sabato 30 giugno 2018

Dove muoiono le vocazioni

Il seminarista non ha alcun diritto nelle odierne leggi ecclesiastiche: l’esito del suo percorso educativo è basato interamente sull’arbitrio dei superiori. Nella maggior parte dei casi si può ben escludere che esso sia esercitato onestamente, non c’è nulla che tuteli dagli abusi. Un seminarista giudicato negativamente sulla base di fatti opinabili oppure calunniato da terzi non gode di nessun tipo di tutela, a differenza del clero ordinato che invece ha possibilità di ricorso sulle decisioni dei superiori se giudicate meritevoli di appello. I superiori rilasciano ogni anno una relazione sul seminarista che viene consegnata al vescovo diocesano. Il seminarista non ha alcun diritto di conoscerne il contenuto: la missiva è riservata. Nel caos ecclesiale odierno si capisce che questo sistema è perfetto per imporre un pensiero unico e controllare eventuali deviazioni: non basta che l’opinione negativa su una persona, non importa se supportata da fatti oggettivi o meno. Il seminarista può vedere compromesso gravemente il suo percorso sebbene esista la possibilità di poter avere una seconda chance in un altro seminario: nei fatti è però molto improbabile che un secondo seminario accetti un candidato giudicato già negativamente da un altro. Si comprende dunque con quanta facilità è possibile scartare un candidato che sia di impostazione tradizionale o semplicemente non sia perfettamente aderente alla corrente dominante; risulta altresì comprensibile il progresso di quei candidati problematici – sia dal punto di vista umano che morale – che però meglio si adattano al sistema.
[A. Maccabiani, ma con una leggera precisazione]

venerdì 15 giugno 2018

Quella signora contessa (poi divenuto prete)

Per calmare i nervi, la cara vecchia tecnica dello scrivere una lettera che probabilmente non verrà mai spedita. Il destinatario era un seminarista mio commilitone al terzo anno, successivamente premiato col sacerdozio: non ricevette mai questa lettera, perché dopo averla scritta mi resi conto che non l'avrebbe capita (e l'avrebbe utilizzata contro di me). Nelle diocesi l'accesso al sacerdozio è infatti diventato un misto tra fortuna (una lotteria) e indurimento della coscienza (un saper essere ipocriti, cinici, perfidi): ma ne parlerò qualche altra volta.

Stare in seminario in maniera "equilibrata" (come dici tu) significa anche e soprattutto ricambiare almeno la lealtà di cui finora hai da me beneficiato.

Per cui:

- che tu sia più permaloso e svogliato e curioso ed egoista di una "signora contessa", e che tu faccia il furbo per evitare ogni più piccola fatica: pazienza (sempre il posto davanti in macchina, sempre il "non mi sento tanto bene" ogni volta che c'è un turno di lavoro imprevisto, sempre a chiedere l'orario o l'incarico più comodo quando si tratta di collaborare con un altro e sempre invidioso quando vieni a sapere che qualcuno ha ottenuto qualche piccolo privilegio e tu no, mai tenuto in considerazione il lavoro altrui, sempre cambiato discorso o addirittura minacciato vendetta quando qualcuno ti fa notare i tuoi errori, sempre pronto a sgridare il tuo prossimo specialmente in presenza delle persone più pericolose, sempre pronto a rivangare errori passati altrui e sempre smemorato per quello che riguarda i tuoi ed il bene che hai ricevuto, sempre pronto a diventare gentile quando rischi che qualcuno perda la pazienza e vada a dire ai superiori un decimo di quello che meriteresti, sempre pronto a minacciarmi quando - una sola volta da tre anni ad oggi - non ti ho detto una cosa che ti riguardava, etc)

- che tu sia vendicativo pazienza; anzi: mi toccherà stare assai attento, perché conoscendoti, come ho già detto profeticamente (e in tempi non sospetti), che se mi capitasse di litigare con te allora tu sicuramente architetterai di tutto per mettermi nei guai più neri, e non te ne renderai conto prima che sia troppo tardi.

Nonostante tutto questo:

- io ti ho aiutato e coperto tutte le volte che volevi fare i tuoi porci comodi, soprattutto quando non te lo meritavi, perché "quello che vuoi che sia fatto a te, fallo tu agli altri";

- invece di sgridarti ci ho scherzato sopra (per permetterti di salvare la faccia davanti agli altri che potevano pensare male di te), perché "quello che vuoi che sia fatto a te, fallo tu agli altri";

- ti ho ripreso seriamente solo in privato (tranne quando mi avevi già fatto innervosire e/o denigrato e/o facendo altri danni), solo su questioni serie;

- ti ho sempre fatto presente certe tue parole o azioni che altri avrebbero potuto usare contro di te, in modo che tu potessi prendere contromisure;

- non ti ho mai denunciato ai superiori (anzi, ti ho protetto anche quando ero arrabbiato contro di te e la tentazione più ghiotta era quella di darti una buona volta per tutte almeno un decimo di quello che hai meritatamente accumulato riguardo al sottoscritto);

- e nonostante tutto questo tu continui ad atteggiarti con me come una "signora contessa", dimenticando immediatamente la mia lealtà nei tuoi confronti (come hai visto sopra, lealtà che non di rado sfonda nella complicità) e ogniqualvolta una piccola egoistica comodità ti si presenta agli occhi mi consideri come un ostacolo da aggirare e raggirare, peggio di quelli che veramente ce l'hanno con te ed hanno tanto fiele quanta correttezza ho avuto io nei tuoi riguardi finora.

A questo punto dovrei concludere con uno "stai attento per il futuro", ma non ne ho il coraggio, perché anche il solo ammettere che in futuro le cose possano andare male significa aprire la strada al peggio (e di questo ho parecchio da temere per quanto mi hai minacciato fino ad oggi, anche se - come vedi - io non ho il coraggio di renderti quello che meriti).