mercoledì 7 gennaio 2015

Paternità selettiva

Ad uno studentello di filosofia uno dei vescovi più "intelligenti" d'Italia suggerisce scherzosamente ma non troppo (come sanno fare in genere tutti gli ecclesiastici) di non perdere tempo con le ragazze e di considerare il sacerdozio in diocesi, farci un pensierino "così, senza impegno", e però sapendo che ti tratterei come un re, continueresti gli studi, faresti pubblicazioni, ecc. L'aspirante filosofo però preferisce la fidanzatina, aristocratica come lui, benché il sacerdozio lo attragga (perbacco, la possibilità di distribuire lezioni e omelie, di frequentare grossi prelati per dovere d'ufficio, di essere ancora più ammanigliato con monsignori e professori...).

La notizia fu peggio di una randellata negli stinchi poiché conoscevo già lo studentello di fama e soprattutto perché conoscevo il donabbondiesco vescovo avendogli esposto il mio caso e tentato inutilmente di mendicare un aiutino.

Così come gli sposi borghesi esigono il figlio perfetto e sono disposti ad abortire quello che non rispetta il loro piano prestabilito, così Sua Eccellenza fece nell'arco di pochi mesi orecchie da mercante sul mio caso e il ruffiano nel caso del giovanottino filosofino (che poi si è regolarmente sposato).

Un vescovo dovrebbe piangere lacrime di gioia davanti al Santissimo qualora gli capitasse l'occasione di sostenere una vocazione inguaiata dalle piccinerie di altri ecclesiastici... e invece mette in azione la "paternità selettiva": non vuole i figli che gli dona Dio, vuole i figliastri che si costruisce da sé. È una forma di deliberata autocastrazione, la stessa di quegli sposi che abortiscono i figli che non rientrano nel programma.

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