giovedì 7 dicembre 2017

«Si è preso un periodo di riflessione»

Sicché c'era questo bravo ragazzo con cui in meno di un paio di battutacce sul postconcilio ci ritrovammo grandi amici. Aveva maturato la sua vocazione in uno sconosciuto movimento ecclesiale che tutto sommato non sembrava insegnare stronzate. Lontano da casa e destinato a tornarvi solo a Natale e Pasqua, si era portato nelle valigie le fotocopie delle catechesi del suo movimento, così da studiarsele nel presunto tempo libero. In tre anni riuscì nell'intento almeno una mezza dozzina di volte, visto che il seminario organizza le attività in modo da non lasciarti libero nemmeno il tempo in cui fai la cacca.

Tra grandi amici allergici al frociume culattonio tipico dei seminari si instaura quel rapporto cameratesco definitivamente estintosi dalle caserme militari negli anni '70 e '80. Con l'aria nauseante che si respirava in seminario era un piacere (di più, una liberazione) poter nominare sottovoce qualche patetico episodio della cronaca ecclesiale o della vita di seminario e contornarlo del sacrosanto e meritato turpiloquio. In clandestinità, naturalmente: guai a turbare la quiete del clerically correct del seminario. Ce l'avrebbero fatta pagare cara.

Inutile dire che lo fecero presto esaurire, facendogli pesare ogni più piccola cosa come se fosse una grave disobbedienza. I ministri di satana conoscono bene questa debolezza delle persone devote (e, in quanto tali, sostanzialmente incapaci di ipocrisia): basta agitare lo spettro della disubbidienza e queste si mettono in riga, con fatica oggi, con più fatica domani, con estrema fatica dopodomani, per infine sbroccare estenuate dando loro l'opportunità di scacciarti via restandone con le mani pulite. Non a caso, già dal primo anno, avevamo capito - ironizzandoci quotidianamente, consci che era quello il principale ostacolo da schivare - che nel gergo seminaristico l'espressione «si è preso un periodo di riflessione» significava invece «lo hanno fatto fuori».

Verso il terzo anno non ne poté più. Si arrese e annunciò - di punto in bianco durante una riunione di preghiera del seminario - di aver deciso di lasciare, di prendersi «un periodo di riflessione». Avvenne in primavera, gli sarebbe bastato resistere altri due mesi, ma lui non ce la faceva più nemmeno a resistere due ore. La gioia dei capicosca della mafia clericale era palpabile, perché anziché piantare un casino il giovanotto si era spontaneamente dichiarato in "periodo di riflessione", cosa che ufficialmente li assolveva poiché se la vittima non ha il coraggio di dire che i suoi carnefici lo hanno massacrato in ogni modo fin dal secondo giorno, significa che i carnefici possono sentirsi lindi e candidi e con un buon alibi da esibire agli uomini (illudendosi che valga anche davanti a Dio... qualora credano davvero in Dio).

Ci ripromettemmo di sentirci telefonicamente di tanto in tanto, anche se già sospettavo che appena messo piede fuori avrebbe voltato pagina e seppellito ogni ricordo. Gli feci anche promettere di non mettere da parte il desiderio di vivere il sacerdozio perché da qualche parte il suo percorso avrebbe potuto continuare senza la torchia della mafia pretesca, ma mi disse di sì solo per accontentarmi.

Ad essere del tutto sorpreso fu il suo vescovo, al quale appena pochi mesi prima lui aveva detto che tutto sommato le cose andavano bene (le relazioni sul suo conto erano meno acide delle mie). Il panciuto vescovo avrà avuto un sussulto: "ohibò, ha deciso che non era la sua strada? E non poteva avvisarmi? Le vocazioni oggi sfumano in un nonnulla... magari chiedo a qualche parroco di fare qualche veglia vocazionale".

No, caro monsignor Snorlax, sei tu ad aver torto marcio su tutta la tua donabbondiana linea. Prima di tutto avresti dovuto tu correre da lui, da quel povero giovane, quantomeno per dirgli le cose che invece gli ho detto solo io. Sei tu il vescovo, dunque hai un dovere di "paternità" nei suoi confronti, qualunque sia l'esito del suo percorso vocazionale - e ce l'avevi fin dal momento in cui lo hai accolto, e ce l'avevi ancor di più quando lo hai rifilato ad una struttura aspettandoti una relazione finale "ordinabile / non ordinabile", come se la formazione al sacerdozio fosse un semilavorato industriale.

Dovevi esser tu a rintracciare la pecorella che è a rischio di perdersi, e specialmente alla luce del fatto che fino a quel momento te ne eri infischiato di ciò che avveniva in quella catena di (s)montaggio dovevi assolutamente capire personalmente cosa si è inceppato. Due minuti in privato con lui ti avrebbero fatto capire che il seminario gesuitante gesuitogeno a cui lo avevi affidato ha lo scopo diabolico di distruggere le vocazioni sane, e di far andare avanti quelle false e ipocrite, mezzi uomini campioni di mediocrità e che considerano il sacerdozio un mestiere e la fede un elenco di discorsetti mielosi. Invece no, le tue auguste chiappe continuavano a scaldare quella sedia, in attesa della megacelebrazione domenicale dove avresti esalato i soliti luoghi comuni politically correct per mettere a posto la tua coscienza e illuderti di avere un buon alibi per il giudizio finale (qualora tu ci creda davvero, nel giudizio finale).

Sono anni che non ho più avuto notizie di quel caro vecchio amico, del quale mi rimane solo qualche simpatico episodio da raccontare e due numeri di cellulari tristemente obsoleti. In compenso grazie a wikipedia conosco il deprecabile nome di quel vescovo, chiedendomi se in punto di morte capirà di aver letteralmente sbagliato tutto per una vita intera.

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