lunedì 26 gennaio 2015

Complimenti negli esami

Uno dei migliori complimenti che ho ricevuto durante lo studio della teologia: «non è farina del tuo sacco».

Invece lo era: solo che il prof di Scritti Paolini (sic!) partiva dal presupposto che uno studentello di teologia sa fare solo prediche da parrocchia.

Oltre che un complimento, fu l'involontaria testimonianza che cinque o sei anni di teologia non insegnano assolutamente niente di concreto. Salvo rarissime eccezioni.

Il miglior complimento che potei fare ad uno dei miei professori, un vecchio gesuita che credeva sul serio nella forza santificante dei sacramenti, a proposito del suo corso su Ordine e Matrimonio (sic!) fu: «sono cose che si possono usare anche nella Pastorale».

"Usare nella Pastorale" è un termine che nel gergo dei seminaristi significa "si possono ammannire alla gente della parrocchia senza azzeccare figuracce". Nel mio caso, era un modo per spiegargli (in modo comprensibile a lui) che le cose apprese dal suo corso le avrei volentieri ripetute in parrocchia, a costo di farmi emarginare. E così avvenne. Ma lo descriverò qualche altra volta.

venerdì 16 gennaio 2015

Ci tocca sempre delucidare

Qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata da un amico allarmato che voleva delucidazioni su una "cazzata".

"Si tratta di una bergogliata?" chiesi.

"Sì, come hai fatto a capirlo? Il Papa ha detto che senza la Chiesa Gesù diventa qualcosa di vuoto... Ma si può dire - anche solo come ipotesi - che Gesù diventerebbe vuoto? Se a certe condizioni si può ipotizzare che Gesù diventi vuoto, allora vuol dire che è la Chiesa che gli dà significato?"

Poveraccio. Ancor prima delle gesuitiche bergogliate gesuitanti, c'è il problema della banalizzazione operata dai media.

Mi trovo spesso a desiderare un Papa che intervenga solo su temi dottrinali e liturgici, che parli solo per documenti - brevissimi documenti, e centellinati con estrema parsimonia -, che eviti quasi totalmente di apparire in pubblico, e diventi di conseguenza interessante per i fedeli e insignificante per i telegiornali.

lunedì 12 gennaio 2015

Quelle lodi in parrocchia

A quattordici anni mi ritrovai con questo nuovo insegnante di religione. Un sacerdote sveglio, che dava l'aria di sapere il fatto suo, diverso da tutti i precedenti. Il possibile entusiasmo durò un minuto: neanche arrivato, già ci diede da fare un componimento - lì, in classe, subito - su cosa pensassimo della televisione.

Stetti a guardare la pagina bianca per tutta l'ora. Cosa penso della televisione? Che è una gran cagata. Serve solo a distrarsi, ma i videogiochi e il computer distraggono meglio. Trasmette film inguardabili, telefilm imbecilli, varietà allusivi e volgari, e pubblicità martellanti. I miei compagni di classe non mi crederebbero se scrivo che fuggo la televisione più delle zanzare - o peggio capirebbero che il mio tempo libero lo passo al computer: figurarsi il prete insegnante di religione, che dandoci un tema del genere dimostra di credere nella droga universale televisiva.

Naturalmente i miei compagni di classe - specie i più addestrati all'ipocrisia - scrissero quintalate di banalità politicamente corrette, come se stessero su Facebook. E il prof sembrava prenderci gusto a sentirle leggere, un fine buongustaio del politicamente corretto. E io che mi ero illuso che finalmente fosse giunto un professore di religione che trasformasse le verità di fede in materia di studio, e spiegasse perché mai i cattolici debbano credere in certe cose tanto denigrate dalla tv.

Nelle lezioni successive il prof mise a tema altre scempiaggini, su cui faticavo a scrivere più di due righe compatibili con l'audience della classe e con le orecchie pretesche. Ogni volta, verso la fine dell'ora, ero sempre tra quelli che ancora non avevano finito di scrivere.

Per una non casuale coincidenza, una compagna di classe di mia sorella suggerì a quest'ultima di andare a "fare le Lodi con i giovani" nella parrocchia del prete-prof. "Durano solo un quarto d'ora, e poi si va a scuola! Ci sono anche altri della stessa scuola. E poi il prof ne tiene conto..."

Il primo giorno eravamo in cinque, insieme al prof-prete. Che però, subito dopo il segno della croce iniziale, fu chiamato in sagrestia per un affare urgente, e ci piantò lì. Non sapevo nemmeno dove cominciare con la recita delle lodi, ed ero ancora stordito dal fatto che il prete fosse in abiti civili in mezzo ai banchi, anziché a dirigere dall'altare (mi seccava che si volesse confondere in mezzo a noialtri). Recitammo - con la fretta di chi non vuol farsi notare a correre - una strofa a testa, di quei salmi insulsi che parlavano di cose lontanissime dalla nostra vita, ci sedemmo per qualche attimo di silenzio pro forma, e svicolammo per andare a scuola. Meglio andare a scuola in anticipo che sostare ulteriormente in quella specie di sacro garage senza aver ben chiaro almeno un motivo per rimanervi.

Il secondo giorno eravamo in tre (con mia sorella e la sua amica): il prof-prete era già impegnato. Di nuovo con quei libercoli bisunti, sprovvisti di spiegazioni, che non davano alcuna idea di sacralità (piuttosto che il marchio delle Paoline ci sarebbe stato bene un Made in China). Scorremmo le pagine per trovare quelle del giorno, leggemmo quegli strani salmi che parlavano di un mondo di pecorai enormemente distante da noi e, ignari di invocazioni, lettura, Benedictus e tutto, con un certo sollievo concludemmo e svicolammo senza pausa di riflessione.

Il terzo giorno eravamo di nuovo noi tre. Il prete semplicemente non c'era: aveva aperto la chiesa ed era andato via per una commissione, c'era solo un laico in sacrestia - uno di quei soggetti che provano un insano piacere a permanere per il maggior tempo possibile nei locali di servizio della parrocchia sotto casa.

Chiesi timidamente se avesse senso cominciare senza il prete. L'amica aveva scoperto - non so da cosa - che dopo i salmi c'era sempre da recitare il Benedictus (ecco cosa significava quel preoccupante "AntAlBen"). Mi resi conto che non vedevo l'ora di svignarmela da lì il più presto possibile, e poco importa che la compagna di classe di mia sorella fosse una discreta gnoccolona: il disagio "religioso" era tale da mettere in secondo piano perfino il possibile progetto di fare manovre di avvicinamento alla tizia.

Il giorno successivo l'amica era in ritardo. Aspettai un interminabile minuto prima di dire a mia sorella che non valeva la pena restare, lei rispose di aspettare un altro minutino e poi di andar via. Il prete - indovinate? - era assente. Passò quel secondo minuto, uno dei più lunghi della mia vita, e senza dir nulla me ne andai a scuola, e non misi mai più piede in quella chiesa. Scoprii poi che il prof si era fatto vivo con un quarto d'ora di ritardo, chiedendo giulivo alle due presenti: le avete recitate le Lodi? siete solo voi due?

Il gruppo giovani naufragò miseramente per l'assenza del prete, per la mancanza di "sacro", per il ridicolo "armiamoci e partite", per la stupidità di rifilare una preghiera complessa come le Lodi in mano a ragazzi che a stento sapevano dire l'Ave Maria, per di più in una Chiesa che sembrava un garage atto solo a ospitare quei fastidiosissimi "topi di sacrestia".

mercoledì 7 gennaio 2015

Paternità selettiva

Ad uno studentello di filosofia uno dei vescovi più "intelligenti" d'Italia suggerisce scherzosamente ma non troppo (come sanno fare in genere tutti gli ecclesiastici) di non perdere tempo con le ragazze e di considerare il sacerdozio in diocesi, farci un pensierino "così, senza impegno", e però sapendo che ti tratterei come un re, continueresti gli studi, faresti pubblicazioni, ecc. L'aspirante filosofo però preferisce la fidanzatina, aristocratica come lui, benché il sacerdozio lo attragga (perbacco, la possibilità di distribuire lezioni e omelie, di frequentare grossi prelati per dovere d'ufficio, di essere ancora più ammanigliato con monsignori e professori...).

La notizia fu peggio di una randellata negli stinchi poiché conoscevo già lo studentello di fama e soprattutto perché conoscevo il donabbondiesco vescovo avendogli esposto il mio caso e tentato inutilmente di mendicare un aiutino.

Così come gli sposi borghesi esigono il figlio perfetto e sono disposti ad abortire quello che non rispetta il loro piano prestabilito, così Sua Eccellenza fece nell'arco di pochi mesi orecchie da mercante sul mio caso e il ruffiano nel caso del giovanottino filosofino (che poi si è regolarmente sposato).

Un vescovo dovrebbe piangere lacrime di gioia davanti al Santissimo qualora gli capitasse l'occasione di sostenere una vocazione inguaiata dalle piccinerie di altri ecclesiastici... e invece mette in azione la "paternità selettiva": non vuole i figli che gli dona Dio, vuole i figliastri che si costruisce da sé. È una forma di deliberata autocastrazione, la stessa di quegli sposi che abortiscono i figli che non rientrano nel programma.

sabato 3 gennaio 2015

Quando ti serve aiuto e invece ti ammanniscono banali consigli

Dietro calde raccomandazioni di persone fidate, finalmente mi accostai a questo Famoso Sacerdote per chiedergli se avesse cinque minuti da dedicare ad un seminarista nei guai. Aveva un incontro con i suoi ragazzi, era lì per entrare nella sala. Mi disse che al termine dell'incontro mi avrebbe parlato.

Riuscii ad avere la sua attenzione nonostante la ressa dei suoi ragazzi bramosi di parlargli. Fu probabilmente l'unica volta in vita mia in cui in qualità di seminarista in difficoltà ebbi la precedenza - sia pure avendo anche l'impressione che fu solo per un colpo di fortuna.

Gli dissi che in seminario ero malvisto dai formatori e che ero assolutamente certo che la cosa non dipendesse dalla mia fede, né dalla mia vocazione, né dalla mia dirittura morale. Aggiunsi che il vescovo era propenso ad ascoltare le ragioni dei miei formatori banalizzando le mie. Non sapevo quale risposta aspettarmi, sapevo solo che lui, Famoso Sacerdote, mi era stato indicato come uno che poteva capirmi benissimo, uno che in seminario aveva avuto i miei stessi guai, uno che poteva darmi la dritta giusta o almeno qualche prezioso aiuto, per quanto piccolo.

Le sue telegrafiche risposte furono di una banalità sconcertante. "Che si fa? si ubbidisce al vescovo, si ubbidisce ai formatori". Mille volte in vita mia mi sono sentito ripetere che la volontà dei superiori è la volontà di Dio, ma nemmeno una volta ho sentito precisare che la retta volontà dei superiori normalmente corrisponde alla volontà di Dio.

Non può essere "volontà di Dio" un superiore che per metterti nei guai mente, inganna, diffama, maligna alle tue spalle. Dio può tollerare il male in vista di un bene molto maggiore, non può istigare al male. Quando i superiori del seminario ostacolano qualcuno avendo a cuore tutt'altro che la fede, la vocazione e la vita morale, non stanno facendo la volontà di Dio ma il suo esatto contrario. Anche se hanno la faccia di palta di commentare sorridenti il brano del vangelo sul «più operai per la messe».

Il Famoso Sacerdote, caso raro, non aveva una faccia da seccato. Gli avevo chiesto cinque minuti e cinque me ne concesse, congedandomi senza tradire alcun fastidio. Gli avevo esposto il mio caso calibrando accuratamente le parole, senza polemica (che mi avrebbe fatto apparire come il solito seminaristuccio lamentoso, anche se fosse stata totalmente fondata, anche se lui conosceva benissimo l'aria che tira nei seminari), bilanciando i fatti con le astrazioni (cioè senza indondarlo di cronaca e senza diluviarlo di impressioni e di concetti).

Con uno sforzo titanico mi ripetei mentalmente le sue parole, a lungo, cercando di estrarne il meglio possibile. Ma l'umiliazione non era ancora completa. I cari e fidati amici che avevano tanto caldeggiato quel colloquio si divisero tra coloro che si sforzavano di dire che il Famoso Sacerdote mi aveva confermato ciò che c'era davvero da fare, e coloro che ebbero il coraggio di obiettare: tutto qui?

Ero infatti andato a chiedere aiuto, non ero andato a chiedergli un permesso di disubbidire.

E poi, disubbidire a cosa? Quando i superiori del seminario tentano ogni trabocchetto per metterti nei guai, ogni mezza verità, ogni inganno, quando quelle stesse mani che mi amministravano ogni giorno l'Eucarestia firmano nero su bianco falsità e insinuazioni su di me, a cosa dovrei mai ipotizzare di "disubbidire"?

"Tu va' avanti per la tua strada, ubbidendo sempre", mi dice l'amico che ha più di tutti incoraggiato il colloquio tra me e il Famoso Sacerdote. Gli faccio presente - lottando con me stesso per non perdere la pazienza - che io sono nei guai proprio perché ho "ubbidito sempre", proattivamente, anticipando volentieri tutto ciò che poteva far piacere ai superiori: ma quando hanno deciso di farti fuori non c'è ubbidienza che tenga. Al punto da inventarsi leggi retroattive per farmi risultare disubbidiente e ribelle.

Da allora ho accuratamente evitato ogni altro incontro col Famoso Sacerdote. Non che fosse mai stato facilissimo avere il privilegio di parlargli.

Nei suoi panni io avrei risposto: spazza via tutte le ultime speranze e comincia subito a preparare i bagagli per cambiare ambiente, ti mando in un'altra comunità, un'altro seminario, una società di vita apostolica, un qualcosa di diverso, perché tu stesso hai già capito che coi superiori che hanno deliberato di essere ostili con te fino alla fine e col vescovo che ha già deciso di preferire loro a te, non hai speranza.

Oppure avrei risposto: ti manderei in un'altra comunità, un altro seminario, ecc., ma non conosco nessuno, e in coscienza non me la sento di mandarti al buio su una strada sconosciuta.

Queste sono le uniche due risposte oneste che poteva darmi. Da uomo a uomo, cioè da ministro di Dio preoccupato per gli operai della messe, a possibile futuro operaio.

I preti pigri - spiritualmente pigri, materialmente pigri, intellettualmente pigri - usano esattamente questa tattica: ti ascoltano e ti danno come Solenne Consiglio Definitivo una frase fatta, se non una trita banalità. Il che può andar bene coi tanti furbetti che vanno a chiedere una scusa per disubbidire o una scusa per andare contro la castità, ma è devastante se usata contro chi viene a mendicare vero aiuto.

Anche la più vera e adeguata espressione del Vangelo diventa un parolame vuoto e fastidioso se adoperata per mettere a tacere chi mendica aiuto. Quando hai un tremendo mal di testa, hai bisogno della cura, non di omelie sulla pace nel mondo, ancor meno sulle statistiche sull'emicrania, e ancor meno sulla bontà dell'aspirina. Hai bisogno dell'aspirina e basta: e se proprio uno non è in grado di fornirtela, allora che ti indichi una farmacia aperta, senza fare discorsi sul sopportare, sull'ubbidire.

Invece, come nella parabola del Vangelo, ci sarà bisogno del Buon Samaritano, perché farisei e sacerdoti sanno dispensare solo banalità. Perfino il Vangelo, uscendo dalle loro bocche, diventa una summa di banalità. Se hai mal di testa, ti occorre un'aspirina, non una predica sugli evangelici effetti dell'aspirina.

A distanza di tempo da quell'episodio ancora contemplo la possibilità di aver imbroccato uno dei casi rari della vita del Famoso Sacerdote, in cui ha preferito liquidare uno scocciatore piuttosto che farsi in quattro. La contemplo come possibilità perché anch'io in vita mia, a volte per equivoco, altre volte per pigrizia, altre volte per nervosismo, non sono stato caritatevole col prossimo. Ma ancor oggi la mia certezza è che quel Famoso Sacerdote, nonostante tutto il bene che ha fatto ai giovani e alla Chiesa, prima di accedere alla vita eterna avrà da scontare a prezzo salatissimo quell'episodio in cui si è comportato come il levita piuttosto che come il samaritano.

venerdì 2 gennaio 2015

Guardando il dito

C'è un proverbio che dice che quando il saggio indica la Luna lo stolto guarda il dito. Questo proverbio si applica bene nel mondo clericale dove, per cattiva disposizione, si guarda sempre il dito e mai la Luna.

Episodio.

Una volta ero da sua eccellenza reverendissima il vescovo. Mi parlò della nefasta relazione di fine anno che i superiori del seminario avevano scritto su di me. Dopo tanta pazienza cerco di far presente che ci sono non soltanto delle "inesattezze" dovute al fatto che "forse non è stata scritta serenamente" (eufemismo per dire che avevano tanto odio in corpo da sputar fiamme da tutti gli orifizi).

Il vescovo, anziché chiedermi i motivi della mia affermazione, mi dà una lezione di politically correctness, anzi, del clerically correct, perché il mettere in dubbio la presunta "serenità" dei superiori gli sembrava molto grave. "Inesattezze", poi! Accusa pesantissima! Gli rispondo tentando di spiegargli che l'ironia è un modo per sintetizzare senza annoiare, e che fin da piccolo sono stato educato più con l'ironia che con le punizioni corporali. Il vescovo non risponde e va avanti a leggere la vaccata successiva. "E questa?" mi chiede. Avrei dovuto dirgli che se non si capisce ciò che c'è scritto, non è un problema originato da me. Ma mi mordo la lingua e piuttosto gli rispondo (tentando di non ironizzare) che anche quella è nel migliore dei casi frutto di un equivoco e che glielo posso spiegare. Ovviamente neppure stavolta mi ascolta: taglia corto dicendo che non so apprezzare niente.

Alla fine, trionfante, legge che sono stato visto in tarda serata a pregare in cappella in ginocchio. Dato che la relazione conteneva questo punto non negativo (e sfido io!) mi guarda con un ghigno come per dirmi: non è come dicevi tu, non sono "tutti" punti negativi, dunque non è vero che hanno un pregiudizio contro di te (il che, in lingua episcopalese, significa che la relazione sarebbe "equilibrata" e "credibile").

A quel punto, sperando che cogliesse il senso, resto in silenzio e volgo pazientemente lo sguardo altrove.

Dopo qualche istante, intestarditosi nel suo pregiudizio che io abbia un pregiudizio contro i superiori (e senza capire che quei soggetti tutto l'anno mi sorridevano e a fine anno mi scrivevano una relazione perfida), mi congeda.

Molte delle perfidie clericali dipendono dall'ossessione pilatesca di lavarsene le mani.

Il vescovo è incapace di stabilire se una vocazione è accettabile per il sacerdozio? Demanda la verifica a un istituto "competente", il seminario, e alla fine del percorso si fida non di ciò che vede ma di ciò che legge. Burocratizzazione della fede.

In seminario ci sono dei preti si ritrovano a vagliare vocazioni sulla pura base delle personalissime simpatie. Nessuno di loro pagherà mai le conseguenze di ciò che scrive nelle relazioni. E se pure il sacerdote affonda negli scandali pochissimo tempo dopo l'ordinazione, i vecchi formatori che tanto lo avevano elogiato si scherniscono: "eppure qui era sempre andato così bene..."

Eh, già. Era sempre puntualissimo alle prove di canto. Sempre in prima fila nell'incontro ecumenico. Sempre pronto a darsi da fare con gli addobbi natalizi. E poi non era attaccato alle cose preconciliari (come il rosario, la talare, il latino, l'apologetica...). "Anche noi formatori siamo stupiti che abbia deciso di lasciare il sacerdozio".

Questo è il dramma dei vescovi di oggi: hanno ridotto la verifica delle vocazioni ad un affare burocratico. I "verificatori" producono una serie di cartacce che saranno lo scripta manent capace di azzerare qualsiasi buonsenso passato, presente e futuro. Come tutti i burocrati, non pagheranno mai per i loro errori: possono perciò prendersi tutte le libertà di devastazione concesse dal clerically correct: sociologismi, psicologismi, teologismi da baraccone con una spruzzatina di correctness, e soprattutto dar sfogo all'omosessualismo latente.

giovedì 1 gennaio 2015

Il gesuitismo conferma un altro neodogma

"Il Papa divinamente ispirato ha appena detto: l’ONU deve combattere il riscaldamento globale. Nel 2015, andrà ad un importante convegno sul global warming a Parigi, convocherà un vertice mondiale delle religioni (gliel’aveva suggerito Shimon Peres: una ONU delle religioni), e obbligherà il miliardo e passa di cattolici del mondo a creder al dogma del riscaldamento globale.
Obama ha appena detto: «Il mondo ascolti il Papa». Vedrete come vanno d’accordo quei due, nel 2015."

[M. Blondet 31 dicembre 2014]