mercoledì 4 novembre 2020

Clap-Clap

I formatori dei seminari sono quella razza infame di preti che conoscono il metodo per azzerare una vocazione.

Mettiti nei panni di un seminarista. Sui vent'anni, nel pieno delle tue energie fisiche e mentali. Hai scommesso tutta la tua vita sul sacerdozio, sei convinto e straconvintissimo che quella è la tua strada, e hai perciò chiesto al vescovo di entrare in seminario affinché tale vocazione venga verificata, per accedere infine al sacerdozio.

Fin dal primo mese di seminario maggiore i formatori faranno di tutto per tenerti perennemente con la spia della riserva accesa: sulla pazienza, sul fisico, sulle energie mentali, e sopratutto sulle cose di fede. Ti faranno correre agli appuntamenti comunitari per poi farti aspettare. Ti imporranno di lavare ciò che è già pulito, di trascurare ciò che è già trascurato, di onorare ciò che non merita. Ti faranno pesare ogni minutino di giustificabilissimo ritardo. Ti faranno studiare una vergognosa catasta di cazzate che dimenticherai un attimo dopo aver concluso l'esame (salvo qualche espressione idiota da deridere o da temere), e della quale mai più rimpiangerai il ricordo. Ti obbligheranno a cantare, a velocità trascinata, come un ritardato stanco, calibrata esattamente sul punto più snervante, canzoncine imbecillissime. Considereranno ogni minuto che passi da solo come un poltrire. Considereranno ogni vicinanza con un computer come un possibile caso di pedopornografia. Considereranno ogni vicinanza con apparecchi telefonici come un'implicita ammissione di avere una fidanzata segreta o una dipendenza da mammà. Useranno i tuoi compagni di corso come delatori e kapò. Ti faranno invidiare le vecchie caserme. Ti faranno involontariamente capire che temono solo di essere presi in giro.

Episodio. Durante la Messa del seminario il gruppo cantori attacca con la patetica Acqua siamo noi, canzonetta scout che all'epoca, nelle parrocchie, scatenava il clap-clap dei ragazzini vestiti da cretini alla fine di ogni verso. "Acqua siamo noi..." cominciarono tutti. Le mani mi si drizzarono da sole. "...da un'antica sorgente veniamo": le mani spontaneamente diedero un timido clap-clap e realizzai di non essere allarmato ma ebbro. "Fiumi siamo noi..." Batto di nuovo le mani. Il numero di clap-clap si moltiplicò, almeno sette o otto commilitoni trovarono incontrollabile aggiungere il loro doppio battimani. "...se i ruscelli si mettono insieme": più di mezzo seminario aggiunse clap-clap. Il rettore che aveva celebrato Messa e che era ancora dietro l'altare (si sarebbe mosso solo quando il canto finale stesse per volgere al termine: non sia mai che i seminaristi ne cantassero anche una sola strofa in meno) a questo punto aveva già un'espressione furente e vendicativa (niente male per uno che ha appena gioiosamente celebrato i Santi Misteri).

martedì 6 ottobre 2020

Seppero mentire, ne godranno i frutti

La perfidia dei formatori di seminario e dei vescovi è particolarmente appuntita quando si tratta di metterti nei guai tenendotene all'oscuro fino all'ultimo momento. Lo scopo di tale tattica - che richiede spesso e volentieri profonde e articolate menzogne - è quello di non darti tempo di organizzare una difesa, sprando di far leva sul fatalismo di chi si vede piovere addosso qualcosa di apparentemente inesorabile.

Nel mio caso non avevano fatto i conti con la mia rapidità. Non una virtù, piuttosto un frutto dell'ansia. Il rettore del seminario mi chiama a tarda sera sul cellulare per dirmi che "per decisione del vescovo" non avrei ricevuto l'accolitato e che sia lui che il vescovo erano in partenza per nonsisadove per tre settimane di nonsisacosa e che comunque era tutto già stabilito e chiuso, non poteva immaginare che avrei chiamato il vescovo immediatamente per chiedere spiegazioni e che il vescovo avrebbe incautamente risposto al telefono. Chiesi subito al vescovo perché mai quella sua decisione, e il vescovo, cadendo dalle nuvole, disse che lui in questi ambiti si limitava a ratificare le decisioni prese dal rettore del seminario. Con estrema franchezza gli risposi che dato che lui e il rettore mi avevano presentato la cosa in modo completamente diverso, avremmo dovuto urgentemente vederci per parlarne. Preso alla sprovvista, il vescovo accettò di vedermi la mattina successiva alle nove e trenta, poche ore prima della sua presunta "partenza".

Il giorno dopo ovviamente non conclusi nulla. Il vescovo fu tutto un arrampicatore di specchi "abbiamo deciso insieme, queste cose si concordano tra il vescovo e il rettore lungo ampie riflessioni", e tutto il latinorum dei bugiardi che ritenne opportuno diluviarmi addosso per confondermi le idee e indurmi a subire e tacere. Conclusi dicendogli che mi fidavo di lui perché era vescovo, e che era profondamente imbarazzante sentire due versioni diverse e dover sospettare che uno dei due - vescovo o rettore - mi avesse non solo "parlato in modo non sufficienetmente chiaro" (non potevo dire esplicitamente "mentito", che quella è gente che si offende a morte) ma anche nascosto le cose. Sua eccellenza fece finta di niente e ripeté l'imbarazzantissima solfa delle decisioni prese in equipe, insieme, ascoltando e vagliando tutti i pareri, e bla-bla-bla-blatinorum.

Mi rendevo ben conto che così facendo stavo distruggendo la mia carriera, ma - sia pure nell'ansia del momento, del vedermi fregato a sorpresa da coloro a cui avevo ostinatamente dato fiducia nonostante le ripetute e puntuali bidonate (eh, l'ubbidienza) - avevo capito che non l'avrei spuntata neppure se fossi divenuto ipocrita come loro.

Col solito giochino di rimpalli di responsabilità e di lavamenti pilateschi di mani e di latinorum postconciliare, andò a finire che il vescovo diede a sé stesso un annetto supplementare di tempo per decidere, anno che avrei dovuto passare in... seminario. Sì, dopo aver completato il seminario dovevo farmi un ulteriore anno di seminario. Così, quando il rettore mi annunciò tale decisione, gli chiesi in cosa esattamente avesse mancanze la mia formazione. E giù un'altro diluvio di latinorum, mentre già mi ipotizzava un impegno settimanale consistente in tre giorni di seminario e tre giorni di parrocchia, come se stesse facendo mercato delle vacche per vedere fino a che punto ero disposto a cedere.

Nemmeno stavolta raccolsi la sfida e gli feci notare che se era così lesto a cambiare programma significava che non aveva le idee chiare. Naturalmente fa più presto un prete a trovare una scusa che una pantegana un pertugio, e dopo qualche altra settimana di rimpalli tra curia e seminario, tra latinorum e aria fritta, finirono per condannarmi ad un anno di servizio in parrocchia (bye-bye seminario) - presso il parroco più diffidente e borioso che avevano a disposizione - e senza stabilire altra data per le "decisioni" sul mio caso. Nel frattempo mi bloccarono la carriera (bye-bye accolitato). E si guardarono bene dall'invitarmi alle grandi occasioni (feste patronali, ordinazioni, ministeri laicali), a cui partecipai puntualmente per evitare ogni più piccolo appiglio di polemiche e perché non potevo permettermi di apparire come l'imboscato. Alla fine anche il parroco mi mentì - dicendomi che lui non avrebbe avuto "grossi problemi" a dare l'OK per la mia ordinazione ma che il suo parere non valeva nulla; e invece sia il vescovo che il rettore affermarono che non potevano non tener conto del parere negativo del parroco...

Era una specie di simonia di segno opposto, come se dicessero: costui l'ordinazione la meriterebbe ma le sue quotazioni nel borsino curiale sono bassine. "Non possiamo dirti di no, ma non vogliamo dirti di sì": si lamentano della scarsità delle vocazioni, e poi scacciano via quelle che non rientrano perfettamente nello stampino di moda del momento. Si lamentano che troppi preti lasciano il sacerdozio, mentre nel frattempo calpestano le rare vocazioni di chi è convinto dal primo all'ultimo giorno della sua chiamata. Si lamentano dell'improvviso cambiamento di attitudine (in peggio) dei preti freschi ordinati, e poi sono i primi a mentire alle vocazioni e farlo a due metri dal Santissimo Sacramento. Ora, certe porcate parrebbero persino legittime se occorre sbarazzarsi di un soggetto particolarmente pericoloso, che so, di un pedofilo riuscito a nascondere le prove. Ma mentire davanti a Cristo sacramentato? E per di più per scacciar via uno che ai loro occhi è ancor più schifoso e odioso di un pedofilo: un "preconciliare", uno che non considera automaticamente morta, sepolta, inutile e dannosa qualsiasi cosa sia etichettabile come "preconciliare".

Una Chiesa che abortisce i suoi figli non ha futuro. Se i preti preferiscono essere sterili, che crepino pure senza "prole" spirituale. Se vescovo e rettore sputano sulle vocazioni e mentono, che si preparino alla stangata delle conseguenze del loro operato. Se per loro anche la più vaga attitudine "preconciliare" è peggio della pedofilia, che si tengano i preti pedofili e tutte le altre serpi in seno, candidate a far loro compagnia tra le fiamme dell'inferno.

E una Chiesa che abortisce i suoi figli non poteva che essere una Chiesa che fa il lockdown preventivo.

venerdì 4 settembre 2020

Quelle cose che piacciono solo a te...

«Doni molto tempo alle cose che piacciono a te, solo perché piacciono a te.»

Così mi disse il sodomita superiore della comunità introducendo lo squallido elenco di accuse fumose e campate in aria.

Uno stronzo non ti accuserà mai di qualcosa di preciso, perché lo stronzo non intende darti la possibilità di dire "hai ragione" oppure "hai torto e te lo dimostro". Lo stronzo è stronzo per definizione: non sta facendo un processo, sta solo sparando una sentenza già scritta; non sta traendo conclusioni da un ragionamento ma da cose che non si possono nominare perché tramate nell'ombra; non sta spiegando le sue intenzioni ma solo calpestando la tua anima cercando di fare più male possibile.

Quel tipo di accusa sulle cose che "piacciono" è calibrata in modo da sembrare accettabile a chi ne sentisse parlare. Se l'accusato la racconta a qualcuno, si sentirà dire, istintivamente, "ma dai, non puoi mica fare solo le cose che ti piacciono, in fondo in fondo ha ragione". Tu cerchi di far notare che il "donare molto tempo" non equivale ad un'accusa esclusiva e omnicomprensiva, e la pigrizia mentale di chi ascolta lavorerà contro di te, perché le parole di quell'accusa sono calibrate molto accuratamente, sono  generiche quanto basta.

È questa la perfida arte dei preti venduti al demonio: la gran lavata di mani. Un'accusa generica, non circostanziata, ma espressa in maniera fumosa, in modo che l'interlocutore (l'imputato) avverta scrupoli di coscienza, avverta quell'istintivo chiedere perdono per le proprie mancanze di cui al momento non saprebbe nemmeno rendere conto (dovendole frettolosamente cercare tra i ricordi, prenderà come importanti anche le cose del tutto secondarie), quell'istintivo sottomettersi al superiore "che ha sempre ragione in quanto è il superiore" (sottinteso: avendo sempre ragione, avrebbe ragione ad accusarti anche quando l'accusa è estremamente generica, fumosa, priva di contorni e di circostanze e di argomenti). È una cosa perfida perché è come dire: ti dichiaro colpevole, ora dimmi quali sono i punti su cui sei colpevole, sii convincente altrimenti sei reticente. Roba che neanche i nazisti.

Ma analizziamo la perfida accusa parola per parola.

«Doni». Non ha detto "dedicare", men che meno "dare": ha detto "donare". Se avesse detto "dedichi" o "dai", avrebbe dovuto dare uno straccio di spiegazione. Quando e come hai dedicato? Quanto e cosa hai dato? Invece no: "doni". Si può forse chiedere quando e come hai "donato" il tuo tempo? No, perché "donare" è molto più aleatorio e nebbioso: sembrerebbe troppo aggressivo il ribattere "e quand'è che avrei donato?" rispetto al "quand'è che avrei dedicato?". Il superiore ti accusa di un fumoso e imprecisabile "donare". È un genere di perfidia molto ben collaudato fra i modernisti (coloro che son scesi a compromessi con la menzogna). Lo stronzo, per diventare superiore, ne avrà dovuti leccare di piedi e di ani, e quindi ha adeguato il suo linguaggio a quello dei suoi superiori che lo massacravano allo stesso modo. Un kapò clericale, che ha timore non del giudizio divino, ma del perdere un briciolo di potere e di privilegi.

«Doni molto tempo». La particolarità di questa generica accusa è nel fatto che ti piove addosso a sorpresa. Non ci sono state avvisaglie. Non ti è mai stato detto "oggi hai donato molto tempo alla faccenda X, e ciò non va bene perché Y e Z". No: tutto ti piove addosso all'improvviso, quando è già troppo tardi per te per qualsiasi  correzione: "doni molto tempo", senza spiegare quali sarebbero le X, le Y e le Z. Vieni caricato tu, l'imputato, dell'onere di dimostrare le accuse (e sei tenuto a dimostrare che sono vere e fondate, altrimenti stai nascondendo qualcosa), proprio come nella più feroce tradizione del terrore staliniano.

«Molto tempo». Quanto? Che percentuale? Perché? Inutile farsi domande. Il superiore è padrone del tuo tempo, cioè sei uno schiavo. Se hai anche solo un minuto libero, il superiore decide a cosa lo devi dedicare. In una normale comunità religiosa, il superiore mette becco riguardo al tuo tempo libero solo se lo usi per peccare. Al normale superiore interessa la tua crescita spirituale (sia perché ha una responsabilità davanti a Dio nei tuoi riguardi, sia perché la tua personale crescita spirituale contribuisce indirettamente ma concretamente alla crescita di quella della comunità). Ma un superiore autoritario non ti vede come un figlio a cui incoraggiare e favorire la crescita. Ti vede come schiavo. Non hai tempo libero, perché lui decide dei tuoi impegni personali e comunitari e decide anche del tuo tempo libero fuori dagli impegni. Basta un po' di questo autoritarismo, e vedrete in cappella gente che finge di meditare con la Bibbia in mano, mentre in realtà sta mentalmente divagando da un'ora. Ogni tanto si ricorda di girare una pagina della Bibbia, per fingere (davanti all'occhiuto superiore e ai suoi lacché in cerca di qualcuno da denunciargli) interesse e attenzione alla Bibbia. La patetica scenetta - di controllori e fingitori, tutti seduti in semicerchio - avviene lì in cappella, davanti al Santissimo, perché il superiore ha deciso che voialtri non eseguite bene l'intera ora di meditazione, e perciò vi sequestra e trattiene in cappella e sotto sotto controlla continuamente le vostre facce, i vostri sguardi, le vostre mani, la vostra postura, e il libro (approvato da lui) che avete in mano, per accertarsi che stiate meditando per i sessanta minuti prescritti dal regolamento. Il primo ineluttabile risultato di ogni superiore autoritario è di far diventare ipocriti anche coloro che non lo erano.

«Doni molto tempo alle cose che piacciono a te». Non ha detto e non dirà mai quali sarebbero tali "cose". Ciò che non va bene di quelle cose è che ti "piacciono" (cioè il fatto che lui è convinto che ti piacciano). Stiamo forse parlando di pornografia e alcolismo? O almeno del fumare e dei videogiochi? O quantomeno del fare servizi (personali o comunitari) che non erano né urgenti né necessari? Niente di tutto questo. L'autoritario superiore esige che tu faccia cose che non ti devono piacere affatto, e perciò se fai qualcosa che secondo lui ti piace, te la deve far pagare. Devi farti piacere solo le cose che piacciono al superiore. Se si sente sporco dentro, devi star sempre a far pulizie - s'intende: nei locali suoi e nei locali comuni che usa anche lui. Se ha la mania delle piante, devi curare ossessivamente quegli stupidi steli rinsecchiti (guai se non fioriscono spettacolarmente). Se ha la mania del ciclismo...

«...alle cose che piacciono a te, solo perché piacciono a te.» Qui si vede la perfida pennellata del perfido artista: "piacciono a te" è non solo il capo d'imputazione ma anche l'aggravante del reato e il movente. Il sottinteso è che se qualcosa ti piace, piace "solo" a te, cioè dispiace a tutti gli altri, soprattutto al superiore. Come osi dispiacere il superiore? "La voce del superiore è la voce di Dio", ti ripetono i superiori autoritari (quelli autorevoli non hanno mai la minima necessità di dirtelo). Se il superiore improvvisamente e senza preavviso si sente dispiaciuto stai dispiacendo a Dio, dunque per non dispiacere a Dio devi assolutamente piacere al superiore autoritario secondo ogni sua più minuscola paturnia.

Infine, ecco qualche episodio in cui hai fatto cose che ti "piacciono".

martedì 1 settembre 2020

Dir Messa e confessare? Macché...

Il mio ideale di sacerdozio è andato assottigliandosi col passare degli anni di così detta "formazione". Alla fine della quale, quando dovettero letteralmente inventarsi scuse per abortirmi, il mio "programma" sacerdotale era divenuto semplicissimo: dir Messa, e confessare. Lasciatemi dir Messa e confessare, non chiedo altro. Ma no. Volevano un prete, mica un sacerdote. Avevano bisogno di uno capace di "dialogo" ("capace" secondo i loro  bizzarri e mutevoli obiettivi), uno che costruisse "ponti anziché muri" (qualsiasi bizzarria loro decidano che ciò significhi), uno che stesse sempre "in mezzo alla gente" (un intrattenitore, un clown). E quand'anche nominavano "uomo di preghiera", intendevano un pensoso scrutatore di oscuri versetti biblici, districantesi fra ebraico e greco, che notoriamente suonano proprio affini alle traduzioni in lingua parlata del breviario (quelle "invocazioni", quella specie di "preghiera dei fedeli", quei "due salmi e un cantico" ammorbiditi alla bisogna, cosicché già in seminario ci si poteva vantare: "ah, io il breviario lo dico già, quei 7-8 minuti mentre faccio la cacca"), e che non conducesse a nient'altro che fumose prediche.

Quando sono stato sbattuto fuori, quell'ideale si è precisato: dir Messa tridentina, e confessare. Perché nel frattempo avevo capito che solo una fede svirilizzata ha bisogno di una liturgia svirilizzata: una liturgia costruita sul modello di Domenica In, col presentatore bonaccione che si rivolge agli spettatori che diventano protagonisti, col momentino cultural-biblico e la predichetta buonista, col darsi da fare a spostare aggeggi e a vomitare paroloni nel microfono, con gli aristocratici di parrocchia che infilano con annoiata fretta le mani nel Tabernacolo per "dare la Comunione"... Se volevate non farmi detestare la liturgia moderna, sarebbe stato sufficiente seguire il Messale o almeno frenare i peggiori personalismi. E invece no: il tipico pretino postconciliare è fondamentalmente alla mercè del laicato autoimpegnato e dei neo-dogmi non scritti. A meno che il pretino non sia più arrogante e cerebroleso e sostanzialmente eretico di tale laicato.

Ci vuole una specialissima "vocazione" (in senso negativo) per essere parroco oggi. Riunioni su riunioni, predichette preconfezionate, sorrisetti ipocriti, lisciare clero e laici e vescovo ognuno secondo il verso del pelo... Quel "dir Messa" consiste nel mantenere l'orario di un servizio pubblico di predica melensa, e quel "confessare" consiste nella mezz'oretta alle 15 del mercoledì (qualcuno invero è disponibile più spesso, ma ugualmente considera la confessione come l'impartirti una predica personalizzata prima di impartirti l'assoluzione, una sorta di seduta psicanalitica fai-da-te). Questi preti sono tali di mestiere, chiusi nel loro micromondo di televisione e voci di corridoio curiale, ed infatti peccano statisticamente più contro l'ubbidienza che contro la povertà, e più contro la povertà che contro la castità. Ubbidiscono solo ad un fumoso potere precostituito, di eminenze grigie che comandano ciò che vuole il Nemico. Prima che finisse febbraio 2020 erano già in sciopero dei sacramenti e lockdown di chiese, zelanti nell'ubbidire al Nemico, zelanti nel disubbidire alla santa Chiesa (cioè quella che "pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle") e al suo divin Fondatore.

Il paradosso è che se quelle merdacce dotate di sacramento dell'ordine avessero accettato di ordinarmi al sacerdozio dopo avermi tanto torchiato, può darsi che avrei ceduto e sarei stato uno di quelli che per una vita intera continuano a subire l'andazzo. Può darsi che sarei sceso a compromessi, che mi sarei ripeuto fino alla nausea che non posso dispiacere al vescovo, non posso inimicarmi la curia, non posso illudermi di essere Davide contro Golia, e quindi anch'io avrei collaborato a non pascere il gregge quando arriva la ben pianificata stangata della pandemia. Perfino i sovietici, capacissimi di coltivarsi degli anticomunisti che estremizzano e banalizzano l'anticomunismo, avevano un piano perfetto per gestire il fenomeno Solženicyn ma sfuggì loro di mano perché avevano torchiato più del massimo tollerabile. Per un acino di sale persero la minestra.

domenica 5 gennaio 2020

Babal

Come disse la duchessa Madame de Guermantes del conte Breuté-Consalvi detto Babal: “Babal uno snob? Ma è tutto il contrario, caro amico! Detesta le persone brillanti!”

Infatti quando la duchessa Oriane (progressista) invitava musicisti, pittori, grandi medici, “Babal” si rifiutava di andare al ricevimento: questi borghesucci, con le loro chiacchiere e nozioni, disturbavano la conversazione fra i nobili, che verte incessantemente su un unico argomento: chi di noi è parente di chi.
Esattamente ciò che avveniva in seminario. Ogni giorno, ad ogni ora, ad ogni minuto. Impossibile tener su un discorso intelligente. L'intelligenza disturbava la conversazione, il dialogo, persino la respirazione. Le uniche cose che contavano erano: chi vescovo è passato da tale diocesi a tale diocesi, chi parroco è in procinto di una nomina, chi è che faranno vescovo, chi è che faranno parroco... chi è che vorrebbe diventar vescovo, chi è che aspira a diventar parroco... Se mi fanno vescovo... Quando mi fanno parroco...

In occasione di un evento ecclesiale a cui ignote entità decisero che l'intero seminario doveva partecipare, fu proclamato che la partenza in autobus era fissata tassativamente alle quattro del mattino, poiché per qualche bizzarro motivo alle sette avrebbero chiuso le strade al traffico e bisognava viaggiare conservando ampio margine di tempo.

Fissai la sveglia alle tre e trenta del mattino, per potermi preparare senza fretta. Nonostante alle 22 fossi già a letto, dopo mezzanotte ancora non riuscivo a prender sonno: c'era trambusto nei corridoi, i soggetti si chiedevano a vicenda cosa indossare, il colletto romano o quello a lingua penzoloni? La camicia-clergy o direttamente la talare? E se poi si spiegazza durante il viaggio? E se poi fa freddo? E se poi il giubbotto durante tutta la giornata diventa un peso insopportabile? Ma tu metterai il clergy comprato da Gammarelli o il clergy comprato da Euroclero? La pettina l'hai cucita bene?... (roba che neanche le ragazzine che si preparano per andare per la prima volta in discoteca a sentirsi finalmente donne adulte e libere e vissute...)

L'ultimo orario che vidi sulla sveglia era circa 00:40 (anche nei giorni normali era assai raro che a mezzanotte ci fosse davvero il silenzio). Il trambusto continuò ancora per un po', ma la stanchezza mi vinse. Ad un certo punto, dopo il primo ciclo di sonno, già mi sveglio: c'è ancora agitazione nei corridoi del seminario. Cazzo, stracazzo del cazzo di Budda, sono le cazzo di due e mezza del cazzo, fatemi dormire, checche dello stracazzo, certo di urlare senza aprir bocca e senza muovere un muscolo per evitare di riattivare i normali livelli di pressione e circolazione e svegliarmi del tutto. Altre voci - di coloro che incredibilmente erano riusciti a dormire due o tre ore - rifacevano gli stessi discorsi: oh, se avessi un bel ferraiolo, oh, la pettina comprata all'Apostolato Liturgico che non ti fanno mai lo sconto, oh, che bel clergy, ma non è quello che hai già usato la volta scorsa?, ehi, mica devo portarmi la cotta ricamata?, proprio adesso che l'avevo ritirata dalla lavanderia...

La sveglia indica qualcosa come 2:45 quando un coglione di seminarista grassone letteralmente urla in corridoio: ma tu metti il clergy nuovoooh? E tutti gli altri che tentano di zittirlo: ssh, ssh! Non so come, riesco a tener saldi i nervi e a dormicchiare un'altra mezz'oretta (il trambusto però continua).

Alle 3:40 sono pronto e, affacciatomi, vedo già un piccolo drappello in cortile. Dieci minuti dopo scendo in cortile e con mia sorpresa non c'è nessuno. In strada non c'è nessun autobus. Un altro commilitone arriva trafelato e mi chiede dove siano tutti gli altri. Arriva un terzo, e già cominciano a parlare di talari e di quali filettature dovrà avere quella "per quando mi faranno vescovo". Attorno alle quattro arrivano alla spicciolata anche gli altri, e l'umidità comincia a farsi sentire. Alle quattro e un quarto siamo tutti prontissimi ma non ci sono autobus in vista. I commilitoni fanno a gara nel farsi a vicenda domande sui clergy, sui motivi del ritardo, e sui colletti dei clergy. Mi chiedono come mai sono in borghese, visto che la maggioranza di loro indossa un clergy. "Quando mi faranno parroco, questo colletto lo indosserò anche mentre mi faccio la doccia". Sì, certo.

I formatori non sono allarmati dal ritardo dell'autobus. Rispondono sempre e solo: arriverà a momenti. Uno dei formatori dice ad un altro formatore: bello questo pigiama-clergy. La notizia si diffonde in un lampo nel crocchio dei seminaristi, me la riferiscono almeno una dozzina di loro, anche se il sottoscritto aveva ascoltato in diretta quella battuta sarcastica sul clergy color grigio slavato e coi bottoni stile pigiama.

Verso le quattro e quaranta corre voce che finalmente i formatori hanno sollecitato telefonicamente l'autista, che conferma di essere in arrivo. L'autobus arriva finalmente alle 4:50. Apprendo per caso che la partenza era stata concordata alle 4:30, a noialtri avevano detto alle quattro, e l'autista - sapendo che preti e seminaristi sono perenni ritardatari - era invece partito deliberatamente con venti minuti di ritardo. Poco prima delle cinque, dopo aver ripetuto l'appello due volte, finalmente si parte.

Dopo aver risposto "sì" per la centesima volta alla domanda "ma vieni in abiti civili?" riesco finalmente a sonnecchiare per il resto del viaggio, con in sottofondo un'intricata foresta di discorsi sul nuovo vescovo di tal diocesi, sul promosso parroco, sul desiderio di tal vescovo di essere promosso alla nostra diocesi... Alle sei e trenta l'autobus è a destinazione. I commilitoni non hanno smesso di parlare di talari e di nomine episcopali per tutto il tempo, e mentre l'autista cerca lentamente un parcheggio la loro euforia triplica. Estraggo la cravatta dalla tasca della giacca e la indosso mentre nessuno mi nota. Toccherà aspettare solo tre ore e mezza per l'inizio dell'evento, c'è tutto il tempo per discutere di chi faranno vescovo e di cosa indosserà nelle grandi occasioni.