domenica 10 luglio 2022

Qualche piccolo aggiornamento

Nello scorrere queste mie vecchie pagine mi rendo conto che ormai non ho più molto da aggiungere ai temi già trattati, al di là di qualche altro tragicomico episodio dell'epoca che occasionalmente riaffiora alla memoria disseppellito sotto la catasta di scene di vita grottesche che credevo di aver dimenticato ma che riprendono quota ogni volta che sento accennare a vocazioni al sacerdozio.

È come il vomito dopo l'indigestione: una volta che ti sei svuotato, ti dai una rapida sciacquata e riesci ad andare tranquillamente a nanna. Che è forse anche il motivo per cui a suo tempo un amico sacerdote mi consigliò di scrivere un libro. È stato meglio un blog che un libro, anche perché in un libro difficilmente sei libero di usare termini come "ricchionata" e "froceria".

La questione dell'omosessualità nel caso di preti e anime consacrate riguarda infatti persone che vivono in un ambiente chiuso, popolato di persone del proprio stesso sesso, verso le quali nutrono - in virtù della loro tendenza omosessuale - un fascio di gelosie e infatuazioni che una persona eterosessuale in quello stesso ambiente chiuso non vive, un fascio di incontrollabili sentimenti (e di attrazioni fisiche) che gli etero della comunità non provano né mettono a budget. Perfino quando tale omosessualità fosse vissuta senza atti sodomitici. Una certa percentuale dei miei guai, come ho ampiamente raccontato nelle precedenti pagine, è dovuta al fatto che qualche Tizio era geloso di qualche Caio che era infatuato di qualche Sempronio che voleva farla pagare cara a qualche Pinco Pallino, con me involontariamente bastone tra le ruote di uno dei quattro, anche solo virtualmente, anche solo nelle paure irrazionali di una mente obnubilata dalla gelosia o dall'invidia, e specialmente nei casi in cui almeno uno di loro era mio superiore o figliuolo prediletto di qualche superiore.

Nel corso degli anni alcuni dei pretonzoli che a suo tempo (e in diversi luoghi) erano incaricati di vagliare la mia vocazione e la mia vita morale, son finiti sui giornali per faccende penali, peniene e omosessuali. Quindi absit iniuria verbis se in questo blog, nel corso degli anni, anche prima delle faccende di rilevanza penale, li apostrofavo come checche, froci, ricchioni, intendendo che un prete, in quanto prete, dovrebbe garantire un "minimo sindacale" di vita morale e di virilità, e che se qualcuno si fa sfondare l'ano o ricattare dai twinkini con cui si trastullava, non possono essere presi sul serio i loro giudizi sulle vocazioni, perché con enorme probabilità sono dettati da gelosie e infatuazioni.

Ho raccontato su questo blog del fatto che almeno fino alla fine del seminario ero ancora disponibile a sacrificarmi a celebrare la liturgia moderna, in italiano. Quando mi hanno sbattuto fuori ho cominciato a capire che era solo un prezzo da pagare, un sacrificio che ero disponibile a fare per disperazione (come se avessi voluto dire ai superiori "vi prego, farò anche questi nuovi e arbitrari sacrifici che mi chiedete, ma non scaricatemi come un sacchetto dell'immondizia") ma la mia tensione per la celebrazione della Messa non avrebbe sopportato a lungo l'opera di disturbo delle schitarrate, delle mini-omelie laicali, dei cartelloni e dei gadget mondani, dei canti sguaiati, trascinati, imbecilli, cacofonici, del dover far così anziché cosà perché altrimenti volano delazioni e vendettine trasversali. La mia vita liturgica non poteva essere scandita da tessuti sintetici sull'altare e addosso, da suppellettili sacre disegnate da poco meno che indemoniati, da impianti di illuminazione e amplificazione e riscaldamento, da barbosissime riunioni clericali, curiali, di sagrestia, dal sindaco, dal comitato della sagra, da aule liturgiche che sembrano garage... Uscendo da quella bolgia infernale ho cominciato a capire che la mia vita sacerdotale avrebbe dovuto essere dir Messa tridentina e confessare, non più soltanto "dir Messa e confessare". Quando sono stato libero di assaporare la Tridentina nei festivi e nei feriali, mi chiesi sinceramente come diavolo era stato possibile che quella liturgia fosse stata de facto abolita, censurata, proibita, vietata, e ancor più perché me l'avessero così accuratamente nascosta.

Ho spesso menzionato il "tempo libero" come se fosse una necessità assoluta del sacerdote (e di qualsiasi anima consacrata). Contro il tempo libero c'è poco meno che una furiosa crociata anche da parte di preti che passano come super-mega-tradizionalisti: fino all'ordinazione sacerdotale tutti si affannano a fingere di non averne, dal giorno dopo l'ordinazione i pretonzoli si affannano a ritagliarsene sempre di più. La demonizzazione del tempo libero - come anche di qualsiasi hobby non peccaminoso - parte dal presupposto che l'ideale sacerdotale sarebbe quello di diventare un robot: emettitore di liturgie, di prediche, di preghiere; il massimo consentibile è il leggersi fumosi testi teologici. In realtà il tempo libero andrebbe addirittura imposto, perché da come usi il tempo libero si capisce se qualcosa non va - e vale anche per il tuo direttore spirituale, e vale anche come tema per la meditazione personale. Se nel tempo libero ti affanni anziché riposarti, insegui robe ai limiti del peccaminoso anziché qualcosa di costruttivo o di rilassante, o peggio se ti annoi, nella tua vita c'è qualcosa che non va persino se sei un robot.

Con "tempo libero" non intendo "un angolo privato dove nessuno entri e dove nessuno può giudicare". L'angolo privato esiste proprio in risposta all'asfissiante moralismo (presente anche nel mondo "tradizionalista") che crede che il prete debba essere un robot.

Da una certa comunità scappai via letteralmente senza salutare perché quando un superiore ti ha spettacolarmente mentito una volta (più volte, e sapendo di mentire, e mentendo per salvare le apparenze, e mentendo riguardo a questioni fondamentali della tua vita, tua vocazione, tuo tempo libero), anche a distanza di decenni, anche di fronte all'ipotesi che le mentalità possono drammaticamente cambiare (inclusa la mia, visti ad esempio i giornali politici che leggevo assiduamente da giovincello), non riesci più a fidarti, non riesci più a pensare dov'è che abbia nascosto furbescamente l'ambiguità. Non mi può venir voglia di fidarmi di uno dei pretazzi dell'epoca pur vedendolo cadere sulla via di Damasco per la Tridentina. Non ce la faccio. Non è questione di perdonare o di sforzarsi di pensare che abbia cambiato idea. Chi si scotta con l'acqua bollente, diffida anche dell'acqua fredda. Se un topo fa tana su quelle tue mutande nel fondo dell'armadio, non ce la fai a rimetterle in lavatrice per illuderti che siano ancora utilizzabili. Le getti via, poiché il ricordo del topo che rosicchia è troppo forte per poter essere dimenticato da qualche giro in lavatrice. Considerato che c'è tanta gente - anche ex seminaristi - che hanno perso la fede proprio per situazioni del genere, non credo di essere troppo severo sul rifiutarmi di riconsiderare anche il caduto (presunto caduto) sulla via della Damasco Tridentina. (Suppongo pure che ci sia gente che la pensi così anche di me, e me ne dispiace, e so che è estremamente improbabile poter ricucire e perciò accetto la situazione senza inutili drammi e senza ipocrisie, che siam tutti peccatori me compreso; considero legittimo che qualcuno possa aver motivi di non voler più aver a che fare col sottoscritto, mi aspetto dunque che qualcun altro consideri legittimo che io non voglia più aver a che fare con lui poiché a suo tempo calpestò crudelmente la mia vocazione).

Sono tuttora convinto di essere chiamato al sacerdozio ma i contorni di questa chiamata si sono affinati. A differenza di chi vuole sposarsi e non trova moglie, e che ridimensiona i suoi standard accettabili anno per anno viaggiando spedito verso "una che basta che respiri", il sottoscritto - come tantissimi altri nelle stesse condizioni - ha ripetutamente alzato l'asticella, ha ridimensionato enormemente la quantità di cose su cui era disponibile a chiudere un occhio o a sacrificarsi. Mi trovo nella comica situazione in cui se mi dicessero "c'è un posto per te in seminario qui, in comunità là" dovrei domare la diffidenza anziché l'entusiasmo. Così come da giovane uno facilmente prende decisioni definitive dovute quasi solo all'avvenenza della ragazza che ha di fronte, dispostissimo ad accettare compromessi su tutto il resto, così da adulto è molto meno disposto a compromessi solo in nome di una bellezza muliebre che riconosce essere passeggera o di un quagliar presto. Vale anche per me, che ai tempi del seminario ero disposto a sacrificarmi su un po' troppe cose (beata gioventù, illudersi di poter resistere novanta-centoventi minuti di riunione dell'unità pastorale, delle sagre delle canzonette imbecilli durante la Messa, e di tutto il resto: e ricordiamoci che è responsabilità dei vescovi conciliari se le cose vanno così, perché sono i vescovi a plasmare il clero), mentre oggi non sono minimamente disposto ad accettare compromessi anche solo di blanda facciata ipocrita. Le energie che mi restano, il tempo che mi resta in questa valle di lacrime, la scarsa pazienza residua per quel che riguarda i temi ecclesiali e spirituali, non intendo immolarle - nemmeno una briciola - sull'altare dei compromessi. Dir Messa tridentina e confessare, e su tutto il resto "scusate, non so ancora se ho sufficienti tempo e pazienza". E non sono disposto nemmeno a prendere sul serio l'opzione "vattene da Lefebvre, visto il "Cinquantismo" tuttora ivi regnante.

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