lunedì 6 giugno 2016

Quelle promesse che si rimangiarono

Il principale motivo per cui quasi tutte le congregazioni e le diocesi rifiutano vocazioni sopra i 30-35 anni è il fatto che preti e vescovi hanno l'abitudine di rimangiarsi la parola, di inventarsi leggi ad personam per mandare via (o costringere ad andarsene) un seminarista antipatico, o semplicemente per coprire le proprie magagne scaricando colpe e responsabilità sul primo innocente indifeso a portata di mano. Un seminarista con la mentalità da adolescente può ancora essere giostrato in modo da fargli ingoiare il rospo, un seminarista adulto trae invece le logiche conseguenze. La testa di un adolescente è facilmente ingannabile perché il suo orizzonte è generalmente solo quello di far bella figura; l'adulto è più difficile da abbindolare perché prende sul serio la propria vita e le parole che gli vengono dette dai superiori.

Il percorso di formazione sacerdotale è basato sulla fiducia umana. Nessuno può pretendere di essere ordinato in virtù di un elenco di cose già fatte e studiate: se il vescovo o superiore non si fida, è inutile e dannoso insistere. E se quella diffidenza nasce da pregiudizi, è inutile e dannoso tentare di riguadagnare la fiducia. L'adulto lo sa bene: per questo, nel vedersi ingannato, è assai meno disposto a subire ulteriori fregature. Se infatti il responsabile delle vocazioni si rimangia la parola data, in base a che cosa si potrebbe sperare che non faccia di peggio nell'imminenza di momenti importanti come l'istituzione di "ministeri" laicali o addirittura dei sacri ordini?

Il sottoscritto è ingenuamente incappato più volte in casi del genere, perché credeva stupidamente che la volontà dei superiori fosse la volontà di Dio. In realtà, solo la retta volontà dei superiori è la volontà di Dio. Le persecuzioni non vengono da Dio. Le menzogne, gli inganni, l'arroganza, il disprezzo per le vocazioni, non provengono da Dio.

Avvenne una sera di ottobre, mentre andavo nella nuova parrocchia in cui ero stato assegnato. Fatto inusuale, mentre ero per strada a piedi il rettore del seminario mi telefona. Mi telefona per avvisarmi che non avrei ricevuto il "ministero" insieme agli altri seminaristi due settimane dopo, "per decisione del vescovo", che però era in partenza per gli esercizi spirituali. Lo stesso rettore era in partenza per non si sa dove, e perciò mi prometteva che ne avremmo parlato ampiamente al ritorno (cioè fuori tempo massimo per qualsiasi ripensamento). E conclude la telefonata senza darmi nemmeno modo di chiedere perché.

Col senno di poi avrei dovuto chiudere immediatamente tutti i rapporti con la diocesi. Invece, per spirito di obbedienza, ripetendo a me stesso che era necessario accettare le decisioni ingiuste dei superiori, continuai a mendicare la loro benevolenza per mesi e mesi, quando finalmente il vescovo non sapendo più come procrastinare mi dimetterà ufficialmente, sulla base di accuse talmente riconoscibili come false, assurde e infondate, che ancor oggi mi suonano come la certezza di un posto all'inferno per lui e soprattutto per quelli che lo convinsero.

Ironia della sorte, dopo quella telefonata avevo immediatamente chiamato il vescovo per fissare un appuntamento urgente se non quella sera stessa, almeno al mattino dopo per avere chiarimenti su quel fulmine a ciel sereno. Infatti il vescovo cadde dalle nuvole - mi fu chiaro che non aveva assolutamente idea di cosa stesse architettando il rettore -, e nella stessa telefonata farfugliò qualcosa per dire che aveva "deciso" lui questo provvedimento. Tra i preti il senso di giustizia è ridotto ai rapporti nella stessa casta: il vescovo copre le spalle al rettore del seminario, e viceversa, perché l'uno non vuole rappresaglie dall'altro. Così, a farne le spese sono sempre gli innocenti e i fuoricasta.

Quest'altro episodio avvenne una mattina di primavera. Il superiore della comunità deve andare al raduno del clero e mi chiede di accompagnarlo. In macchina mi dice che siccome non mi ero offerto di andare a recitare il rosario a casa di un defunto della parrocchia tre giorni prima, allora non ero ancora pronto per ricevere il "ministero istituito" due settimane dopo. Non gli contestai il motivo assolutamente ridicolo e chiaramente inventato al momento. Gli dissi solo che dopo che da mesi era stata fissata la data, dopo che avevo fatto il diavolo a quattro per far partecipare anche i miei, dopo il precedente storico nella mia diocesi di origine, era quantomeno imbarazzante un simile fulmine a ciel sereno. Farfugliò qualcosa e disse che "la decisione è già stata presa" (da chi? i preti quando vogliono lavarsene le mani usano sempre i verbi all'impersonale: "la decisione è già stata presa") e fece finta di niente per tutto il tempo. In comunità non se ne parlò: come al solito, il diretto interessato era l'ultimo a saperlo, e nessuno vuol rischiare di condividere la stessa sorte. Come in un Gulag.

Col senno di poi avrei dovuto fare immediatamente le valigie e andare via subito, quello stesso giorno, senza nemmeno salutare. Se era così tanto importante il rosario col morto, perché non me lo hai detto subito? In realtà - come scoprirò mesi dopo - era stato il vicario generale della diocesi a prendere la decisione (e non quel giorno, ma già mesi prima), sulla base di un pasticcio fatto dal superiore stesso, e anche per altre antipatie trasversali e vendettine ancor più trasversali. Avrei dovuto fare immediatamente le valigie e partire subito e senza salutare, perché se un superiore fa pagare a me i suoi errori, e per di più mentendo e ingannandomi, è inutile perfino lo sprecar fiato per rispettare il galateo.

Invece, per spirito di ubbidienza, ripetendomi che era necessario accettare le decisioni ingiuste dei superiori, continuai a mendicare per quasi un altro anno, quando finalmente il sullodato vicario stabilì che la nostra comunità le ordinazioni sacerdotali poteva solo sognarsele. Il vescovo ponziopilatesco, felicissimo di aver scansato la rogna senza inimicarsi il vendicativo vicario, blaterò di impedimenti, di conferenze episcopali e di altro latinorum.

Terzo episodio, una mattina di tardo inverno. Il superiore della congregazione mi chiama e mi dice che non trova i miei versamenti. Cado dalle nuvole: quali versamenti? Diverse centinaia di euro al mese, e questo è il quinto mese che stai qui e ancora non hai contribuito in nulla: devi pagare, e dare anche gli arretrati. Per qualche attimo mi sforzo di assicurarmi che non stia scherzando, e poi gli dico che di lì a pochi giorni avrei cominciato a pagare, ma che non sapevo da dove tirar fuori le migliaia di euro di arretrati, avrei dovuto chiederli improvvisamente ai miei familiari (migliaia di euro che sembrano spiccioli per un prete di famiglia ricca, sono invece un salasso dolorosissimo per la famiglia povera che già deve sostenere un figlio seminarista).

Col senno di poi avrei dovuto brevemente rassicurarlo ed andare immediatamente in camera a fare le valigie e andar via senza salutare. Se ci tenevi così tanto ai soldi, perché non me lo hai detto cinque mesi fa, quando mi hai accettato in comunità? Quale può essere il motivo di una improvvisa tassa retroattiva, se non un modo per stroncarmi il noviziato? E da quando in qua il noviziato è diventato a pagamento? Dopo un paio di mesi in cui con duri sacrifici ero riuscito a pagare la quota, ideò altre scuse per mandarmi via.

Se il superiore di una comunità deve prendere decisioni impopolari, dovrebbe avere almeno il buon senso di motivarle a coloro che ne porteranno il fardello, anche solo a partire dalla fiducia nei suoi confronti. Hai bisogno di soldi per una tua spesa improrogabile? Chiedili per fiducia nei tuoi confronti. Hai bisogno di un marcapresenza al rosario in casa del defunto? Chiedilo per fiducia nei tuoi confronti. Temi che il tuo seminarista non stia crescendo nel dialogo? Avvisalo che quest'anno prenderà il "ministero" che non meriterebbe, piuttosto che fargli una brutta sorpresa nel momento peggiore. È davvero troppo chiedere che il rapporto fra un superiore e un novizio debba essere schietto, onesto, da uomo a uomo, senza bugie infantili e senza sotterfugi né da una parte né dall'altra?

Invece no. È davvero troppo. E lo è non per mancanza di buonsenso, ma perché nel metodo di quei mezzi uomini per vagliare le vocazioni non c'è posto per la gloria di Dio, ma solo per l'utilità contingente, le piccinerie, le vendettine trasversali. Con tutto il corollario di ipocrisie, frocerie, mezze verità, e ridicole menzogne. Non avendo neppure il fegato di dire ad un seminarista "voglio mandarti via perché mi risulti antipatico", gli tendono trappole e tranelli. Non trovando appigli per poter dire ad un seminarista "ho scoperto finalmente che sei disubbidiente", s'ingegnano diabolicamente a fabbricartela su misura, la disubbidienza: come il rosario dal morto, come la tassa retroattiva per me insostenibile, come l'incapacità di crescere nel dialogo...

L'aspetto comicamente triste della vicenda è che un suo confratello della stessa comunità si era segretamente offerto di aiutarmi. Di darmi mensilmente quei soldi a fondo perduto, per farmi rimanere in comunità. Gli risposi che se fossi stato convinto che era davvero una banale questione di soldi avrei accettato volentieri quella partita di giro, e che il problema, ancor prima che economico, era in realtà una ridicolissima questione di antipatia nei miei confronti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, sono molto toccato dalle tue esperienze. È un vero peccato come sono andate le cose. Credo che saresti stato un bravo sacerdote.

Anonimo ha detto...

Ciao, sono molto toccato dalle tue esperienze. È un vero peccato come sono andate le cose. Credo che saresti stato un bravo sacerdote.