mercoledì 2 dicembre 2015

Le parole che non può dire un aspirante seminarista

"Sarò sincero: del vostro fondatore - di cui a stento ho sentito parlare - non me ne importa una beata cippa.

"Sono qui non perché brami di diventare un tifoso ultrà del vostro fondatore, ma perché mi sento chiamato al sacerdozio.

"Se mi garantite un onesto percorso di verifica vocazionale, allora il vostro fondatore potrebbe perfino diventarmi simpatico."
Sarebbe bello potersi presentare con questa chiarezza ed eliminare almeno sei mesi di faticosa interpretazione di subdoli sottintesi.

Nelle comunità religiose e nelle società di vita apostolica, infatti, la preoccupazione principale pare proprio non essere il sacerdozio. Quando ci si presenta come aspiranti bisogna essere cinici col sorriso.

Se un serio responsabile delle vocazioni si ritrovasse davanti alle tre espressioni virgolettate qui sopra, anziché scandalizzarsi ed adirarsi penserebbe:
¹) non è un ipocrita che tenta di prenderci per il sedere fin dal primo giorno
²) non è un ipocrita che vuole accasarsi senza avere le idee chiare
³) non è un ipocrita che scapperà dopo essere stato ordinato al sacerdozio
Dunque gli si può garantire che qui troverà un onesto percorso di verifica verso il sacerdozio, e gli si può promettere che grazie alla spiritualità del nostro Fondatore tale percorso sarà più fecondo e promettente.
Tra uomini ci si intende.

Senonché il tipico Responsabile Vocazionale, anche quando non è un perfetto coglione con la C maiuscola, ha ordine perentorio di appiattire le vocazioni su un preciso schema: quello del seminarista canterino, vagamente effeminato, perennemente citante il Fondatore. Dopo la prima delle tre espressioni virgolettate ti accompagnerà alla porta con un sorriso costruito in modo da farti capire che è un falso sorriso, e con un montante desiderio di vendetta in cuore.

Nessun commento: