lunedì 4 gennaio 2016

Archivio - 2 - lezioni sul lavorare su sé stessi

Prima "lezione": la madre di Luigi (non la immaginavo cosi' fine osservatrice) mi vede cercare con occhio languido il ghiacciolo alla fragola (perche' avevo gia' tra le mani quello alla cocacola), e mi dice sorridendo "eh! ...eh! ...un prete non fa gola!!" (intendeva che un prete o futuro tale non dovrebbe lasciarsi andare a peccati di gola). Beh, il gelato alla fragola me lo sono sbafato lo stesso (non prima di aver detto "ma io non sono ancora prete!"), pero' mi sono ricordato di tutte le volte che ho preferito abbuffarmi come un maiale pur di non pensare ad altre cose. E piu' tardi, a ripensare ancora a quella scena familiare (nessun evento eccezionale, solo un apparentemente innocuo scambio di battute), mi sono reso conto di quanto erano dense quelle poche parole: o la prendi come una battuta moralista, oppure, tenendo conto della fede semplice di quella donna, la riconosci per quello che e' - ci tocca lavorare su noi stessi, anziche' sugli altri, per ottenere quello che desideriamo dalla vita.

Seconda "lezione". In macchina, tanto per cambiare, mi lamentavo della mia situazione in seminario, e lei - con una delicatezza che non era qualcosa di programmato dal galateo femminile - mi dice che in fondo in fondo la questione non e' il portare avanti delle idee o il tirarsi dietro della gente, ma lavorare su se' stessi, usare la propria volonta', perche' per quanto stupido e incomprensibile ci appaia il sacrificio che siamo chiamati a fare dalle circostanze (dalle circostanze!), noi siamo chiamati ad essere quello che siamo in qualsiasi posto, anche il piu' odioso dei campi scuola. Ho pensato che questo genere di considerazioni da' fastidio solo perche' quando ci dicono che dobbiamo "lavorare su noi stessi" ci sembra di sentir dire "ha eternamente ragione chi ti maltratta".

Poi mi racconta della sua vita, e dice che e' stata per anni in Azione Cattolica a fare di quelle idiozie (tessere, campi, etc) semplicemente perche' non aveva alternative. E l'alternativa, per essere convincente ad una ben inquinata dall'AC, non poteva essere altro che un imprevisto: durante un potente pellegrinaggio diocesano lei vede uno che prega in ginocchio in Chiesa, e capisce che c'e' qualcosa d'altro, che c'e' qualcosa di meglio dell'AC. Appena pote', attacco' a parlargli, lega amicizia col tizio - ed e' dura, perche' il tizio mostra ampiamente di infischiarsene; e lei invece insiste, perche' ha visto qualcosa che non aveva visto altrove. Dopo anni e anni, quell'amicizia con quello che si e' rivelato uno dei consacrati laici, e' quella che lei trova come guida.

Dopo avermi raccontato questo, mi dice: "ma tu quando vai a un campo scuola, vai mica per convertire la gente? E' quello che sei tu, che vale; il modo con cui la Grazia passa attraverso di te non lo decidi tu. Io ho semplicemente visto uno in ginocchio, non e' che abbia fatto chissa' che cosa. Magari nel piu' odioso dei campi scuola qualcuno ti vede e decide di seguirti, e non certo perche' tu ti sia sforzato a convincerlo".

Nessun commento: