mercoledì 13 dicembre 2017

Delazioni, cioè il metodo del seminario

L'arma più terribile contro ogni seminarista è la relazione di fine anno, compilata dalla così detta equipe formativa (composta dai preti animatori e dal rettore del seminario) e inviata al vescovo senza che il seminarista ne conosca i contenuti (a meno che non sia un notorio leccapiedi della summenzionata equipe al punto da farsi anticipare i contenuti). Il vescovo, naturalmente, se la leggerà estraendone solo i punti negativi da rinfacciare al malcapitato seminarista.

Vediamo alcuni esempi di cosa i formatori ci scrivono dentro.

Alla disperata ricerca di un pelo nell'uovo, in quella di Augusto scrissero che vestiva sempre orride magliette. Che quelle magliette fossero di colore da pensionato arreso e annoiato (o da prete cinquantenne, che è la stessa cosa), è vero. Ma che ciò intaccasse minimamente la fede o la vocazione, è del tutto discutibile. Il vescovo di Augusto, tutto pensoso, comandò a quest'ultimo di cambiare vestiario, col sottinteso che altrimenti erano guai seri.

In quella di Alfonso scrissero che non si era presentato alla novena intercomunitaria dell'Immacolata (consistente in trenta minuti di canti idioti e un paio di salmi, una delle tipiche paraliturgie inventate dagli annoiati formatori del seminario). In effetti il soggetto si era assentato ben due volte in quella settimana, osservando che almeno metà della comunità - incluso il prete che guidava la comunità - era assente. Quando il vescovo tutto pensoso gli chiese come mai questo punto negativo nella sua relazione, cascò dalle nuvole e rispose: beh, come mai mi contestano per iscritto a giugno una cosa avvenuta a inizio dicembre? in sei mesi non hanno trovato tempo di confrontarsi?

In quella di Domenico addirittura scrissero testualmente: «è stato sentito dire da un seminarista...» Cascò dalle nuvole e chiese al vescovo come mai un generico sentito dire fosse parte integrante della relazione e come mai l'anonimo e innominato delatore meritasse tanta fiducia.

Il fatto è che i vescovi italiani subappaltano uno dei loro compiti più delicati - la verifica delle vocazioni - ad un ente "seminario" incaricato di dare un sì o un no per l'ordinazione sacerdotale, col risultato che i formatori hanno letteralmente il privilegio di distruggere le vocazioni che non vanno loro a genio, ciò che scatena tutta la ridda di ipocrisie e la gara alla mediocrità: il più mediocre e insignificante seminarista, esperto nel docile lecchinaggio senza strafare, abile a fingere moderato entusiasmo per ogni stronzata proposta dai formatori lungo tutti gli anni di formazione, capace di impersonare al di sopra di ogni dubbio la figura del clown parrocchiale, otterrà relazioni entusiaste a fine anno.

Chi invece indossa una maglietta sgradita al formatore, oppure «è stato sentito dire» da uno dei lecchini del formatore, è spacciato.

Il vescovo ha formalmente subappaltato la formazione, per cui se ne infischia di tutti i passaggi intermedi (salvo le fatidiche relazioni). Dunque nel prepararsi al sacerdozio non vale la fede ma la finzione della fede in formato adeguato alla falsa fede dei formatori; non vale la vocazione ma la finzione della vocazione secondo le paturnie dei formatori; non valgono le caratteristiche umane ma solo la mediocrità più assoluta. La maledetta relazione di fine anno può rovinare un seminarista a causa della sua maglietta, o addirittura soltanto con un'accusa generica (tipo: non è aperto al dialogo: che diavolo significa? con "chi" non è stato aperto? con "chi" non ha dialogato?), ed è quella - più che il giudizio di Dio - che i seminaristi devono temere e temono.

Episodio. Il formatore e il rettore si recarono in gran segreto nella seconda metà del mese di luglio dal mio vescovo (oltre trenta chilometri di macchina) per consegnargli la relazione scritta contro di me e aggiustargliela verbalmente (in senso ulteriormente negativo, s'intende). Avevano scelto tale strategia perché non mi volevano in seminario a settembre successivo, e volevano assicurarsi che il vescovo si convincesse a dimettermi.

Quei due mentitori professionisti dell'ipocrisia, appena un mese prima mi avevano salutato con calorose strette di mano e un menzognero ci vediamo a settembre. Sono preti, cioè gente abituata ogni santo giorno a celebrare l'Eucarestia. Mangiando la propria condanna ogni santo giorno. E garantendo che la Chiesa venga rifornita dei peggiori operai per la Messe, i peggiori possibili.

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