mercoledì 18 maggio 2016

La leggenda del primo Seminario Tradizionale in Italia

Pochi giorni dopo la promulgazione del motu proprio di liberalizzazione della Messa tradizionale in latino (7 luglio 2007), in un forum on-line ebbi modo di fare un po' di ironia sulle infervoratissime conversazioni di seminaristi che vidi improvvisamente cominciare a parlare il dialetto di Gricigliano in salsa d'Ecône.

Ecco qui sotto il testo, di fantasia, ma costruito sulle loro stesse affermazioni e insinuazioni (e capi d'abbigliamento).

Insomma, era stato appena creato un nuovo "Seminario Tradizionale in Italia".

Al primo pomeriggio libero, prendo il treno, e dopo soli centotrentanove chilometri arrivo lì da loro.

Fuori sembrava il solito palazzone ottocentesco, ma dentro... dentro era qualcosa che avrebbe fatto passare per modernista perfino il braccio destro di Lefebvre!

C'erano oltre centoventi giovani tradizionali di tutta Italia, e qualcuno anche dall'estero (entrato qui prima che aprissero un "Seminario Tradizionale" dalle sue parti).

Ad eccezione dei computer in biblioteca (comunque con modding tradizionale), sembrava che il mondo si fosse fermato agli anni Cinquanta... anzi, no, al Ventennio... ma, no, che dico! agli anni di san Pio X papa!

Ero ancora stonato e eccitato da quel tripudio di talari e fasce che svolazzavano tra atri e corridoi, da quelle conversazioni in latino che si udivano in ogni dove, che mi ferma uno dei seminaristi - con le scarpe con fibbia - e mi chiede se ho bisogno di aiuto.

Gli rispondo di sì, e gli dico che sono un giovane appassionato della liturgia tradizionale e che vorrebbe entrare in questo "Seminario Tradizionale in Italia", in modo che una volta prete possa tornare nella parrocchia sotto casa a celebrare in latino e in barba al vescovo.

Lui mi dice che c'è una vasta gamma di opzioni disponibili, dall'entrare per diventare rettore di questo stesso "Seminario Tradizionale in Italia" fino al farsi prete con la liturgia tradizionale per poi scegliere la diocesi dove andare a celebrare in latino e in barba a tutti i vescovi, vicari, monsignori e altri scagnozzi di ogni ordine e grado.

Poi, mentre mi porta a fare un giretto turistico per le numerose sale e cappelle (tutte intitolate a santi papi antimodernisti, ma la più grande era intitolata a Lefebvre), mi racconta la storia di questo "Seminario Tradizionale in Italia".

Ad un tratto, si ferma, mi indica una porta e mi chiede: "hai mica bisogno della Sala Paolo VI ?" Lo guardo stupito: "i cessi, insomma!" Resto un po' perplesso perché pur detestando Paolo VI, mi sembra irriverente intitolargli i cessi. Gli dico di no, che non ne ho bisogno, e gli chiedo di continuare a raccontarmi del "Seminario Tradizionale in Italia".

Insomma, subito dopo l'uscita del Motu Proprio più famoso di tutta la storia della Chiesa, un sommo sacerdote antiprogressista e baldanzoso andò dal suo vescovo iper-progressista e burocrate e, con la delicatezza come un rottweiler appena uscito da un terribile digiuno, gli dice: "Eccellenza, vengo a comunicarle la mia decisione: apro un Seminario Tradizionale in Italia!". E il vescovo, atterrito e impotente: "nooo!!!"

In poco tempo, grazie ad un messaggio su un forum (lo stesso che avevo letto io), centoventi giovani accorrono a farsi formare in questo nuovo "Seminario Tradizionale in Italia", in un tripudio di talari svolazzanti (proibito toglierle perfino quando ci si dovesse alzare in piena notte per un attacco di diarrea) dove si studiano solo il latino, la liturgia, e i discorsi di Lefebvre, e i corridoi sono tappezzati di documenti ecclesiastici di tutti gli ultimi papi con nome "Pio" (compreso un probabilmente apocrifo documento sulla decenza che imponeva la copertura delle gambe dei tavoli almeno fin sotto il ginocchio), invettive antimoderniste di ogni genere, e naturalmente foto di monsignor Lefebvre (con piccola speranzosa didascalia: "in attesa che ti tolgano quella terribile scomunica").

Passando accanto alla sala prove di canto, ascolto alcune eccellentissime esecuzioni di gregoriano, che quasi mi meraviglio di come abbiano in così poco tempo imparato i giovani. Non parlo poi della pregiatissima sartoria dove i seminaristi imparano taglio e cucito di talari e paramenti liturgici, zeppe di svolazzi, pizzi e merletti da far sembrare zingaro anche l'inventore del barocco. La cucina è curatissima, perché la mens sana deve stare in corpore satollo: e per districarsi tra le ottantuno forchette e i diciotto bicchieri, c'è perfino una squadra di contesse di nobiltà certificata che danno lezioni di galateo tardo-ottocentesco.

Questo nuovo "Seminario Tradizionale in Italia" è veramente una grande invenzione. Basta che uno abbia l'uzzolo preconciliare, e può correre qui a godersi la vita, più comodamente che in un albergo sulla riviera. La burocrazia clericale può mugugnare, ma non tenterà mica di fermarci!

lunedì 16 maggio 2016

«Ma tu non potevi...?»

Solgenitzin dedica lunghe pagine del suo capolavoro Arcipelago GULag a rispondere alle domande dei faciloni: ma tu non potevi resistere? ma tu non potevi denunciare? ma tu non potevi opporti in qualche modo? ma tu non potevi coinvolgere altri come te? ma tu non potevi ricorrere alla giustizia internazionale?

No.
Semplicemente non potevo. Non potevamo. Nessuno di noi poteva, né può, né mai potrà.

Chi fa quelle domande è abituato alla giustizia dei telefilm, dove puntualmente entro la fine della puntata se il cattivo di questa settimana non si ravvede più convintamente di Zaccheo allora azzecca la meritata figuraccia di fronte al mondo, finisce in galera sommerso dal disprezzo degli onesti, o crepa di morte atroce.

Chi entra in un seminario o in una congregazione religiosa, solitamente impara a proprie spese che la risposta a qualsiasi domanda «ma tu non potevi...?» è sempre la stessa: «no, non potevo».

I vescovi e i formatori possono liberamente dimettere chi vogliono e quando vogliono, poiché il sacerdozio non è un diritto e il vescovo non ha l'obbligo di ordinare chiunque sembri vocato.
Questo però significa che i vescovi e i formatori possono anche sbagliare le proprie valutazioni e portare al sacerdozio candidati inadatti mentre lo negano a vocazioni sincere, per motivi che nulla hanno a che fare con la retta fede e coi requisiti stabiliti dalla Chiesa. È già storicamente accaduto di veder abortire vocazioni, e perciò sappiamo Nostro Signore cosa ne pensa:
Giovanni prese la parola dicendo: "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci".

Ma Gesù gli rispose: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi".

(Lc 9, 49-50)
Fermo restando che l'inettitudine e la cattiveria non sono ugualmente distribuite, il tipico formatore che abortisce una vocazione è come se avesse detto: "Ho visto un tale chiamato nel tuo nome al sacerdozio, ma gliel'ho impedito, perché non è della mia cricca, non mi sembra della mia pasta, non mi va a genio".

Ingiustizie plateali, contro le quali non si può far nulla. E no, non si può scrivere al cardinale, no, nemmeno al Vaticano, neppure al Papa, no, nessun tribunale ecclesiastico accetterà di riesaminare il caso: se l'ordinario ha detto di no, è no - inutile lamentarsi, ed ancor più inutile tentare di far notare le ingiuste ragioni di quel "no".

Ed è ancor peggio lamentarsene in pubblico, sulla stampa, negli ascoltatissimi tribunali laici, perché i formatori non sono persone abituate a riconoscere i propri errori (comprensibile: potrebbe costar loro la carriera), tanto meno dopo aver azzeccato meritate figuracce. E se anche venissero costretti a rivedere le proprie ingiuste decisioni, troveranno modo di vendicarsi a costo di dannarsi l'anima non una ma settanta volte sette.

Il sacerdozio non è un diritto. Chiarito fino alla nausea che non si può attribuire alla malvagità ciò che è spiegabile con la stupidità, se i tuoi formatori non ti reputano adatto per un qualsiasi cretinissimo motivo - come gli Apostoli citati dall'evangelista Luca -, non puoi far ricorso. E anche se per assurdo tu riuscissi a far ricorso, lo perderesti di sicuro perché nella gerarchia nessuno vorrà creare il precedente utilizzabile contro di loro da un vero e proprio popolo di ingiustamente allontanati.

In teoria - cioè sulla carta, ed eventualmente nei discorsi e nelle omelie - il seminarista viene vagliato, indirizzato, educato. In qualche documento ufficiale si dice perfino che è il caso di riconoscere e promuovere i suoi talenti. Ma nulla è previsto contro le decisioni ingiuste di coloro che abortiscono vocazioni.

In pratica, il percorso di formazione verso la professione perpetua o verso il sacerdozio consistono in una interminabile corsa ad ostacoli in cui occorre soddisfare le più turpi aspettative dei formatori: sostanzialmente, essere un clown programmabile a piacere da questi ultimi, essere sufficientemente scemi da farli sentire intelligenti, saggi e perspicaci, essere effeminati quanto basta per non far notare ai fedeli le ricchionate dei formatori e dei superiori...

E no, neppure la più santa ubbidienza può convincerli che sei adatto al sacerdozio. Una volta che ti hanno schedato come inadatto, la tua permanenza in comunità è puro sadomasochismo.

Perciò, se vesti bene, sei un vanitoso.

Se hai il telefonino, sei uno che col corpo è dentro ma con la testa è fuori dalla casa di formazione.

Se hai una laurea, devi necessariamente essere uno che disprezza il lavoro manuale - cioè uno a cui rifilare continuamente le più inutili incombenze manuali, con l'incessante scopo di umiliarti tenendoti perennemente indaffarato.

Se nel tempo libero leggi qualche saggio storico, teologico, apologetico, perfino scritti dei santi, insomma qualsiasi cosa che non rientri nell'elenco delle ricchionate da sagrestia, sei uno che sta facendo "auto-formazione", cioè che sta disprezzando e vanificando la (piatta, ipocrita e insipida) vita comunitaria del seminario e gli (scialbi, logorroici, inutili se non addirittura eretici) studi della facoltà teologica. (e se leggi il Catechismo avranno ugualmente da ridire: "invece di studiar teologia...")

Se hai un qualsiasi interesse o hobby che non riguardi l'attività di sagrestia, anche se ti sei solo limitato a parlarne, sei uno che ama perdere tempo e che perciò va inserito in attività manuali o "pastorali" - cioè estenuanti perdite di tempo.

Se preghi fuori dagli orari previsti e non sei iperattivo in quelli comunitari, allora sei uno che ha una spiritualità troppo solitaria e troppo poco comunitaria, da invitare ad andarsene al più presto a cercarsi un eremo di stiliti.

Se al di fuori della comunità hai amicizie femminili, allora sotto sotto fai sesso con loro. Se invece hai amicizie maschili, allora sei frocio e sotto sotto fai sesso con loro. Se passi in famiglia più tempo del minimo indispensabile allora sei un mammone pantofolone pigiamone incapace di crescere. Se a tavola mangi un filino più della media dei tuoi commilitoni, sei un famelico ingordo che sta temporaneamente compensando qualche vizio represso pronto a scatenarsi.

Se studi più del minimo indispensabile (oppure se consegui voti alti studiando meno della media) allora sei uno che vuole emergere troppo, un superbo che vuol farsi notare, un illuso sfaccendato che anziché dedicarsi alla pastorale vuol fare il professore.

Se fai minimamente notare agli altri (o peggio al docente) che qualche affermazione teologica è ambigua o eretica, allora sei un superbo che crede di sapere già tutto e che vuole mettersi in cattedra per proclamare le proprie opinioni. "Sei solo uno studente, credi di essere già un teologo migliore di lui?"

Se a tavola o nella saletta comunitaria hai qualcosa da raccontare che non riguardi le sagrestie, il gossip su vescovi e cardinali, le attività chiesastiche, allora sei uno che ha vissuto troppo nel mondo e che avrà chissà quali scheletri nell'armadio.

Se prima di entrare in noviziato lavoravi, allora hai sicuramente molti soldi nascosti e sei indubitabilmente un inguaribile tirchio che non vuole donare ai confratelli qualcosa di nuovo ogni giorno (dal caffè al bar ai biglietti del bus alle fotocopie degli appunti).

Se non incensi continuamente tutti i superiori e tutti i confratelli (per esempio se con qualcuno di loro ti limiti al saluto perché non avete proprio niente da condividere), allora sei inadatto al sacerdozio o alla professione solenne perché sei di carattere chiuso, esclusivista e selettivo.

Se ti rifiuti di assecondare gli abusi liturgici (per esempio se ti tiri indietro, durante la Messa, quando il superiore celebrante vuole farti distribuire la Comunione quando non sei ancora accolito) allora sei disubbidiente, poco docile, e con troppi scrupoli, inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Se su una qualsiasi questione hai delle tue opinioni non allineate al buonismo di sagrestia, oppure se non sfumi ogni frase con sciami di ambiguità politicamente e clericalmente corrette, allora sei incapace di dialogo e inadatto alla pastorale, cioè inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Questa lista è grandemente incompleta, ma penso che almeno un po' renda l'idea delle forche caudine che un novizio deve attraversare non per un mese, non per un anno, ma per sei, otto, nove, anche dieci anni prima di raggiungere l'agognata méta.

In tutto questo tempo «non potevi», non puoi, non potrai. Dovrai accogliere con un sorrisino ipocrita ogni ingiustizia, ogni sferzata, ogni crudeltà, anzi, con vivace e convinto entusiasmo, perché non c'è niente di più godurioso per un formatore che il frustrare le oneste speranze di un formando.

È un sistema in cui l'unica forma di difesa è l'appiattirsi, l'auto-lobotomizzarsi, il diventare un robot programmabile e prevedibile. Un sistema che promuove al sacerdozio solo coloro che risultano completamente piallati e ricostruiti: cioè al punto che diresti sinceramente e onestamente che le osservazioni di cui sopra, quando non sarebbero false, sarebbero almeno un pochino esagerate.

E no, non vale l'obiezione secondo cui da me non è mai successo, perché eri tu che non te ne sei accorto, eri tu che tutto ubbidiente ti sei tappato occhi e orecchie, persino in buona fede, perché se tu avessi aperto bocca per dire da uomo a uomo cos'è che non va, non avresti trovato un colloquio diretto e franco, tanto meno avresti ottenuto risultati. Sfido qualunque seminarista a verificare onestamente qualcuno dei punti sopracitati. E per gli amanti del brivido, provare a chiedere l'indicibile, come ad esempio la Messa tridentina, l'allestire un gruppo di studio sul Catechismo tridentino o quello di san Pio X, o perfino una cosa semplice come il sostituire una ricchionata di canto liturgico con un canto dottrinalmente ineccepibile.

Fermo restando che tante volte la cretinaggine ha lo stesso aspetto della malizia, i formatori, oggi, sono la peggior caricatura di come venivano descritti nei libercoli devozionali seicenteschi: viscidi, vendicativi, fiscali, invidiosi di chiunque sia un pelino migliore di loro in qualunque aspetto, pronti alle più sfacciate ed elaborate menzogne pur di azzerare chi non va loro a genio, e contemporaneamente - per quei soggetti di cui sono innamorati: cioè per il loro "figliuolo prediletto" - più affettuosi, garantisti, prodighi, del più scriteriato padre intento a viziare i figli.

Un formatore onesto inevitabilmente soccombe al sistema, perché tutti gli altri formatori sono di quella pasta, e si accaniranno contro di lui con la stessa foga (e gli stessi sorrisini ipocriti) con cui si accaniscono contro i seminaristi che non rientrano alla perfezione nello stampo delle loro aspettative.

Ed il vescovo o il provinciale generale, o se ne infischiano oppure tacciono, perché la formazione al sacerdozio è un marciume fin dalle fondamenta, perché fatto in modo da non sfornare mai un prete che non sia disposto a compromessi in materia di sacramenti, di dottrina, di governo delle anime.

E no, tu non potevi, perché il solo accennare lontanamente a questo stato di cose ti fa prendere l'ineluttabile etichetta di lamentoso, ideologizzato e sovversivo.

domenica 15 maggio 2016

Pulizie, altre pulizie e sovrintendenti sovrintenditori

Il superiore costringe noialtri a lavare fuori perché evidentemente si sente sporco dentro.

Episodio 1. Io e l'altro novizio facciamo una fatica bestiale per lavare la cappella (il paggetto, godendo di perenne immunità, si era inventato qualcos'altro da fare, di molto più comodo). Qualche ora dopo il superiore ci viene a dire che "ci sono macchie, occorre fare un'altra passata". Macchie che vede solo lui. Non è la prima volta. Risultato: dopo averci fatto lavare tre volte la cappella tra sabato e domenica (una quarta volta seguirà il martedì successivo), ancora ci raccomanda lo straccio, ancora trova sporcizia. Dice che se lo facesse lui ci metterebbe "quattro o cinque minuti" soltanto, e che però lui deve "sovrintendere" e non può mica "fare tutto" (avrà da "sovrintendere" anzitutto i 165 amici del suo profilo Facebook).

Episodio 2: nell'annnciarci che si assenterà per 24 ore ci dice, scandendo bene le parole: "mi raccomando, le pulizie in corridoio domani mattina e le scale e una passata di straccio in cappella". Un prete normale avrebbe al più raccomandato puntualità nella preghiera. Lui invece raccomanda solo le pulizie, programmandocele in modo che noi non si abbia un minuto libero neanche durante la sua assenza. Al ritorno, la prima cosa che chiede ancor prima di salutare è: "pulito il corridoio? ora vado a vedere". Non è l'eccezione: è la regola, è successo sempre così. Sabato scorso ha detto con finta aria scherzosa (di come sapevano scherzare gli apparatchik del KGB): "c'erano delle macchie sulle scale: ma le avete lavate o no?" e noi ancora non si capiva se fosse o meno un modo per chiederci se avevamo lavato o se le avesse "viste" davvero.

Lavare, pulire, spolverare, rilavare, ripulire, spostare mobili e masserizie di qua e di là, riportarli di qua e riportarli di là, contrordine, riportarli di là e dare una spazzata, lavare, passare il mocio, una spolverate... Pulire la chiesa (di martedì, anche se sarà utilizzata solo domenica: sabato ci chiederà di nuovo di ripulire perché "c'è polvere"). Pulire il corridoio (l'enorme corridoio e sue diramazioni: per gran parte non utilizzato): ogni sabato mattina il sacro intoccabile rito della pulizia di corridoi e scale anche se già puliti. Testuali parole: "ho messo una fogliolina secca ed è rimasta lì: quindi voi non avete proprio spazzato sotto le finestre!". Ogni volta trova qualcosa che non va, sistematicamente, per cui o ci fa ripassare o ci fa lavare di nuovo.

I turni di servizio ci sono stati assegnati "perché bisogna lavorare insieme" (per esempio lavare il pavimento della cucina ogni volta che si lavano i piatti: litri di Lysoform e candeggina a pulire ciò che non è sporco). Gli faccio presente che dovremmo fare prima le cose necessarie, che rispondono a qualche necessità: inutile lavare dove è già pulito solo per mantener piena la griglia dei turni (lavare certi locali tutti i giorni significa che saranno sempre sporchi, perché "tanto oggi qualcuno laverà"). Ma lui insiste che le cose si devono fare "esattamente" come dice lui. E dato che l'efebo paggetto ha sempre via libera per svignarsela (il malato immaginario, ma il superiore gli crede ciecamente) e dato che il superiore è sempre in giro a "supervisionare" qualcosa, finiamo sempre per lavorare noialtri novizi.

No, non è uno di quei beceri filmetti anticattolici. È solo una comunità con un superiore gay.

E no, denunciare è inutile, e ti costa la carriera.

sabato 14 maggio 2016

Il paggetto del superiore

Eravamo due novizi e un aspirante. Quest'ultimo era il paggetto preferito del superiore della casa.

Il paggetto era un ragazzetto ignorante e psicolabile. Il superiore avvertiva un penchant irresistibile per questo suo Figliuolo Prediletto, ai limiti della pederastia.

Pareva di vivere un film surreale. Il Prediletto ha da cominciare l'anno propedeutico prima degli studi teologici. Gasatissimo, viene a mostrarci la cartella con l'abbecedario, penne, quaderni, e perfino la banconota da dieci euro: il superiore lo aveva dotato di tutti i comfort, come Geppetto con Pinocchio. Perfino la banconota da dieci euro per una colazione al bar.

Un film surreale. Il 21 marzo il Paggetto Prediletto deposita davanti alla camera del superiore un pacchetto di cioccolatini, con bigliettino che recita "Padre questo è X S. Giuseppe [sic], scusate sè poco [sic], sperando che un giorno mi accetterete come figlio. Auguri". [sic]

Un film surreale. A pranzo il superiore nega al Prediletto il permesso di... accompagnare fino a casa una parrocchiana che aveva il polso ingessato. "Ma io faccio un'opera di carità", obietta l'efebo. "Sì, ma quella non è carità" replica delicato e sorridente il superiore. "Ma tanto io lo faccio per il Signore", soggiunge seccato il paggetto. "Ma c'è modo e modo di fare opere di carità", insiste delicato e gioviale il superiore. "Ma uffa, io ho bisogno di una mammina" insiste il paggetto. Non gli bastano suo padre e sua madre (che cominciano a ciondolare un po' troppo spesso negli spazi di questa casa), non gli basta la sua famiglia, non gli basta il "padre mio" superiore a cui aveva regalato i cioccolatini: ora vuole pure una "mammina".

Un film surreale. Una signora in chiesa va a domandare al superiore: "i foglietti della messa non ci sono?" Il superiore automaticamente si volta verso di me e ripete con voce stridula: "i foglietti della messa non ci sono?"

Un film surreale. Mercoledì delle ceneri, giorno di digiuno, ricco di sottintesi (come tra ragazzine dispettose e isteriche), che mi fa supporre che il superiore e il Figliuolo Prediletto si siano organizzati da soli per mangiare, senza avvisare nessuno (come al solito). A ora di pranzo non vedendo nessuno in giro cucino un po' di pasta, presumendo che i superstiti - cioè io e un confratello - ne mangeremo a pranzo e a sera, senza secondo, senza pane, senza altro (digiuno, no?). Mi ritrovo a pranzare da solo. Metto in frigo la pasta avanzata. Ma a sera il Figliuolo Prediletto s'infuria: non trova più la pasta che aveva visto in frigo. Il giorno dopo, a tavola, inveirà contro "l'ingordizia" (sic), sottintendendo che solo lui e il superiore avevano ottemperato all'obbligo del digiuno (che consiste evidentemente nel mangiare senza farsi notare).

Un film surreale. In sacrestia, il superiore chiede al suo paggetto (con un vocione tale che si sente anche in chiesa): "ma hanno pulito?" Si riferiva a noialtri. Lo ha chiesto al paggetto, come se quest'ultimo fosse il kapò incaricato di controllare i furbi che tentano di farla franca. Nessuno aveva tentato di farla franca: era già pulito, ma chi è sporco dentro vede sporcizia dappertutto.

Un film surreale. Il superiore ammette candidamente di essere diffidente (tranne quando si tratta del suo Prediletto): "io la fiducia la do ma bisogna conquistarsela".

Un film surreale. È Pasqua, e le celebrazioni ci hanno prostrato, finalmente è ora di pranzo. Stando alla tabella dei turni tocca al Paggetto lavare i piatti. Il Paggetto si agita di qua e di là per dire che sono troppi piatti da lavare, e sgattaiola via. Restiamo io e un altro a lavare, col superiore che compare ogni trenta secondi per controllare che nessuno la faccia franca. Fino alle cinque del pomeriggio, ogni volta che stiamo per finire, la voce sempre più stridula del superiore ci annuncia altre cose da fare, per lo più con i verbi all'infinito. "Asciugare e separare". "Spazzare". "Il secchio". "Metti in un panno, va bene anche della carta". "Lavare". "Vieni, che c'è da lavorare". "Alle cinque e mezza in cappella per il vespro".

Un film surreale. Siamo a cena. Il superiore è al telefono con un suo amichetto prete. "Te lo passo", dice con voce gioviale, e passa il cellulare al Paggetto. Il quale al telefono dice: "ciao... no, sto seduto su una sedia... no, la sedia è piatta... la sedia è piatta, non ci sono punte..." Quale può essere stata la domanda alla quale la risposta è "no, sto seduto su una sedia e non ci sono punte"? (al termine della telefonata il superiore si lamenterà che è durata ben dieci minuti -orrore e spreco!- e si lamenterà che a tavola non c'è stato dialogo tra noi novizi e che l'unico dialogo c'è stato nella telefonata).

Un film surreale, col superiore in preda all'isteria. "Ma insomma! Non sono un gatto, che cos'è questa roba? Non voglio mangiare come un gatto! Prendete un piatto, su, su!"

Un film surreale. Ci sono quattro camere con bagno, più quattro camere senza bagno, più l'appartamentino interno (due camere più bagno). Provate ad indovinare. Esatto: l'efebo paggetto ha una camera con bagno, noialtri (incluso il superiore) abbiamo camere senza bagno. Le altre camere con bagno sono per gli "ospiti" (mai usate per gli ospiti; anzi, negli unici due casi abbiamo utilizzato camere senza bagno) e l'appartamentino è per quel sacerdote anziano che da anni non abita più qui. Da mesi ci viene annunciato che una delle camere con bagno dovrà diventare "ufficio del prefetto di sacrestia" (qualunque cosa significhi, visto che la sacrestia resta lontana ottantasei scalini e centosedici metri). Il "prefetto di sacrestia" sarà ovviamente il paggetto.

Un film surreale, con la solita voce isterica. "Ma insomma! Per la colazione ci vogliono dieci minuti! Voi non date abbastanza, dovete dare molto di più! Vuol dire che dovrò diventare autoritario!"

(continua...)

mercoledì 4 maggio 2016

Il delirio della sedicente Chiesa conciliare

La Chiesa conciliare.

Una chiesa alquanto “strana”, con sacerdoti “strani”.

Perché questi sacerdoti si scateneranno contro di voi al solo menzionare la Messa tridentina, la Messa di sempre. Non vi spiegheranno i motivi di tale viscerale ritrosia verso di Essa, non vi spiegheranno il perché di tale reazione sproporzionata. Non lo faranno... semplicemente perché la odiano, la detestano. Così come detestano tutti coloro che si rifanno al cosiddetto Vetus Ordo, tutti coloro che intendono rimanere ancorati alla Tradizione. Una Tradizione che impone loro, consacrati sacerdoti, di essere ciò che dovrebbero essere...(ma forse meglio dire) ciò che non vogliono (più) essere. Dirlo apertamente suonerebbe come un capo d'accusa: ma come, un sacerdote che cova odio nel cuore? Invece è proprio così e per di più si tratta di un odio assai profondo che si trasforma fino all'avversione più veemente e spietata nei confronti di coloro che non si sono resi falsi e traditori come loro.

Parlano di misericordia, di umiltà... ma il loro comportamento denota una cinica malvagità e una brutale mancanza di scrupoli morali. Sentimenti che covano nel cuore, dentro l'animo, cercando di celare questa interiore schiavitù demoniaca agli occhi della gente e dei fedeli. Il demonio si scatena a contatto con l'acqua santa, allo stesso modo questi “strani” sacerdoti al solo nominare la Messa tridentina. In tal caso ogni resistenza è vana e l'odio fuoriesce in tutta la sua evidenza.

Si rimane di stucco nell'assistervi. Eppure vi diranno anche che il clero di oggi, grazie al Concilio Vaticano II, è migliore di quello di ieri e la società, grazie ad esso, è migliorata... Siamo al delirio!
[padre Elia]