lunedì 16 maggio 2016

«Ma tu non potevi...?»

Solgenitzin dedica lunghe pagine del suo capolavoro Arcipelago GULag a rispondere alle domande dei faciloni: ma tu non potevi resistere? ma tu non potevi denunciare? ma tu non potevi opporti in qualche modo? ma tu non potevi coinvolgere altri come te? ma tu non potevi ricorrere alla giustizia internazionale?

No.
Semplicemente non potevo. Non potevamo. Nessuno di noi poteva, né può, né mai potrà.

Chi fa quelle domande è abituato alla giustizia dei telefilm, dove puntualmente entro la fine della puntata se il cattivo di questa settimana non si ravvede più convintamente di Zaccheo allora azzecca la meritata figuraccia di fronte al mondo, finisce in galera sommerso dal disprezzo degli onesti, o crepa di morte atroce.

Chi entra in un seminario o in una congregazione religiosa, solitamente impara a proprie spese che la risposta a qualsiasi domanda «ma tu non potevi...?» è sempre la stessa: «no, non potevo».

I vescovi e i formatori possono liberamente dimettere chi vogliono e quando vogliono, poiché il sacerdozio non è un diritto e il vescovo non ha l'obbligo di ordinare chiunque sembri vocato.
Questo però significa che i vescovi e i formatori possono anche sbagliare le proprie valutazioni e portare al sacerdozio candidati inadatti mentre lo negano a vocazioni sincere, per motivi che nulla hanno a che fare con la retta fede e coi requisiti stabiliti dalla Chiesa. È già storicamente accaduto di veder abortire vocazioni, e perciò sappiamo Nostro Signore cosa ne pensa:
Giovanni prese la parola dicendo: "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci".

Ma Gesù gli rispose: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi".

(Lc 9, 49-50)
Fermo restando che l'inettitudine e la cattiveria non sono ugualmente distribuite, il tipico formatore che abortisce una vocazione è come se avesse detto: "Ho visto un tale chiamato nel tuo nome al sacerdozio, ma gliel'ho impedito, perché non è della mia cricca, non mi sembra della mia pasta, non mi va a genio".

Ingiustizie plateali, contro le quali non si può far nulla. E no, non si può scrivere al cardinale, no, nemmeno al Vaticano, neppure al Papa, no, nessun tribunale ecclesiastico accetterà di riesaminare il caso: se l'ordinario ha detto di no, è no - inutile lamentarsi, ed ancor più inutile tentare di far notare le ingiuste ragioni di quel "no".

Ed è ancor peggio lamentarsene in pubblico, sulla stampa, negli ascoltatissimi tribunali laici, perché i formatori non sono persone abituate a riconoscere i propri errori (comprensibile: potrebbe costar loro la carriera), tanto meno dopo aver azzeccato meritate figuracce. E se anche venissero costretti a rivedere le proprie ingiuste decisioni, troveranno modo di vendicarsi a costo di dannarsi l'anima non una ma settanta volte sette.

Il sacerdozio non è un diritto. Chiarito fino alla nausea che non si può attribuire alla malvagità ciò che è spiegabile con la stupidità, se i tuoi formatori non ti reputano adatto per un qualsiasi cretinissimo motivo - come gli Apostoli citati dall'evangelista Luca -, non puoi far ricorso. E anche se per assurdo tu riuscissi a far ricorso, lo perderesti di sicuro perché nella gerarchia nessuno vorrà creare il precedente utilizzabile contro di loro da un vero e proprio popolo di ingiustamente allontanati.

In teoria - cioè sulla carta, ed eventualmente nei discorsi e nelle omelie - il seminarista viene vagliato, indirizzato, educato. In qualche documento ufficiale si dice perfino che è il caso di riconoscere e promuovere i suoi talenti. Ma nulla è previsto contro le decisioni ingiuste di coloro che abortiscono vocazioni.

In pratica, il percorso di formazione verso la professione perpetua o verso il sacerdozio consistono in una interminabile corsa ad ostacoli in cui occorre soddisfare le più turpi aspettative dei formatori: sostanzialmente, essere un clown programmabile a piacere da questi ultimi, essere sufficientemente scemi da farli sentire intelligenti, saggi e perspicaci, essere effeminati quanto basta per non far notare ai fedeli le ricchionate dei formatori e dei superiori...

E no, neppure la più santa ubbidienza può convincerli che sei adatto al sacerdozio. Una volta che ti hanno schedato come inadatto, la tua permanenza in comunità è puro sadomasochismo.

Perciò, se vesti bene, sei un vanitoso.

Se hai il telefonino, sei uno che col corpo è dentro ma con la testa è fuori dalla casa di formazione.

Se hai una laurea, devi necessariamente essere uno che disprezza il lavoro manuale - cioè uno a cui rifilare continuamente le più inutili incombenze manuali, con l'incessante scopo di umiliarti tenendoti perennemente indaffarato.

Se nel tempo libero leggi qualche saggio storico, teologico, apologetico, perfino scritti dei santi, insomma qualsiasi cosa che non rientri nell'elenco delle ricchionate da sagrestia, sei uno che sta facendo "auto-formazione", cioè che sta disprezzando e vanificando la (piatta, ipocrita e insipida) vita comunitaria del seminario e gli (scialbi, logorroici, inutili se non addirittura eretici) studi della facoltà teologica. (e se leggi il Catechismo avranno ugualmente da ridire: "invece di studiar teologia...")

Se hai un qualsiasi interesse o hobby che non riguardi l'attività di sagrestia, anche se ti sei solo limitato a parlarne, sei uno che ama perdere tempo e che perciò va inserito in attività manuali o "pastorali" - cioè estenuanti perdite di tempo.

Se preghi fuori dagli orari previsti e non sei iperattivo in quelli comunitari, allora sei uno che ha una spiritualità troppo solitaria e troppo poco comunitaria, da invitare ad andarsene al più presto a cercarsi un eremo di stiliti.

Se al di fuori della comunità hai amicizie femminili, allora sotto sotto fai sesso con loro. Se invece hai amicizie maschili, allora sei frocio e sotto sotto fai sesso con loro. Se passi in famiglia più tempo del minimo indispensabile allora sei un mammone pantofolone pigiamone incapace di crescere. Se a tavola mangi un filino più della media dei tuoi commilitoni, sei un famelico ingordo che sta temporaneamente compensando qualche vizio represso pronto a scatenarsi.

Se studi più del minimo indispensabile (oppure se consegui voti alti studiando meno della media) allora sei uno che vuole emergere troppo, un superbo che vuol farsi notare, un illuso sfaccendato che anziché dedicarsi alla pastorale vuol fare il professore.

Se fai minimamente notare agli altri (o peggio al docente) che qualche affermazione teologica è ambigua o eretica, allora sei un superbo che crede di sapere già tutto e che vuole mettersi in cattedra per proclamare le proprie opinioni. "Sei solo uno studente, credi di essere già un teologo migliore di lui?"

Se a tavola o nella saletta comunitaria hai qualcosa da raccontare che non riguardi le sagrestie, il gossip su vescovi e cardinali, le attività chiesastiche, allora sei uno che ha vissuto troppo nel mondo e che avrà chissà quali scheletri nell'armadio.

Se prima di entrare in noviziato lavoravi, allora hai sicuramente molti soldi nascosti e sei indubitabilmente un inguaribile tirchio che non vuole donare ai confratelli qualcosa di nuovo ogni giorno (dal caffè al bar ai biglietti del bus alle fotocopie degli appunti).

Se non incensi continuamente tutti i superiori e tutti i confratelli (per esempio se con qualcuno di loro ti limiti al saluto perché non avete proprio niente da condividere), allora sei inadatto al sacerdozio o alla professione solenne perché sei di carattere chiuso, esclusivista e selettivo.

Se ti rifiuti di assecondare gli abusi liturgici (per esempio se ti tiri indietro, durante la Messa, quando il superiore celebrante vuole farti distribuire la Comunione quando non sei ancora accolito) allora sei disubbidiente, poco docile, e con troppi scrupoli, inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Se su una qualsiasi questione hai delle tue opinioni non allineate al buonismo di sagrestia, oppure se non sfumi ogni frase con sciami di ambiguità politicamente e clericalmente corrette, allora sei incapace di dialogo e inadatto alla pastorale, cioè inadatto al sacerdozio o alla professione solenne.

Questa lista è grandemente incompleta, ma penso che almeno un po' renda l'idea delle forche caudine che un novizio deve attraversare non per un mese, non per un anno, ma per sei, otto, nove, anche dieci anni prima di raggiungere l'agognata méta.

In tutto questo tempo «non potevi», non puoi, non potrai. Dovrai accogliere con un sorrisino ipocrita ogni ingiustizia, ogni sferzata, ogni crudeltà, anzi, con vivace e convinto entusiasmo, perché non c'è niente di più godurioso per un formatore che il frustrare le oneste speranze di un formando.

È un sistema in cui l'unica forma di difesa è l'appiattirsi, l'auto-lobotomizzarsi, il diventare un robot programmabile e prevedibile. Un sistema che promuove al sacerdozio solo coloro che risultano completamente piallati e ricostruiti: cioè al punto che diresti sinceramente e onestamente che le osservazioni di cui sopra, quando non sarebbero false, sarebbero almeno un pochino esagerate.

E no, non vale l'obiezione secondo cui da me non è mai successo, perché eri tu che non te ne sei accorto, eri tu che tutto ubbidiente ti sei tappato occhi e orecchie, persino in buona fede, perché se tu avessi aperto bocca per dire da uomo a uomo cos'è che non va, non avresti trovato un colloquio diretto e franco, tanto meno avresti ottenuto risultati. Sfido qualunque seminarista a verificare onestamente qualcuno dei punti sopracitati. E per gli amanti del brivido, provare a chiedere l'indicibile, come ad esempio la Messa tridentina, l'allestire un gruppo di studio sul Catechismo tridentino o quello di san Pio X, o perfino una cosa semplice come il sostituire una ricchionata di canto liturgico con un canto dottrinalmente ineccepibile.

Fermo restando che tante volte la cretinaggine ha lo stesso aspetto della malizia, i formatori, oggi, sono la peggior caricatura di come venivano descritti nei libercoli devozionali seicenteschi: viscidi, vendicativi, fiscali, invidiosi di chiunque sia un pelino migliore di loro in qualunque aspetto, pronti alle più sfacciate ed elaborate menzogne pur di azzerare chi non va loro a genio, e contemporaneamente - per quei soggetti di cui sono innamorati: cioè per il loro "figliuolo prediletto" - più affettuosi, garantisti, prodighi, del più scriteriato padre intento a viziare i figli.

Un formatore onesto inevitabilmente soccombe al sistema, perché tutti gli altri formatori sono di quella pasta, e si accaniranno contro di lui con la stessa foga (e gli stessi sorrisini ipocriti) con cui si accaniscono contro i seminaristi che non rientrano alla perfezione nello stampo delle loro aspettative.

Ed il vescovo o il provinciale generale, o se ne infischiano oppure tacciono, perché la formazione al sacerdozio è un marciume fin dalle fondamenta, perché fatto in modo da non sfornare mai un prete che non sia disposto a compromessi in materia di sacramenti, di dottrina, di governo delle anime.

E no, tu non potevi, perché il solo accennare lontanamente a questo stato di cose ti fa prendere l'ineluttabile etichetta di lamentoso, ideologizzato e sovversivo.

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