Ogni volta che muore una persona cara, al mio dolore si aggiunge un supplemento Chiesa, dovuto a tutto ciò che la Chiesa in tempi normali avrebbe fatto (anzitutto il non lasciar morire nella solitudine e nell'assenza di sacramenti quelli che almeno nominalmente erano suoi fedeli), e a tutto ciò che il misero sottoscritto avrebbe potuto fare.
Non mi illudo di avere chissà che potere nello spendere una buona parola, ma sono piuttosto convinto che anche soltanto al vedermi in talare avrebbero nutrito almeno un filino di speranza in più (e figurarsi se avessi potuto amministrare sacramenti). Ho infatti ancora il ricordo di più di un parente che tentava, dal letto d'ospedale e senza forze, di tendermi la mano, nei tempi in cui ero ancora in seminario (e per ubbidienza alli superiori, in abiti civili). Ho ancora davanti agli occhi il pretonzo che avrebbe dovuto spontaneamente proporre il sacramento dell'unzione a un parente anziano piuttosto malmesso e non lo ha fatto, nemmeno dietro mia esplicita richiesta (sarà stato per pigrizia, sarà stato per impreparazione, sarà stato che non lo vedeva rientrare nei suoi alti compiti di pastorale sinodal-conciliar-dialogante, chissà; fatto sta che dovrà risponderne davanti a Dio).
In questi primi mesi di pontificato papa Prevost ancora non ha fatto niente in netta controtendenza con l'andazzo autolesionista conciliare. Ha anzi avallato pessime nomine, nominato il Bergoglio fino alla nausea, tollerato apparentemente in silenzio iniziative come il giubileo ellegibbittì, addirittura onorato il re degli anglicani (che nemmeno in patria se lo cagano)... Gli ottimisti continuano a credere che le cose cambieranno pian pianino, dimenticando che ha già compiuto settant'anni e il tempo gli si fa breve, e che davanti a Dio non gli conviene presentarsi dicendo "ma no, dai, pian pianino lo stavo facendo, e non potevo mica permettermi di offendere la sensibilità di qualche bergoglione, tanto più se era stato uno dei miei elettori".
Ogni volta in cui la mia vocazione è stata abortita (è successo molte volte, puntualmente dai superiori diversamente etero), nel tornarmene a casa ho portato via tutto, anche gli avanzi di scatole di cartone impolverati, perché nell'aderire il primo giorno avevo un po' di speranza che a distanza di tempo, partendo in missione o semplicemente approssimandomi a lasciare questo mondo, avrei lasciato tutte le mie cose in dono alla comunità che mi aveva accolto, come ultimo segno di gratitudine a chi aveva lavorato nella vigna del Signore e a chi mi aveva consentito di collaborarvi. Venendo invece abortito, ho voluto voltare pagina, andando via - possibilmente - senza neppure salutare, perché chi ti abortisce non merita nemmeno il più elementare ed ipocrita gesto di galateo.
Venivo abortito in tempi ratzingeriani (cioè non sospetti), quando ancora si poteva sperare di fare grande strada anche soltanto a passi di formica. Erano gli anni in cui il Summorum Pontificum sembrava essere inattaccabile da futuri pontefici. In tempi bergoglioni, invece c'è stato il deserto assoluto. Il Traditionis Custodes, pur arrivato dopo molti anni di bergoglioneria, era come se fosse stato scritto il primo giorno.
La figura del Papa incide fortissimamente sul percorso vocazionale di chiunque non sia assorbibile nella categoria di clown parrocchiale, e quindi per un minutino mi si era scaldato il cuore all'udire il nome di Leone XIV. E mi si è gelato un attimo dopo, quando ha menzionato il Bergoglio fin dal primo saluto ai fedeli. Ho voluto continuare a sperare, ho rispolverato la categoria del "ma dai, lasciamogli tempo, preghiamo perché non ceda alle fortissime pressioni di cui sarà certamente oggetto". L'epoca prevostiana, dopo meno di sei mesi, è già oscurata da densi e preoccupanti nuvoloni. La vita delle vocazioni al sacerdozio, se era durissima e irta di tranelli e trappole in era ratzingeriana, è diventata impossibile in epoca bergogliona, e a tutt'ora non sembra minimamente migliorata. Immagino che altri come me, venendo scacciati da case di formazione per grave insufficienza vaticansecondoide, abbiano raccattato dalla cameretta anche l'ultimo pezzo di cartone impolverato, uscendo dalla porta principale col magone e con nessuna voglia di salutare i superiori. E con la consapevolezza che il prossimo parente che sta per presentarsi al Creatore non vedrà una talare ma jeans e maglietta, non vedrà l'olio santo ma una tv accesa su un evento sportivo imbecille.
Per quante pressioni possa subire in ogni momento dagli agenti (volontari e involontari) del Maligno, finché il Papa è in grado di esprimersi - anche solo firmando un foglio alla sua scrivania - può sempre dare grosse e irreparabili stangate allo sfascio conciliare. È suo dovere di pastore, no?, tappare prima le falle più grosse della barca di Pietro, raddrizzare il timone, licenziare i marinai che sperano di vederla affondare, e soprattutto gridare "Signore, salvaci". E invece, fra ridicoli sinodalismi e omelie relativiste, Prevost sembra solo un Bergoglio meno cafone.
In questi sei mesi il Papa poteva, per esempio, menzionare "distrattamente" di aver celebrato la liturgia tridentina nella cappella privata (voglio ancora sperare che sia vero che in passato l'abbia celebrata), mandando così in soffitta l'infame Traditionis Custodes e la guerra al Summorum Pontificum ancor prima di pensare a un documento per confermarlo. Poteva, per esempio, evitare di menzionare continuamente Bergoglio - o limitarsi a fare cherry-picking delle rare porzioni di affermazioni vagamente condivisibili. Poteva, per esempio, porre il veto alle nomine più controverse, anche se decise in epoca bergogliona, avocando a sé i modi e i tempi e pure la decisione sui nomi. Poteva insomma ricordarsi di essere il Papa, capo visibile della Chiesa, e ricordarsi che non conviene combattere usando le armi scelte dal nemico (cioè anzitutto i media, e il linguaggio sfumato, e le categorie di pensiero del clerical-progressismo). Ma allora, cosa teme? Cosa desidera? Perché diavolo continua ad agire come se fosse il proseguimento benvestito dell'oscena bergoglieria?
Dunque anche l'epoca prevostiana si preannuncia come ennesima sagra della confusione, dell'abortire vocazioni "non allineate", del lasciar andare alla deriva la barca di Pietro proprio durante la tempesta, come se il pastore volesse scacciare le pecore decenti dall'ovile, come se il caposquadra dei vignaioli volesse continuare a vandalizzare la vigna licenziando chiunque abbia minimamente a cuore l'uva del Signore, come se il problema del raccolto della vigna consistesse invece in "dialogo", "sinodalità", "messaggio di riconciliazione", e tutte le altre emerite stronzate note per non aver mai alimentato la vera fede, o almeno ridotto le persecuzioni, o almeno stuzzicato effettivamente qualche improbabile (e mondana e televisiva) riconciliazione.
E sullo sfondo la morte dei nostri cari, guardando un soffitto scrostato, nel rumore del traffico d'auto, mentre preti e medici cazzeggiano alla macchinetta delle bevande, mentre il Sommo Pontefice smolla la sagra delle cazzate sulle religioni "sorelle" proprio al Colosseo, luogo dove venivano gettati i cristiani in pasto alle belve.