domenica 12 dicembre 2021

Quello che han fatto a me, a chissà quanti altri l'han fatto...

Stamattina a Messa riflettevo su quanto la narrativa di regime di questi ultimi due anni abbia fatto affidamento sulla Deep Church e sui neochierici della neochiesa (che infatti si è distinta per aver zelantemente banalizzato Messa e sacramenti, reso obbligatoria la Comunione "sulle mani", ridotto le chiese a sale operatorie che puzzano più di Amuchina che di cera e incenso, ridotto il sacerdozio ad animazione parrocchie e passacarte curiali, alcuni chierici spintisi con foga a menzionare le vaccinazioni come più importanti dei sacramenti).

Mi tornavano scalpitanti in mente episodi in cui sarebbe bastato un singolo gesto positivo a ribaltare le loro malefatte. Il Summorum Pontificum ci lascerà un giudizio positivo di Benedetto XVI nonostante le sue tante debolezze. E allora anche qui, in queste terre desolate e disperate, la storia di nefandezze dei don Abbondio nostrani poteva essere ridimensionata da un singolo gesto come ad esempio ordinare il sottoscritto al sacerdozio, tanto più alla luce dell'aver ordinato prima e dopo di lui emerite capre (che hanno costantemente prodotto puntualissimi frutti caprini) e che un prete in più, anche dal loro sgangherato punto di vista, non avrebbe cambiato gli equilibri a cui tanto tenevano. Ci avrebbero persino guadagnato mia ulteriore fiducia e ubbidienza perché avrei ingenuamente creduto di vedere definitivamente la luce in fondo al tunnel. Fonti insospettabili li avevano anche avvisati - come lo stesso sacerdote che celebrava stamattina, mai stato parroco in vita sua, mai avuto incarichi "pastorali" - che se uno è buono a dir Messa va ordinato e basta, perché l'ordinazione riguarda il sacerdozio, non l'incarico curiale; si ordinano preti, non parroci, si garantiscono anzitutti gli insostituibili sacramenti, il resto si organizza dopo.

Mi avrebbero dovuto ordinare insieme a quelli del mio anno, che sapevano benissimo che la vocazione ce l'avevo non meno di loro, che sapevano benissimo che si stava commettendo un'ingiustizia nei miei confronti, e che avrebbero visto un bel lieto fine a una brutta storia ed avrebbero alzato l'asticella della propria già molto elevata soglia di miopia sulle ingiustizie che si irradiavano potenti e frequenti da episcopio e curia. E però, come al solito, di fronte all'ingiustizia i primi a fuggire con la coda fra le gambe sono proprio quelli che hanno avuto un pelo di vita comoda - e cioè i pretastri e gli aspiranti tali. Ricordo il freddo di quella mattina d'inverno in cui mi presentai a una celebrazione diocesana (istituzione ministeri) a cui non ero stato invitato. Erano riusciti a non invitarmi, a passarsi la notizia fra di loro (notizia pubblica a cui - come consueto - era stata data massima pubblicità). Perfino i compagni di corso, persino quelli del primo anno, tutti sapevano che ero il reietto che sarebbe stato espulso a momenti, e furono infatti sorpresi di vedermi lì insieme a loro. Tentai blandamente di scambiare due chiacchiere con tizio o con caio, ma fu poco più che un buongiorno e buonasera, bocche cucite che neanche fossero sotto tiro dalla Cekà. Il soviet della curia aveva deciso di qualificarmi non-persona, e loro istantaneamente ligi al soviet - e timorosi di scandalose delazioni, pugnalate alle spalle dalla Ghepeù curiale, fucilazioni sul posto - fingevano di non vedermi e di non sentirmi. Il peggio delle persone vien fuori ironicamente quando passano davanti al Santissimo Sacramento - e loro, davanti al Santissimo e pronti alla Comunione, ostentavano tutta la freddezza d'ufficio che esigeva il soviet clericale.

Ed immaginatemi con talare e cotta insieme a loro ai lati del presbiterio che fingono di non notarmi, sotto quel tagliente freddo umido di una cattedrale che ha visto molte piogge in pochi giorni, a marcar presenza ("servizio liturgico", lo chiamavano) in quel gruppo che tutti si erano sempre affannati a rendere più folto possibile e che adesso conteneva una presenza scomodissima, con seminaristi che si erano lanciati come gazzelle in fuga per prendere posto non vicino a me. Preti e seminaristi che fingevano di non vedermi, rettore del seminario e vescovo (entrambi con la coscienza più sporca di tutti per quanto riguarda il sottoscritto) che si fingevano indaffarati come sempre, e al termine tutti a scappare ognuno in tutte le direzioni pur di non passare accanto all'appestato non-persona. Forse la conversazione più articolata che ebbi fu qualcuno che colto di sorpresa mi domandò sorpreso se fossi stato invitato, al quale ebbi modo di replicare qualcosa tipo: ma ti pare che un'occasione come questa non si invitano tutti? Quando ho detto che questa neochiesa abortisce i suoi figli (a cominciare dalle sue vocazioni), facevo eco anche di quel giorno.

Un non-persona, così il soviet aveva deciso. Il burattinaio dietro le quinte ci teneva a che il corpo sociale della Chiesa (cioè la sua personale opinione riguardo all'idea comune dei fedeli) avesse preminenza sul Corpo di Cristo in nome del quale mendicavo il sacerdozio. Avevano paura che da prete portassi la - horresco referens! - veste talare. Che ogni tanto tirassi fuori il latino. Che mi sfuggisse qualche battutina sarcastica sui loro idoletti del momento. Che mollassi un pizzico di sarcasmo sul fatto che nella vera Chiesa non c'è posto per l'omosessualismo militante. Il mio destino di reietto era stato segnato fin dal giorno zero, da quando un prete parlò di me al vescovo, e il prete in questione - essendo perennemente in talare - non era in good standing: pertanto nemmeno il nuovo candidato doveva esserlo. Marchiato a vita, carne da Gulag, proprio come il reato di parente di controrivoluzionario trotskista in epoca staliniana. Il vescovo, distrattamente, gli aveva persino detto che c'erano ancora due o tre settimane per iscrivermi al seminario maggiore. Poi si rimangiò la parola data forse il giorno stesso (avrà preso ordini dal burattinaio?) imponendomi un anno propedeutico, che doveva essere il trucco (e il modo e il tempo) per convincermi a mollare la presa. Con qualcun altro dei candidati presentati dal not in good standing il trucco aveva già funzionato. Con me ci volle molto più tempo, e tentarono anno per anno, giorno per giorno, senza stancarsi: non mollai neppure alla fine, fu il vescovo stesso a doversi inventare il latinorum necessario a dimettermi, lui, su quella maledetta sedia a dieci metri a linea d'aria dal Santissimo Sacramento, a prendersi tutta la gravissima responsabilità che ora starà pagando con tutti gli interessi, scacciandomi come l'ultimo degli appestati senza nemmeno saper suggerire cosa fare dopo, lui che prima e dopo di me ha ordinato al sacerdozio soggetti inadattissimi.

La mia sola ordinazione sarebbe bastata a smuovere diverse anime che hanno lasciato questo mondo nei pochi anni successivi (e chissà quante altre incontrate lungo il percorso, nonostante i miei possibili limiti). Un parente sacerdote, un amico sacerdote, è qualcosa che non puoi fingere di non aver notato, specialmente quando ti dice - magari anche una sola volta, magari anche durante un brevissimo scambio di battute salaci - che è bene confessarsi ("non da me, ma da chi ti fidi di più, e frequentemente, da subito"). Anime che son partite probabilmente senza sacramenti, il che mi brucia peggio di una lama infuocata, perché la mia sola esistenza come prete avrebbe contribuito ad indurre quelle anime a pensare un minutino in più alla salvezza. Un ex seminarista non vale. Ci vuole un prete.

Ma no, proprio loro che credevano di sopperire alla mancanza di vocazioni aumentando organizzazione e burocrazia (e durata della formazione), avevano il terrore che avrei celebrato in latino. Che avrei celebrato Messa come atto sacerdotale di culto a Dio anziché come festicciuola animata dai parrocchiardi. Avevano il terrore che al vedermi in talare la gente avrebbe pensato che non tutti i preti sono uguali. Avevano paura che avrei chiamato le cose col loro nome. Che avrei preferito l'Ave Maria al Padre Nostro (guai ad instillare devozione mariana nei bambini! l'elisir genico-sperimentale di "lunga vita" sì, la devozione mariana assolutamente no!) e che avrei parlato di quanto è importante fare frequentemente una buona confessione. Temevano che avrei trasmesso cose della fede anziché cose della parrocchia. Crepavano dal terrore che avrei scoperto definitivamente la liturgia tridentina e avrei tratto le inevitabili conclusioni. Temevano che avrei liquidato con una battutaccia simpatica i furbacchioni che volevano ridurre la Chiesa a un palcoscenico del teatrino della sagra paesana - specialmente i pretuncoli fissati con teatralità e ricchionate. E così i tre marmittoni - vescovo, rettore e parroco dell'ultimo anno -, in ossequiosa ubbidienza al burattinaio, dissero ognuno di non poter non tenere conto degli altri due pareri negativi.

E così oggi si passano di vescovo in vescovo la rognosa eredità di una Chiesa Locale ridotta ad un cadavere tiepido. Anche dopo il Grande Periodo dei Saldi le nuove leve sacerdotali sono di qualità quantomeno discutibile, il perenne problema della Scarsità Numerica si accentua, l'età media anno per anno aumenta a grandi passi, i preti ultraottantenni sono ancora in servizio, le parrocchie - già brutte esteticamente - sono territorio delle bande di laici clericalizzati e protestanti. Hanno abortito il sottoscritto (e tanti altri meno resilienti di me) riuscendo a portare avanti (siamo a buon punto) l'eutanasia della neochiesa conciliare, proni alle nuove divinità vaccinali.