lunedì 4 agosto 2025

Il chierichetto cazziato

Una volta fui cazziato durante la Messa da quel finocchio del priore. Dopo tanti anni ancora non riesco a dimenticare la scena. Gli stavo servendo Messa. Si presume che un chierichetto - o equivalente - stia lì non solo come "cameriere" del celebrante, ma anche per vivere il gesto con spirito di preghiera, altrimenti non avrebbe senso la sua presenza nello spazio più sacro. Mi cazziò perché mi ritenne lento: "E dai, su", con un gesto nervoso che pareva quasi che stesse per suonarmele, e con quel tono seccatissimo che non userei nemmeno al ristorante col più arrogante e sfaccendato dei camerieri, tanto meno davanti al Santissimo Sacramento. Ci mancava quasi che dicesse che stavo rallentando l'esecuzione della messinscena.

Fin dalle origini della mia vocazione avevo chiaramente percepito che partecipare ai divini misteri (o addirittura celebrarli) non era uno spettacolo a tema sacro ma un'azione efficace sul piano soprannaturale. Già da dodicenne a servir Messa, sapevo di essere fisicamente più vicino al Signore, e di rendergli un briciolo di onore con quei piccoli gesti extra previsti dal Messale. Sapevo, cioè, che una volta giunto al sacerdozio avrei celebrato Messa e sacramenti conscio del loro inestimabile valore soprannaturale. Avrei celebrato di mia volontà, con o senza "pubblico", perché quella celebrazione aveva un immenso valore "nonostante me", nonostante la mia insignificanza, nonostante i miei peccati. Impossibile stimare quanta grazia può fluire anche soltanto da una celebrazione distratta, stanca, disturbata da circostanze (come il rigido freddo invernale o il traffico auto fuori dalla chiesa) o da gente passata a marcar presenza ma stufa di limitarsi a marcar presenza. Figurarsi quanta ne fluisce da celebrazioni dove c'è un minimo di consapevolezza del miracolo che sta accadendo.

Dunque, anche da stanco, anche in preda a fatiche, acciacchi, dolori non solo fisici, il servire le liturgie lo vivevo "con spirito di preghiera", come suolsi dire in quelle patetiche e interminabili omelie di pretazzi che non han nulla da dire. Servivo Messa consapevole che accanto a me si stava realizzando il miracolo della transustanziazione nonostante gli elementi di disturbo, e cercavo di "fare la mia parte" nella maniera più sobria e discreta possibile, nonostante la mia stessa stanchezza, il freddo e tutto il resto. Al servizio della liturgia, non dell'uzzolo momentaneo del pretino. Ero grato per quel miracolo, non misuratore di "quanti minuti mancano alla libera uscita", sapendo che la mia stanchezza non cambiava il valore di ciò che stavo vivendo.

E quindi mi beccai una cazziata. Imprevista, insensata, fuori luogo, forse udita anche da qualcuno dei fedeli. Il pretino aveva la tipica fretta idiota di chi non ha alcuna urgenza ma si stufa del momento presente (proprio il momento in cui si esprime il suo sacerdozio). Cercai di essere più "veloce" nelle apparenze ma non nella sostanza, perché mi ha sempre ripugnato l'idea che una Messa sarebbe una messinscena da velocizzare o rallentare a seconda di piccinerie del momento. Dato il tipo di prete-checca non avevo appigli neppure per potergli fare a distanza di tempo un discorsetto gioviale e untuoso sulla Bellezza della Liturgia che va Celebrata Senza Correre. Quando hai a che fare con psicotici e checche non puoi usare i ragionamenti, né l'evidenza dei fatti, né l'affabilità che Paolo elargiva ai Filippesi: non funzionerebbero, sono controproducenti, perché quei pretini che ti fanno le omelie "tanto tanto spirituali" sono i primi a non credere in ciò che dicono. Eseguono un copione, recitano un formulario, ma non ci credono. Come quel coglione che a Pasqua ci disse "domani è lunedì, lasciamo la parrocchia chiusa, tanto non viene nessuno", sopprimendo arbitrariamente le Messe di precetto festivo: si era autoassegnato un giorno di ferie, un giorno in cui sbarazzarsi dei santi misteri.

Il profondo dramma della Chiesa che ama immaginarsi moderna è che ha sostanzialmente perso la fede. Chiunque riduca la Messa ad una messinscena, ha perso la fede. La fretta nervosa nel celebrare, la foga nell'aggiungere ingredienti scenografici, il trascinare la liturgia il più lentamente possibile per fingere di starla vivendo, sono tutti pessimi indizi. Così come lo sono l'atteggiamento mondano davanti al Santissimo - trattato come un gadget molto religioso, un certificato di marcatura presenze, addirittura un obbligo amministrativo perché altrimenti chissà cosa penseranno. Chi dice che la Chiesa di oggi ha la vivacità di un cadavere tiepido non sbaglia. Tolta la fede nell'Eucarestia, non rimane più nulla. Si stufano di confessare. Si stufano di celebrare. Non si stufano mai di smollare chiacchiere vagamente religiose: parlano tantissimo perché non hanno niente da dire. Come quel prete (poi spretato), anche intelligente e sensibile, che mi confidò che nei primi tre mesi di diaconato, che gli concedevano l'onore di tenere la predica feriale, aveva già sversato tutto ciò che aveva da dire in tutta la sua futura carriera sacerdotale. Aveva confuso il sacerdozio con un mestiere, si era preparato bene il mestiere di venditore di chiacchiere, e in tre mesi aveva esaurito tutte le cartucce. Non aveva minimamente percepito che le verità di fede son così vere che non ti stanchi mai di ripeterle.

A mia memoria i preti in ginocchio davanti al Tabernacolo quando erano certi che nessuno li vedeva si contano sulle dita di una mano monca, molto monca. Chi più, chi molto di più, vivono pressoché tutti come dei mestieranti del sacro, gente incaricata di vendere sermoni - costruiti tutti con lo stesso gergo, untuoso, insignificante, sufficientemente generico da "non offendere la sensibilità di nessuno". Tirano a campare, fanno la messinscena, si sono letteralmente "abituati" a passare davanti al Tabernacolo con la stessa dimestichezza con cui passano nei pressi del bidone delle immondizie. Come quel bravo pretino anzianotto che va ciondolando a caso fra le navate, aggiustando una lampadina qui, i fiori là, la sedia del coro lì, terrorizzato dall'idea che se si ferma per un attimo, se per un attimo si nota che non è più indaffaratissimo, qualcuno gli chiede di confessarsi (orrore, orrore!). Lì c'è il Santissimo ma è come se pensassero "l'anno scorso mi sono già genuflesso una volta, vale ancora quella". E non parliamo dei pretini che appena prendono possesso di una parrocchia tramano subito per spostare il Santissimo da qualche altra parte, dove si veda il meno possibile, in modo che il palcoscenico sia più libero, sia più riconfigurabile, che lo show deve poter essere più scoppiettante.

E quindi non c'è da sorprendersi che un pretino mediamente più stufo degli altri, con voce perfida e istericamente gracchiante mi vada cazziando durante la Messa perché ha fretta. Ed è lo stesso soggetto che da tempo covava in cuor suo il desiderio di farmi fuori: non credendo alla propria vocazione, non credono nemmeno all'esistenza di altre vocazioni. Non credono a Nostro Signore presente nel Santissimo - limitandosi al massimo a considerarlo un Gadget di un Certo Valore Religioso - e quella stessa mano che adoperano per amministrare la Comunione, venti minuti dopo la adoperano per vergare nero su bianco calunnie sul conto di colui a cui l'avevano amministrata. E qualche giorno dopo l'adoperano per le solite sodomie.

Se la Chiesa di oggi sembra un cadavere tiepido che si sta inesorabilmente raffreddando, è proprio perché nel suo clero pullulano soggetti del genere.