giovedì 2 ottobre 2014

Danza moderna

Il parroco più importante della zona ci portò in seminario un gruppo di ragazzi che avrebbero fatto una danza moderna.

Lo spettacolo era obbligatorio per tutti i seminaristi. Appuntamento subito dopo cena nella grande sala al pianterreno.

Trovammo le luci soffuse e le sedie disposte in ovale. Prendemmo posto. Il parroco spese due parole per dire quanto bravi fossero questi ragazzi, si sedette, e dalle casse audio cominciò una musica stranissima, senza filo conduttore, ed entrarono a piedi nudi questi cinque ragazzi fra i venti e i trent'anni, con addosso solo uno strano pantalone formato pigiamone del nonno che li copriva da poco sotto l'ombelico a poco sopra le caviglie.

I cinque si agitarono come dei mamelucchi col ballo di san Vito, e in certi stacchi della strana musica si bloccavano come statue. Dopo una mezz'oretta di agitazione, la musica improvvisamente terminò e i cinque, di nuovo fermi come statue, furono illuminati con l'accensione improvvisa di tutte le luci.

Il rettore del seminario cominciò ad applaudire, scrutando uno per uno tutti i seminaristi. Dall'altra parte il parroco grassone ugualmente scrutava. Eravamo sotto fuoco incrociato. Bisognava applaudire. Non avevamo scelta. Mi figurai mentalmente Ayrton Senna vincere il gran premio del Giappone davanti a quello sbruffone di Prost e riuscii a scaricare una lunga e convinta salva di applausi. Come in Arcipelago GULag, il rettore e il parroco annotarono coloro che applaudirono scarsamente e coloro che terminarono di applaudire per primi. Finalmente si capì che non c'era più l'obbligo di applaudire.

Il parroco, con un ghigno, mi scrutò più a lungo. Mi ero preparato la formuletta di circostanza («inusuale ma bello, interessante») nel caso mi avesse interrogato; per fortuna incrociò un altro seminarista e si intrattenne a scambiare elogi per i giovanotti danzerini che stavano andando a vestirsi. Una volta rientrato in camera, mi distesi sul letto supino, e con la faccia affondata nel cuscino (per attutire il rumore delle parole) dissi finalmente: «una cagata pazzesca».

Lo spettacolo era stato sicuramente pagato dal seminario. Pagato profumatamente, vista l'insistenza del parroco e l'obbligo di presenza. Non fui il solo - e neppure il primo - a sospettare che il parroco e altri (penso anche il rettore) provassero un piacere insano a vedere dei ragazzi seminudi "danzare". Per cautela evitai sempre di nominare l'evento, fino alla fine del seminario.

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