sabato 3 gennaio 2015

Quando ti serve aiuto e invece ti ammanniscono banali consigli

Dietro calde raccomandazioni di persone fidate, finalmente mi accostai a questo Famoso Sacerdote per chiedergli se avesse cinque minuti da dedicare ad un seminarista nei guai. Aveva un incontro con i suoi ragazzi, era lì per entrare nella sala. Mi disse che al termine dell'incontro mi avrebbe parlato.

Riuscii ad avere la sua attenzione nonostante la ressa dei suoi ragazzi bramosi di parlargli. Fu probabilmente l'unica volta in vita mia in cui in qualità di seminarista in difficoltà ebbi la precedenza - sia pure avendo anche l'impressione che fu solo per un colpo di fortuna.

Gli dissi che in seminario ero malvisto dai formatori e che ero assolutamente certo che la cosa non dipendesse dalla mia fede, né dalla mia vocazione, né dalla mia dirittura morale. Aggiunsi che il vescovo era propenso ad ascoltare le ragioni dei miei formatori banalizzando le mie. Non sapevo quale risposta aspettarmi, sapevo solo che lui, Famoso Sacerdote, mi era stato indicato come uno che poteva capirmi benissimo, uno che in seminario aveva avuto i miei stessi guai, uno che poteva darmi la dritta giusta o almeno qualche prezioso aiuto, per quanto piccolo.

Le sue telegrafiche risposte furono di una banalità sconcertante. "Che si fa? si ubbidisce al vescovo, si ubbidisce ai formatori". Mille volte in vita mia mi sono sentito ripetere che la volontà dei superiori è la volontà di Dio, ma nemmeno una volta ho sentito precisare che la retta volontà dei superiori normalmente corrisponde alla volontà di Dio.

Non può essere "volontà di Dio" un superiore che per metterti nei guai mente, inganna, diffama, maligna alle tue spalle. Dio può tollerare il male in vista di un bene molto maggiore, non può istigare al male. Quando i superiori del seminario ostacolano qualcuno avendo a cuore tutt'altro che la fede, la vocazione e la vita morale, non stanno facendo la volontà di Dio ma il suo esatto contrario. Anche se hanno la faccia di palta di commentare sorridenti il brano del vangelo sul «più operai per la messe».

Il Famoso Sacerdote, caso raro, non aveva una faccia da seccato. Gli avevo chiesto cinque minuti e cinque me ne concesse, congedandomi senza tradire alcun fastidio. Gli avevo esposto il mio caso calibrando accuratamente le parole, senza polemica (che mi avrebbe fatto apparire come il solito seminaristuccio lamentoso, anche se fosse stata totalmente fondata, anche se lui conosceva benissimo l'aria che tira nei seminari), bilanciando i fatti con le astrazioni (cioè senza indondarlo di cronaca e senza diluviarlo di impressioni e di concetti).

Con uno sforzo titanico mi ripetei mentalmente le sue parole, a lungo, cercando di estrarne il meglio possibile. Ma l'umiliazione non era ancora completa. I cari e fidati amici che avevano tanto caldeggiato quel colloquio si divisero tra coloro che si sforzavano di dire che il Famoso Sacerdote mi aveva confermato ciò che c'era davvero da fare, e coloro che ebbero il coraggio di obiettare: tutto qui?

Ero infatti andato a chiedere aiuto, non ero andato a chiedergli un permesso di disubbidire.

E poi, disubbidire a cosa? Quando i superiori del seminario tentano ogni trabocchetto per metterti nei guai, ogni mezza verità, ogni inganno, quando quelle stesse mani che mi amministravano ogni giorno l'Eucarestia firmano nero su bianco falsità e insinuazioni su di me, a cosa dovrei mai ipotizzare di "disubbidire"?

"Tu va' avanti per la tua strada, ubbidendo sempre", mi dice l'amico che ha più di tutti incoraggiato il colloquio tra me e il Famoso Sacerdote. Gli faccio presente - lottando con me stesso per non perdere la pazienza - che io sono nei guai proprio perché ho "ubbidito sempre", proattivamente, anticipando volentieri tutto ciò che poteva far piacere ai superiori: ma quando hanno deciso di farti fuori non c'è ubbidienza che tenga. Al punto da inventarsi leggi retroattive per farmi risultare disubbidiente e ribelle.

Da allora ho accuratamente evitato ogni altro incontro col Famoso Sacerdote. Non che fosse mai stato facilissimo avere il privilegio di parlargli.

Nei suoi panni io avrei risposto: spazza via tutte le ultime speranze e comincia subito a preparare i bagagli per cambiare ambiente, ti mando in un'altra comunità, un'altro seminario, una società di vita apostolica, un qualcosa di diverso, perché tu stesso hai già capito che coi superiori che hanno deliberato di essere ostili con te fino alla fine e col vescovo che ha già deciso di preferire loro a te, non hai speranza.

Oppure avrei risposto: ti manderei in un'altra comunità, un altro seminario, ecc., ma non conosco nessuno, e in coscienza non me la sento di mandarti al buio su una strada sconosciuta.

Queste sono le uniche due risposte oneste che poteva darmi. Da uomo a uomo, cioè da ministro di Dio preoccupato per gli operai della messe, a possibile futuro operaio.

I preti pigri - spiritualmente pigri, materialmente pigri, intellettualmente pigri - usano esattamente questa tattica: ti ascoltano e ti danno come Solenne Consiglio Definitivo una frase fatta, se non una trita banalità. Il che può andar bene coi tanti furbetti che vanno a chiedere una scusa per disubbidire o una scusa per andare contro la castità, ma è devastante se usata contro chi viene a mendicare vero aiuto.

Anche la più vera e adeguata espressione del Vangelo diventa un parolame vuoto e fastidioso se adoperata per mettere a tacere chi mendica aiuto. Quando hai un tremendo mal di testa, hai bisogno della cura, non di omelie sulla pace nel mondo, ancor meno sulle statistiche sull'emicrania, e ancor meno sulla bontà dell'aspirina. Hai bisogno dell'aspirina e basta: e se proprio uno non è in grado di fornirtela, allora che ti indichi una farmacia aperta, senza fare discorsi sul sopportare, sull'ubbidire.

Invece, come nella parabola del Vangelo, ci sarà bisogno del Buon Samaritano, perché farisei e sacerdoti sanno dispensare solo banalità. Perfino il Vangelo, uscendo dalle loro bocche, diventa una summa di banalità. Se hai mal di testa, ti occorre un'aspirina, non una predica sugli evangelici effetti dell'aspirina.

A distanza di tempo da quell'episodio ancora contemplo la possibilità di aver imbroccato uno dei casi rari della vita del Famoso Sacerdote, in cui ha preferito liquidare uno scocciatore piuttosto che farsi in quattro. La contemplo come possibilità perché anch'io in vita mia, a volte per equivoco, altre volte per pigrizia, altre volte per nervosismo, non sono stato caritatevole col prossimo. Ma ancor oggi la mia certezza è che quel Famoso Sacerdote, nonostante tutto il bene che ha fatto ai giovani e alla Chiesa, prima di accedere alla vita eterna avrà da scontare a prezzo salatissimo quell'episodio in cui si è comportato come il levita piuttosto che come il samaritano.

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