mercoledì 20 marzo 2019

Rapporto: primo anno di seminario

Formazione spirituale
  • Professionisti dell’entusiasmo (testimoni di una fede fatta solo di “animazione”, formalismi, paroloni, cantatine).
  • Abusi liturgici – primo fra tutti “l’anafora di san Basilio” (neppure al Vescovo faceva piacere che si usasse una preghiera eucaristica non riportata nel messale), la comunione “self‑service” (indelicatezza nei confronti dell’Eux, oltre che declassamento e ridicolizzazione del ruolo del sacerdote), diverse pagliacciate con gli abiti liturgici (tollerate quando non incoraggiate).
  • Insistenza sospetta sulla preghiera spontanea (spiritualismo fideista e pentecostalista).
  • Linguaggio ambiguo – termini mai usati: grazia, morte, inferno, purgatorio, paradiso, resurrezione dei corpi (la conoscenza delle verità di fede è data per scontata).
  • Riduzione della fede a organizzazionismo, insieme di regole e regolette, breviari e libretti dei canti, canzoncine e ricerca continua di “novità” perché “tanto per cambiare un po’” (noia mortale).
  • Riduzione della confessione ad una devozione qualunque, da “giornata penitenziale” (come se fosse estranea alla Comunione).
  • Linguaggio ambiguo (come se il sacerdozio equivalesse al mestiere del parolaio): ideologia della “Parola”, da cantare o declamare pomposamente.
  • Messa feriale mai inferiore ai 55/60 minuti (pesantezza liturgica annoiante), nonché raffica di preghiere e preghierine giusto per accontentare anche i “bigotti” (falsa “par condicio”).
  • Atmosfera di sacralità proporzionale agli addobbi in cappella (alla faccia del tabernacolo che è sempre lo stesso...).
  • Imposizione di preghiere e preghierine, nonché controllo poliziesco delle assenze e dei ritardi anche nei casi di attività “libere” (totalitarismo pastorale).
  • Riduzione dei luoghi sacri a studio di registrazione – “vado a farmi una suonatina in cappella” (risultato ultimo della “religione del libretto dei canti”).
  • Calici di terracotta, tabernacolo in legno e senza chiave (pauperismo e superficialità spacciati per semplicità), nonché una certa approssimazione nei paramenti sacri e sull’altare in merito a ceri, panni sacri, fiori, etc.
  • Etichettamento come bigotteria a tutto ciò che non è “allineato” all’andazzo (persecuzione non violenta).
  • Scarsa o nulla considerazione dei tempi di preghiera, lettura spirituale e meditazione personali (assolutizzazione ingenua della comunitarietà).
  • Uso eccessivo di “canti da parrocchia” e uso “pro forma” (ma in compenso infrequente) di qualche raro gregoriano (riduzione della dimensione del canto a “zecchino d’oro da parrocchia”).
  • Preparazione sospettosamente finalizzata al ruolo ambiguo di amministratore/animatore di centro parrocchiale (invece che di santo sacerdote).
  • Ecumenismo umanitarista e sincretino (la “religione del dialogo”).
Formazione umana
  • Guerra di nervi (alla faccia della carità cristiana): risposte ambigue con facce ancora più ambigue, sgridate e critiche inviate per terza persona, sceneggiate derisorie, “prediche contro” (camorra pastorale).
  • Libertà sostanzialmente negata (gesti che devono fare “tutti!”) e atteggiamento meschinamente poliziesco; fra l’altro non si può uscire se non il lunedì pomeriggio.
  • Omertà, ipocrisia, sindrome da circolo chiuso (una caserma), atteggiamenti peraltro invogliati (sindrome da gregge di pecoroni e leccapiedi); sincerità e lealtà cedono il passo alla “buona riuscita”.
  • Insistenza comicamente sospetta sullo “stare in sala comune” per “fare comunità” (ideologia sociologica).
  • Tolleranza a maniche troppo larghe per effeminati, falsi, demotivati e tiepidi (in compenso si muove guerra fredda contro chi ha una fede più cosciente e limpida).
  • Iperattività selvaggia (azzeramento del tempo libero, in stile militaresco): uno non ha tempo per sé stesso.
Formazione pastorale
  • Catechesi e omelie tra lo spiritualismo ed il sentimentalismo (testimoni di un’assenza).
  • Testimonianze “esterne” al limite (e talvolta ben oltre) dell’eresia (disattenzione o tacita accettazione?).
  • Riduzione del servizio pastorale a una generica “missione bontà” (buonismo filantropico televisivo e volontarista).
Formazione intellettuale
  • Studio nozionista, tecnicista, schiavo delle mode dell’ambiente teologico; studio meccanico, disordinato, non in vista di una santa formazione sacerdotale, con la generale fissazione del “dialogo”, nonché eresie più o meno ben mascherate nel generale ottundimento filosofico e teologico (cioè: nel migliore dei casi, inutile).

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