mercoledì 3 ottobre 2018

“Parli troppo del seminario”

A chi obbietta sulle troppe parole sprecate riguardo alla vita di seminario occorre rispondere anzitutto con una sonora sberla o pedata, che riassuma quanto segue.

La formazione al sacerdozio dovrebbe in teoria dare al candidato una solida educazione umana, una solida preparazione teologica, e una solida vita spirituale. Non solo deve fornirgliele: deve anzitutto fargliele sinceramente desiderare, perché l'oberare qualcuno di impegni, nozioni e attività non è educazione ma solo un gratuito fardello.  Nel parlare di formazione o educazione non bisogna mai sottovalutare che deve consistere "nell'accendere un fuoco", non in una tecnica da giudicare efficace in proporzione alla quantità prevista di contenuti e attività.

L'educazione umana richiede che i formatori siano uomini adulti da seguire e da imitare. Non serve un tecnico della teologia (né un burocrate di parrocchia o di curia, tanto meno un capomastro ispettore, ancor meno un cercatore di peli nell'uovo), serve piuttosto un uomo virile forgiato dalle circostanze della vita e che è successivamente approdato al sacerdozio.

La preparazione teologica deve farti avere risposte cattoliche comprensibili (e perciò predicabili) al diluvio di cazzate proveniente dal mondo. Un professore di teologia è buono solo da piazzare nelle facoltà di teologia intese a fabbricare futuri professori di teologia da impiegare nelle future facoltà di teologia.

La vita spirituale deve definitivamente convincerti che ti conviene seguire tutti i tuoi doveri di stato. Deve farti gustare la Messa e i sacramenti, non ridurteli a "celebrazione". Deve farti riconoscere che c'è divina grazia che fluisce e che saresti un cretino a non volertene avvantaggiare continuamente.

Se queste teoriche premesse fossero almeno in parte assecondate, ci sarebbe non solo un drammatico calo di "crisi sacerdotali", ma in poco tempo sembrerà di avere almeno il quintuplo dei preti.

Tali teoriche premesse (che resteranno teoria perché il putrido etat d'esprit vaticansecondoide ha rovinato tre generazioni di clero), inoltre, sono l'unico serio motivo per "parcheggiare" in formazione un candidato per cinque o sei anni e più. Se la formazione esige di derubarti di parecchi anni della tua vita, dovrà come minimo ricompensarteli adeguatamente. Quegli anni non ti verranno più ridati. Entrare in seminario deve risultare in qualcosa di positivo e indimenticabile anche in quei casi in cui lo sbocco non è il sacerdozio... altrimenti è l'equivalente dell'essere incarcerati, anni di carcere per punire il "reato" di aver chiesto di accedere al sacerdozio.

Il paragone col carcere è perfettamente appropriato: il seminario è un luogo chiuso (la possibilità fisica di uscire un paio di giorni a settimana e le ferie estive/natalizie non cambiano la sua caratteristica di impegno a tempo pieno, ti senti seminarista finché non concludi), in cui il tempo viene impegnato da studi e attività, in cui non si conduce una vita normale ma una vita da seminarista (devi proprio personificare il seminarista, altrimenti bye-bye sacerdozio). Non si tratta di giorni o settimane, si tratta di interi anni. Anni della tua vita - tra i migliori anni della tua vita - che non ti verranno mai più restituiti.

L'alibi che quegli studi e quelle attività siano dovuti al dover "uuh uhh discernere correttamente uuh uuh" le vocazioni, è una cazzata mostruosa. La sola durata pluriennale del seminario è già sufficiente a identificare senza fatica attitudini e capacità dei singoli. La truffa del "discernimento" è nell'idea (tutta conciliare) che il sacerdozio sia una mansione di parrocchia, un incarico assegnato dal vescovo, un mestiere gestito da un polveroso ufficio di curia, pertanto se il candidato non è funzionale a lavorare secondo i prestabiliti livelli di produttività e sotto la sempre crescente giungla di normative, regolamenti, editti e proclami, viene scartato: dopo il danno, la beffa! Entri perché desideri sinceramente dir Messa e confessare, e i formatori vanno blaterando di dialogo con lagggènte, di responsabilità nel pastoralato, di docilità nell'ascolto, di sensibilità pastorale, e di tutto l'orrendo letamaio di epiche stronzate postconciliari. Poi, alla fine, dopo adeguato discernimento, promuovono solo la checca che considera la Messa il noioso contorno della propria omelia, che si stufa di confessare, ma che è sempre in riunione col sindaco, col comitato della sagra, col consiglio affari economici (appena nominato parroco indebita la parrocchia di centomila euro per realizzare nientemeno che il campetto sportivo parrocchiale: ora sì che le anime andranno in paradiso!), col gruppo teatrale per la realizzazione dello spettacolo musical...

Nessun commento: