martedì 1 settembre 2020

Dir Messa e confessare? Macché...

Il mio ideale di sacerdozio è andato assottigliandosi col passare degli anni di così detta "formazione". Alla fine della quale, quando dovettero letteralmente inventarsi scuse per abortirmi, il mio "programma" sacerdotale era divenuto semplicissimo: dir Messa, e confessare. Lasciatemi dir Messa e confessare, non chiedo altro. Ma no. Volevano un prete, mica un sacerdote. Avevano bisogno di uno capace di "dialogo" ("capace" secondo i loro  bizzarri e mutevoli obiettivi), uno che costruisse "ponti anziché muri" (qualsiasi bizzarria loro decidano che ciò significhi), uno che stesse sempre "in mezzo alla gente" (un intrattenitore, un clown). E quand'anche nominavano "uomo di preghiera", intendevano un pensoso scrutatore di oscuri versetti biblici, districantesi fra ebraico e greco, che notoriamente suonano proprio affini alle traduzioni in lingua parlata del breviario (quelle "invocazioni", quella specie di "preghiera dei fedeli", quei "due salmi e un cantico" ammorbiditi alla bisogna, cosicché già in seminario ci si poteva vantare: "ah, io il breviario lo dico già, quei 7-8 minuti mentre faccio la cacca"), e che non conducesse a nient'altro che fumose prediche.

Quando sono stato sbattuto fuori, quell'ideale si è precisato: dir Messa tridentina, e confessare. Perché nel frattempo avevo capito che solo una fede svirilizzata ha bisogno di una liturgia svirilizzata: una liturgia costruita sul modello di Domenica In, col presentatore bonaccione che si rivolge agli spettatori che diventano protagonisti, col momentino cultural-biblico e la predichetta buonista, col darsi da fare a spostare aggeggi e a vomitare paroloni nel microfono, con gli aristocratici di parrocchia che infilano con annoiata fretta le mani nel Tabernacolo per "dare la Comunione"... Se volevate non farmi detestare la liturgia moderna, sarebbe stato sufficiente seguire il Messale o almeno frenare i peggiori personalismi. E invece no: il tipico pretino postconciliare è fondamentalmente alla mercè del laicato autoimpegnato e dei neo-dogmi non scritti. A meno che il pretino non sia più arrogante e cerebroleso e sostanzialmente eretico di tale laicato.

Ci vuole una specialissima "vocazione" (in senso negativo) per essere parroco oggi. Riunioni su riunioni, predichette preconfezionate, sorrisetti ipocriti, lisciare clero e laici e vescovo ognuno secondo il verso del pelo... Quel "dir Messa" consiste nel mantenere l'orario di un servizio pubblico di predica melensa, e quel "confessare" consiste nella mezz'oretta alle 15 del mercoledì (qualcuno invero è disponibile più spesso, ma ugualmente considera la confessione come l'impartirti una predica personalizzata prima di impartirti l'assoluzione, una sorta di seduta psicanalitica fai-da-te). Questi preti sono tali di mestiere, chiusi nel loro micromondo di televisione e voci di corridoio curiale, ed infatti peccano statisticamente più contro l'ubbidienza che contro la povertà, e più contro la povertà che contro la castità. Ubbidiscono solo ad un fumoso potere precostituito, di eminenze grigie che comandano ciò che vuole il Nemico. Prima che finisse febbraio 2020 erano già in sciopero dei sacramenti e lockdown di chiese, zelanti nell'ubbidire al Nemico, zelanti nel disubbidire alla santa Chiesa (cioè quella che "pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle") e al suo divin Fondatore.

Il paradosso è che se quelle merdacce dotate di sacramento dell'ordine avessero accettato di ordinarmi al sacerdozio dopo avermi tanto torchiato, può darsi che avrei ceduto e sarei stato uno di quelli che per una vita intera continuano a subire l'andazzo. Può darsi che sarei sceso a compromessi, che mi sarei ripeuto fino alla nausea che non posso dispiacere al vescovo, non posso inimicarmi la curia, non posso illudermi di essere Davide contro Golia, e quindi anch'io avrei collaborato a non pascere il gregge quando arriva la ben pianificata stangata della pandemia. Perfino i sovietici, capacissimi di coltivarsi degli anticomunisti che estremizzano e banalizzano l'anticomunismo, avevano un piano perfetto per gestire il fenomeno Solženicyn ma sfuggì loro di mano perché avevano torchiato più del massimo tollerabile. Per un acino di sale persero la minestra.

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