lunedì 13 ottobre 2025

Asciugare e separare! Spazzare! Il secchio! Lavare!...

Chi come me è convinto che la propria vocazione venga da Dio, non è disposto a credere alla mielosa favoletta secondo cui la anche la cattiva volontà dei superiori (incluso l'atteggiamento da mobbing) sarebbe volontà di Dio. Sarebbe come insinuare che se una donna ha voluto abortire, sarebbe stato Dio ad aver voluto privare il nascituro del battesimo di salvezza. Sono disposto a sopportare le vaccate del superiore e ad ubbidirgli anche su ciò che non capisco, ma non può chiedermi di peccare, non può comandarmi ciò che evidentemente inquina la fede e la liturgia, non ha il diritto di rendermi molto desiderabile la disubbidienza (nemmeno se si trattasse dei soli servizi di casa), se sceglie di mentirmi perde il diritto di essere creduto anche quando mi dice qualcosa che sembra vero, se bullizza non deve meravigliarsi che qualcuno ne tragga le conseguenze.

Episodio. Per una giornata liturgicamente assai importante eravamo stati tutti impegnatissimi fin da prima mattina. Ma proprio impegnati-impegnati, corri di qua, riordina di là, prepara qui, sposta lì, riaccendi là, anzi spegni lì, anzi chiedi di far accendere ma poi prima di cominciare ricordati di andare a controllare se è acceso... Nel frattempo gestisci gente, telefona d'urgenza, affronta intoppi, chiama Tizio, recupera ritardi, avvisa Caio, gestisci assenze, accòllati responsabilità non tue (tante piccole fastidiose grane)... Finalmente si arriva tutti alla celebrazione delle 12, con la processione d'ingresso dove cerchi di stroncare gli sbadigli e speri che lo stomaco vuotissimo non brontoli troppo forte, e nel frattempo sogni il momento in cui potrai stenderti per almeno qualche minutino.

In quella celebrazione la pomposità e la teatralità erano grosse quanto la nostra fame e la nostra stanchezza. Il superiore ovviamente esala una predica interminabile, gli occhi ti si chiudono, gli sbadigli sgomitano per uscire, cerchi di non pensare al fatto che una volta finita questa liturgia delle torture bisognerà pur prepararsi da mangiare e saranno tutte belve affamate. Anche i fedeli non ne possono più, ma trascinare all'infinito le liturgie è l'ars celebrandi di chi confonde la qualità con la quantità.

Al termine sgattaiolo via dalla sagrestia, quatto quatto per farmi notare il meno possibile, fiondandomi subito in refettorio ad apparecchiare e metter su una pasta col tonno (una delle poche cose che sapevo cucinare) mentre il resto della ciurma si attardava in ameni saluti e small-talk coi fedeli, felici che fosse finalmente finita. Alle due passate, sfiniti, finalmente rientrano tutti, entrando alla spicciolata in refettorio ma con passo imperioso, affamati come piranha, venendo accolti dalla tavola già imbandita mentre impiattavo l'ultima porzione.

Qual celestiale visione! Uno dei preti giovani mi ringraziò quasi fino alle lacrime, gli altri nascondevano a fatica il fastidio di non poter già affondare la forchetta nel piatto prima della preghiera obbligatoria, mentre il superiore era visibilmente combattuto dentro perché non riusciva a costruire un'accusa contro il sottoscritto assentatosi dalla liturgia dei convenevoli iniziata al termine della lunghissima celebrazione. Infine, dopo tanto rimuginìo e lotta interiore, emise finalmente una battutaccia qualificandomi "cuoco perpetuo", con riferimento all'incarico inflitto da Filippo Neri al Cesare Baronio affinché quest'ultimo non montasse in superbia. Solo che sentirla raccontare con le categorie del sadismo, con quel ghigno beffardo da bullo professionista che sfrutta la sua grande occasione, e pur sapendo che il Filippo Neri non lo aveva fatto per mobbing, mi ha istantaneamente piallato via tutte le simpatie per il santo e per la sua opera.

Accolsi la battuta con un volutamente distratto sorriso (se mi fossi agitato c'era il rischio che la condanna divenisse definitiva, perché un bullo non vede l'ora di dire "non sai stare al gioco" per infliggere altri danni). Puntualmente a fine pranzo il superiore osservò che c'erano da lavare i piatti. Avemmo tutti un conato di terrore. Si trattava di scegliere se riprendere fiato prima delle celebrazioni del tardo pomeriggio (cioè di lì a poco, a partire dalle pulizie e preparazioni) o di giocare a fare l'eroe (immagina svenire durante una celebrazione perché il superiore ha voluto che si facessero le cose in grande, come se avesse avuto il quadruplo o quintuplo degli schiavi a disposizione). Preferii non rischiare.

Il superiore scrutava una ad una le prede come una prof di matematica che vuole interrogare a sorpresa, cioè come un leone che ha bloccato le gazzelle in un vicolo cieco. Il suo figliuolo prediletto, abituato all'impunità, dichiarò di essere impegnato a preparare non si capì bene cosa, e fu automaticamente creduto (mentre noialtri sapevamo benissimo che avrebbe dormito più di noi). Così, salomonicamente, il superiore disse che ci avremmo pensato dopo (sottinteso: "ordino perentoriamente che qualcuno di voi lavi i piatti").

Ci toccò dunque lavare e rassettare, mancandoci solo la maglietta fantozziana "Bracciante". Il superiore ricomparve più tardi, a sorpresa, solo per assicurarsi che gli sguatteri fossero indaffarati. Ogni volta che stavamo per finire, la sua voce sempre più stridula ci annunciava altre cose da fare, per lo più con i verbi all'infinito. "Asciugare e separare". "Spazzare". "Il secchio". "Metti in un panno, va bene anche della carta". "Lavare". "Vieni, che c'è da lavorare".