domenica 25 novembre 2018

L'utopia della settimana

Qualche sera fa ero in sala d'attesa dal medico. Un gruppetto di donne parlava di robe religiose. C'era una il cui intercalare era "gliscribeffarisei". C'era un'altra che si autoproclamava non particante "perchéipreti, perchéipreti". Quando una terza ha creduto di risolvere tutte le questioni dicendo che "dal battesimo siamo tutti sacerdoti" stavo per trasformarmi nell'incredibile Hulk. E proprio quando stavo per trasformarmi, una di loro ribatte che lei non si confessa dai preti ma "da sola, davanti alla croce", qualora ne senta davvero il bisogno.

Per fortuna la grattugiata di coglioni non è durata troppo: entrando nello studio del medico è finalmente tornata la normalità, quella in cui bocca e orecchie vengono utilizzate per comunicare fatti anziché per aumentare l'entropia dell'universo per mezzo di aria fritta e rumore.

Ecco, io vorrei sottoporre ad un'ora quotidiana di quella tortura tutti coloro che hanno ricevuto un qualche grado dell'ordine sacro. Dopo un po' di giorni sbotterebbero con un santo "ma basta con queste cazzate!", calerebbe un lunghissimo momento di silenzio in cui tutti gli avventori guardano stupiti e un po' divertiti, e poi ricomincerebbe la tortura.

Tortura intesa a far capire il risultato del Concilio: il dichiarato obiettivo di "coinvolgere di più i laici" è riuscito perfettamente, mentre non è riuscito per niente quello dato per scontato (cioè che il coinvolgimento avrebbe prodotto insperati frutti di presunta primavera conciliare). A lungo andare la tortura finalmente li convincerebbe che il prete ha da fare il prete e basta, cioè deve essere uno che dedica le sue migliori energie a celebrare devotamente i sacramenti e ad insegnare bene le cose essenziali della fede.

E invece...

sabato 3 novembre 2018

Un caso di mobbing

Era diacono e prossimo all’ordinazione. La sua unica ricchezza era quel cane. La sede della comunità era circondata da prati e con un giardino sul retro. Il cane era affettuoso e soprattutto molto silenzioso, non abbaiava, non dava fastidio.

Il superiore della comunità, approfittando di un’assenza di parecchi giorni del diacono, aveva trovato il modo di sbarazzarsi del cane. Disse al diacono che il cane era scomparso, non si sa se per fuga volontaria o per furto con destrezza. Il diacono ricordò con dolore tutte le volte che il superiore aveva vagamente alluso al “non possiamo tenere con noi questo cane”, ma ingoiò il rospo.

Un mesetto dopo fervevano i preparativi per l’ordinazione sacerdotale. Un prete in più in comunità: neanche stessero conquistando la diocesi. Il superiore sarebbe andato trionfante dal vescovo a dire: eccellenza, ci prendiamo anche la parrocchia di San Dropiero Di Onigi, la comunità cresce, non ce la può negare... Arriva la notizia che il cane aveva provocato un banale incidente su una strada statale cinquanta chilometri più a sud. Identificato il cane, erano risaliti al diacono e chiedevano risarcimenti. Non proprio il tipo di notizia che ti aspetti mentre ti prepari all’ordinazione.

Finalmente l’ordinazione e la prima Messa. L’omelia è tenuta dal superiore della comunità perché così vuole la tradizione (cioè il superiore) della piccola comunità. Fu l’ultimo rospo da ingoiare. Il mattino successivo il neo-ordinato parte per una decina di giorni di ferie (il tipico tour sacerdotale presso amici e parenti) ma poi rinvia più volte il rientro. La faccia del superiore comincia a rabbuiarsi ogni giorno di più. Dopo tre settimane finalmente il novello sacerdote è rientrato in diocesi ma da tutt’altra parte: ha un incarico in una parrocchia. Ha abbandonato la comunità, provocando un insano piacere a curia e vescovo, perché l’ultimo a saperlo è stato proprio il superiore, che non può far nulla perché la comunità non ha ancora abbastanza “riconoscimenti” da poter reclamare.

Il mobbing talvolta non paga, ma mi permetto di dubitare che il superiore abbia fatto tesoro della dura lezione. Questa storia mi ricorda in particolare uno dei Racconti della Kolyma di Varlam Šalamov. Solo che lì il “superiore” era il tipico apparatchik ubriaco. Il superiore della comunità era uno che ogni giorno celebrava Messa. Ogni giorno si interrogava sui suoi peccati. Ogni giorno meditava, recitava ufficio e breviario, proclamava la Parola, eccetera. Mi chiedo quale complicato arzigogolo avrà escogitato per giustificare a sé stesso la faccenda del cane, tanto più che era stata il coronamento di anni di mobbing.