venerdì 4 settembre 2020

Quelle cose che piacciono solo a te...

«Doni molto tempo alle cose che piacciono a te, solo perché piacciono a te.»

Così mi disse il sodomita superiore della comunità introducendo lo squallido elenco di accuse fumose e campate in aria.

Uno stronzo non ti accuserà mai di qualcosa di preciso, perché lo stronzo non intende darti la possibilità di dire "hai ragione" oppure "hai torto e te lo dimostro". Lo stronzo è stronzo per definizione: non sta facendo un processo, sta solo sparando una sentenza già scritta; non sta traendo conclusioni da un ragionamento ma da cose che non si possono nominare perché tramate nell'ombra; non sta spiegando le sue intenzioni ma solo calpestando la tua anima cercando di fare più male possibile.

Quel tipo di accusa sulle cose che "piacciono" è calibrata in modo da sembrare accettabile a chi ne sentisse parlare. Se l'accusato la racconta a qualcuno, si sentirà dire, istintivamente, "ma dai, non puoi mica fare solo le cose che ti piacciono, in fondo in fondo ha ragione". Tu cerchi di far notare che il "donare molto tempo" non equivale ad un'accusa esclusiva e omnicomprensiva, e la pigrizia mentale di chi ascolta lavorerà contro di te, perché le parole di quell'accusa sono calibrate molto accuratamente, sono  generiche quanto basta.

È questa la perfida arte dei preti venduti al demonio: la gran lavata di mani. Un'accusa generica, non circostanziata, ma espressa in maniera fumosa, in modo che l'interlocutore (l'imputato) avverta scrupoli di coscienza, avverta quell'istintivo chiedere perdono per le proprie mancanze di cui al momento non saprebbe nemmeno rendere conto (dovendole frettolosamente cercare tra i ricordi, prenderà come importanti anche le cose del tutto secondarie), quell'istintivo sottomettersi al superiore "che ha sempre ragione in quanto è il superiore" (sottinteso: avendo sempre ragione, avrebbe ragione ad accusarti anche quando l'accusa è estremamente generica, fumosa, priva di contorni e di circostanze e di argomenti). È una cosa perfida perché è come dire: ti dichiaro colpevole, ora dimmi quali sono i punti su cui sei colpevole, sii convincente altrimenti sei reticente. Roba che neanche i nazisti.

Ma analizziamo la perfida accusa parola per parola.

«Doni». Non ha detto "dedicare", men che meno "dare": ha detto "donare". Se avesse detto "dedichi" o "dai", avrebbe dovuto dare uno straccio di spiegazione. Quando e come hai dedicato? Quanto e cosa hai dato? Invece no: "doni". Si può forse chiedere quando e come hai "donato" il tuo tempo? No, perché "donare" è molto più aleatorio e nebbioso: sembrerebbe troppo aggressivo il ribattere "e quand'è che avrei donato?" rispetto al "quand'è che avrei dedicato?". Il superiore ti accusa di un fumoso e imprecisabile "donare". È un genere di perfidia molto ben collaudato fra i modernisti (coloro che son scesi a compromessi con la menzogna). Lo stronzo, per diventare superiore, ne avrà dovuti leccare di piedi e di ani, e quindi ha adeguato il suo linguaggio a quello dei suoi superiori che lo massacravano allo stesso modo. Un kapò clericale, che ha timore non del giudizio divino, ma del perdere un briciolo di potere e di privilegi.

«Doni molto tempo». La particolarità di questa generica accusa è nel fatto che ti piove addosso a sorpresa. Non ci sono state avvisaglie. Non ti è mai stato detto "oggi hai donato molto tempo alla faccenda X, e ciò non va bene perché Y e Z". No: tutto ti piove addosso all'improvviso, quando è già troppo tardi per te per qualsiasi  correzione: "doni molto tempo", senza spiegare quali sarebbero le X, le Y e le Z. Vieni caricato tu, l'imputato, dell'onere di dimostrare le accuse (e sei tenuto a dimostrare che sono vere e fondate, altrimenti stai nascondendo qualcosa), proprio come nella più feroce tradizione del terrore staliniano.

«Molto tempo». Quanto? Che percentuale? Perché? Inutile farsi domande. Il superiore è padrone del tuo tempo, cioè sei uno schiavo. Se hai anche solo un minuto libero, il superiore decide a cosa lo devi dedicare. In una normale comunità religiosa, il superiore mette becco riguardo al tuo tempo libero solo se lo usi per peccare. Al normale superiore interessa la tua crescita spirituale (sia perché ha una responsabilità davanti a Dio nei tuoi riguardi, sia perché la tua personale crescita spirituale contribuisce indirettamente ma concretamente alla crescita di quella della comunità). Ma un superiore autoritario non ti vede come un figlio a cui incoraggiare e favorire la crescita. Ti vede come schiavo. Non hai tempo libero, perché lui decide dei tuoi impegni personali e comunitari e decide anche del tuo tempo libero fuori dagli impegni. Basta un po' di questo autoritarismo, e vedrete in cappella gente che finge di meditare con la Bibbia in mano, mentre in realtà sta mentalmente divagando da un'ora. Ogni tanto si ricorda di girare una pagina della Bibbia, per fingere (davanti all'occhiuto superiore e ai suoi lacché in cerca di qualcuno da denunciargli) interesse e attenzione alla Bibbia. La patetica scenetta - di controllori e fingitori, tutti seduti in semicerchio - avviene lì in cappella, davanti al Santissimo, perché il superiore ha deciso che voialtri non eseguite bene l'intera ora di meditazione, e perciò vi sequestra e trattiene in cappella e sotto sotto controlla continuamente le vostre facce, i vostri sguardi, le vostre mani, la vostra postura, e il libro (approvato da lui) che avete in mano, per accertarsi che stiate meditando per i sessanta minuti prescritti dal regolamento. Il primo ineluttabile risultato di ogni superiore autoritario è di far diventare ipocriti anche coloro che non lo erano.

«Doni molto tempo alle cose che piacciono a te». Non ha detto e non dirà mai quali sarebbero tali "cose". Ciò che non va bene di quelle cose è che ti "piacciono" (cioè il fatto che lui è convinto che ti piacciano). Stiamo forse parlando di pornografia e alcolismo? O almeno del fumare e dei videogiochi? O quantomeno del fare servizi (personali o comunitari) che non erano né urgenti né necessari? Niente di tutto questo. L'autoritario superiore esige che tu faccia cose che non ti devono piacere affatto, e perciò se fai qualcosa che secondo lui ti piace, te la deve far pagare. Devi farti piacere solo le cose che piacciono al superiore. Se si sente sporco dentro, devi star sempre a far pulizie - s'intende: nei locali suoi e nei locali comuni che usa anche lui. Se ha la mania delle piante, devi curare ossessivamente quegli stupidi steli rinsecchiti (guai se non fioriscono spettacolarmente). Se ha la mania del ciclismo...

«...alle cose che piacciono a te, solo perché piacciono a te.» Qui si vede la perfida pennellata del perfido artista: "piacciono a te" è non solo il capo d'imputazione ma anche l'aggravante del reato e il movente. Il sottinteso è che se qualcosa ti piace, piace "solo" a te, cioè dispiace a tutti gli altri, soprattutto al superiore. Come osi dispiacere il superiore? "La voce del superiore è la voce di Dio", ti ripetono i superiori autoritari (quelli autorevoli non hanno mai la minima necessità di dirtelo). Se il superiore improvvisamente e senza preavviso si sente dispiaciuto stai dispiacendo a Dio, dunque per non dispiacere a Dio devi assolutamente piacere al superiore autoritario secondo ogni sua più minuscola paturnia.

Infine, ecco qualche episodio in cui hai fatto cose che ti "piacciono".

martedì 1 settembre 2020

Dir Messa e confessare? Macché...

Il mio ideale di sacerdozio è andato assottigliandosi col passare degli anni di così detta "formazione". Alla fine della quale, quando dovettero letteralmente inventarsi scuse per abortirmi, il mio "programma" sacerdotale era divenuto semplicissimo: dir Messa, e confessare. Lasciatemi dir Messa e confessare, non chiedo altro. Ma no. Volevano un prete, mica un sacerdote. Avevano bisogno di uno capace di "dialogo" ("capace" secondo i loro  bizzarri e mutevoli obiettivi), uno che costruisse "ponti anziché muri" (qualsiasi bizzarria loro decidano che ciò significhi), uno che stesse sempre "in mezzo alla gente" (un intrattenitore, un clown). E quand'anche nominavano "uomo di preghiera", intendevano un pensoso scrutatore di oscuri versetti biblici, districantesi fra ebraico e greco, che notoriamente suonano proprio affini alle traduzioni in lingua parlata del breviario (quelle "invocazioni", quella specie di "preghiera dei fedeli", quei "due salmi e un cantico" ammorbiditi alla bisogna, cosicché già in seminario ci si poteva vantare: "ah, io il breviario lo dico già, quei 7-8 minuti mentre faccio la cacca"), e che non conducesse a nient'altro che fumose prediche.

Quando sono stato sbattuto fuori, quell'ideale si è precisato: dir Messa tridentina, e confessare. Perché nel frattempo avevo capito che solo una fede svirilizzata ha bisogno di una liturgia svirilizzata: una liturgia costruita sul modello di Domenica In, col presentatore bonaccione che si rivolge agli spettatori che diventano protagonisti, col momentino cultural-biblico e la predichetta buonista, col darsi da fare a spostare aggeggi e a vomitare paroloni nel microfono, con gli aristocratici di parrocchia che infilano con annoiata fretta le mani nel Tabernacolo per "dare la Comunione"... Se volevate non farmi detestare la liturgia moderna, sarebbe stato sufficiente seguire il Messale o almeno frenare i peggiori personalismi. E invece no: il tipico pretino postconciliare è fondamentalmente alla mercè del laicato autoimpegnato e dei neo-dogmi non scritti. A meno che il pretino non sia più arrogante e cerebroleso e sostanzialmente eretico di tale laicato.

Ci vuole una specialissima "vocazione" (in senso negativo) per essere parroco oggi. Riunioni su riunioni, predichette preconfezionate, sorrisetti ipocriti, lisciare clero e laici e vescovo ognuno secondo il verso del pelo... Quel "dir Messa" consiste nel mantenere l'orario di un servizio pubblico di predica melensa, e quel "confessare" consiste nella mezz'oretta alle 15 del mercoledì (qualcuno invero è disponibile più spesso, ma ugualmente considera la confessione come l'impartirti una predica personalizzata prima di impartirti l'assoluzione, una sorta di seduta psicanalitica fai-da-te). Questi preti sono tali di mestiere, chiusi nel loro micromondo di televisione e voci di corridoio curiale, ed infatti peccano statisticamente più contro l'ubbidienza che contro la povertà, e più contro la povertà che contro la castità. Ubbidiscono solo ad un fumoso potere precostituito, di eminenze grigie che comandano ciò che vuole il Nemico. Prima che finisse febbraio 2020 erano già in sciopero dei sacramenti e lockdown di chiese, zelanti nell'ubbidire al Nemico, zelanti nel disubbidire alla santa Chiesa (cioè quella che "pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle") e al suo divin Fondatore.

Il paradosso è che se quelle merdacce dotate di sacramento dell'ordine avessero accettato di ordinarmi al sacerdozio dopo avermi tanto torchiato, può darsi che avrei ceduto e sarei stato uno di quelli che per una vita intera continuano a subire l'andazzo. Può darsi che sarei sceso a compromessi, che mi sarei ripeuto fino alla nausea che non posso dispiacere al vescovo, non posso inimicarmi la curia, non posso illudermi di essere Davide contro Golia, e quindi anch'io avrei collaborato a non pascere il gregge quando arriva la ben pianificata stangata della pandemia. Perfino i sovietici, capacissimi di coltivarsi degli anticomunisti che estremizzano e banalizzano l'anticomunismo, avevano un piano perfetto per gestire il fenomeno Solženicyn ma sfuggì loro di mano perché avevano torchiato più del massimo tollerabile. Per un acino di sale persero la minestra.