mercoledì 16 dicembre 2015

Convocato dal sinedrio del seminario

Pensarono di avermi incastrato. Mi chiamarono nell'ufficio del rettore. C'erano il rettore e altri due preti formatori del seminario. Spostarono una poltroncina al centro della stanza, di quelle da pisolino pomeridiano, ma continuarono a ciondolare in giro, come se la cosa non li riguardasse; uno di loro stranamente riduceva al minimo le luci accese mentre il rettore e l'altro comandavano di sedermi. La poltroncina sembrava fatta per sprofondarci dentro, ma nonostante l'attenzione raggiunsi senza volerlo una posizione più rannicchiata che seduta. L'aria era polverosa, come di quelle stanze a cui le finestre vengono aperte solo una volta l'anno per le pulizie. Restarono in piedi nonostante ci fossero altre sedie accanto alla scrivania del rettore, e mi accerchiarono.

«Dobbiamo chiederti una cosa molto importante, dobbiamo parlare di quello scherzaccio che è stato fatto nella sala dell'ultimo piano», disse il rettore, col tono serio di chi si aspettava una mia utile risposta. Ancora non mi ero reso conto della situazione e perciò risposi quasi lusingato che chiedessero il mio supporto: «certamente, in che modo posso aiutarvi?»

Il prete-che-non-aveva-mai-sorriso prese la parola e con inaudita durezza mi disse: «Sei stato tu a fare lo scherzo nella sala dell'ultimo piano: ammettilo, per evitare conseguenze, dì la verità». Mentre me lo diceva, il rettore sorrideva bonariamente (nel classico schema del good-cop-bad-cop) e il terzo prete mi studiava sospettoso e diffidente.

Risposi nel modo più asettico possibile: «non sono stato io; ditemi cosa posso fare per aiutarvi a scoprire chi è stato, vi aiuterò molto volentieri». Non mi lasciarono finire la frase ed insistettero a turno, e volò anche qualche minaccia di provvedimenti "immediati" concordati col "vescovo". Ricordo con chiarezza, ancor oggi, il tono di voce del prete-che-non-aveva-mai-sorriso, da ultima puntata di un patetico telefilm di detective.

Risposi ancora: «non sono stato io; vi aiuterò come posso, ma non sono stato io». Mi interruppero di nuovo, più nervosi, stringendosi attorno a me. Fu lì che notai come era stata abilmente preparata la scenografia: il sottoscritto seduto, rannicchiato, accusato, intimidito, a cui estorcere abilmente la confessione, e loro in piedi che come giganti si avvicinavano alla preda, guardando dall'alto, minacciosi, con le luci (poche) alle loro spalle. Davanti a me c'erano fisicamente tre sacerdoti, formatori di seminario incaricati del delicatissimo compito di accompagnare vocazioni, vagliare i requisiti minimi per accedere all'altare... ma quello che vedevo - ciò che volevano che io vedessi - erano tre indomiti accusatori a cui l'adrenalina si triplicava ogni volta che rigettavo la falsa accusa.

La "poltrona sprofondante" serviva proprio per rendermi difficile la fuga mentale: solo che loro non avevano previsto di aver a che fare con un osso duro. Ripetei ancora, calcando meglio le parole come si fa quando c'è poco segnale radio: «non sono stato io». Loro alzarono ulteriormente la posta, con ulteriori false blandizie e vere minacce. Così, con la voce più gelida possibile, aggiunsi sillabando e guardandoli fisso negli occhi uno ad uno: «non-so-no-sta-to-io», e subito dopo velocissimo: «in che lingua ve lo devo dire per farvelo capire?».

Mi alzai senza smettere di guardarli negli occhi, finché non abbassarono uno dopo l'altro lo sguardo. Il rettore continuava a farfugliare delle strane frasi delle quali ricordo solo che tentò di dire che i sospetti su di me non erano svaniti. Quando fu passato un istante in assoluto silenzio chiesi seccato: «C'è altro? Posso andare?» rendendomi conto solo in quel momento che avevano fatto un passo indietro. «Per ora puoi andare», disse il rettore con una voce da indaffarato e tentando di sembrare quello che ha l'ultima voce in capitolo.

Ora, in teoria - dico: in teoria - degli uomini di Dio che celebrano ogni giorno il Santo Sacrificio, degli uomini che ogni giorno pregano a tutte le ore e si esaminano continuamente l'anima e amministrano assoluzioni a peccatori pentiti di cattiverie di ogni genere, in teoria non dovrebbero fare porcate, giusto?

Eppure... eppure certe cose succedono. Certe porcate avvengono - specialmente nei seminari, nei conventi, nelle curie, nei posti dove non c'è ricircolo d'aria. Il peccato mortale raramente è un'esplosione improvvisa: a scavare la roccia è la serie di gocce, non la martellata. Quando l'ebbero vinta - dimettendomi dal loro seminario - fu ugualmente per delle false accuse.

mercoledì 2 dicembre 2015

Le parole che non può dire un aspirante seminarista

"Sarò sincero: del vostro fondatore - di cui a stento ho sentito parlare - non me ne importa una beata cippa.

"Sono qui non perché brami di diventare un tifoso ultrà del vostro fondatore, ma perché mi sento chiamato al sacerdozio.

"Se mi garantite un onesto percorso di verifica vocazionale, allora il vostro fondatore potrebbe perfino diventarmi simpatico."
Sarebbe bello potersi presentare con questa chiarezza ed eliminare almeno sei mesi di faticosa interpretazione di subdoli sottintesi.

Nelle comunità religiose e nelle società di vita apostolica, infatti, la preoccupazione principale pare proprio non essere il sacerdozio. Quando ci si presenta come aspiranti bisogna essere cinici col sorriso.

Se un serio responsabile delle vocazioni si ritrovasse davanti alle tre espressioni virgolettate qui sopra, anziché scandalizzarsi ed adirarsi penserebbe:
¹) non è un ipocrita che tenta di prenderci per il sedere fin dal primo giorno
²) non è un ipocrita che vuole accasarsi senza avere le idee chiare
³) non è un ipocrita che scapperà dopo essere stato ordinato al sacerdozio
Dunque gli si può garantire che qui troverà un onesto percorso di verifica verso il sacerdozio, e gli si può promettere che grazie alla spiritualità del nostro Fondatore tale percorso sarà più fecondo e promettente.
Tra uomini ci si intende.

Senonché il tipico Responsabile Vocazionale, anche quando non è un perfetto coglione con la C maiuscola, ha ordine perentorio di appiattire le vocazioni su un preciso schema: quello del seminarista canterino, vagamente effeminato, perennemente citante il Fondatore. Dopo la prima delle tre espressioni virgolettate ti accompagnerà alla porta con un sorriso costruito in modo da farti capire che è un falso sorriso, e con un montante desiderio di vendetta in cuore.