martedì 25 settembre 2018

“Ti presento un sacerdote che”

Teme anche l’acqua fredda chi si scottò con quella bollente. Tutte le volte che mi sento dire “ti presento un sacerdote che”, mi tornano in mente tutti i don Abbondio che - talvolta persino con dedizione - avevano tentato di aiutarmi.

Uno di questi, dopo aver giocato inutilmente le sue carte contro il muro di gomma clericale, tentò infine surrettiziamente di spedirmi tra i laici consacrati. Spiacente, amico, ma io mi sento chiamato al sacerdozio, il mio celibato ha senso solo per questo, non perché io brami di essere una qualsiasi figura di consacrato.

Un altro, che sembrava tanto interessato a sostenere me ed altri, si eclissò da un giorno all’altro, ufficialmente per motivi di studio. Cioè qualcosa o qualcuno lo avevano convinto ad evitare tassativamente di occuparsi di vocazioni. Ricordo una riunione con lui ed altri soggetti: c’era uno che era venuto munito di tutta la documentazione sul suo caso, come se stesse presentandosi ad un vescovo per strappare un sì al volo.

Un altro contava sulla sua imminente nomina a vescovo. Mi aveva confidato che il “prossimo vescovo”, di imminente nomina, era uno di larghe vedute, un tipo sveglio, uno che prende le vocazioni sul serio. Non gli chiesi mai chi fosse, per evitare che fosse tentato di confidarmi il motivo per cui pensava di essere proprio lui in odore di mitria e pastorale. Ma in extremis arrivò a sorpresa la nomina di uno sconosciuto burocrate di curia. Uno di non troppo larghe vedute, non troppo sveglio, e non troppo disposto a prendere le vocazioni sul serio. Così mi fu detto: pazienza, per un po’ di anni la diocesi non cambierà per nulla. Arrivederci e grazie. (Senza dubbio sarei stato fedelissimo al prete-diventato-vescovo-che-mi-accoglie, e viceversa sarebbe stato molto comodo per il neo-vescovo avere almeno un futuro-prete di massima fiducia: dal punto di vista ecclesiale si può dire che lo sconosciuto burocrate eletto in sua vece sia stato svantaggioso per la diocesi?)

“Non posso far altro per te”: quante volte me lo hanno detto. Nessuno dei preti che erano stati disposti ad occuparsi del mio caso era un curiale ammanigliato o uno dei pezzi grossi del parco parroci. Chissà perché.

Fui presentato ad uno che mi accolse subito nel suo ufficio. Mi pregò di sedermi indicandomi la sedia dietro la scrivania. Meccanicamente eseguii, ma mi rialzai come se la sedia fosse in fiamme, cercando di non fargli notare che avevo appena capito che lui non si era ancora seduto perché stava osservando se io avessi rispettato le priorità. Dico sul serio: avevo dedotto (troppo tardi) che era uno attentissimo alla forma. Prima si siede il Superiore, quindi l’Inferiore. Si sedette infine e mi disse che potevo parlare liberamente senza alcun problema, e il colloquio andò abbastanza bene fino al punto in cui nominai la Messa in latino. Continuò a sorridere - ma era evidente che si sforzava di farlo - e mi congedò poco dopo. Nelle settimane successive fu impossibile rintracciarlo telefonicamente. Inutile chiedere in portineria. Inutile chiedere in ufficio. Inutile telefonare.

Dei cari amici insistettero tantissimo affinché prendessi un appuntamento con un certo laico ecclesialmente importante, “uno che ha fatto tanto per le vocazioni”. Bastarono solo alcune settimane per ottenere il permesso di telefonargli. Mi presentai a loro nome, chiedendogli un appuntamento per parlare del mio caso. Me lo fissò a dopo un mese, avrà avuto un’agenda impegni da presidente della repubblica. Finalmente andai da lui, e dopo appena tre quarti d’ora di attesa che i suoi fedelissimi lo rintracciassero nei vasti locali della sede, finalmente mi ricevette in una specie di ufficio-sgabuzzino. Gli esposi brevemente la mia situazione e lui cercando di non farsi notare seccato mi disse: non posso far niente per te. Mi alzo, ringrazio, mi dice: no, aspetta, siediti, parliamo. No, le ho già fatto perdere abbastanza tempo. Lui non insiste troppo con quella ridicola commedia delle formalità e mi lascia andare. Gli amici increduli: ma come? Possibile? Davvero? Niente, proprio niente? Non ti ha suggerito nessun nome e nessun posto? Nemmeno qualche consiglio? Evidentemente la carità va bene solo con quelli del suo club. O forse sarà che un laico, per rimanere ecclesialmente importante, deve evitare di attirarsi le antipatie dei preti a cui può ancora chiedere un favore.

Poi ci fu quel prete che stava costitendo una comunità (sottinteso: è a caccia di vocazioni per far numero). Vado da lui e durante i salamelecchi iniziali scopre con gioia che anni prima avevamo fatto gli esercizi spirituali insieme in quel tal convento. Quindi procede a dirmi che sebbene il sacerdote che mi ha mandato da lui fosse un suo grande amico fin dai tempi del seminario, le vedute sono non proprio coincidenti. Ahi, ahi: la Messa in latino è fumo negli occhi per il pretame postconciliare. Non c’è nemmeno bisogno di nominarla, è lui stesso a menare il can per l’aia per un’ora e un quarto e concludere con arrivederci e grazie. “Ma come, non ti ha nemmeno proposto un periodo di prova?” Nemmeno quello. “Mica hai dato una pessima impressione facendo l’integralista sulla Messa in latino?” Nemmeno nominata. “Eppure la comunità deve crescere, e anche lui sa che le diocesi sono allo sbando”. Certo, ma non ha ritenuto opportuno invitarmi né presentarmi al vescovo, pur nominando diocesi qua e diocesi là, non voleva parlare della comunità.

Un parroco che era stato disposto ad accogliermi per parlare del mio caso volle che rimanessi a dormire lì nella loro sede. Mi diedero una stanza. Dopo le 23 uno della sua comunità, non prete, venne a bussare alla mia porta per chiedermi se tutto andasse bene. Per fortuna ero ancora vestito. Suppongo che si aspettasse qualcosa di più di un gentile ringraziamento e un “buonanotte”. Il giorno dopi il parroco si limitò a dirmi brevemente che se proprio intendevo entrare nella comunità avrei dovuto parlare col suo superiore, quindi sparì per i ben noti impegni pastorali e dimenticò la mia esistenza non appena misi piede fuori da quella casa.

Qualche tempo dopo mi presentai con degli amici ad un vescovo. Il quale subappaltò l’incontro conoscitivo ad uno dei curiali. Il quale, dopo la solita commedia delle trite banalità ci inviò dall’altra parte della diocesi presso una casa di preti. I quali ci aspettavano per pranzo. Mangiammo bene, parlammo del più e del meno, ci portarono in giro a vedere paesino e paesaggi, ma ricordo la loro insistenza con cui parlavano del servizio. Ed il seminarista a loro disposizione, con un sorriso idiota perennemente stampato in faccia per l’abitudine, si affannava ad apparecchiare come alla tavola del re Sole, a lavare con cura tutto il bizantino set di piatti e posate, a preparare pietanze da principessina precisina, per poi passare a stirare, rammendare, mettere ordine, e quindi di corsa in cappella. Scusate, per voi l’ordinazione è il premio per aver espletato minuziosamente per anni la funzione di sguatteri, camerieri e servitù? (No, non fu necessario chiederlo. Però in una piega del discorso trovai modo di dire che avendo in precedenza lavorato e vissuto da solo, ero abituato all’essenziale, alla frugalità, a dedicare il tempo utile alle cose serie... Vederli approntare una specie di pranzo di Natale da film della bambola Barbie con vasta quantità di ninnoli, fronzoli e aggeggini aveva comunque spostato parecchio in alto la lancetta del “sospetto frocerie”).

E ancora, ancora, ancora... Il parroco della chiesa di fianco alla stazione terminale? Era il suo compleanno, offriva dolcetti ai presenti, quando finalmente trovo modo di parlargli mi risponde subito che lui non si occupa di queste cose (già: un prete che non si “occupa” di vocazioni è come uno che si fa castrare per paura di diventar padre)... Il parroco della chiesa-triangolo che non aveva tempo... il passionista nel santuario che evitò di rispondermi... il gesuita che ancor prima di parlare già voleva che io diventassi gesuita (cioè uno come lui, che predica sull’ascolto e poi al momento buono non ascolta)... e tutti gli altri preti letteralmente assenteisti...

“Ma tu non potresti...?” Tutte le volte che mi son dato da fare per dare una risposta concreta a quella domanda peregrina mi è andata male. “Ma non è che il Signore ti sta dicendo un’altra cosa?” No. Se volesse dirmi che non ho la vocazione, dovrebbe parlare con la stessa chiarezza con cui mi ha fatto capire che ce l’ho, e spiegare anche perché avrebbe cambiato idea. Il mio Dio non è un Dio ingannatore, né un sadico che prima ti mette una santa predisposizione e poi si diverte a torturarti.

“Ti faccio conoscere un sacerdote che”. Ma sì, certo, volentieri: finora non ho lasciato nulla di intentato. Ma non sono più tanto propenso a prendere sul serio quelli con la ricetta pronta: “ti porto dal concessionario che conosco solo io, sicuramente ha l’auto che fa per te, l’è rinomato in tutta la contrada, andrà tutto bene... e poi -dai!- devi pur adattarti, non puoi mica chiamare catorcio ogni offertissima che ha per te... la gente oggi abortisce figli per un alluce valgo, e la Chiesa dunque ha il diritto di abortire vocazioni che non siano coincidenti con lo schemino curiale...”

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