martedì 9 ottobre 2018

Quando ti mettono alla prova...

“Ma se il superiore voleva solo metterti alla prova?” Ecco: questa è una domanda retorica da veri coglioni dotati di certificato di Enorme Coglionaggine e di lettura acritica e superficiale delle brutte copie dei libercoli devozionali settecenteschi.

Un buon superiore non ti mette alla prova perché ciò non sarebbe vagliare ma solo sadismo. Se hai appena messo le gomme nuove alla macchina non vai a farti un giro su chiodi e vetri rotti per “metterle alla prova”. Se la pubblicità dichiara che il tuo telefonino resisterebbe a cadute di due metri non ti metti a lanciarlo da 199 centimetri e mezzo per vedere se è vero. Un superiore onesto e timorato di Dio ha per scopo l’accendere un fuoco (il fuoco della fede, altrimenti la vocazione si raffredda), non il tirar calci a un secchio per dimostrare a se stesso di averlo riempito di più (di attività e servizi). I libercoli devozionali settecenteschi - spesso un po’ fantasiosi - testimoniano anzitutto che anche in quell’epoca esistevano subdoli superiori che per qualche motivo (froceria?) godevano nell’infliggere fatiche, dolori e sofferenze.

Episodio.

Un giorno il superiore mi comandò di presidiare la chiesa in una certa fascia oraria e di tentar di vendere polverosi santini ai turisti. In qualità di tremendo ricchione, il superiore esigeva tale ubbidienza con l’unico fine di farmi perdere tempo e, a lungo termine, di farmi saltare i nervi. Quel patetico tavolinetto posto lì nella chiesa per commerciare santini pareva un insulto al Santissimo nel Tabernacolo non molti metri più in là. Avrei dovuto farmi una frusta di cordicelle e frustare il superiore, col rischio però che avrebbe goduto e chiesto anche di essere sodomizzato, ma pazienza.

Giungono dei turisti, entrando come si entra al bar. Faccio loro presente che c’è il Santissimo e che quella casa è un luogo di preghiera (mi stava quasi scappando di aggiungere “ma quel frocio del superiore vuol farne una spelonca di ladri”). Poi, per spirito di ubbidienza, torno al tavolinetto e vedo i turisti inebetiti e imbarazzati. Torno accanto a questi ultimi e dico loro: vedete? quelli sono gli altari laterali, perché una volta i preti erano così numerosi che capitava che ci fossero più Messe contemporaneamente, una all’altar maggiore, e qualcun altra nelle cappelle laterali. I turisti si risvegliano dal torpore, si accorgono di essere in una chiesa, chiedono quale Messa dovesse seguire un fedele che trovasse una situazione del genere. Beh, facile: quella che in quel momento stava per cominciare, no?

Un altro gruppo di turisti è guidato da un vecchio trippone in camicia color grigio topo stitico. Senza dubbio un religioso. Infatti è l’unico che non tenta neppure la finta semi-genuflessione stile eroinomane che cerca di sembrare sobrio davanti alla polizia. Vedendomi in veste talare, mi chiede se sono il parroco. Gli rispondo che sono solo un seminarista, percependone il disappunto che nascondeva sotto il sorrisetto di circostanza. Accenna ad un’improbabile percorso culturale del suo gruppo di giovani e ci ritroviamo subito a parlare dell’altare. Oh, gli rispondo, l’altare è la cosa più nuova che abbiamo in questa chiesa, ed è nientemeno che preconciliare: questa chiesa non ha subito lo scempio del Vaticano II (marcando in modo appena più forte la parola “scempio”). Il gesuitastro della malora ha un semi-sussulto, come se avesse ingoiato un rospo di diciotto chili e il rospo avesse scalciato per tutte le interiora, fatto un giretto nell’esofago, per poi tornare a scalciare nello stomaco. Quindi, dopo un interminabile minuto secondo e una voce da condannato a morte, soggiunge: sì, ma forse questa è un’affermazione un po’... come dire, un po’ impegnativa...

Un altro gruppo di turisti è ammerigano. Oh, yeah, America Yù Ess É. Vadano a farsi friggere i santini polverosi (ma nelle parrocchie non li distribuiscono gratis o al più con la scritta “offerta libera”? c’è bisogno di un venditore che tenti di rifilarli ai turisti?) Non so per quale soprannaturale motivo all’improvviso tutto l’inglese che ho imparato a scuola mi si risveglia ruggente. Spiego loro che la pala d’altare è dedicata ad Our Lady, quindi indico loro il dipinto che sovrasta l’uscita, Gesù che scaccia i mercanti dal tempio (kickin’ out,  a pedate). Dev’essere stato il mio angelo custode a suggerirmi di far notare loro che ai fedeli che entrano lo sguardo inevitabilmente si posa sull’altare, sul tabernacolo, e sulla Madonna col Bambino, mentre al sacerdote celebrante (che quando è rivolto ai fedeli guarda verso l’uscita) si staglia in lontananza la figura di Gesù che rovescia i tavoli dei cambiavalute, un chiaro avvertimento al sacerdote che le cose della fede non sono un mestiere né un commercio.

Il gruppo di americani è già in visibilio per la spiegazione frizzante anziché museale, quando succede una cosa che sorprende persino me stesso: mi torna in mente un’espressione gergale americana (freaking out is not an option: “dar di matto non è mai un’opzione che si può prendere in considerazione”) e la riciclo in senso opposto per dire che se un prete è corrotto allora Jesus taught us that freaking out is an option (Gesù ci ha insegnato che si può dar di matto). Applausi americani scroscianti, torneranno a casa con qualcosa in più da raccontare (e di teologicamente esatto alla luce del Vangelo e del sacerdozio).

Ma no, a quello stramaledetto frocio del superiore col culo sfondato importava solo infliggermi compiti inutili o impossibili. E magari dopo anni che era lì ancora non si era accorto della significativa combinazione dei dipinti.
Qualche settimana dopo, ben prima del termine della stagione turistica, mi sgridò per non esser riuscito a vendere nemmeno un santino da dieci centesimi, e annullò il ridicolo incarico (evidentemente non tollerava che ai turisti venisse detto qualcosa di cattolico).

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