mercoledì 24 ottobre 2018

Quel che tentavo di dire ai miei compagni di seminario...

Molto tempo fa, in una galassia molto, molto lontana, questa era la prima preoccupazione della maggior parte dei sacerdoti: la condizione morale delle anime, inclusa la propria. Oggi molti vescovi e sacerdoti, così come molti genitori e guide varie all’interno della Chiesa, sembrano molto più preoccupati dei sentimenti e della felicità emotiva di coloro che sono sotto la loro cura, piuttosto che della loro effettiva condizione morale.

Si preoccupano di più della correttezza politica e di non turbare chi è impegnato nella politica dell’identità e che fondano la loro stessa identità su abitudini aberranti e peccaminose e su inclinazioni malate. Che una persona sia felice e affermata sembra oggi più importante dell’essere chiamata a pentirsi e guarire e ad essere preparata per il giorno del giudizio. La felicità transitoria e apparente eclissa la felicità vera ed eterna. Inoltre, il silenzio di fronte ad orribili peccati, il demandare tutto a potenti ecclesiastici e a leader culturali di questo mondo, il servilismo nei loro confronti, sembrano superare ogni preoccupazione per il danno causato alle anime e alle vite degli altri.
[mgr. Charles Pope]

lunedì 15 ottobre 2018

Quel clero sodomita che tenta di depenalizzare il sacrilegio

«E' quindi inevitabile che chi vive quotidianamente in istato di peccato mortale, e per di più in condizione permanente di sacrilegio - in quanto ministro di Dio e unto del Signore - si senta giudicato e sia portato a modificare anche i principj morali che egli viola abitualmente. Così, come il ladro vorrebbe veder depenalizzato il furto e l'assassino derubricato l'omicidio, anche il sodomita - vieppiù se sacrilego - vorrà sgravarsi la coscienza dal peso non indifferente del sapersi in palese contraddizione con quella Legge naturale e divina che ostinatamente infrange, e che deliberatamente lascia o addirittura incoraggia ad infrangere, sotto le specie di una connivente tolleranza o di una perversa complicità. Non gli basta profanare ogni giorno il tempio dello Spirito Santo: egli vuole ergersi a legislatore, arrogandosi il diritto di decidere al posto di Dio ciò ch'è lecito e ciò che non lo è. e non è forse questa la colpa di Lucifero?»
[Opportune Importune]

martedì 9 ottobre 2018

Quando ti mettono alla prova...

“Ma se il superiore voleva solo metterti alla prova?” Ecco: questa è una domanda retorica da veri coglioni dotati di certificato di Enorme Coglionaggine e di lettura acritica e superficiale delle brutte copie dei libercoli devozionali settecenteschi.

Un buon superiore non ti mette alla prova perché ciò non sarebbe vagliare ma solo sadismo. Se hai appena messo le gomme nuove alla macchina non vai a farti un giro su chiodi e vetri rotti per “metterle alla prova”. Se la pubblicità dichiara che il tuo telefonino resisterebbe a cadute di due metri non ti metti a lanciarlo da 199 centimetri e mezzo per vedere se è vero. Un superiore onesto e timorato di Dio ha per scopo l’accendere un fuoco (il fuoco della fede, altrimenti la vocazione si raffredda), non il tirar calci a un secchio per dimostrare a se stesso di averlo riempito di più (di attività e servizi). I libercoli devozionali settecenteschi - spesso un po’ fantasiosi - testimoniano anzitutto che anche in quell’epoca esistevano subdoli superiori che per qualche motivo (froceria?) godevano nell’infliggere fatiche, dolori e sofferenze.

Episodio.

Un giorno il superiore mi comandò di presidiare la chiesa in una certa fascia oraria e di tentar di vendere polverosi santini ai turisti. In qualità di tremendo ricchione, il superiore esigeva tale ubbidienza con l’unico fine di farmi perdere tempo e, a lungo termine, di farmi saltare i nervi. Quel patetico tavolinetto posto lì nella chiesa per commerciare santini pareva un insulto al Santissimo nel Tabernacolo non molti metri più in là. Avrei dovuto farmi una frusta di cordicelle e frustare il superiore, col rischio però che avrebbe goduto e chiesto anche di essere sodomizzato, ma pazienza.

Giungono dei turisti, entrando come si entra al bar. Faccio loro presente che c’è il Santissimo e che quella casa è un luogo di preghiera (mi stava quasi scappando di aggiungere “ma quel frocio del superiore vuol farne una spelonca di ladri”). Poi, per spirito di ubbidienza, torno al tavolinetto e vedo i turisti inebetiti e imbarazzati. Torno accanto a questi ultimi e dico loro: vedete? quelli sono gli altari laterali, perché una volta i preti erano così numerosi che capitava che ci fossero più Messe contemporaneamente, una all’altar maggiore, e qualcun altra nelle cappelle laterali. I turisti si risvegliano dal torpore, si accorgono di essere in una chiesa, chiedono quale Messa dovesse seguire un fedele che trovasse una situazione del genere. Beh, facile: quella che in quel momento stava per cominciare, no?

Un altro gruppo di turisti è guidato da un vecchio trippone in camicia color grigio topo stitico. Senza dubbio un religioso. Infatti è l’unico che non tenta neppure la finta semi-genuflessione stile eroinomane che cerca di sembrare sobrio davanti alla polizia. Vedendomi in veste talare, mi chiede se sono il parroco. Gli rispondo che sono solo un seminarista, percependone il disappunto che nascondeva sotto il sorrisetto di circostanza. Accenna ad un’improbabile percorso culturale del suo gruppo di giovani e ci ritroviamo subito a parlare dell’altare. Oh, gli rispondo, l’altare è la cosa più nuova che abbiamo in questa chiesa, ed è nientemeno che preconciliare: questa chiesa non ha subito lo scempio del Vaticano II (marcando in modo appena più forte la parola “scempio”). Il gesuitastro della malora ha un semi-sussulto, come se avesse ingoiato un rospo di diciotto chili e il rospo avesse scalciato per tutte le interiora, fatto un giretto nell’esofago, per poi tornare a scalciare nello stomaco. Quindi, dopo un interminabile minuto secondo e una voce da condannato a morte, soggiunge: sì, ma forse questa è un’affermazione un po’... come dire, un po’ impegnativa...

Un altro gruppo di turisti è ammerigano. Oh, yeah, America Yù Ess É. Vadano a farsi friggere i santini polverosi (ma nelle parrocchie non li distribuiscono gratis o al più con la scritta “offerta libera”? c’è bisogno di un venditore che tenti di rifilarli ai turisti?) Non so per quale soprannaturale motivo all’improvviso tutto l’inglese che ho imparato a scuola mi si risveglia ruggente. Spiego loro che la pala d’altare è dedicata ad Our Lady, quindi indico loro il dipinto che sovrasta l’uscita, Gesù che scaccia i mercanti dal tempio (kickin’ out,  a pedate). Dev’essere stato il mio angelo custode a suggerirmi di far notare loro che ai fedeli che entrano lo sguardo inevitabilmente si posa sull’altare, sul tabernacolo, e sulla Madonna col Bambino, mentre al sacerdote celebrante (che quando è rivolto ai fedeli guarda verso l’uscita) si staglia in lontananza la figura di Gesù che rovescia i tavoli dei cambiavalute, un chiaro avvertimento al sacerdote che le cose della fede non sono un mestiere né un commercio.

Il gruppo di americani è già in visibilio per la spiegazione frizzante anziché museale, quando succede una cosa che sorprende persino me stesso: mi torna in mente un’espressione gergale americana (freaking out is not an option: “dar di matto non è mai un’opzione che si può prendere in considerazione”) e la riciclo in senso opposto per dire che se un prete è corrotto allora Jesus taught us that freaking out is an option (Gesù ci ha insegnato che si può dar di matto). Applausi americani scroscianti, torneranno a casa con qualcosa in più da raccontare (e di teologicamente esatto alla luce del Vangelo e del sacerdozio).

Ma no, a quello stramaledetto frocio del superiore col culo sfondato importava solo infliggermi compiti inutili o impossibili. E magari dopo anni che era lì ancora non si era accorto della significativa combinazione dei dipinti.
Qualche settimana dopo, ben prima del termine della stagione turistica, mi sgridò per non esser riuscito a vendere nemmeno un santino da dieci centesimi, e annullò il ridicolo incarico (evidentemente non tollerava che ai turisti venisse detto qualcosa di cattolico).

mercoledì 3 ottobre 2018

“Parli troppo del seminario”

A chi obbietta sulle troppe parole sprecate riguardo alla vita di seminario occorre rispondere anzitutto con una sonora sberla o pedata, che riassuma quanto segue.

La formazione al sacerdozio dovrebbe in teoria dare al candidato una solida educazione umana, una solida preparazione teologica, e una solida vita spirituale. Non solo deve fornirgliele: deve anzitutto fargliele sinceramente desiderare, perché l'oberare qualcuno di impegni, nozioni e attività non è educazione ma solo un gratuito fardello.  Nel parlare di formazione o educazione non bisogna mai sottovalutare che deve consistere "nell'accendere un fuoco", non in una tecnica da giudicare efficace in proporzione alla quantità prevista di contenuti e attività.

L'educazione umana richiede che i formatori siano uomini adulti da seguire e da imitare. Non serve un tecnico della teologia (né un burocrate di parrocchia o di curia, tanto meno un capomastro ispettore, ancor meno un cercatore di peli nell'uovo), serve piuttosto un uomo virile forgiato dalle circostanze della vita e che è successivamente approdato al sacerdozio.

La preparazione teologica deve farti avere risposte cattoliche comprensibili (e perciò predicabili) al diluvio di cazzate proveniente dal mondo. Un professore di teologia è buono solo da piazzare nelle facoltà di teologia intese a fabbricare futuri professori di teologia da impiegare nelle future facoltà di teologia.

La vita spirituale deve definitivamente convincerti che ti conviene seguire tutti i tuoi doveri di stato. Deve farti gustare la Messa e i sacramenti, non ridurteli a "celebrazione". Deve farti riconoscere che c'è divina grazia che fluisce e che saresti un cretino a non volertene avvantaggiare continuamente.

Se queste teoriche premesse fossero almeno in parte assecondate, ci sarebbe non solo un drammatico calo di "crisi sacerdotali", ma in poco tempo sembrerà di avere almeno il quintuplo dei preti.

Tali teoriche premesse (che resteranno teoria perché il putrido etat d'esprit vaticansecondoide ha rovinato tre generazioni di clero), inoltre, sono l'unico serio motivo per "parcheggiare" in formazione un candidato per cinque o sei anni e più. Se la formazione esige di derubarti di parecchi anni della tua vita, dovrà come minimo ricompensarteli adeguatamente. Quegli anni non ti verranno più ridati. Entrare in seminario deve risultare in qualcosa di positivo e indimenticabile anche in quei casi in cui lo sbocco non è il sacerdozio... altrimenti è l'equivalente dell'essere incarcerati, anni di carcere per punire il "reato" di aver chiesto di accedere al sacerdozio.

Il paragone col carcere è perfettamente appropriato: il seminario è un luogo chiuso (la possibilità fisica di uscire un paio di giorni a settimana e le ferie estive/natalizie non cambiano la sua caratteristica di impegno a tempo pieno, ti senti seminarista finché non concludi), in cui il tempo viene impegnato da studi e attività, in cui non si conduce una vita normale ma una vita da seminarista (devi proprio personificare il seminarista, altrimenti bye-bye sacerdozio). Non si tratta di giorni o settimane, si tratta di interi anni. Anni della tua vita - tra i migliori anni della tua vita - che non ti verranno mai più restituiti.

L'alibi che quegli studi e quelle attività siano dovuti al dover "uuh uhh discernere correttamente uuh uuh" le vocazioni, è una cazzata mostruosa. La sola durata pluriennale del seminario è già sufficiente a identificare senza fatica attitudini e capacità dei singoli. La truffa del "discernimento" è nell'idea (tutta conciliare) che il sacerdozio sia una mansione di parrocchia, un incarico assegnato dal vescovo, un mestiere gestito da un polveroso ufficio di curia, pertanto se il candidato non è funzionale a lavorare secondo i prestabiliti livelli di produttività e sotto la sempre crescente giungla di normative, regolamenti, editti e proclami, viene scartato: dopo il danno, la beffa! Entri perché desideri sinceramente dir Messa e confessare, e i formatori vanno blaterando di dialogo con lagggènte, di responsabilità nel pastoralato, di docilità nell'ascolto, di sensibilità pastorale, e di tutto l'orrendo letamaio di epiche stronzate postconciliari. Poi, alla fine, dopo adeguato discernimento, promuovono solo la checca che considera la Messa il noioso contorno della propria omelia, che si stufa di confessare, ma che è sempre in riunione col sindaco, col comitato della sagra, col consiglio affari economici (appena nominato parroco indebita la parrocchia di centomila euro per realizzare nientemeno che il campetto sportivo parrocchiale: ora sì che le anime andranno in paradiso!), col gruppo teatrale per la realizzazione dello spettacolo musical...

martedì 2 ottobre 2018

Il cattolico sciocchino ci casca

Basta che faccia tanto di citare il demonio, il Rosario, il “Sub tuum praesídium” e la preghiera a San Michele Arcangelo, si badi bene in latino, che il cattolico sciocchino ci casca. (...)
Cane Selvaggio nota che sono le stesse parole e gli stessi concetti usati da Bergoglio nell’omelia del 3 settembre per mettere in croce monsignor Viganò...
[Cane Selvaggio]


lunedì 1 ottobre 2018

“Ma che problema hai?”

Se durante il pontificato di Ratzinger qualcuno avesse detto che presto i blog cattolici sarebbero stati invasi da vignette sul papa stracciando in fatto di meme perfino i blog protestanti più scatenati, quasi nessuno ci avrebbe creduto.


Quasi nessuno perché qualche timida voce si era già levata in tempi non sospetti. Inutilmente. Niente di particolarmente profetico: bastava tenere gli occhi aperti. Bastava credere in qualcuno dei dogmi di fede. Bastava pensare che il successore del papa del momento poteva non essere all‘altezza. Bastava osservare cosa succede nelle parrocchie e, per gli sfortunati in grado di farlo, osservare il gesuitismo da vicino.

Il titolo di questo blog è un omaggio al gesuitastro della malora che occupa il soglio, con riferimento a quando disse che non si può difendere il corpo di Cristo offendendo il corpo “sociale” di Cristo (cioè i fedeli). Il sottoscritto, dunque, non è corpo sociale perché ritiene di valere infinitamente meno del corpo di Cristo.

Ma ciò che occorre temere di più è il successore di quel gesuita. Che nel migliore dei casi scenderà a compromessi e lascerà consolidare buona parte dello schifo ereditato dai suoi successori.