sabato 20 giugno 2015

Un'altra di quelle battutine che mi costarono la carriera

Eravamo i soliti nove nel solito furgoncino, diretti alla facoltà teologica. Per diversi minuti il seminarista neocatecumenale ci aveva arringati dicendo che i suicidi non vanno all'inferno (non è che credesse all'esistenza dell'inferno, che secondo lui, se proprio esiste, contiene al più Hitler e qualche carceriere di Auschwitz: gli interessava solo esibire un po' di parlantina "teologica" durante il noioso viaggio mattutino).

All'uscita della galleria concluse la propria omelia centellinando argutamente le parole: "insomma, i suicidi non vanno all'inferno".

Ci furono alcuni lunghissimi secondi di silenzio, rotti solo dal frastuono del traffico. Nessuno aveva intenzione di entrare nel campo minato: o gli si facevano i complimenti, oppure ci si accollava il pesante onere del dimostrare gli errori del giovinotto nei pochi minuti rimasti prima di giungere alla facoltà. Da cui il marcato e prolungato silenzio.

Ad un certo punto riaprii uno degli occhi - mi ero quasi appisolato - e ruppi quel silenzio rispondendogli in dialetto e con un tono di voce stentoreo che sorprese perfino me: gli dissi: «Armà... spàrati».

Quella che seguì fu la risata generale più ciclopica dell'anno, che proseguì fino alla facoltà teologica, e in aula a lezione iniziata ancora si rideva - e si raccontavano sottovoce l'episodio. L'unico a non ridere era ovviamente quello che aveva tentato di togliere dall'inferno la categoria dei suicidi.

Alcuni giorni dopo il vescovo intavolò col sottoscritto, privatamente, un discorso sulla cura pastorale nei casi di suicidio (oh, pura e semplice coincidenza, eh?). Mi interrogò chiedendomi cosa dovrebbe fare un parroco per il funerale di un suicida. Preso alla sprovvista, gli risposi che col permesso del vescovo si poteva celebrare il funerale: "Sì", mi confermò, però bisogna avere la delicatezza pastorale... cura pastorale... organizzazione pastorale... sensibilità pastorale...

Fu il suo modo di sgridarmi per la battuta fatta qualche giorno prima. Pur avendo pienamente ragione, avevo "peccato" evidentemente contro l'Unità Pastorale del Clero e dei Possibili Futuri Candidati all'Ordine Sacro. Avevo "peccato" dando una risposta sintetica e precisa, laddove il Dialogo esige posizioni perennemente sfumate e che non facciano mai sentire dalla parte del torto l'interlocutore (anche quando quest'ultimo dice una vaccata stellare). Avevo "peccato" ricordando la dottrina tradizionale della Chiesa e - peccatone dei peccatoni - avevo adoperato l'ironia contro un chierico.

domenica 7 giugno 2015

Sciatterie pretesche

Ho letto la triste notizia della fèrula riparata con nastro isolante.

Per tutti gli anni del seminario ho combattuto per la dignità dei preti (nella maggior parte delle occasioni è stato di nascosto: ricucendo, stirando, ripulendo, riordinando...) dovendo spesso richiamarli addirittura alla decenza perché i soggetti in questione erano davvero convinti che "prete" dovesse significare "sciatto" (come se la mitica 'gggente si sentisse "vicina" alla Chiesa solo in presenza di preti con l'aria di profughi alluvionati).

In una scala da 0 a 100, dove 0 è "totalmente sciatto", 70 è "ragionevolmente dignitoso" e 100 era "adeguato", era già una grande vittoria riportarli da 10 a 30 o 40.

Ora, dal soglio pontificio, si esibisce in mondovisione una riparazione da bifolco frettoloso, proprio sulla ferula. Nemmeno stavolta sarà una coincidenza.

Con questo pontificato la sobrietà passa dunque da oggetto di irrisione a fastidio da eliminare. Anche gli sciattoni potranno gridare: "ma noi facciamo come il Papa".