lunedì 14 marzo 2016

Quell'incontro ultrasegreto del Gruppo Giovani

Invitato blandamente da un compagno di scuola, da ragazzino avevo preso a frequentare un gruppetto affiatato che pendeva letteralmente dalle labbra di un certo prete. Il prete aveva ideato una comunità di giovani suoi fedelissimi, e da qualche anno stava brigando per farsela approvare dal vescovo.

Ci si vedeva il martedì sera nella sua parrocchia, ma durante la settimana c'era a parte anche l'incontro dei fedelissimi. Quanto più sono ideologizzati tanto più riescono a tenere il segreto, salvo piccoli incresciosi incidenti. Dopo un po' di mesi, infatti, durante l'estate, per puro caso uscendo sentii uno di loro dire a mezza voce che c'era l'incontro giovedì mattina alle undici, «anche se siamo solo noi tre».

Pensai che potevo benissimo essere il quarto, e così quel giovedì mattina mi incamminai verso la parrocchia e mi presentai a sorpresa nella saletta della canonica. C'erano solo due di quei tre, colti di sorpresa al punto che il tappetto farfugliò qualcosa del tipo «nooo, ma cosa ci fai qui» seguito da un «va beh, oggi non si fa niente» detto fra sé e sé, e l'aristocratico tentò prima «noi stiamo studiando cose nostre», poi rincarò la dose «non sono cose che puoi capire», e infine per rimediare alla propria doppia gaffe fu costretto ad ammettere: «stavamo studiando questo articolo». Mi limitai a rispondere loro che avevo sentito "ci vediamo giovedì mattina" e che avevo creduto che riguardasse anche me.

Non ricordo quale fosse l'articolo, probabilmente una roba blanda di filosofia; l'aristocratico lo ripose nella sua cartellina e prese tre fotocopie di un altro articolo, una roba di storia della Chiesa, ma il tappetto aveva deciso che avremmo fatto meglio a chiacchierare del più e del meno e concludere l'incontro con la solita preghiera in chiesa. Dopodiché ci salutammo, e io aggiunsi: «fatemi sapere» (col sottinteso che non mi sarei più presentato a sorpresa), e uno di loro due aggiunse un'ulteriore gaffe dicendo che avrebbero dovuto chiedere prima il permesso al certo prete.

Ero ragazzino e quindi il fastidio per quelle ridicole affermazioni non bastò a farmi aprire gli occhi. Se fossero avvenuti oggi tali siparietti, avrei immediatamente azzerato ogni contatto col prete e col suo club esclusivo di fedelissimi segretissimi che il martedì sera mostrano una faccia e il giovedì mattina un'altra. Il modo più crudele di devastare simili club autoesclusivi è quello di accontentarli e lasciare che si cuociano nel loro stesso brodo.

Senonché a sorpresa il prete comandò che io venissi invitato "qualche volta" alle riunioni segrete dei fedelissimi. Nonostante tale benestare, costò loro un po' di fatica smorzare la diffidenza.

Come tutti i club iper-esclusivi, se vai a genio al capo diventi membro a pieno titolo da un minuto all'altro; se invece appartieni al resto del mondo allora il percorso per diventare membro si allungherà ogni volta che sta per terminare. Quel Gruppo Giovani, benché formato da poco più di una ventina di soggetti, contava già un cerchio magico, onnipotente, sotto cui c'era un primo strato di fedelissimi, e quindi una serie B col sottoscritto e altri cooptabili (questi ultimi però non sembravano essere tanto intenzionati a entrare), ed infine la bassa plebe.

La caratteristica principale dei fedelissimi del cerchio magico era il poter monopolizzare il prete, specialmente col sacramento della riconciliazione. Trenta, quaranta minuti per una confessione, ogni settimana. Ognuno. Una volta uno dei ragazzi durante la sua chilometrica confessione si accorse che il prete aveva cominciato a russare. Un'altra volta, per un lungo percorso in macchina, l'aristocratico pretese di essere solo in macchina col prete, costringendo una delle altre macchine a viaggiare in cinque; non volendo viaggiare scomodo insistei un po' per andare con lui e il prete, e l'aristocratico diede subito in escandescenze urlandomi: "devo parlargli!" con un'espressione in volto da cane rabbioso pronto all'attacco.

Non so cosa avessero tutti da dirgli di così verboso ogni settimana. Magari pregavano insieme, chissà, magari parlavano del più e del meno, colloqui interminabili su qualsiasi argomento, chissà: era sempre a tu per tu, con ognuno di loro, singolarmente. Il privilegio di monopolizzarlo. Cominciai a pensare che ognuno di loro fosse uno scoppiato e un logorroico, oppure tentasse di sembrarlo pur di continuare ad appartenere all'esclusivissimo club.

Passò un annetto di riunioni del martedì sera, talvolta riunione del giovedì sera più esclusiva, di qualche gita fuoriporta del sabato pomeriggio e della Messa della domenica. Era chiaro che sarei rimasto perennemente in serie B: non avevo mai osato chiedere - e neppure alludere - all'avanzamento di carriera, un po' per timore reverenziale, un po' perché non sapevo esattamente cosa chiedere, e un po' per evitare risposte fumose ma chiaramente negative e indecifrabili rinvii alle calende greche. Ero interessato ad una maggiore amicizia col prete, ma l'aria che si respirava nel gruppo era sempre la stessa, per cui per essergli più amico occorreva salir di carriera: e visto che tutti pensavano così, anch'io - ragazzino inesperto - finii per pensarla allo stesso modo.

Nell'estate successiva, in una riunione segretissima e specialissima, dopo la preghiera iniziale il prete ci disse che la forma del gruppo stava per essere «un po' cambiata» a causa delle decisioni del vescovo. Il vescovo, in sintesi, aveva stabilito che era inutile creare un nuovo gruppo giovani per fare cose che si possono fare in qualsiasi gruppo giovani di qualsiasi parrocchia. Sottinteso: aveva capito che il collante del gruppo era solo l'essere fedelissimi di quel prete e cooptati da lui. Evidentemente il vescovo non gradiva che ad ogni spostamento del prete da una parrocchia all'altra sarebbe immediatamente corrisposto uno spostamento di tutto il gruppo in blocco, come già avvenuto qualche anno prima.

Il prete la prese alquanto maluccio anche se fece di tutto per non farlo notare. Fu però capace di trarre vantaggio dalla crisi. Il gruppo divenne ufficialmente più libero e più autonomo (inaudito: perfino qualche riunione del martedì senza il prete!), in realtà ci furono delle promozioni dalla serie A al cerchio magico, delle retrocessioni dal cerchio magico alla serie A, qualche promozione dalla serie B alla serie A (ma non il sottoscritto), e infine la serie A e la serie B furono abbandonate nelle grinfie di altro clero. Per il prete infatti cominciò il valzer dei trasferimenti di parrocchia in parrocchia: aveva deciso di conservarsi solo il cerchio magico di quelli disposti a seguirlo ovunque. In breve tempo tutti smisero di contattarmi, specialmente il cerchio magico: sorridenti come sempre, ma chissà perché avevano sempre da fare e non sapevano mai quando ci sarebbe stata un'altra riunione.

Non so quanto tempo impiegai per rendermene conto - dopotutto ero ancora un ingenuo ragazzino - ma ad un certo punto capii che tolta la figura del prete, di tutta l'amicizia e la condivisione restava solo aria fritta, e che ognuno aveva troppi impegni nei momenti in cui per un qualsiasi motivo pensavi a loro, e che non valeva la pena continuare ad affannarsi ad inseguire il prete e la sua scia di ultrafedelissimi.

Il valzer dei trasferimenti continuò per qualche altro anno mentre per le normali vicende della vita il cerchio magico si ridusse a tre o quattro inseparabili amiconi. Quando si tratta di distruggere, la curia vescovile è di un'efficienza sovietica.

Non credo che ci sia mai stato del torbido tra il prete e i suoi ragazzi. Era uno che sa ascoltare con pazienza, e perciò calamitava a sé quelli che non avendo nulla da dire parlano senza sosta, quelli che hanno qualche squilibrio affettivo e si attaccano al primo che li prende sul serio, quelli che in ogni ambiente in cui si trovano cercano sempre di appartenere a qualche club esclusivo.

martedì 1 marzo 2016

Bastava la sola idea di avere un parente prossimo al sacerdozio...

Un anziano cugino di mio padre, saputo del mio ingresso in seminario, mi chiese di confezionargli una corona del rosario. Un oggetto semplice che probabilmente nelle sue pie intenzioni gli avrebbe rinforzato il legame col sacerdozio, con la Chiesa, con la Beatissima Vergine.

Una sorella di mia madre, ospedalizzata e nell'imminenza della morte, volle vedermi. Mentre mi stringeva forte la mano - quanto le scarse forze le permettevano - non mi disse nulla, ma capii che desiderava Messe in suffragio una volta che fossi diventato sacerdote. Un nipote che le era divenuto più prezioso dei suoi stessi figli.

E poi quei miei due zii che nel vedermi a servire Messa in talare e cotta, tornarono a fare la Comunione. Anche lì un gesto tra la semplicità e l'ingenuità.

Sapere che un loro nipote stava per accedere al sacerdozio... chi l'avrebbe mai detto? In famiglia, a memoria d'uomo, non c'erano mai stati consacrati, né dal lato di mia madre, né dal lato di mio padre. Negli occhi di quei parenti sopra citati era balenata prima l'occasione preziosa che l'occasione di vanto.

Non ho mai coltivato legami con la famiglia allargata, e ancor meno ne coltivavo durante il periodo del seminario. Quando fui ingiustamente dimesso dal vescovo chiusi del tutto ogni contatto con la parentela (cosa facilitata sia dalla mia perpetua assenza da Facebook, sia dall'essermi allontanato dal paese per un lungo periodo), perché semplicemente non volevo dare spiegazioni. Mi avrebbero chiesto - mi è stato ripetutamente e incessantemente e inutilmente chiesto - se avessi avuto una donna, o se avessi fatto qualche grosso pasticcio, o se ci fossero dei motivi impronunciabili...

Nulla di tutto questo. Non riuscivo a spiegare loro che ero stato fatto fuori per antipatie, perché non ero una checca come loro, perché non provenivo dai loro clan. Il vescovo mi aveva detto: «non possiamo dirti di no ma non vogliamo dirti di sì», assumendosi davanti a Dio una responsabilità gravissima. Parenti e amici non sarebbero mai riusciti a credere che coloro che si lamentano della scarsità di vocazioni mandano via le vocazioni tenendosi solo le più effeminate.