«Io non vorrei essere parroco, ma sono contento di essere prete per poter celebrare la Messa». Così disse il santo curato d'Ars.
Il sottoscritto, senza conoscere quelle parole, durante una ricreazione in sala comune, chiacchierando disse a un commilitone: «ma io non ho alcuna fretta di diventare parroco, a me basta poter celebrare Messa e confessare».
Alle mie spalle partì l'immediata escalation fino al vescovo. Che pochi giorni dopo inventò una scusa per dirmi che lui non intendeva ordinare al sacerdozio coloro che non fossero pronti ad essere parroci. Ingenuamente pensai che non ce l'avesse con me e quindi risposi con un blando sorriso di accondiscendenza. E sebbene questo mio atteggiamento fosse stato il meno pericoloso (date le circostanze specifiche) di fronte a tale affermazione, lui in altre occasioni si infilerà di nuovo tale sassolino nella scarpa in modo da toglierselo di nuovo. E mi ripeterà la stessa cosa nel giorno in cui mi dimise. Voleva la "vocazione a parroco", non la vocazione al sacerdozio. Non gli servivano operai per la vigna del Signore: gli servivano operatori della pastorale da abilitare anche a dir Messa.
Sputo con disprezzo su quel vescovo e su quelli come lui. La loro "chiesa" è fatta di strutture organizzative serie, come la "diocesi", che non coincidono mica con la vigna del Signore che per loro è un concetto astratto, un fervorino da predica feriale. Meritano pienamente di essere calpestati dal mondo come il sale che ha perso sapore.
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