga carrellata dei momenti di formazione. Ma almeno nel film le esercitazioni hanno uno scopo. In seminario invece si tratta solo di fare in modo che i seminaristi non abbiano mai un minuto libero. La certezza definitiva su ciò me la diede il rettore quando parlando con me si lamentò che alcuni, malsopportando la formazione, preferivano fare autoformazione. In pratica mi stava dicendo che non dovevo più leggere libri seri (scritti di santi, storia della Chiesa, devozioni tradizionali) finché non mi fosse stato esplicitamente richiesto dall'autorità. Ed infatti, contestualmente, mi assegnò altri incarichi e altre stupidissime robe su cui "meditare" (facevano talmente cagare che avrebbero guarito chiunque dalla stitichezza).

La vita di seminario è solo un costosissimo biglietto da pagare per accedere all'elite dei candidati al sacerdozio (quelli a cui è finalmente diventato difficile negarglielo). Lo scopo ultimo dei formatori è quello di potersi difendere gridando: ma io ho solo rispettato le regole! Per cui in seminario tutto è finalizzato a dare l'impressione che vengano rispettate le regole, non importa la santificazione, non importa la fede, non importa la dottrina, non importano i sacramenti, importa solo poter dire: non è colpa mia, io dopotutto ho solo rispettato le regole, abbiamo fatto fare ai seminaristi tutto ciò che era in programma. Perciò non c'è da meravigliarsi che i seminaristi abbiano la stessa attitudine: ho rispettato le regole, ho fatto tutto quel che dovevo fare...

Nel film invece il furioso formatore disprezza e maltratta più duramente coloro che vorrebbero difendersi con l'alibi delle regole. Apprezza di più chi sa ammettere il proprio errore (il che basta per perdonarglielo e addirittura promuoverlo a migliore incarico), laddove in seminario si applicano enne pesi ed enne misure, dove enne è il numero dei seminaristi. E naturalmente, pur lodandoti qualora tu ammetta una tua colpa, puoi star certo che te la faranno pagare amaramente - specialmente se sei anche soltanto un pochino sospettabile del Delitto dei Delitti: simpatie per il latino e per la veste talare, addirittura per la Tradizione Cattolica, del Peccato dei Peccati, la Messa tridentina, e dell'Eresia delle Eresie, cioè il Catechismo di san Pio X...

Nel film accade di vedere che i commilitoni si aiutino tra di loro: talvolta spontaneamente, talaltra dietro ordine dei superiori. In seminario, fatti salvi i momenti sporadici in cui anime pie decidono di compiere un'opera buona, è in genere un incessante tentativo di porsi a vicenda i bastoni tra le ruote. Come nella giungla, vige la legge non scritta del mors tua, vita mea.

Episodio.

Corse voce che il vescovo sarebbe stato disponibile a mandare un seminarista a studiare a Roma diritto canonico (e si sa che chi studia diritto canonico a Roma ha già una buona carta per diventare vescovo, solleticando qualche sogno di gloria), e così quando per scherzo feci credere ad uno dei commilitoni seminaristi di essere stato scelto io per Roma, lui me ne cantò di tutti i colori per una settimana nella maniera più sgangherata e furiosa possibile (addirittura "tu non ti lavi! tu disprezzi i professori della facoltà! tu vuoi fare sempre il furbo!" ecc.).

Nel film la formazione dura otto settimane durante le quali i commilitoni perdono ogni privacy, ogni contatto con l'esterno, perfino il diritto a una ciambella. Nel giorno del santo Natale l'unica differenza rispetto alla routine quotidiana è il dover cantare tutti insieme una canzonetta blasfema: e guai a chi non canta.

Come in seminario: guai a chi non canta. I futuri sacerdoti celebreranno Messa, non dovranno mica cantare canzonette: e invece in seminario non si fanno altro che prove di canto, canti, altre prove di canto, altri canti, liturgia cantata, vespri cantati, lodi cantate, tutti i santi giorni. Il guaio è che tutto quel canto non è il sublime gregoriano, non è l'artistico polifonico, non è nemmeno il canto tradizionale popolare: sono solo le ridicole canzonette del postconcilio composte in fretta e furia da quei deficienti alla Sequeri, o alle traduzioni di Bob Dylan, tutte con il ritmo di un jingle pubblicitario di una tv locale rallentato in modo da farti sbadigliare e nauseare. Se c'è una cosa che ti insegna il seminario è che se vuoi pregare la liturgia delle ore devi farlo da solo e nel più breve tempo possibile.

Nel film come nel seminario l'orizzonte è quello di trasformare le persone in macchine programmate per un solo obiettivo. I marines del film scrivono sul proprio elmetto "nato per uccidere", mentre i seminaristi scrivono sulla porta e sui loro oggetti personali "Pace" in caratteri svolazzanti e gai.

Nell'appiattimento postconciliare si è creduto di risolvere il nonnismo dei seminari con un lassismo controllato. Cioè se senti freddo ai piedi metti la testa nel forno. Col risultato che prima i seminari erano casermoni cupi, oggi sono casermoni gai. E col risultato collaterale che i tradizionalisti, per sembrare tali, devono commettere l'errore opposto dell'opposto, cioè casermoni cupi dove se il rettore ti considera antipatico ti dà il foglio di via dalla sera alla mattina.

Nel film il corso di formazione dura otto settimane, dopo le quali si è o pronti, o non pronti, senza sorprese. Nei seminari la formazione dura cinque o sei anni, più uno o due anni di pre-formazione, più uno o due anni di post-formazione.

E questi sono solo alcuni dei motivi per cui la qualità del clero, oggi, è decisamente scarsa.

lunedì 4 maggio 2015

Non ci sono regole contro l'ippica

Non ne posso più di queste sviolinate a Bergoglio.

Bergoglio è il successore di Pietro? Benissimo: dunque deve solo dirmi se io faccio parte della Chiesa o no.

Certo però che il minimo sindacale, per un Papa, è che taccia piuttosto che dire una stronzata, che preghi un pochino per l'anima di un nemico della Chiesa peccatore piuttosto che incensarlo pubblicamente, che si inginocchi davanti al Santissimo Sacramento piuttosto che al piede di immaginari "poveri", che perda il suo tempo a giocare coi trenini piuttosto che a presenziare a delle emerite scemenze pubbliche... e soprattutto che capisca l'enorme potere banalizzante dei media.

È il minimo sindacale: se ad un padre di famiglia chiediamo di non scommettere sulle corse dei cavalli (nonostante l'assenza di specifici divieti su questioni di ippica), perché non dovremmo chiedere ad un Papa di essere quantomeno decente rispetto al suo delicatissimo compito?

Dopo che per anni e anni e anni ho fatto faticosamente leva sul Papa - vedete? il Papa, anziano, si inginocchia alla consacrazione, e voi invece vi stufate di rendere gloria al Santissimo con un gesto così semplice - abbiamo ora il Bergoglio che conferma nella "fede" quelli che avevo rimbrottato in nome di GPII e BXVI. Mi sta anche bene fare la figura del pirla, ma è una bruciante spina nel fianco sentire quei ghigni diabolici che mi rinfacciano: vedi? è come dicevamo noi, sei tu che volevi imporci la tua bigotteria. «Ogni ginocchio si pieghi», tranne quello dei cattomodernisti...

Decisamente, non ne posso più di ascoltare sviolinate a Bergoglio provenienti da questi ultimi.

I cretini - anche quelli altolocati e intellettualmente corazzati - sono riusciti a far credere che la critica alle cazzate bergogliane sarebbe una critica al papato da parte di chi non digerisce certe cose. Sono così cretini da non accorgersi che in tempi ratzingeriani e wojtyliani non c'era mai stato bisogno di simili sviolinate, e neppure durante il cupo periodo montiniano.

Sono riusciti a far credere che il dovuto ossequio al successore di Pietro valga anche per le sue fesserie volontarie (venti secoli fa avrebbero detto: "beh? mica ha rinnegato tre volte prima del canto del gallo!"), sono riusciti a far credere che l'infallibilità pontificia valga per tutte le gesuitanti gesuitesche gesuitate del tipo "Chi sono io per giudicare?".

martedì 24 febbraio 2015

Fu vera gloria?

Molte tombe potrebbero avere come epitaffio: vide finalmente realizzato il sogno di tutta la sua vita... realizzato nel peggiore dei modi.

Specialmente tombe di ecclesiastici moderni.

venerdì 20 febbraio 2015

"Problemi Psicologici e Morali, Squilibri" e altre bergogliate

Primo venerdì di quaresima, con annessi e connessi: umiliazioni patite in silenzio, digiuno, preghiera... e infine, per completare il venerdì, piomba tra capo e collo la bergogliata del giorno: la notizia che il Papa associa l'idea di seminarista con simpatie per la Tradizione all'idea di "Problemi Psicologici e Morali, Squilibri".

Questo è stato vero - ho visto coi miei occhi cose che voi umani non potete nemmeno immaginare - ma è stato percentualmente uguale (quando non inferiore) rispetto ai seminaristi modernisti.

Ma ormai nella gerarchia cattolica è di moda limitarsi ad un solo lato della medaglia...

sabato 14 febbraio 2015

Folletto Aggiustatutto

In ogni comunità in cui sono stato, una delle mie più segrete specialità era nelle piccole riparazioni. Cassetti malmessi, rubinetti gocciolanti, luci da spegnere, cavi elettrici a rischio di inciampo, lampadine da sostituire...

Le prime volte lo facevo con piacere, immaginando il momento casuale in cui il superiore si sarebbe accorto che mi ero dato da fare senza che nessuno me lo avesse chiesto. Poi mi sono reso conto che quando le cose filano lisce nessuno ci fa caso, tanto meno i superiori delle comunità. Ma ho continuato ad essere segretamente il folletto aggiustatutto perché quei piccoli segreti gesti di carità mi davano l'impressione di farmi "appartenere" di più alla comunità.

Ci fu un periodo in cui riparai diverse volte consecutive il "telefono" della doccia: dopo la quarta o quinta volta scoprii che il colpevole era sempre lo stesso, con qualche sospetto che non si trattasse solo di incuria. Dopo averla riparata senza essere notato da nessuno, feci presente al preposito nella maniera più asettica possibile che stava diventando necessario un intervento non banale (in realtà avrei dovuto dirgli: se il tuo Figliuolo Prediletto non smette di vandalizzare il "telefono" ogni volta che si sdoccia, bisognerà presto comprare tutto l'impianto nuovo e farci salassare dall'idraulico). Il preposito rispose che non ne vedeva necessità poiché la doccia funzionava.

Il Folletto Aggiustatutto è anche quello che rimette in ordine bicchieri e tazzine - tutti i bicchieri da una parte, tutte le tazzine dall'altra, tutti i coltelli dal lato del manico e... quatto quatto, infilare le stoviglie lavate male nuovamente nel lavello. Poco importa che gli altri trovino tutto in ordine prendendosene anche il merito.

Il destino di ogni Folletto Aggiustatutto è di sentirsi dire che è un buono a nulla, un lavativo pigrone, uno sfaticato perdigiorno (come se le cose in casa si aggiustassero da sole, si mettessero a posto da sole, si lavassero da sole...) invece guardate e ammirate tutti il Figliuolo Prediletto, che ha sempre qualche Nuova Idea Pastorale, non passa minuto che non escogiti qualche Bella Iniziativa per i Fedeli, è un vulcano di Strategie Pastorali (ed ha quindi diritto di entrare in refettorio all'una e trentacinque chiedendo seccato: "allora, è pronto? si mangia?").

giovedì 12 febbraio 2015

Piano Quinquennale di Razionamento dei Biscotti

Un bel giorno il Figliuolo Prediletto, di comune accordo col Preposito, stabilì il consumo totale ammissibile di biscotti a colazione. Come ai bei tempi dell'Unione Sovietica, il proclama entrò in vigore senza che venisse annunciato e dal refettorio scomparvero quasi tutti i biscotti. Restarono solo sei biscotti per il mattino dopo: una media di due a testa, poiché il Preposito si vantava di non far colazione.

Senonché uno dei novizi, che a causa degli squinternati orari della facoltà teologica avrebbe pranzato alle tre del pomeriggio, di mattina prestissimo si ritrova a far colazione per primo e, ignaro, trangugia tutti e sei i biscotti (suo unico pasto fino all'ora nona), e quindi di corsa verso la facoltà.

Il sottoscritto - che non consumava biscotti a colazione ma era l'addetto alla spesa - si accorge del misero spazio vuoto nel mobiletto e perciò in tarda mattinata compra due buste di biscotti da mezzo chilo, ne svuota una nel recipiente apposito e seppellisce l'altra nella dispensa in un angolino poco visibile.

Mattino successivo: il commilitone, trovando precisamente solo sei biscotti, fa colazione senza lasciare neppure una briciola e prende la via della facoltà teologica. Entra quindi in refettorio il sottoscritto che - in virtù di un puro controllo statistico-logistico - scopre che la busta da mezzo chilo si è volatilizzata: prende l'altra nuova da mezzo chilo e la svuota lì nella biscottiera.

Più tardi, verso le undici del mattino, prima di andare a fare la spesa, dà un'occhiata nel mobiletto per vedere se manca qualcosa. Orrore: mancano i biscotti, ne sono rimasti pochi (non li ho contati ma scommetto che erano esattamente sei). Perciò quando in tarda mattinata va a fare la spesa compra una busta da un chilogrammo intero.

Ma mentre la svuota nel vano biscotti compare il Figliuolo Prediletto adirato che prorompe in un urlo di sdegno: "ma come! ora una busta da un chilo!"

Con aria sinceramente innocente il sottoscritto risponde che visto che si consumano tanti biscotti, è stato bene fare scorta. Ma l'ira è cattiva consigliera, e il Figliuolo Prediletto svela tutto in una sola frase: "ma no! qui ci devono essere solo i biscotti necessari a fare colazione! e che, stiamo mica in albergo?!"

Attratto dalla voce alta si palesa il Preposito, sempre pronto a dar ragione al suo Figliuolo Prediletto: "ho deciso io: ci deve essere solo il necessario per una frugale colazione". "E il resto dei biscotti già comprati?" chiedo cadendo dalle nuvole. "Stanno in camera mia!" urla il Figliuolo Prediletto. Ancor più sbigottito, volgo lo sguardo al Preposito che soggiunge: "gliel'ho detto io".

"Va bene", dico col tono di voce più sommesso possibile, e faccio per andare via, mentre il Figliuolo Prediletto recupera brutalmente i biscotti dal vano biscotti per lasciarvi i soliti sei, di cui quattro già fracassati e in briciole.

Da quel giorno non ho più controllato l'approvvigionamento di biscotti: era chiaro che il nuovo Incaricato del Rispetto del Consumo Razionato dei Biscotti a Colazione avrebbe fatto tutto da solo. Ma dopo uno o due giorni c'era già stata la prima dimenticanza: verso mezzanotte il commilitone bussa desolato alla mia camera per farmi notare che non c'era niente per la colazione del mattino dopo, e che non avrebbe voluto digiunare fino alle due o le tre del pomeriggio.

Al che tiro fuori un pacco di biscotti nuovo, intonso, luccicante, del Mulino Bianco, e gli dico: "tieni questi come riserva segreta personale nel cassetto più inaccessibile della tua camera".

mercoledì 11 febbraio 2015

Sempre più in basso...

"In Vaticano, Bergoglio riceve in udienza il transessuale con la fidanzata. Dove – come osserva giustamente Antonio Socci – «l’aspetto più importante è la presenza della fidanzata, cioè l’udienza alla coppia, che suona come sdoganamento oggettivo delle «nuove unioni»."

Dio mi ha concesso la grazia di non essere papista nemmeno ai tempi di Ratzinger. Già ai tempi di Giovanni Paolo II mettevo in guardia: non esultiamo per questo papa, perché il successore potrebbe non essere all'altezza. Invece fu eletto Ratzinger e, nonostante qualche legittima esultanza (è pur sempre il papa del motu proprio che ha avviato la timida controrivoluzione liturgica), ugualmente mettevo in guardia contro il suo statisticamente probabile "successore non all'altezza".

Ogni giorno Bergoglio stabilisce un nuovo primato negativo. Il suo successore sarà molto probabilmente due o tre gradini più in alto, e tutti i cattolici stupidi esulteranno dimenticando che ogni volta si scende di trenta gradini più in basso per risalire affannosamente di due o tre più in alto. La catastrofe nella Chiesa sta attirando una punizione da far impallidire le dieci piaghe d'Egitto. Parce nobis Domine!

lunedì 26 gennaio 2015

Complimenti negli esami

Uno dei migliori complimenti che ho ricevuto durante lo studio della teologia: «non è farina del tuo sacco».

Invece lo era: solo che il prof di Scritti Paolini (sic!) partiva dal presupposto che uno studentello di teologia sa fare solo prediche da parrocchia.

Oltre che un complimento, fu l'involontaria testimonianza che cinque o sei anni di teologia non insegnano assolutamente niente di concreto. Salvo rarissime eccezioni.

Il miglior complimento che potei fare ad uno dei miei professori, un vecchio gesuita che credeva sul serio nella forza santificante dei sacramenti, a proposito del suo corso su Ordine e Matrimonio (sic!) fu: «sono cose che si possono usare anche nella Pastorale».

"Usare nella Pastorale" è un termine che nel gergo dei seminaristi significa "si possono ammannire alla gente della parrocchia senza azzeccare figuracce". Nel mio caso, era un modo per spiegargli (in modo comprensibile a lui) che le cose apprese dal suo corso le avrei volentieri ripetute in parrocchia, a costo di farmi emarginare. E così avvenne. Ma lo descriverò qualche altra volta.

venerdì 16 gennaio 2015

Ci tocca sempre delucidare

Qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata da un amico allarmato che voleva delucidazioni su una "cazzata".

"Si tratta di una bergogliata?" chiesi.

"Sì, come hai fatto a capirlo? Il Papa ha detto che senza la Chiesa Gesù diventa qualcosa di vuoto... Ma si può dire - anche solo come ipotesi - che Gesù diventerebbe vuoto? Se a certe condizioni si può ipotizzare che Gesù diventi vuoto, allora vuol dire che è la Chiesa che gli dà significato?"

Poveraccio. Ancor prima delle gesuitiche bergogliate gesuitanti, c'è il problema della banalizzazione operata dai media.

Mi trovo spesso a desiderare un Papa che intervenga solo su temi dottrinali e liturgici, che parli solo per documenti - brevissimi documenti, e centellinati con estrema parsimonia -, che eviti quasi totalmente di apparire in pubblico, e diventi di conseguenza interessante per i fedeli e insignificante per i telegiornali.

lunedì 12 gennaio 2015

Quelle lodi in parrocchia

A quattordici anni mi ritrovai con questo nuovo insegnante di religione. Un sacerdote sveglio, che dava l'aria di sapere il fatto suo, diverso da tutti i precedenti. Il possibile entusiasmo durò un minuto: neanche arrivato, già ci diede da fare un componimento - lì, in classe, subito - su cosa pensassimo della televisione.

Stetti a guardare la pagina bianca per tutta l'ora. Cosa penso della televisione? Che è una gran cagata. Serve solo a distrarsi, ma i videogiochi e il computer distraggono meglio. Trasmette film inguardabili, telefilm imbecilli, varietà allusivi e volgari, e pubblicità martellanti. I miei compagni di classe non mi crederebbero se scrivo che fuggo la televisione più delle zanzare - o peggio capirebbero che il mio tempo libero lo passo al computer: figurarsi il prete insegnante di religione, che dandoci un tema del genere dimostra di credere nella droga universale televisiva.

Naturalmente i miei compagni di classe - specie i più addestrati all'ipocrisia - scrissero quintalate di banalità politicamente corrette, come se stessero su Facebook. E il prof sembrava prenderci gusto a sentirle leggere, un fine buongustaio del politicamente corretto. E io che mi ero illuso che finalmente fosse giunto un professore di religione che trasformasse le verità di fede in materia di studio, e spiegasse perché mai i cattolici debbano credere in certe cose tanto denigrate dalla tv.

Nelle lezioni successive il prof mise a tema altre scempiaggini, su cui faticavo a scrivere più di due righe compatibili con l'audience della classe e con le orecchie pretesche. Ogni volta, verso la fine dell'ora, ero sempre tra quelli che ancora non avevano finito di scrivere.

Per una non casuale coincidenza, una compagna di classe di mia sorella suggerì a quest'ultima di andare a "fare le Lodi con i giovani" nella parrocchia del prete-prof. "Durano solo un quarto d'ora, e poi si va a scuola! Ci sono anche altri della stessa scuola. E poi il prof ne tiene conto..."

Il primo giorno eravamo in cinque, insieme al prof-prete. Che però, subito dopo il segno della croce iniziale, fu chiamato in sagrestia per un affare urgente, e ci piantò lì. Non sapevo nemmeno dove cominciare con la recita delle lodi, ed ero ancora stordito dal fatto che il prete fosse in abiti civili in mezzo ai banchi, anziché a dirigere dall'altare (mi seccava che si volesse confondere in mezzo a noialtri). Recitammo - con la fretta di chi non vuol farsi notare a correre - una strofa a testa, di quei salmi insulsi che parlavano di cose lontanissime dalla nostra vita, ci sedemmo per qualche attimo di silenzio pro forma, e svicolammo per andare a scuola. Meglio andare a scuola in anticipo che sostare ulteriormente in quella specie di sacro garage senza aver ben chiaro almeno un motivo per rimanervi.

Il secondo giorno eravamo in tre (con mia sorella e la sua amica): il prof-prete era già impegnato. Di nuovo con quei libercoli bisunti, sprovvisti di spiegazioni, che non davano alcuna idea di sacralità (piuttosto che il marchio delle Paoline ci sarebbe stato bene un Made in China). Scorremmo le pagine per trovare quelle del giorno, leggemmo quegli strani salmi che parlavano di un mondo di pecorai enormemente distante da noi e, ignari di invocazioni, lettura, Benedictus e tutto, con un certo sollievo concludemmo e svicolammo senza pausa di riflessione.

Il terzo giorno eravamo di nuovo noi tre. Il prete semplicemente non c'era: aveva aperto la chiesa ed era andato via per una commissione, c'era solo un laico in sacrestia - uno di quei soggetti che provano un insano piacere a permanere per il maggior tempo possibile nei locali di servizio della parrocchia sotto casa.

Chiesi timidamente se avesse senso cominciare senza il prete. L'amica aveva scoperto - non so da cosa - che dopo i salmi c'era sempre da recitare il Benedictus (ecco cosa significava quel preoccupante "AntAlBen"). Mi resi conto che non vedevo l'ora di svignarmela da lì il più presto possibile, e poco importa che la compagna di classe di mia sorella fosse una discreta gnoccolona: il disagio "religioso" era tale da mettere in secondo piano perfino il possibile progetto di fare manovre di avvicinamento alla tizia.

Il giorno successivo l'amica era in ritardo. Aspettai un interminabile minuto prima di dire a mia sorella che non valeva la pena restare, lei rispose di aspettare un altro minutino e poi di andar via. Il prete - indovinate? - era assente. Passò quel secondo minuto, uno dei più lunghi della mia vita, e senza dir nulla me ne andai a scuola, e non misi mai più piede in quella chiesa. Scoprii poi che il prof si era fatto vivo con un quarto d'ora di ritardo, chiedendo giulivo alle due presenti: le avete recitate le Lodi? siete solo voi due?

Il gruppo giovani naufragò miseramente per l'assenza del prete, per la mancanza di "sacro", per il ridicolo "armiamoci e partite", per la stupidità di rifilare una preghiera complessa come le Lodi in mano a ragazzi che a stento sapevano dire l'Ave Maria, per di più in una Chiesa che sembrava un garage atto solo a ospitare quei fastidiosissimi "topi di sacrestia".

mercoledì 7 gennaio 2015

Paternità selettiva

Ad uno studentello di filosofia uno dei vescovi più "intelligenti" d'Italia suggerisce scherzosamente ma non troppo (come sanno fare in genere tutti gli ecclesiastici) di non perdere tempo con le ragazze e di considerare il sacerdozio in diocesi, farci un pensierino "così, senza impegno", e però sapendo che ti tratterei come un re, continueresti gli studi, faresti pubblicazioni, ecc. L'aspirante filosofo però preferisce la fidanzatina, aristocratica come lui, benché il sacerdozio lo attragga (perbacco, la possibilità di distribuire lezioni e omelie, di frequentare grossi prelati per dovere d'ufficio, di essere ancora più ammanigliato con monsignori e professori...).

La notizia fu peggio di una randellata negli stinchi poiché conoscevo già lo studentello di fama e soprattutto perché conoscevo il donabbondiesco vescovo avendogli esposto il mio caso e tentato inutilmente di mendicare un aiutino.

Così come gli sposi borghesi esigono il figlio perfetto e sono disposti ad abortire quello che non rispetta il loro piano prestabilito, così Sua Eccellenza fece nell'arco di pochi mesi orecchie da mercante sul mio caso e il ruffiano nel caso del giovanottino filosofino (che poi si è regolarmente sposato).

Un vescovo dovrebbe piangere lacrime di gioia davanti al Santissimo qualora gli capitasse l'occasione di sostenere una vocazione inguaiata dalle piccinerie di altri ecclesiastici... e invece mette in azione la "paternità selettiva": non vuole i figli che gli dona Dio, vuole i figliastri che si costruisce da sé. È una forma di deliberata autocastrazione, la stessa di quegli sposi che abortiscono i figli che non rientrano nel programma.

sabato 3 gennaio 2015

Quando ti serve aiuto e invece ti ammanniscono banali consigli

Dietro calde raccomandazioni di persone fidate, finalmente mi accostai a questo Famoso Sacerdote per chiedergli se avesse cinque minuti da dedicare ad un seminarista nei guai. Aveva un incontro con i suoi ragazzi, era lì per entrare nella sala. Mi disse che al termine dell'incontro mi avrebbe parlato.

Riuscii ad avere la sua attenzione nonostante la ressa dei suoi ragazzi bramosi di parlargli. Fu probabilmente l'unica volta in vita mia in cui in qualità di seminarista in difficoltà ebbi la precedenza - sia pure avendo anche l'impressione che fu solo per un colpo di fortuna.

Gli dissi che in seminario ero malvisto dai formatori e che ero assolutamente certo che la cosa non dipendesse dalla mia fede, né dalla mia vocazione, né dalla mia dirittura morale. Aggiunsi che il vescovo era propenso ad ascoltare le ragioni dei miei formatori banalizzando le mie. Non sapevo quale risposta aspettarmi, sapevo solo che lui, Famoso Sacerdote, mi era stato indicato come uno che poteva capirmi benissimo, uno che in seminario aveva avuto i miei stessi guai, uno che poteva darmi la dritta giusta o almeno qualche prezioso aiuto, per quanto piccolo.

Le sue telegrafiche risposte furono di una banalità sconcertante. "Che si fa? si ubbidisce al vescovo, si ubbidisce ai formatori". Mille volte in vita mia mi sono sentito ripetere che la volontà dei superiori è la volontà di Dio, ma nemmeno una volta ho sentito precisare che la retta volontà dei superiori normalmente corrisponde alla volontà di Dio.

Non può essere "volontà di Dio" un superiore che per metterti nei guai mente, inganna, diffama, maligna alle tue spalle. Dio può tollerare il male in vista di un bene molto maggiore, non può istigare al male. Quando i superiori del seminario ostacolano qualcuno avendo a cuore tutt'altro che la fede, la vocazione e la vita morale, non stanno facendo la volontà di Dio ma il suo esatto contrario. Anche se hanno la faccia di palta di commentare sorridenti il brano del vangelo sul «più operai per la messe».

Il Famoso Sacerdote, caso raro, non aveva una faccia da seccato. Gli avevo chiesto cinque minuti e cinque me ne concesse, congedandomi senza tradire alcun fastidio. Gli avevo esposto il mio caso calibrando accuratamente le parole, senza polemica (che mi avrebbe fatto apparire come il solito seminaristuccio lamentoso, anche se fosse stata totalmente fondata, anche se lui conosceva benissimo l'aria che tira nei seminari), bilanciando i fatti con le astrazioni (cioè senza indondarlo di cronaca e senza diluviarlo di impressioni e di concetti).

Con uno sforzo titanico mi ripetei mentalmente le sue parole, a lungo, cercando di estrarne il meglio possibile. Ma l'umiliazione non era ancora completa. I cari e fidati amici che avevano tanto caldeggiato quel colloquio si divisero tra coloro che si sforzavano di dire che il Famoso Sacerdote mi aveva confermato ciò che c'era davvero da fare, e coloro che ebbero il coraggio di obiettare: tutto qui?

Ero infatti andato a chiedere aiuto, non ero andato a chiedergli un permesso di disubbidire.

E poi, disubbidire a cosa? Quando i superiori del seminario tentano ogni trabocchetto per metterti nei guai, ogni mezza verità, ogni inganno, quando quelle stesse mani che mi amministravano ogni giorno l'Eucarestia firmano nero su bianco falsità e insinuazioni su di me, a cosa dovrei mai ipotizzare di "disubbidire"?

"Tu va' avanti per la tua strada, ubbidendo sempre", mi dice l'amico che ha più di tutti incoraggiato il colloquio tra me e il Famoso Sacerdote. Gli faccio presente - lottando con me stesso per non perdere la pazienza - che io sono nei guai proprio perché ho "ubbidito sempre", proattivamente, anticipando volentieri tutto ciò che poteva far piacere ai superiori: ma quando hanno deciso di farti fuori non c'è ubbidienza che tenga. Al punto da inventarsi leggi retroattive per farmi risultare disubbidiente e ribelle.

Da allora ho accuratamente evitato ogni altro incontro col Famoso Sacerdote. Non che fosse mai stato facilissimo avere il privilegio di parlargli.

Nei suoi panni io avrei risposto: spazza via tutte le ultime speranze e comincia subito a preparare i bagagli per cambiare ambiente, ti mando in un'altra comunità, un'altro seminario, una società di vita apostolica, un qualcosa di diverso, perché tu stesso hai già capito che coi superiori che hanno deliberato di essere ostili con te fino alla fine e col vescovo che ha già deciso di preferire loro a te, non hai speranza.

Oppure avrei risposto: ti manderei in un'altra comunità, un altro seminario, ecc., ma non conosco nessuno, e in coscienza non me la sento di mandarti al buio su una strada sconosciuta.

Queste sono le uniche due risposte oneste che poteva darmi. Da uomo a uomo, cioè da ministro di Dio preoccupato per gli operai della messe, a possibile futuro operaio.

I preti pigri - spiritualmente pigri, materialmente pigri, intellettualmente pigri - usano esattamente questa tattica: ti ascoltano e ti danno come Solenne Consiglio Definitivo una frase fatta, se non una trita banalità. Il che può andar bene coi tanti furbetti che vanno a chiedere una scusa per disubbidire o una scusa per andare contro la castità, ma è devastante se usata contro chi viene a mendicare vero aiuto.

Anche la più vera e adeguata espressione del Vangelo diventa un parolame vuoto e fastidioso se adoperata per mettere a tacere chi mendica aiuto. Quando hai un tremendo mal di testa, hai bisogno della cura, non di omelie sulla pace nel mondo, ancor meno sulle statistiche sull'emicrania, e ancor meno sulla bontà dell'aspirina. Hai bisogno dell'aspirina e basta: e se proprio uno non è in grado di fornirtela, allora che ti indichi una farmacia aperta, senza fare discorsi sul sopportare, sull'ubbidire.

Invece, come nella parabola del Vangelo, ci sarà bisogno del Buon Samaritano, perché farisei e sacerdoti sanno dispensare solo banalità. Perfino il Vangelo, uscendo dalle loro bocche, diventa una summa di banalità. Se hai mal di testa, ti occorre un'aspirina, non una predica sugli evangelici effetti dell'aspirina.

A distanza di tempo da quell'episodio ancora contemplo la possibilità di aver imbroccato uno dei casi rari della vita del Famoso Sacerdote, in cui ha preferito liquidare uno scocciatore piuttosto che farsi in quattro. La contemplo come possibilità perché anch'io in vita mia, a volte per equivoco, altre volte per pigrizia, altre volte per nervosismo, non sono stato caritatevole col prossimo. Ma ancor oggi la mia certezza è che quel Famoso Sacerdote, nonostante tutto il bene che ha fatto ai giovani e alla Chiesa, prima di accedere alla vita eterna avrà da scontare a prezzo salatissimo quell'episodio in cui si è comportato come il levita piuttosto che come il samaritano.

venerdì 2 gennaio 2015

Guardando il dito

C'è un proverbio che dice che quando il saggio indica la Luna lo stolto guarda il dito. Questo proverbio si applica bene nel mondo clericale dove, per cattiva disposizione, si guarda sempre il dito e mai la Luna.

Episodio.

Una volta ero da sua eccellenza reverendissima il vescovo. Mi parlò della nefasta relazione di fine anno che i superiori del seminario avevano scritto su di me. Dopo tanta pazienza cerco di far presente che ci sono non soltanto delle "inesattezze" dovute al fatto che "forse non è stata scritta serenamente" (eufemismo per dire che avevano tanto odio in corpo da sputar fiamme da tutti gli orifizi).

Il vescovo, anziché chiedermi i motivi della mia affermazione, mi dà una lezione di politically correctness, anzi, del clerically correct, perché il mettere in dubbio la presunta "serenità" dei superiori gli sembrava molto grave. "Inesattezze", poi! Accusa pesantissima! Gli rispondo tentando di spiegargli che l'ironia è un modo per sintetizzare senza annoiare, e che fin da piccolo sono stato educato più con l'ironia che con le punizioni corporali. Il vescovo non risponde e va avanti a leggere la vaccata successiva. "E questa?" mi chiede. Avrei dovuto dirgli che se non si capisce ciò che c'è scritto, non è un problema originato da me. Ma mi mordo la lingua e piuttosto gli rispondo (tentando di non ironizzare) che anche quella è nel migliore dei casi frutto di un equivoco e che glielo posso spiegare. Ovviamente neppure stavolta mi ascolta: taglia corto dicendo che non so apprezzare niente.

Alla fine, trionfante, legge che sono stato visto in tarda serata a pregare in cappella in ginocchio. Dato che la relazione conteneva questo punto non negativo (e sfido io!) mi guarda con un ghigno come per dirmi: non è come dicevi tu, non sono "tutti" punti negativi, dunque non è vero che hanno un pregiudizio contro di te (il che, in lingua episcopalese, significa che la relazione sarebbe "equilibrata" e "credibile").

A quel punto, sperando che cogliesse il senso, resto in silenzio e volgo pazientemente lo sguardo altrove.

Dopo qualche istante, intestarditosi nel suo pregiudizio che io abbia un pregiudizio contro i superiori (e senza capire che quei soggetti tutto l'anno mi sorridevano e a fine anno mi scrivevano una relazione perfida), mi congeda.

Molte delle perfidie clericali dipendono dall'ossessione pilatesca di lavarsene le mani.

Il vescovo è incapace di stabilire se una vocazione è accettabile per il sacerdozio? Demanda la verifica a un istituto "competente", il seminario, e alla fine del percorso si fida non di ciò che vede ma di ciò che legge. Burocratizzazione della fede.

In seminario ci sono dei preti si ritrovano a vagliare vocazioni sulla pura base delle personalissime simpatie. Nessuno di loro pagherà mai le conseguenze di ciò che scrive nelle relazioni. E se pure il sacerdote affonda negli scandali pochissimo tempo dopo l'ordinazione, i vecchi formatori che tanto lo avevano elogiato si scherniscono: "eppure qui era sempre andato così bene..."

Eh, già. Era sempre puntualissimo alle prove di canto. Sempre in prima fila nell'incontro ecumenico. Sempre pronto a darsi da fare con gli addobbi natalizi. E poi non era attaccato alle cose preconciliari (come il rosario, la talare, il latino, l'apologetica...). "Anche noi formatori siamo stupiti che abbia deciso di lasciare il sacerdozio".

Questo è il dramma dei vescovi di oggi: hanno ridotto la verifica delle vocazioni ad un affare burocratico. I "verificatori" producono una serie di cartacce che saranno lo scripta manent capace di azzerare qualsiasi buonsenso passato, presente e futuro. Come tutti i burocrati, non pagheranno mai per i loro errori: possono perciò prendersi tutte le libertà di devastazione concesse dal clerically correct: sociologismi, psicologismi, teologismi da baraccone con una spruzzatina di correctness, e soprattutto dar sfogo all'omosessualismo latente.

giovedì 1 gennaio 2015

Il gesuitismo conferma un altro neodogma

"Il Papa divinamente ispirato ha appena detto: l’ONU deve combattere il riscaldamento globale. Nel 2015, andrà ad un importante convegno sul global warming a Parigi, convocherà un vertice mondiale delle religioni (gliel’aveva suggerito Shimon Peres: una ONU delle religioni), e obbligherà il miliardo e passa di cattolici del mondo a creder al dogma del riscaldamento globale.
Obama ha appena detto: «Il mondo ascolti il Papa». Vedrete come vanno d’accordo quei due, nel 2015."

[M. Blondet 31 dicembre 2014]