lunedì 10 settembre 2018

Perché la Messa tradizionale in latino?

Considerate le circostanze attuali, avrei dovuto specificare un punto 7: "la Messa in latino non è peccato mortale e nemmeno veniale". Infatti, di fronte alla devastazione prodotta dal postconcilio e persino di fronte ai recenti scandali i vescovi sarebbero più disposti a concedere libertà di perversione sessuale piuttosto che libertà di Messa in latino.

La Messa che intendi celebrare è quella che descrive la tua vocazione al sacerdozio.

Nell'entrare in seminario ero convinto che da sacerdote avrei celebrato degnamente il Novus Ordo, presidiato il confessionale ogni giorno, collaborato alle attività parrocchiali e diocesane dando spazio ed enfasi a tutto ciò che poteva portare le anime a Dio e, dettaglio conosciuto solo dal direttore spirituale, qualche volta celebrato - in privato, ma anche no - in latino. Ubbidienza sì, ma non come un robot.

Già dai primi giorni del seminario compresi che la via era invece tutta in salita. Volevano proprio un robot. Un robot intercambiabile con gli altri. Come se le cinque casalinghe del vicinato avessero in comune tre caffettiere moka e si accordassero per scambiarsele continuamente esigendo sempre la stessa qualità di caffè, guai a proporre un caffè migliore o una macchinetta diversa. Così pure i vescovi: scarseggiano le vocazioni e il valzer delle nomine a parroco può funzionare solo se tutti i preti hanno lo stesso identico grado di mediocrità, professano le stesse castronerie, portano avanti le stesse cazzate. Guai ad avere un prete che celebra principalmente in latino, guai ad avere un prete che non vuol concedere la comunione sulle mani, ma che dico? guai ad avere un prete vestito da prete...

Vogliono proprio un robot. Perciò la formazione in seminario non è formazione (dar forma a ciò che è ancora informe), non è educazione (da ex-duco: tirar fuori da te il meglio di te), ma è solo il tempo dei ricatti e dell'appiattimento. Una volta che ti hanno dato il sacerdozio, diventa infatti "complicato" togliertelo o metterti a tacere, cioè diventa complicato ricattarti. Guai a non essere super-arci-stra-iper-sicurissimi che il soggetto da ordinare non detesti la Messa in latino. Guai se il soggetto nutre qualche minimo dubbio sulla comunione sulle mani.

Tutta la formazione (non solo la vita di seminario) è un continuo indagare sui candidati per capire se sono compatibili col “progetto checca da parrocchia” inderogabilmente desiderato dai vescovi (cosa che può includere mobbing e metodi da Gulag, ma sempre con ampi sorrisi). Fin dal primo anno rischi che possa essere anche l'ultimo. Fin dal secondo anno c'è sempre il sottinteso che alla prossima tornata di ministeri istituiti rischi di essere spettatore. Poi il sottinteso del possibile rinvio del diaconato. Quindi il sottinteso del rinvio dell'ordinazione (immaginatevelo, un diacono - che non è né carne né pesce - che si vede rinviare il sacerdozio e son due anni che tenta di apparire come il perfetto pecorone approvabile dalla curia e da sua eccellenza monsignor vescovo, e fino al giorno prima del sacerdozio ha sempre ragionevoli motivi di temere che gli faranno qualche scherzetto dell'ultimo momento). Così va a finire che un gay efebofilo pedofilo rischia di essere ordinato davvero, mentre uno che viene sospettato di sperare di celebrare la Messa tradizionale - pur senza intendere disubbidienza al vescovo e ai superiori - viene scacciato con una scusa o indotto sottilmente, giorno per giorno, lungo i mesi e gli anni, in uno scenario da “1984” di Orwell, ad abbandonare.

Con rarissime eccezioni il sacerdozio postconciliare è una guerra aperta contro quella Messa. L'ordinazione pare anzitutto la certificazione che il candidato è un manager di centro sociale per anziani (vestito in modo sciatto come uno di loro), un pagliaccio esperto in convenevoli e sdolcinature da parrocchia (“lagggènte questo vuole!”), uno svenevole impiegato del sacro che sospirando nomina continuamente un mai meglio precisato “Signore Dio”, stando attentissimo a non offendere nessuna delle numerose categorie di permalosi che si aggirano per il mondo e magari anche fingendo di essere severo e solenne quando declama quelle formule stantìe.

Di quella guerra aperta io sono una delle vittime. Stavo chiedendo il sacerdozio a gente che parlava solo di presbiterato. “Presbitero”, cioè anziano, che celebra non il sacrificio eucaristico ma in mezzo all'assemblea presiede la sacra sinassi. Presbitero, anzi, parroco: garantire la continuità dell'insipido servizio pastorale attualmente fornito, stare in mezzo allagggènte senza preoccuparsi troppo della vera fede per la quale i martiri hanno volentieri effuso il proprio sangue e della vera liturgia che li aveva spiritualmente sostenuti.

La mia vocazione non era stata un frutto della parrocchia o delle pastorali vocazionali. Avevo realizzato di essere chiamato al sacerdozio perché ho incontrato qualche buon sacerdote e qualche anima consacrata che faceva sul serio. Mi ero illuso che in seminario tutto sommato ci si preparasse con gioia ed entusiasmo. Mi ero illuso che il mio servizio nelle sinistrate e sinistre parrocchie potesse essere occasione per portarvi qualcosa di buono. Invece, cocente delusione: il seminario era un Gulag dove devi tenere il contegno da mediocre clown che aspira a nuove vette di mediocrità, mentre la parrocchia è il luogo dove esercitare quella mediocrità proseguendo lo scempio condotto dal parroco e da quei parrocchiani desiderosi di crescere non nella fede ma nel protagonismo, ed in entrambi i luoghi era materialmente impossibile avere una Messa Novus Ordo celebrata con vera dignità e solennità.

Già al primo anno di seminario mi ritrovavo a dire al direttore spirituale quanto stavo sopportando in vista del sacerdozio, un investimento che speravo avrei ricuperato a partire dalla celebrazione della mia prima Messa il mattino dopo l'ordinazione... Scacciato dalla mia diocesi e approdato altrove, nonostante l'esperienza accumulata vissi lo stesso fallimento: non importa quanto sei bravo e zelante nell'ubbidire, non fa testo il tuo sforzo di andare incontro ad ogni loro richiesta implicita o esplicita, non conta quanto riesci ad accontentarli o deliziarli, intuiscono presto che ti piace la Messa tradizionale e che non sei manipolabile: la tua carriera è compromessa. E quel dolore cresce anche se continui a ripeterti che prima o poi il Signore dovrà ripagartelo con gli interessi.

Perché non sono disposto a rinunciare alla Messa tradizionale nella mia futura (eventuale) vita sacerdotale? Per incancellabile esperienza. Una volta assaggiata, col passare degli anni cominci ad apprezzare la Messa in latino perché la lingua sacra è un potente freno alla banalizzazione. Invece delle checche ciarliere e canterine, vedi il culto a Dio gradito. Ti accorgi che certe sagre del kitsch sono impossibili nella Messa tradizionale. Noti che in quest'ultima il silenzio è davvero silenzio anziché la pausa tra due sketch da bimbi scemi. Scopri i significati, gusti l'atmosfera (in altre parole: preghi davvero), ti accorgi che non c'è spazio per le chiacchiere (la "preghiera dei fedeli", per come viene fatta oggi, è un omaggio al demonio: per questo l'hanno infilata anche nel breviario, le ridicole Invocazioni), cominci a desiderarla, ti ritrovi a pensare che da sacerdote tenterai di introdurla in parrocchia e...

...e a un certo punto ti rendi conto che stai sopportando la Messa moderna (anche quando celebrata con decenza) e che ti gusti solo quella tradizionale. Scopri che tutto ciò che desideravi per la Messa moderna, quella tradizionale ce l'ha già. Ti accorgi che quella sublimità, quella solennità, quella virilità, quella serietà, quell'unico culto a Te gradito è in ogni singola riga di quella Messa tradizionale, e che una volta giunto al sacerdozio e agli incarichi nelle parrocchie non avresti potuto far altro che sforzarti di celebrare quella moderna in modo da farla sembrare il più possibile tradizionale, mentre ti rendi conto che avresti dovuto pure lottare con quei fedeli che credono che la Messa sia una specie di recita scolastica o talk show dove ognuno deve avere il suo minutino da protagonista e dove tutti si applaudono a vicenda.

Infine, la doccia gelata: non sei libero di ammettere che la Messa tradizionale ti nutre più di quella "nuova", né col direttore spirituale, che banalizzerebbe, né coi commilitoni, che nel migliore dei casi te lo etichetterebbero come bigotteria e nel peggiore ti denuncerebbero subito ai superiori, né con animatori di seminario, rettore e vescovo, perché ti dichiarerebbero irrimediabilmente inadatto al sacerdozio poiché lagggènte "vuole" (sic) la Messa in italiano, "vattene da Lefebvre se ti interessa l'altra Messa".

Non è questione di latinorum, di estetica, di cinquantismo (come se gli anni 1950 potessero tornare davvero)... ma è quello che ho realizzato nel tentare di dare del mio meglio a questa Chiesa postconciliare, e che forse non avrei scoperto se la Messa moderna fosse stata celebrata frequentemente in modo impeccabile. Della Messa tradizionale non ne riesco più a fare a meno. Mi sento oggi profondamente a disagio quando entro in una chiesa a visitare il Santissimo venendo accolto dai trascinati belati di fedeli e preti declamanti parole che in italiano suonano sempre più ambigue.

Non mi sono convertito alla Messa tradizionale da un giorno all’altro. La mia convinzione è maturata lungo gli anni di seminario ed è il motivo per cui dopo che la diocesi abortì ingiustamente il mio percorso verso il sacerdozio ho cercato accoglienza solo presso comunità dotate normalmente anche della Messa tradizionale. Ritengo tempo perso e autolesionismo, oggi, il tentare di entrare in un seminario o società sacerdotale o convento dove quella è al più un generoso favore anziché un insindacabile diritto garantito fin dal primo giorno. E ritengo una battaglia persa quella dei vescovi che si affannano (eufemismo) con la pastorale vocazionale ma considerano inaccettabile (non eufemismo) che un aspirante sacerdote si senta chiamato a celebrare principalmente (o addirittura esclusivamente) quella liturgia che non era stata mai abolita.

2 commenti:

edoardo ha detto...

Conosce la fraternità San Pietro?

Anonimo ha detto...

Buongiorno,

E’ da un mese che seguo la sua storia con molto interesse. Io sono un laico, e quindi non posso proprio aiutarla, purtroppo. L’unico consiglio che mi sento di dare, proprio alla luce di questo intervento, e’ di non escludere a priori la possibilita’ di bussare alle porte della Fraternita’ Sacerdotale S. Pio X. In un post piu’ vecchio leggevo che secondo lei gli isituti tradizionalisti sono tutti “Francese-centrici”, magari con una punta di nazionalismo (anche anti-italiano). Io frequento abitualmente le Messe della Fraternita’, e non mi sento di confermare questa impressione (anche se la vita di seminarista ed eventualmente sacerdote e’ ben altra cosa dall’esperienza alla Messa domenicale).
In ogni caso, viste anche le brutte delusioni in diocesi o altre congregazioni, perche’ non provare?
Se poi quello che cerca e’ la Messa Tradizionale, non e’ certo l’ambiente in cui verra’ scoraggiato a celebrarla o anche solo a parlarne...
Lo so, e’ come passare il Rubicone, ma e’ ben vero quello gia’ a suo tempo diceva Mons. Lefevre: “noi siamo in comunione con la Chiesa e i papi di venti secoli”. Alla luce di questo, il passaggio non penso vada visto a tutti gli effetti come una disobbedienza o un volersi mettere fuori dalla Chiesa.
Al di la’ della sua scelta, sarei davvero interessato a un suo parere, come commento o intervento sul blog, sulla realta’ della FSSPX.
In ogni caso, le faccio tanti auguri di riuscire a trovare finalmente la strada che il Signore vorra’, e le assicuro una mia preghiera per questo. Non si arrenda.