lunedì 17 ottobre 2016

Quegli esercizi consigliati ma proibiti

Una volta, da seminarista, mi ero iscritto a una settimana di esercizi spirituali per il mese di agosto, una di quelle robe in formato vacanziere anziché contenitore di prediche e asfissianti procedure liturgiche; mi ero iscritto anzitutto per la certezza che nessuno della mia diocesi sarebbe stato lì. L'occasione era stata una di quelle rarissime volte in cui il rettore del seminario ci aveva suggerito di cercarci autonomamente una "esperienza estiva" in aggiunta a quelle che ci programmava la diocesi, e una settimana di esercizi in montagna sarebbe stata considerata "esperienza estiva" senza eccessivi controlli clericostalinisti.

Condivisi la camera con un giovane carmelitano in procinto di lasciare l'ordine e di passare a una diocesi. Un buon uomo, cosciente della sua vocazione, ma coi nervi a pezzi perché si sentiva defraudato dal suo stesso ordine, che gli chiedeva per ubbidienza esattamente le cose che gli aveva vietato durante il noviziato, e viceversa.

A tavola era sempre un'allegra gazzarra, grazie al buon vino e all'arietta di montagna. Ero uno dei pochissimi seminaristi presenti, così socializzai con diversi preti. Sarebbe stata una settimana rinfrescante e rilassante, se non fosse stato per uno di loro, uno dei più anziani, che quando seppe che ero seminarista mi chiese stupito e preoccupato: e il vescovo ti lascia venire qui?

Era la domanda che avrei piuttosto dovuto farle io, gli risposi, non è che la diocesi va in crisi se un seminarista nel mese di agosto va a farsi una settimana fuori - un prete in vacanza, invece... Lui, però, senza cambiare espressione, mi disse che se un vescovo lascia andare così un seminarista, significa che ha già deciso di sbarazzarsene.

Restai senza parole, perché avevo capito che non scherzava, e soprattutto perché non era la prima volta che qualcuno che non conoscevo mi diceva, sulla base di poche informazioni su di me, che il vescovo era a caccia di scuse per dimettermi.

Non troppo tempo dopo ricevei quella famigerata telefonata del rettore del seminario che mi notificava che non avrei avuto l'avanzamento di carriera.

Nel corso degli anni ho scoperto che era esattamente come sapevo - i seminaristi non sono affatto "indispensabili" alla diocesi, sebbene rettori e formatori esigano che si diano da fare come forsennati in ogni momento, specialmente d'estate - e non per indurli a fuggire le tentazioni. Campi scuola, attività estive, animazione giochi parrocchia, e per di più spacciarsi per entusiasti e zelanti desiderosi di ricominciare daccapo come nel gioco dell'oca (o nelle fatiche di Sisifo). Quando all'inizio di un nuovo anno di seminario si era obbligati a "condividere" le esperienze fatte, ognuno elencava sotto lo sguardo falsamente sorridente (ma perfido scrutatore) del rettore le proprie operazioni estive.

E naturalmente il sottoscritto, pur avendo di che elencare (visto che il parroco era stato incaricato di farmi trottare come un mulo da soma), e pur avendo la capacità di imbastire tutto il ricamo (spacciando abbastanza credibilmente la processione del santo patrono come una roba da settimane di lavoro di "preparazione": ero credibile perché ognuno di loro sognava di farlo per settimane, di essere al centro dell'attenzione della parrocchia per intere settimane), il sottoscritto veniva guardato con sospetto e diffidenza perché oltre a dire cosa aveva fatto, aggiungeva blandamente anche cosa aveva imparato.

Quella carnevalata ipocrita, in quanto tale, è sempre stata del tutto inutile visto che una volta ordinati al sacerdozio l'entusiasmo e la parlantina dei novelli pretini ha sistematicamente un calo inesorabile, continuo, netto, fino all'arrendersi al tran-tran quotidiano, adeguando il proprio ministero pastorale al minimo sforzo possibile, e dandosi da fare su altri fronti: chi andandosene per centri di wellness, chi cercando ogni scusa per fare lunghi viaggi in macchina, chi cercando ogni occasione per mangiare senza freni... Il sacerdozio ridotto a un mestiere con le ore di "lavoro" comprimibili al minimo: il prete deve marcare la casellina del campo giovani? Lo indìce, delega a qualche collaboratore laico l'organizzazione, si fa vivo solo quando ha occasione di mangiare, di fare una predica o di celebrare l'inevitabile Messa tutta speciale. E che dire del pretino di famiglia campagnola che approfitta del tempo libero per darsi da fare nell'orto dei suoi familiari? "Braccia rubate all'agricoltura". E di quello che invece hanno dovuto portare in ospedale perché ufficialmente caduto dal ciclomotore? "Braccia rubate all'edilizia": tutto il paese sapeva che era caduto non dal ciclomotore, ma dall'impalcatura mentre aiutava suo fratello a dare una sistematina al loro solaio abusivo.

C'era un giovane prete, di quelli che ritenevo intelligenti e motivati, che mi confidò desolato che dopo sei mesi di omelie non aveva più nulla da dire. Poi, il rettore del seminario che lamentava la scarsa (eufemismo) fedeltà al breviario, specialmente da parte dei preti giovani. Quindi, un giovane parroco manifestamente stufo di celebrare i sacramenti (confessioni? no, tornate mercoledì; messa del Lunedì dell'Angelo? macché, la saltiamo, tanto sono sicuramente tutti in gita, ecc.) Quei giovani preti clamorosamente a corto di nozioni di catechismo, che però passano mesi a predicare sulla Spendibilità Evangelizzante o sulla Opzione Fondamentale (quest'ultima adoperata dal pretino in questione per sottintendere che lui non ha bisogno di confessarsi, tanto ha già opzionato per il bene anziché per il male...)

E così arriviamo al mio caso. Il rettore ha un profondo disprezzo per il sottoscritto seminarista, reo di essere attaccato a forme preconciliari (cioè alla consacrazione mi inginocchio, non disprezzo la preghiera in latino, non uso mai le mani per la Comunione...) o bigotte (cioè dopo l'Ammissione tra i Candidati agli Ordini Sacri, mi presentai alla successiva tornata di ordinazioni sacerdotali in camicia-clergy anziché in jeans e maglietta). Il sottoscritto seminarista era particolarmente disprezzabile in quanto faceva "auto-formazione", cioè leggeva libri cattolici che - in quanto tali - non erano autorizzati dal rettore, per il quale le uniche letture utili e necessarie erano quei libercoli editi a Bose, nella comunità fondata dallo pseudomonaco Bianchi. Il sottoscritto, infine, aveva avuto la faccia di bronzo di prendere sul serio un consiglio elargito distrattamente dal rettore, ed era andato a quella settimana di esercizi in montagna, senza curarsi troppo della scarsa diocesanità di tale gesto.

Bisogna fargliela pagare cara, avrà pensato il rettore. Non è docile, non fa dialogo, non vuole crescere nella spiritualità diocesana, non è abbastanza entusiasta delle già scarse esperienze pastorali estive. Ora gliela combino io, e poi appena ho tempo avviso anche il vescovo e gli dico di togliere di mezzo questo ragazzotto inutile e dannoso.

domenica 16 ottobre 2016

Pornografia per modernisti


Questa foto è vera e propria pornografia per modernisti - come quei miei superiori del seminario, dei quali ricordo ancor oggi le seriose omelie sul tema "chi sono io per giudicare?", l'ossessivo intercalare sul "dialogo" con la "gggente", cioè il "corpo sociale" di Cristo, l'insistenza (e soprattutto il controllo fiscale e persecutorio) sul "darsi da fare" per le attività più disparate... tutto, qualsiasi cosa, pur di cancellare l'essenziale del sacerdozio.