lunedì 26 agosto 2019

Non vado ai matrimoni...

Ero ragazzino. Alla Messa del matrimonio di mia cugina ero già infastidito dall'invadenza di vestiti costosi, fiori costosi, scarpe costose ai piedi di gente che avevo sempre visto in pantofole, quel palcoscenico per lo spettacolo, quelle imbecillissime paroline di circostanza di cui venni diluviato anche fuori dalla chiesa (inclusa l'immancabile "e tu quando ti deciderai a cercarti una fidanzatina?"), praticamente tutti durante la liturgia a pensare ad altro, ero già infastidito dal fatto che quando il pretino cretino terminò la lettura del Vangelo furono in pochi a sedersi perché gli altri erano già seduti fin dall'inizio della Messa, arrivò la mazzata micidiale: l'omelia.

Il prete, sui cinquant'anni, con fare inusualmente gioviale e per lo più rivolgendosi agli sposi chiamandoli per nome, disse poche stupidissime frasette di circostanza estratte dagli incarti dei Baci Perugina e trovò il modo di infilare a forza nel discorsino sulla vita degli sposi l'espressione «fare l'amore».

Avendo avuto all'epoca poche "gioie" televisive e internettiane, quell'espressione mi suonava particolarmente odiosa e pornografica, tanto più detta con quella voce affettata da vecchio trombone accidentalmente dotato di sacramento dell'ordine e che tenta di sembrare il simpaticone che al bar ti dà una pacca sulla spalla.

Con quel genere di preti, che aspettarsi? Le altre cugine e zie (di quelle da rosarioni giganti negli autobus dell'immancabile pellegrinaggio stagionale) infiocchettarono - come da tradizione locale - l'auto degli sposi con carta igienica e scritte pornograficamente allusive al sesso (imbrattando di rossetto il parabrezza), così, tanto per completare l'inutile fastidiosissima chiassata del pranzo di nozze e per confermare i frutti della Comunione appena (mal)fatta.

Qualche annetto dopo, forte del ribellismo adolescenziale, ebbi finalmente il fegato di urlare "no!" quando i miei volevano impormi la partecipazione ad un'altra di quelle pagliacciate.

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