sabato 1 marzo 2025

La diocesi invasa dalle sètte sospiranti

Scopro per caso che una parrocchia dove a suo tempo avevo prestato servizio ha la chiesa intitolata ad un santo diverso da quello con cui l'avevamo sempre chiamata. Sul sito della parrocchia spunta l'elenco delle iniziative in corso e la foto con la faccia depressa del giovane parroco con la chitarrina. È uno con cui non ho mai avuto a che fare, entrato in seminario dopo che fui fatto fuori. In quell'elenco di iniziative ci sono anche cose che avrebbero furiosamente proibito a me, se fossi giunto al sacerdozio e avessi ricevuto un qualsiasi incarico: quando vi dicono che accedere al sacerdozio è una grazia, è vero anzitutto nel senso che le regole ferree di ieri diventano consigli poco importanti di oggi e solidi divieti domani (eccezion fatta per la Tradizione, contro la quale c'è un'ostilità indefessa).

Nelle iniziative di tale parrocchia compaiono ovviamente anche un sacco di emerite vaccate. L'ha avuta davvero vinta la corrente pretesca che voleva trasformare le parrocchie in inutili dopolavori ferroviari dove un po' di gente se la cantasse e se la suonasse quanto basta per far sembrare vispa e arzilla la comunità cristiana locale agli occhi di una platea immaginaria di giornalisti, poco importa che detta comunità non coincida quasi per nulla con quella parrocchiale, poco importa l'effetto "porta girevole" (ogni anno tot nuovi elementi entrano e altrettanti escono). Il tutto corredato da simboli da cui un cattolico sano di mente si terrebbe igienicamente alla larga, e talvolta riguardanti eventi di cronaca riguardo ai quali un cattolico sano di mente parteggerebbe per il versante opposto.

"Ma come, hai sempre da ridire?", mi obietterebbe la tipica anima pia, "fanno persino l'adorazione eucaristica!" Eh, beh, non fermarti alla grafica colorata del manifestino e prova ad andarci tu a quel mini-show canoro autogestito che arbitrariamente chiamano adorazione, in cui il Santissimo Sacramento è poco meno che un intruso.

Il segreto di Pulcinella è che attorno alle parrocchie così malridotte proliferano vere e proprie sètte, accomunate dai... sospiri. Anche in questa diocesetta scalcagnata. Fin dai primi tempi del seminario raggiunsi la sgradevole certezza che la maggior setta sospirante aveva già in pugno la formazione al sacerdozio e le decisioni ultime sugli incarichi curiali e parrocchiali. Solo che nella mia ingenuità pensavo che ci fosse ancora un po' di spazio per il "vivi e lascia vivere", pensavo che vescovo, rettore di seminario, parroci, almeno un minimo scrupolo di coscienza riguardo alle vocazioni lo avrebbero avuto, mi illudevo che avrebbero detto "ma sì, spediamolo in quella povera e squinternata parrocchietta di campagna e dimentichiamolo lì". E invece no: l'ordine di scuderia era di non ammettere per nessun motivo qualcuno che non fosse conclamatamente allineato alla setta sospirante. I rari momenti in cui qualche prete mi espresse solidarietà, si trattava di qualcuno ormai fuori dai giochi, ostacolato a sua volta da quella setta senza nome, parlandomi forse solo per combattere al posto loro contro quel gruppo di fedelissimi del santone che non si poteva nominare se non con circospezione e a bassa voce (santone che infatti riuscì a maneggiare abbastanza da diventar vescovo, e non era un mistero che aspirasse a farsi assegnare proprio questa diocesi prima o poi), gruppo di suoi pupilli che gli riferivano tutto (e che accedevano comodamente al sacerdozio tranne nei rari casi in cui la combinavano davvero grossa).

E dire che avevano tentato di cooptarmi nella setta. Fui invitato a una delle riunioni col santone. Ufficialmente per una preghiera, praticamente per una predica. C'era un mucchio di gente timoratissima, ansiosa, bramosa di ricevere una parola del santone che avrebbe istantaneamente confermato o riprogrammato scelte di vita e vocazionali (quella gente costituiva esattamente lo spettacolo che intendevano offrire ai miei occhi: "hanno trovato una guida, deciditi a riconoscerla anche tu"). Nell'incontrino, a luci soffuse, quasi al buio, il santone esalò la sua predica in cui i sospiri furono più numerosi delle parole. Disse le solite trite banalità che potete ascoltare pressoché in ogni parrocchia vaticansecondista oggi, ma con un linguaggio ampolloso, imbottito di inutili astrazioni e dotte (ma ancor più inutili) citazioni, con esempi talvolta perfino calzanti ma che sembravano buttati lì solo per tener svegli gli ascoltatori. E naturalmente con qualche piccola forzatura qua e là, sul significato di qualche versetto del salmo, o su una parola del Vangelo.

Se non l'avessi già dedotto da continue osservazioni precedenti, l'avrei capito quella sera stessa il motivo per cui i pretini sfornati dalla setta erano tutti come lo schitarrante parroco sopra citato col sorrisetto depressino, con la passione per il teatro e la teatralità (red flag: intenderanno anche la liturgia come un teatro), con un compiacersi di citare canzonette moderne per spiegare il Vangelo (poco importa che tali canzonette lo contraddicano), con quell'atteggiamento - tipico di ogni setta - che anche quando si ubbidisce al legittimo superiore (il vescovo) bisogna sempre farlo con un escamotage che promuova la setta, bisogna sempre fare in modo che sia la setta ad espandersi, che sia il santone ad essere gloriato, che i membri della setta continuino ad essere trattati come il santone vuole.

martedì 25 febbraio 2025

Coccodrillo anticipato per il sullodato

In quell'infausto marzo 2013 appresi dalla tv in cucina - una delle due o forse tre volte che avrò acceso la tv in questo secolo - l'ascesa al soglio del Bergoglio. "Catastrofe!" fu la prima reazione. Spensi la tv e mi ritirai per qualche minuto in addolorata preghiera, come tutte quelle volte in cui ci si rende conto che per molti anni a venire non ne verrà nulla di buono, né per la propria vocazione, né per la Chiesa, né per le anime. Ed infatti quasi dodici anni dopo si sono rivelate esatte tutte le più odiose previsioni: letteralmente l'andreottiano "a pensar male si fa peccato ma s'indovina".

"Corpo sociale", intitolai questo blog di sfoghi, perché in una delle sue gesuitiche elucubrazioni il Bergoglio aveva detto testualmente “non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo”. Cioè il Corpo di Cristo (l'Eucarestia), a suo dire, non merita di essere difeso se ciò urta la suscettibilità di qualche fedele (il "Corpo Sociale di Cristo"), che nel contesto era il tipico parrocchiardo risentito perché non gli si amministrava la Comunione sulle mani. (La citazione la debbo a Blondet - articolo completo riprodotto su C&PC -, che l'aveva reperita da un articolo di Tosatti su La Stampa del 23-5-2014, articolo poi misteriosamente sparito dagli archivi del giornale).

Questa paginetta di "coccodrillo" l'avrei voluta pubblicare in morte del sullodato, se non fosse che qualche giorno fa un amico allarmato mi avesse telefonato per riferirmi della "scherzosa" affermazione bergogliesca secondo cui «se non seguo le indicazioni dei medici vado dritto in Paradiso». "Scherzando" ho chiesto retoricamente se il sullodato credesse davvero all'esistenza del Paradiso, e anche in base a cosa credesse di esserselo già guadagnato automaticamente. Oppure, se quelle parole gli fossero state messe in bocca da qualche giornalista creativo per sostenere la narrativa ufficiale del Tutto va Bene Madama la Marchesa, mentre da una decina di giorni è un susseguirsi di voci ufficiose sulle condizioni sempre più gravi e sui preparativi (già in corso da una settimana) del suo funerale. Ho ricordato all'amico come lo stesso don Bosco, nell'ultimo periodo della sua vita, chiedesse preoccupato preghiere per la propria salvezza. Un gigante come lui che all'avvicinarsi dei suoi ultimi giorni aveva il timore di presentarsi al cospetto divino come il servo che ha sotterrato un talento. Che differenza rispetto al Bergoglio che gesuiticamente si autopromuove "dritto in Paradiso" anziché pensare a come ravvedersi e salvarsi l'anima!

I giornalisti di Madama la Marchesa hanno riportato infatti di questi suoi giorni di degenza la sua attività riguardo "documenti e nomine". Sembra proprio lo scenario (già avvenuto col Berlusconi) in cui del soggetto, in condizioni gravissime e magari già morto o in coma irreversibile, si posticipa un po' la morte ufficiale in modo da fargli "firmare" qualche favorino "agli amici degli amici", e di far passare qualche giorno per non sgamare troppo il giochetto. (Succede talvolta anche il contrario, come quando Woytila negli ultimissimi giorni di vita s'impuntò a voler promuovere Negri all'episcopato; o come quando Luciani fu soppresso in fretta)

Tutta questa introduzione è solo per giustificare come mai la tesi di Viganò - cioè che il Bergoglio non avesse mai avuto intenzione di «pascere gli agnelli, pascere le pecorelle» - sembra mostrare più di qualche fondamento. In tutto il suo "pontificato", El Jesuita ha mostrato per il gregge solo un malcelato disprezzo, come quando trovava il tempo per onorare di una visita privata lo sconosciuto Traettino mentre i casertani imploravano almeno un cenno di saluto, o quando onorava la fin troppo nota Bonino dopo aver sempre definito "sgranarosari" e addirittura "occultisti" i fedeli cattolici. Se c'è un punto su cui vaticansecondisti e cattolici vanno davvero d'accordo, è che il vaticansecondismo è sostanzialmente "altro" da ciò che era "preconciliare" (da cui rifugge con disprezzo e disgusto, quando non con foga distruttiva).

Sapevo bene che il gesuitismo ha gran zelo nel servizio del demonio, anche da prima di Bergoglio. Anche da prima del giorno in cui un gesuitastro, guardandomi negli occhi, mi mentiva sapendo di mentire e sapendo che io sapevo che stava mentendo (per cui non mi meraviglierei che descrizioni come questa possano avere qualche fondamento). Con la morte di Bergoglio (probabilmente già avvenuta, nonostante qualcuno fidandosi troppo della stampa la etichetti "fantasiosa") si chiude un tristissimo capitolo della storia della Chiesa (qualcuno osa sperare: "Non sorprende che coloro che gli abbiano consentito di salire sul soglio di Pietro siano oggi così atterriti dalla sua fine"). Tristissimo anche per me, visto che il mio percorso vocazionale, già irto di assurdi ostacoli in tempi woytiliani-ratzingeriani, ha visto dodici anni di durissimo deserto.

In tempi remoti, in una gita a Roma con tappa a piazza san Pietro, al momento del passaggio di Woytila gli scattai una foto. Sarò stato a pochi metri di distanza dalla papamobile ma a rivedere la foto sembrò che mi fissasse. Non ricordo se dopo o prima, trovandomi a Roma per lavoro, dovendo raggiungere un collega a via delle Fornaci, tagliai per piazza san Pietro incrociando Ratzinger (ancora cardinale) sotto il colonnato. Non lo riconobbi subito, ricordo solo che mi fissava mentre mi sbrigai a passare per non farlo aspettare. Quando parecchi metri dopo mi resi conto di dove avessi già visto quel volto, mi voltai indietro e stava già sparendo dall'altra parte del colonnato. In epoca post-ratzingeriana, trovandomi a Roma a partecipare alla processione (del Corpus Domini, penso), non riuscii a vedere Bergoglio: era come se non ci fosse, o come se non volesse esserci. Questi episodi mi hanno talvolta dato per un attimo la sensazione che la mia vocazione avesse a che fare con la figura del successore di Pietro non solo in termini gerarchici. (E dire che da sempre avrei volentieri preferito un papa silenzioso, antipatico, o scandaloso su temi mondani, ma che almeno non acconsentisse a svarioni dottrinali e liturgici, laddove il Bergoglio si è invece prodotto in abusi liturgici - per esempio amministrando personalmente la Comunione "sulle mani", cioè sdoganando l'abuso - e in svarioni dottrinali, contro cui il belato delle correzioni filiali non ha mai ottenuto nulla)

Così, oggi, mentre il successore ufficiale di Pietro sta ufficialmente morendo, licenzio questa paginetta per tempo per evitare che qualche asino venga a ragliare che dei morti si debba dire solo del bene. E per cominciare a pensare a che nome nuovo dare al blog.

mercoledì 19 febbraio 2025

Un momento di rabbit hole

Volevo solo ricordare il nome di una chiesa, e son finito nel rabbit hole dello sfogliare l'annuario diocesano online vedendo che fine hanno fatto i miei compagni di seminario, i preti che mi hanno perseguitato, e quelli che andavano per la maggiore. C'è ancora listato qualcuno che nel frattempo ha gettato la tonaca (mai indossata) alle ortiche. Anzitutto quel soggetto pieno di sé, portato come esempio dal rettore, che più volte credette utile rampognarmi, oggi sposato, onnipresente in attività diocesane, dal mestiere incerto.

Un altro è parroco, e a febbraio 2025 il sito della sua parrocchia è ancora fermo alla richiesta di un "Green Pass Rafforzato e la Mascherina FFP2". Un altro ancora, dei più mormoratori e presuntuosi, assurto a incarichi diocesanamente prestigiosi. E poi un altro di quelli che avevano lasciato il seminario per fidanzarsi, dopo pochi anni rientrava con tutti gli onori del figliuol prodigo, salvo poi gettare la tonaca (mai indossata) alle ortiche per sposarsi. E quello che minacciava di farsi venire la crisi sacerdotale se non lo avessero promosso a una parrocchia di maggior prestigio, taac!, promosso. Quell'arrogante che primeggiava per ignoranza e faciloneria ha scritto un libro, rimediando un bizzarro incarico fuori diocesi.

Uno dei migliori preti della diocesi, ignorante e facilone ma non arrogante, chiacchierato perché giocava i numeri al lotto, la vocazione ce l'aveva. Celebrava, confessava, provava fastidio per le troppe chiacchiere da bar, per l'invadenza dei laici, per i noiosi raduni del clero. Ebbi a che fare con lui solo una volta, gli chiesi di confessarmi poco prima di una processione, neanche un minuto dopo mi amministrava l'assoluzione, eppure di cose da fare ne aveva. Avrei voluto essere come lui, un prete di campagna coi suoi difettucci, uno di quelli che se gli chiedi di confessarti non reagiscono peggio che se gli avessi chiesto un botto di soldi.

mercoledì 29 gennaio 2025

Il prete intrallazziere

Si introduca qui la figura del prete intrallazziere, ossia colui che pur ordinato al sacerdozio ha come vocazione non quella sacerdotale, ma quella agli intrallazzi - e che per quanto vanti la propria chiamata al sacerdozio la ritiene fondamentalmente uno strumento per questi ultimi. Non ci si lasci ingannare dall'espressione affabile e gioconda, non tragga in inganno la parlantina brillante e farcita di paroloni del gergo cattolico: quei sorrisi e sospiri sono in vendita, e se vi concede udienza è solo perché sta valutando l'opportunità di estrarvi qualcosa o di usarvi come mezzo per concludere qualche altro affare. Il prete intrallazziere è convinto che tutti abbiano soldi di cui non sappiano che farsene e che in virtù di ciò debbano mollargli il malloppo. Il prete intrallazziere non ha a cuore la fede, la dottrina, la liturgia, le vocazioni, ma solo il proprio prestigio e ancor più i beni mobili e immobili su cui nutre più o meno segretamente speranza di mettere le grinfie dicendo che è per volere di Dio. Apparentemente una figura paterna, si rivela invece un manager dedito solo a guadagnarsi il bonus trimestrale con ogni trucco; disponibile teoricamente con tutti, risulta irreperibile tranne che ai suoi fidatissimi - quelli che ne hanno comprato (in genere con moneta sonante) il favore.

Il prete intrallazziere è di solito il diametralmente opposto di don Bosco. Don Bosco pregava (e molto) e cercava di non farsi notare; il prete intrallazziere, quelle rare volte che prega, fa in modo da farsi notare. Don Bosco aveva a cuore la salute spirituale di coloro che gli si rivolgevano; il prete intrallazziere ha a cuore l'organizzazione, i finanziamenti, il barcamenarsi fra pagamenti da rinviare, debiti da onorare il più tardi possibile, opportunità di chiedere altri soldi e donazioni, sottili piagnistei su come sarebbe bello se gli affidassero tali immobili o talaltra ricchezza, "per il Signore", certo, come no. Don Bosco passava molto tempo in confessionale, il prete intrallazziere ne farebbe volentieri a meno; don Bosco soffriva (risultato del bene che faceva), il prete intrallazziere si lamenta di soffrire ma dietro le quinte fa la bella vita (e se glielo fai notare ti dirà che dopo tante fatiche ha bisogno di riposo e ristoro); don Bosco sapeva scegliersi persone di fiducia, il prete intrallazziere ha solitamente qualche figliuolo prediletto a cui irrazionalmente non sa dir di no; don Bosco era devoto dei santi, il prete intrallazziere è devoto a chi può arricchirlo (e se proprio tira in ballo figure di santità le menziona solo a mo' di slogan); don Bosco era virile, il prete intrallazziere solitamente non lo è del tutto. Don Bosco era come un padre amabile per i suoi "figli", il prete intrallazziere è come un caporale che esige che i suoi sottoposti siano perfettamente incastrabili nel suo mutevole e arcobalenante progetto. E sì, la maggioranza della corrispondenza di don Bosco era per chiedere donazioni, mentre l'intrallazziere chiede cercando di non lasciar troppe tracce, anche perché magari ha già avuto qualche "spiacevole malinteso" con autorità civili o ecclesiastiche...

E la partenza - o la dipartita - di un prete intrallazziere lascia tipicamente lo stesso caos di quella di un hoarder, un accumulatore seriale.

Alcuni preti intrallazzieri orbitano purtroppo attorno all'ambiente legato alla Tradizione cattolica. Ho avuto a che fare con alcuni di loro, rimanendone puntualmente scottato e deluso, perché non c'è verso di accontentarli o almeno assecondarli, sarai sempre considerato l'intruso che vuole intrufolarsi nel loro regno, un figliastro ingrato sgradito anzitutto al sacro figliuolo prediletto, una spesa imprevista che sopprimerebbero volentieri e il prima possibile. Se poi hai un qualche valore di mercato - come quel seminarista sudamericano abile in sartoria ecclesiastica, o quell'altro che stava per ereditare un certo pregiato immobile - potrai aspettarti un trattamento leggermente migliore dei figliastri intrusi.

La figura del prete intrallazziere è per molti tratti sovrapponibile a quella dei pessimi preti che hanno a cuore solo robette mondane. A differenza di questi ultimi, l'intrallazziere ha un'invincibile ossessione per il micromanagement, che in qualche modo influisce sulle priorità che dà a ciò che celebra, a come (e quanto) ascolta confessioni, alle vocazioni. In breve, mentre il prete frùfrù è debole quanto alla castità, il prete arrivista è debole quanto all'obbedienza (non nel senso di disubbidiente ma nel senso di avido di potere), il prete amante dei soldi è debole quanto alla povertà, e il prete intrallazziere è un mix di questi ultimi due, avido di beni e soldi ma con la foga dell'inanellare intrallazzi e "gestire" situazioni. Immaginate dunque i danni che possono fare i preti intrallazzieri quando hanno a che fare con le vocazioni...