giovedì 30 giugno 2016

Castrazione vocazionale

In una Chiesa normale, la sola possibilità di una vocazione in più accenderebbe i cuori (di sicuro in Paradiso c'è grande esultanza anche per la sola intenzione di consacrare la propria vita). Gesù ha personalmente raccomandato di pregare per le vocazioni: gli operai per la messe sono sempre "pochi", in qualunque epoca. Se Gesù si è personalmente scomodato a precisare che le vocazioni sono "poche", possiamo facilmente immaginare quanto sia grave nella Chiesa di oggi quell'assurda autocastrazione vocazionale.

In tempi non troppo lontani da noi nella Chiesa c'era posto per tutti i tipi di vocazioni, indipendentemente dall'età, dalla storia personale, dal livello di salute spirituale e fisica. In tarda età ci si poteva ritirare in un convento, a terminare i propri giorni dedicandosi esclusivamente alla preghiera e alla gloria di Dio. "Vorrei essere un frate quando il respiro manca". C'erano persino ordini religiosi penitenziali, adatti a chi proveniva da una vita non proprio limpida, in cui si poteva vivere la consacrazione e perfino il sacerdozio ma lontani dal rischio di scandalizzare. Oltre alle congregazioni religiose di prestigio e di grande ascetica, c'erano anche quelle un po' più rilassate (non proprio osannate da tipi come sant'Alfonso), adatte a coloro che non avevano la tempra spirituale e fisica per le prime.

Insisto a sottolineare il fatto che c'era posto per tutti: forse non il posto che uno poteva ambire, ma di sicuro un posto dove chiunque poteva dirsi: andrò via da qui solo quando smetterò di desiderare la vita consacrata. Padre Enrico Zoffoli considerava l'ingresso nei padri Passionisti un onore, la permanenza una croce, il morirvi una grazia. Un onore accedervi: più un onore che una scelta. Una croce la permanenza, perché la vita consacrata non è una vita comoda. E soprattutto una grazia il restarvi fedeli fino alla morte.

Tutto questo oggi non c'è più. Oggi vediamo una situazione paradossale: da un lato la maniacale caccia alle vocazioni (penso ad esempio a quegli ordini femminili che vanno disperatamente rastrellando giovani filippine e africane), dall'altro la schizzinosità di fronte a chi desidererebbe entrare (non dimentichiamo poi i casi in cui ti accettano, ti parcheggiano a fare l'omino delle pulizie, e poi finalmente dopo un po' di anni decidono che non ti avevano mai voluto: come quel ricchione frocio d'un superiore che con disprezzo disse che nella sua comunità «tre vocazioni sono anche troppe»).

La crisi delle vocazioni c'è perché la gloria di Dio, nonostante tante chiacchiere clericali e tanti documenti vocazionali, non c'entra più niente.

Una decina d'anni fa una mia cara amica, titubante sull'entrare in una certa congregazione, si è sentita dire amorevolmente dalla suora responsabile vocazionale: su, pensaci bene: qui avrai sempre un tetto e un piatto caldo. Ha gentilmente salutato e non è tornata più: oggi il tetto e il piatto caldo se li guadagna lavorando e vivendo da sola. Sarebbe stata una storia diversa se la responsabile delle vocazioni le avesse detto: qui avrai una vita dura, ma ti garantisco per ogni giorno fino alla morte preghiera, silenzio, adorazione, ed Eucarestia.

Un giovane si presentò dal suo vescovo a chiedergli di diventare sacerdote. Il vescovo subito lo raffreddò amorevolmente dicendogli: "sì, ma non devi dire così, devi chiedere di fare un periodo di verifica, che poi il percorso di seminario è tutta una verifica, che in qualsiasi momento può essere interrotto... ci vediamo fra tre mesi, intanto prega..." Uno va lì con gratitudine e col cuore contrito e forgiato da una decisione definitiva sulla propria vita, e si sente rinviare sciattamente a "fra tre mesi" (e tre mesi dopo verrà rinviato di un altro mese, prima di poter avere finalmente un colloquio di almeno due minuti).

Un altro - ugualmente maggiorenne - si sentì dire dal suo vescovo: ma tu non hai esperienza di vita, dai, torna qui da me quando avrai una fidanzata. (e certo, uno si prepara al sacerdozio fidanzandosi, no? E magari pure compiendo gli atti che i fidanzati sono stufi di portare in confessione, no?)

E altri ancora, che credevano di essere stati accettati in seminario, per interi anni - dal primo all'ultimo giorno - si son sentiti dire che dovevano cambiare, che dovevano migliorare, che dovevano crescere nel dialogo. E più "cambiavano", più "miglioravano", e più "crescevano nel dialogo", e più sentivano che i superiori li avevano parcheggiati lì in seminario in attesa di trovare una scusa per mandarli via.

E quando finalmente al termine del seminario quei ponziopilato con faccia di bronzo trovavano il coraggio di dire che non ti ritenevano adatto «neppure con altri dieci anni di formazione», al danno segue la beffa: il seminarista chiede umilmente dove può trovar modo di realizzare la propria vocazione, e si sente rispondere «non so; posso solo dire: certamente non qui».

Ed è anche la mia storia.

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