sabato 2 luglio 2016

Esercizi: l'episodio dei finti diaconi

Ogni anno di seminario iniziava con una settimana di esercizi spirituali. Che consistevano in una gran quantità di prediche alternate a lungaggini in cappella. Il predicatore era invariabilmente un esperto divulgatore di aria fritta, per cui per non annoiarsi era opportuno portarsi di nascosto qualche buon libro da leggere - non necessariamente di spiritualità.

Siccome negli esercizi Tutto Deve Essere Più Speciale, il predicatore pretese per ogni messa due seminaristi chierichetti che al momento della Comunione trattava col riguardo che liturgicamente spetta ai diaconi. Cioè dava loro la particola (una parte dell'ostia appena consacrata) e pretendeva che facessero la Comunione insieme a lui, dopodiché passava alla distribuzione della comunione agli altri. Un abuso liturgico come tanti altri: nei seminari l'unica cosa che non manca mai è la voglia di Fare Qualcosa Di Speciale, cioè la noia e il disappunto per le cose normali.

Fui selezionato anch'io per servirgli Messa e mi diedi subito da fare per convincere il commilitone a chiedere al predicatore di amministrarci la Comunione normalmente, non come i diaconi. Con mia sorpresa fu subito d'accordo e andammo a parlargli. Il prete predicatore, colto di sorpresa poco prima di celebrare, farfugliò un "va bene" pensando, lungo tutta la Messa, al modo in cui potesse più crudelmente vendicarsi. I seminaristi si accorsero che proprio quel giorno non c'era stata la pagliacciata usuale, e uno di loro - quello che nella sua parrocchia di origine era soprannominato La Checca - mi chiese come mai il predicatore avesse fatto così. Feci il finto tonto. Non avvenne nient'altro di notevole, e l'episodio sembrò essere seppellito nell'oblìo.

Un po' di settimane dopo ci fu una Tregiorni dei seminaristi. Il vescovo celebrò la Messa e distribuì la Comunione. Mi presentai in fila come al solito, a mani giunte. Dopo avermi detto «il Corpo di Cristo», il vescovo si bloccò e aggiunse: «no, voglio darteLo nelle mani». Misi subito le mani a coppa, perché istintivamente a un ordine del vescovo si può solo ubbidire. «Le mani», ripeté sottovoce il vescovo, come se fosse stupito di vedermi ubbidire. Fu una delle rarissime volte in cui ho fatto la Comunione "con le mani". Tornai al posto, senza perdere la compostezza, e dopo aver ispezionato con la massima discrezione palmo e dita per possibili frammenti, mi inginocchiai per il ringraziamento.

Quell'episodio durante gli esercizi del seminario doveva aver fatto il giro del mondo a velocità supersonica, venendo gonfiato ad ogni rimbalzo. Ero passato per quello lì che aveva paura di fare la Comunione "con le mani". Il vescovo si era allarmato e si era personalmente autoincaricato di controllare questo Ribelle al Superdogma del Postconcilio, adoperando il Santissimo Sacramento come strumento utile a trarre elementi conclusivi per l'indagine.

Il mattino dopo il vescovo mi convocò con una scusa per farmi tutto un panegirico sulla Comunione "sulle mani" e sulla assoluta problematicità dell'ostacolare tale attività, così salutare e necessaria nelle parrocchie. Lo ascoltai come al solito, cioè annuendo con calibrato entusiasmo e in attesa del termine della predica personalizzata. Non sembrava una richiesta di perdono, ma solo il voler dar soddisfazione alla propria insicurezza mentre era roso dal tarlo del dubbio e del timore di allevare una serpe in seno, cioè un seminarista che si rifiuta di fare la Comunione sulle Mani! (non gli passerà nemmeno per la testa di averlo compiuto lui, l'abuso liturgico e l'insulto al Signore, rifiutandomi la Comunione "alla bocca" ed esigendola "alle mani").

Finalmente il vescovo arrivò al dunque: mi chiese cos'era successo quando ho servito messa durante gli esercizi. Gli dissi candidamente che in coscienza non me la sentivo di partecipare a quell'abuso e che lo avevamo chiesto in due al predicatore e che eravamo stati accontentati. Dissi "abuso" anziché "abuso liturgico", per non sembrare un professorino con la matita rossa (ma pensate un po' come occorre calibrare accuratamente le parole quando si parla col proprio superiore). Il vescovo, visibilmente imbarazzato, replicò mischiando insieme una considerazione sul dover seguire il Messale, una sul non essere troppo rubricisti, e una sull'ubbidire sempre al celebrante. Dopodiché mi congedò, senza però togliermi dalla lista dei sospetti criptolefebvriani, e senza apparentemente rendersi conto della sua personalità bipolare: da un lato, vescovo che non concede nessun permesso che non sia stato già concesso a tutta la Chiesa, dall'altro, vescovo che non vede l'ora di accontentare i suoi preti più facinorosi in termini di progressismo liturgico, chiesastico e dottrinale.

Nessun commento: