mercoledì 4 dicembre 2024

Quando i pazzi comandano al sano sedute dalla psicologa

Episodio: il rettore del seminario decise che il sottoscritto aveva bisogno di qualche seduta con uno psicologo. Chiesi per quale motivo, ottenendo ovviamente non una spiegazione ma un insulso guazzabuglio di parole clericali. Feci allora presente che dallo psicologo si mandano quelli che hanno qualche serio problema, e chiesi dunque quali problemi rilevavano. Il rettore, con una perfetta faccia di bronzo indistinguibile dal culo, rispose che il fatto stesso di porre la domanda implicava che ne avevo bisogno. Trattenni a stento un sorriso sarcastico mentre osservavo che dallo psicologo dovremmo mandarci i pazzi (pensavo ad almeno metà della comunità), e soggiunsi qualcosa che significava "fate come volete", visto che avevo capito che era una decisione irrevocabile.

E venne dunque la psicologa a tenere incontri comunitari. Magari era la sorella di qualche pezzettone grosso della curia, a cui non si poteva non far guadagnare qualche soldino. O forse avevano pensato che non sarei stato tanto propenso ad autoaccusarmi di qualcosa. Dopo una mezza dozzina di inutili sedute comunitarie (prezioso tempo pomeridiano sottratto a studio e riposo), in cui vomitò la solita aria fritta delle pseudoscienze fai-da-te, se ne concluse apparentemente con un nulla di fatto: il rettore non cambiò opinione su di me (che tutto sommato nelle sedute avevo brillato), né sugli altri (che tutto sommato avevano lasciato emergere qualche problemuccio). Il momento più topico fu quando lei ci chiese di descriverci come soggetti di un paesaggio immedesimandosi in delle cose, anche astratte. Chi il mare, chi un animale, io placidamente affermai il vento e lei un po' sorpresa e ammirata, disse: "oh, un simbolo dello Spirito", procurando involontariamente qualche sgomitante crampo al fegato al rettore, forse peggiore di quando la suora di clausura - di quelle moderne, che il rettore tanto shillava - disse che di tutti ero quello con lo sguardo più vivo.

Insomma, il metodo del rettore e dei suoi referenti non cambiava: i seminaristi problematici vanno tenuti perché "cresceranno", i seminaristi sospettabili di amare la tradizione bisogna invece bastonarli per bene e senza pietà, porre ossessivamente ostacoli, interporre infiniti latinorum donabbondiani e per soprammercato pure la psicologa (sottinteso: "non ci piaci, quindi devi per forza avere qualche problema, quindi non riuscendoti a farti confessare pubblicamente qual è il problema incaricheremo una psicologa di trovare qualche capo d'imputazione": letteralmente il sinedrio vaticansecondista a caccia del pelo nell'uovo). I vaticansecondisti, nella loro ipocrisia di non sembrare eccessivamente nemici del buonsenso e della fede, hanno l'invincibile fissazione ponziopilatesca di lavarsene le mani. Non c'è maggior soddisfazione per un rettore vaticansecondista di vedere un seminarista che abbandona senza accusare i superiori o il metodo.

Incappo oggi in un articolo: "Il seminarista ama la tradizione? allora ha una patologia". Oh, perdindirindina, avrei dovuto scriverlo io all'epoca un articolo del genere, e con molta meno melliflua gentilezza. La neochiesa conciliare ama abortire le vocazioni. È come se fossero convinti che una volta svuotati tutti i seminari e le parrocchie, potranno finalmente andare al bar a festeggiare "missione compiuta".