sabato 1 settembre 2018

Sono i vescovi a dirigere l'eutanasia vocazionale

Dei seminari tutto si può dire fuorché abbiano qualche punto incompatibile coi veri profondi desideri dei vescovi. Che piaccia o no, i vescovi - non solo italiani - desiderano solo tre cose:
  1. il far carriera (poiché ù cummannari è megghiu ri futtiri e l'erba del vicino è sempre più verde e soprattutto è convenientissimo mollare al successore l'eredità di tutte le porcherie fatte nel frattempo)
  2. il mostrare ad una platea immaginaria di aver saputo coprire le parrocchie (poiché occorre mettere a tacere la propria coscienza mentre i preti scarseggiano e quelli affidabili e ubbidienti scarseggiano molto di più)
  3. e soprattutto la dissoluzione della Chiesa mediante eutanasia vocazionale (avendo come ideale del presbitero un generico pagliaccio rilocabile a piacere e incapace di gesti e parole che non siano profondamente ossequiosi del politicamente corretto: è l'intoccabile sottinteso di ogni Veglia Vocazionale Diocesana e di ogni Pastorale Vocazionale, nonostante ogni espressione in contrario).

In breve, se i seminari sono così malridotti, è perché i vescovi vogliono esattamente ciò.

Ho scoperto a mie spese che il vescovo, ufficialmente contrario a certi andazzi, in realtà ne era tacitamente complice. Non ne voleva sentirli nemmeno nominare: condivideva col suo clero la pilatesca attitudine a credersi giustificato per aver fatto ciò che indicavano le relazioni, gli incartamenti e le normative. Ed una colonna di pilatesche lavate di mani che parte dal parroco, passa per l'animatore di seminario, l'equipe formativa, il rettore, il consiglio diocesano, il vescovo, blocca puntualmente il cammino verso il sacerdozio a qualunque soggetto incompatibile con lo schema precostituito. Eutanasia vocazionale: ordinare al sacerdozio solo dei decerebrati senza spina dorsale (altrimenti potrebbero introdurre cambiamenti intelligenti e controcorrente) che siano anche campioni di mediocrità (altrimenti i mediocri attualmente in carica si sentirebbero minacciati e insultati) e soprattutto compatibili con lo sfascio esistente (non sia mai che un novello presbitero non sia del tutto disposto a conservare le mode della comunione sulla mano, gli orrori affissi nell'aula liturgica, il vestirsi come un vecchio babbeo anziché come come un vero sacerdote)...

Ma ti lamenti sempre?

Serve lamentarsene? Sì. Se un bambino piange è perché non ha miglior modo di manifestare un disagio - e la madre, se vera madre, capisce e agisce. Così pure se vai dal meccanico a lamentare che il motore non regge il minimo, anche se non nota il difetto capisce da dove ha origine. Al contrario, se vai dal vescovo a far notare che qualcosa non va in seminario, il vescovo ti ammannisce la solita predica sul sopportare, pazientare, pregare, aver fede, ubbidire, come se tu non sapessi già tutte queste cose. Non cerca di capire le ragioni, nemmeno quando finge di ascoltarti - e tanto meno si adopererà per risolvere il problema... perché per lui non è un problema, ma un obiettivo indiscutibile. In un caso particolare, con un cinismo e una perfidia notevoli, mi chiese in quale seminario io preferissi essere trasferito. Era d'estate, e formulò la domanda con serietà, come se fosse disposto a prendere sul serio una mia eventuale proposta. Fui ingenuo e gli risposi "per esempio, quello di...". Mi rispose con un ghigno beffardo e aggiunse, con sufficienza, "va bene, va bene", e mi congedò. Andai via senza dire altro, rendendomi conto che un minuto dopo tutti i pretazzi della diocesi avrebbero saputo che il sottoscritto, sentendosi Superiore agli Altri, aspirava nientemeno che il trasferimento in pompa magna al seminario tal dei tali. Ed era il vescovo, sua eccellenza il fottutissimo vescovo che avrebbe dovuto essermi padre nella fede e nel sacerdozio, che come minimo avrebbe dovuto interrogarsi sui motivi per cui un suo seminarista riteneva il seminario X meno peggiore del seminario Y.

Un problema dei vescovi è che sono incapaci di dare fiducia a chi la merita (per questo sono perennemente circondati da mezzi uomini come loro). Le ricchionate da seminario sono la diretta conseguenza della loro diabolica politica di "selezione" di operai per la vigna del Signore. Temendo che i sacerdoti fossero incapaci di schivare le tentazioni contro la castità, hanno voluto un clero asessuato, anzi, effeminato. Temendoli ladri e spreconi e incapaci di gestire e comandare, hanno costituito una burocrazia da film grottesco: consigli diocesani, consigli parrocchiali, consigli pastorali, consigli affari economici... la quintessenza del groupthink. Temendoli disubbidienti e perdigiorno, hanno voluto ordinare solo i più mediocri e insignificanti clown. E quando hanno notato che la qualità del clero continuava a calare drammaticamente hanno allungato i tempi di verifica e di formazione e importato improbabili "vocazioni" dall'estero (fu così che comparve in Italia la figura del prete extracomunitario ciccione panciuto e un pochino troppo attaccato al soldino).

Fiumi d'inchiostro sono stati versati per parlare dell'omosessualità latente del clero, non meno pericolosa di quella praticata. Un omosessuale "non praticante", al pari di quello "praticante", considererà ogni vocazione dal punto di vista delle proprie attrazioni, gelosie, affinità. In qualità di omosessuale si sente coinvolto non come "padre" ma come "amante", come "rivale", come "preda", come "terzo incomodo", come "disponibile a farsi conquistare", come "insaziabilmente desideroso di attenzioni"... Finisce così per giudicare le vocazioni dal punto di vista delle proprie squilibrate passioni, irrisolvibili tensioni, confuse affettività. In altre parole, finisce per promuovere checche come lui (e finisce anche a indulgere al sadismo). È il motivo per cui prima del Concilio nei seminari erano proibite anche le "amicizie particolari", perché sospettabili di essere indizio di quello stesso tipo di coinvolgimento disordinato. In un ambiente di uomini senza tendenze omosessuali conta il risultato, non le affinità, contano le cose serie (che in seminario sono solo la fede, la chiarezza della propria chiamata, la dirittura morale), non le gelosie. Si instaura un rapporto "cameratesco" (che per definizione è possibile solo a uomini virili) dove si parla chiaro, dove ci si rispetta anche se ci si detesta, dove il superiore non avverte il bisogno di affermare sé stesso infierendo sull'inferiore. Chi sa queste cose non si stupisce nel notare che oggi i seminaristi frou frou abbiano perennemente il semaforo verde e quelli almeno un pochino virili subiscano invece la tortura della goccia cinese.

I vescovi sanno queste cose ma nel migliore dei casi fingono di non notarle. Vorrete mica radere al suolo tutti i seminari italiani? Uno dei migliori vescovi italiani - o almeno così lo presentano sui blog più seri - non aveva alcuno scrupolo a mandare le vocazioni in un seminario che andrebbe purificato col lanciafiamme (cioè un qualunque seminario italiano in cui si celebri la Messa in italiano): come se avesse detto arrangiatevi, ci vediamo fra cinque anni o sei anni se sarete riusciti a cavarvela. E se provi a chiedergli udienza per fargli sapere come stanno le cose, glissa su tutto, magari persino fingendo di incoraggiarti. Dopodiché, incartamenti alla mano, prenderà la decisione che quello squallore di "seminario" ha pianificato. (Del resto, come dargli torto? il suo vicario che mette becco dappertutto è della stessa pasta di quei mezzi uomini che dirigono il seminario... e se non lo assecondi, ti pianta un casino in diocesi... ma sì, mandiamo definitivamente a cagare quel poveraccio che la vocazione ce l'aveva, e ordiniamo al suo posto quello soprannominato "lo scimmione del Borneo", tanto fra due o tre anni mi promuovono finalmente a quell'altra diocesi e chi s'è visto, s'è visto).

È da troppo tempo che la situazione è irreparabile. La Chiesa conciliare si è suicidata imponendo una nuova liturgia, effeminata e spettacolarizzata, proprio nel momento in cui occorreva solo condannare coloro che avevano ridotto quella tradizionale ad un formulario da recitare in fretta e furia. Come prevedibile, la neo-liturgia ha immediatamente ereditato tutti i vizi (e nessuna virtù) della liturgia tradizionale.

Il suicidio è stato ovviamente completato imponendo un sacerdozio mediocre, ignorante ed effeminato (il solo che poteva trovarsi perfettamente a suo agio con la nuova liturgia) proprio mentre c'era bisogno di promuovere quello virile e ortodosso. Come prevedibile, il neo-clero ha immediatamente ereditato tutti i vizi (documentati o fantasticati) e nessuna virtù del clero tradizionale. Così abbiamo oggi un clero formatissimo sulle astruserie filosofiche e teologiche (e sui telegiornali della sera prima) ma non sulle necessità essenziali delle anime affidategli. Abbiamo un clero "vicino alla gente" come compagnone di una spaghettata, non come guida sicura. Abbiamo un clero che sproloquia lungamente di robe come l'Alleanza di Abramo a gente che non sa neppure come si fa il segno della croce.

E quei pochi vescovi seri che abbiamo, pur coscienti di tutto questo, non fanno nulla, non vogliono far nulla, temono più di finire in prima pagina che di fronte al giudizio di Dio. Il caso Viganò è solo una recente dimostrazione.

1 commento:

JP ha detto...

Carissimo, durante le vacanze estive ho letto da cima a fondo il tuo blog. Che dire?
Mi dispiace molto per quello che ti hanno fatto. Spero che il Signore nei tempi e modi che Lui vorrà ti permetta di compiere la tua vocazione.
Per il resto, leggendo le tue pagine non c'è poi da stupirsi di quello che accade nel clero cattolico. Se vengono favoriti il conformismo, il gregarismo, il servilismo, la delazione e le piccinerie, se si fanno entrare gli omosessuali a frotte in seminario che cosa ci si può aspettare ?
Ma ho speranza che tutto quello che sta accadendo, venendo alla luce, sia volontà del Signore, per la purificazione nostra e della Chiesa.
Un abbraccio.