Un mio commilitone, in seminario, un giorno si lamentò: "Ma dobbiamo dirlo tutti che l'animatore deve essere più presente!" Mi si gelò il sangue. Con tutte le cautele del caso, gli feci presente che non è il caso di lamentarsi che l'aguzzino debba essere "più presente" nel campo di concentramento. L'occhiuto controllore sembrava infatti avere il dono dell'ubiquità: mentre era in camera a sfogliare riviste, te lo ritrovavi alle spalle in corridoio mentre andavi al bagno, e ti rifilava o delle cose da fare, o una ramanzina sul fatto che non eri a studiare o pregare (anche se avevi il canonico rotolo di carta igienica in mano).
Una volta fummo ospitati presso un seminario le cui camere sembravano quelle di un albergo a quattro stelle, tranne per tendaggi e coperte. Mi sembrava imbarazzante stare in una camera così grande, lucida e luminosa, quando negli anni precedenti avevo dormito per l'intero anno in sgabuzzini appena ai limiti della decenza.
A tavola pure era così: posate vere tutte uguali e addirittura lucide, sedie comode da ristorante, ambiente spazioso e luminoso... e in compenso tovaglie e pietanze erano arrangiati alla buona. Evidentemente era un albergo riattato a seminario. La cappella era stata ricavata da quello che doveva essere un locale di servizio. Pur luminosa, era spoglia e asettica.
Insomma, tutto era curato, tranne il cibo per il corpo e quello per l'anima.
Un altro episodio della mia vita di seminario. I seminaristi - e ancor più i preti - erano invidiosi della mia amicizia con una novizia, amicizia che precedeva le nostre rispettive vocazioni. Un normale affetto tra amici era per loro come fumo negli occhi. L'omosessualità repressa porta sempre a uno strano genere di gelosie: per esempio una volta il mio commilitone soprannominato "la vipera", fra lo sdegnoso e l'irridente, mi definì il protettore di quell'ordine di suore.
Un altro commilitone venne a dirmi che dovevo stare alla larga da quella lì perché "le voci corrono". In altre parole, il tizio fu adoperato dal prete "animatore" per farmi avere indirettamente una minaccia.
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