giovedì 16 ottobre 2025

Qualche altro episodio del Superiore Soggiogato di cui parlavo ieri...

Tante volte mi son sentito consigliare: "beh, basta ubbidirgli, assecondarlo quel tanto che basta, no?"

No.

Quando il superiore della comunità è dell'altra sponda, le sue valutazioni e le sue azioni saranno inevitabilmente influenzate dalle sue invidie, attrazioni, gelosie, dai suoi amichetti della stessa sponda. E soprattutto dagli alti e bassi del suo paggetto preferito. Ti accorgi che non sei più in formazione: sei in modalità sopravvivenza. Sei sempre sul chi va là, sei sempre in tensione perché non basta mai assecondare l'assecondabile. E non basta mai incensare il paggetto.

Durante una riunione dei pezzi grossi in cui si doveva decidere anche della mia vocazione, il superiore proclamò: "come dice Paggetto, a Corposociale non gliene importa niente della nostra pastorale". Facendo proprio i nostri nomi. "Come dice Paggetto". A riferirmelo fu quel sacerdote che dopo la settimana di "sospensione" del paggetto aveva capito l'andazzo (e preso la decisione di scapparsene per farsi incardinare nella diocesi di origine).

Dunque la voce più autorevole sulla mia vocazione era l'opinione invidiosa del paggetto, Figliuolo Prediletto del Superiore. "Come dice Paggetto": voce del sen fuggita poi richiamar non vale... O forse, addirittura, era voluta, era solo un modo per mandare un messaggio gradito al Paggetto: quando a quest'ultimo sarà stato riferito (le voci corron veloci) che il superiore aveva detto "come dice Paggetto", si sarà sentito adulato e coccolato, si sarà sentito riconosciuto come importante e giudizioso.

Ma ciò non toglie che ogni luna di traverso del Paggetto influisce drammaticamente sul cosiddetto discernimento delle vocazioni. 

Il Paggetto si lamenta che sono stato fuori tutta la giornata per una faccenda non rinviabile? Il superiore mi chiama in disparte per intimarmi di cessare immediatamente tali situazioni (nonostante in precedenza mi avesse comunicato che per decisione del consiglio mi sarebbero state accordate per mie necessità quelle sporadiche uscite da dopo le lodi a prima dei vespri). 

Per il montaggio di due lampadari il Paggetto si lamenta di essere stato aiutato solo dal portinaio? Il superiore il giorno dopo fa montare gli altri nove lampadari a me, da solo. Il Paggetto si va lamentando dal superiore che non lo abbiamo incensato abbastanza? Il superiore ci convoca per dirci solennemente che dobbiamo essere più vicini al Paggetto, parlargli di più, non lasciarlo solo, poverino, bisogna stargli accanto... Il Paggetto, per dare aria alla lingua, dice: "non vedo mai Corposociale a messa" (della serie: il bue che dà del cornuto all'asino), e il superiore cosa fa? Un controllo fiscale su quante e quali messe vedono la mia presenza (controllo proseguito fino a che son rimasto lì: chiedeva perfino al sacerdote più anziano se il sottoscritto avesse partecipato alla sua messa). Inoltre mi comandò di servire, alla domenica, almeno due messe.

Il rapporto ambiguo col Paggetto, insomma, rende il superiore incapace di fidarsi dei sottoposti (e dunque incapace di guidare, incapace di educare), oltre che incapace di rispettare la parola data. Prima promette il noviziato per una certa data, poi fa finta di niente, poi rinvia, rinvia, rinvia... alla mia battuta scherzosa che avevo fatto una figuraccia coi miei per il mancato rispetto della data di accettazione in noviziato, trovò delle scuse miserabili per dire che dopotutto per lui eravamo già "ufficiosamente" novizi.

Un caro amico prete a cui raccontavo queste cose mi disse di pazientare, resistere, pazientare, ubbidire, pazientare... e che così sarebbe passato il tempo fino agli ordini sacri. Ma davvero?

Il tempo non passa mai quando il superiore è imprevedibile, aleatorio, ora vuole una cosa, tra un minuto la vuole in modo diverso, cinque minuti fa la voleva in un altro modo ancora. Tagliare l'erba? Spostare giù i mobili? Anzi, no, spostare su. Anzi, al piano di sotto. Anzi, due di qua e quattro di là. Anzi, no, questo e quest'altro possono ancora servire. (Ripetere la sequenza per materassi, pentole, piante, sedie, qualsiasi cosa ingombrante). Anzi, "portiamo tutte le piante su perché qui in chiostro prendono poco sole. Qui guarda cosa hai combinato! Ma non vi posso proprio affidare un compito, io! Orologio alla mano, bastavano quattro o cinque minuti! Ti avevo detto di fare quelle cose, te le avevo anche scritte, ma tu hai fatto poco e niente" (tutto assolutamente falso: avevo fatto del mio meglio, ma il superiore doveva pur mostrare al suo Paggetto di avermele cantate a dovere).

Magari qualcuno sarebbe ancora tentato di pensare che si tratta solo del solito calvinismo idiota dei formatori che pensano che la vita spirituale debba consistere in un ossessivo iperattivismo di faccende di casa e di sacrestia (comprensiva di umiliazioni inflitte ai sottoposti), roba da altisonante libello devozionale seicentesco. Ma dopo tanti mesi di assillo crescente, non riuscivo più a crederci. I primi tempi portai in omaggio una bottiglia di liquore. "Puf, è acquetta", disse schifato davanti a tutti. Ci riprovai con qualche altro regalino più di marca, ottenendo reazioni identiche. Non portai più nulla. 

Durante una messa della domenica vide che facevo fatica a rialzarmi (ceroferaio, ero inginocchiato e incespicavo nella talare): mi guardò con fastidio, come per rimproverarmi davanti a tutti, dicendo con quella voce tagliente: "su, su!". All'inizio di un'altra messa domenicale, vide che a portargli l'acqua santa fu l'altro chierichetto. Sbottò con livore, urlandogli a mezza voce (ma anche il popolo avrà sentito): "ma Corposociale non fa mai niente!?!?"

Quando il superiore è soggiogato da un Paggetto, finisce per andare in conflitto anche con la realtà.

Episodio 1. Cenando, si accorge che è finita la frutta (capirai che tragedia), e strepita con voce stridula:
Lui: "ho sempre detto che la spesa bisogna farla grossa, comprare cose per 20 giorni, per un mese! cos'è questa roba, per una settimanina?"
Io (timidamente): "ma se con la spesa fatta lunedì abbiamo riempito il frigo e non c'era più spazio...!"
Lui: "no! bisogna fare la spesa per un mese, e nel frigo mettete le cose in modo che c'entrino tutte!"

Episodio 2. All'ultimo momento si ricorda che manca un armadio.
Lui (stridulo e perentorio): "ci vuole un armadio nella stanza ospiti; prendi quello dalla stanza a fianco e spostalo lì".
Io (timidamente): "è troppo grande, ho già misurato, non si può".
Lui: "sì, ma in quella stanza ci vuole un armadio; lo prendi e lo sposti lì, che ci vuole?"
(mezz'ora dopo)
Io (timidamente): "come già dicevo prima, ho provato e non c'è verso di farlo entrare, vede? O sfondiamo il muro, o sfondiamo l'armadio..."
Lui (seccato): "dopo, vediamo dopo!"
(sparisce, per riapparire poi la mattina dopo)
Lui (isterico): "non bisogna fare le cose a metà: hai lasciato l'armadio nel corridoio! Le cose si devono esattamente come dico io! Esattamente come dico io! Guarda! Qui c'è polvere! Dà subito una ripulita!"

Episodio 3: durante il pranzo ha il barbaro coraggio di telefonare alla signora che viene da noi qualche volta a cucinare... per rimproverarla che a tavola il secondo piatto gli sembra "carne riciclata da ieri!" (non era vero).
L'altra volta l'aveva rimproverata perché l'acqua con cui aveva cotto il riso non era stata riciclata per cuocere qualcos'altro (sic).

Alla signora della cucina aveva stampato un menu settimanale ("una dieta presa dal sito di Donna Moderna": testuali parole del superiore, pronunciate col tono di chi pensa di aver risolto un grosso problema col minimo sforzo) su cui lei era tenuta ad adeguare i pasti. "Ma qui cosa c'è scritto?" chiede bizzoso alla signora. La quale obietta timidamente che riso a pranzo e poi riso in bianco a cena (da mettere nel brodo) non è proprio il massimo della vita (specialmente quando questa operazione è comandata sia di mercoledì che di sabato), e che certe cose in frigo non si potevano congelare dopo averle scongelate: andavano cucinate e consumate. E lui insiste: "ma come glielo devo dire? Lei deve fare esattamente come sta scritto qui! Ma allora non mi spiego? Qui nessuno capisce quello che dico? Quando dico una cosa, voglio che sia fatta quella e basta". 

mercoledì 15 ottobre 2025

Quella volta che il paggetto lo afferrò alla gola...

"Ma tu non puoi scrivere un libro?", mi ha chiesto qualcuno. Il materiale c'è, sì, ma dovrei mettere in ogni pagina un disclaimer: racconto queste cose solo per far notare fino a che punto certe devianze possono progredire, da parte di gente che ogni giorno eleva l'ostia e il vino. Ma poi... avrebbe davvero senso un libro? Raggiungerebbe forse più anime il messaggio del "non fidatevi di chi calpesta le vocazioni, non fidatevi di chi riduce il sacerdozio a un mestiere, non fidatevi della mentalità vaticansecondoide"?

Nelle case di formazione in cui sono stato ho osservato un pattern un po' troppo frequente: il rapporto ambiguo tra il formatore (o superiore) ed uno dei sottoposti, il suo paggetto preferito (solitamente un giovine efebo arrogante e pieno di sé, sprovvisto di vocazione e spesso anche di intelligenza, ma che sogna di far carriera ecclesiastica per fare il cosplay del monsignorino e per campar di rendita vendendo chiacchiere pseudoreligiose). Le paturnie di quest'ultimo hanno spesso messo nei guai le vocazioni più sane o l'intera comunità.

Ho scorto lo stesso pattern anche in piani più alti - come in una certa diocesi in cui il vescovo stravedeva, ma proprio stravedeva, per un certo pretonzolo (uno charming man), al punto di accontentarlo in ogni modo e favorire tutti gli amichetti di quest'ultimo, scatenando guerre su guerre nel clero diocesano, proprio quelle che si sforzava continuamente di ricomporre ma senza mai trovare una soluzione non abbastanza gradita alla cricca di charming priest ed amichetti vari).

Non è neppure necessario che l'efebo abbia un qualche charme, poiché il legame ambiguo può iniziare in altri modi. Può capitare che un pretino venga spedito in un posto lontano per allontanarlo da certi scandali frù frù. E in quel posto, dovendo ripulire e risistemare un po', trovi come unico volontario un gaio efebo locale, maggiorenne perditempo in attesa che la vita gli regali grandi sorprese. E che la calura dell'estate li faccia ritrovare un po' più promiscui di quanto necessario a ripulire un ambiente semiabbandonato. E se anche non fosse successo nulla di effettivamente peccaminoso, il pretino si ritrova da quel momento "vincolato" all'efebo paggetto, in una sorta di ricatto non scritto che suonerebbe così: "se non gli darò sempre la massima importanza, potrebbe rivoltarsi contro di me e raccontare tutto in giro... ma se lo accontenterò e sorprenderò sempre positivamente, potrebbe essere lui a prendere iniziativa sоdоmitica e concedersi ancor di più".

E magari il superiore, appena messo piede per la prima volta nella struttura, il primo obiettivo che si era posto era proprio quello di procurarsi un'amicizia particolare.

Con o senza fisicità, dunque, si configura quella tipica penosa situazione in cui il pretino vive al servizio di tale squilibrato rapporto, anche se le apparenze esterne sembrassero di "prete che fa il suo dovere all'altare, in confessionale, in comunità, nella formazione". Il fatto che l'amante (trattato come tale) prenda rapidamente gusto ad averla sempre vinta, aggrava la situazione. Il fatto che il paggetto sia giovane (e cioè - secondo la bacata testolina del pretino - più facilmente manipolabile), è un ulteriore aggravarsi. Non è un caso che i preti vengano scelti non solo fra coloro che vogliono già vivere il celibato, ma anche virili, senza pendere verso amicizie particolari.

In un caso notai che il superiore e il suo paggetto avevano lunghe conversazioni anche a notte fonda, ovviamente nella cameretta del superiore. La prima volta che capita puoi ancora pensare che il giovinotto abbia un grosso scrupolo sulla coscienza e che il superiore sia sufficientemente incauto da riceverlo in camera. La seconda puoi ancora pensare che ci sia qualche grosso dolore o problema spirituale irrisolto e urgente. Ma verso la quinta cominci a capire che il rapporto fra quei due non è equilibrato. E che il superiore è sufficientemente soggiogato da infischiarsene persino del fatto che gli altri si accorgano di tali visite. E cominci anche ad agire in modo da non tentare di scoprire neppure accidentalmente se il paggetto abbia pure dormito nella cameretta del superiore.

In un altro caso notai che il superiore (non quello di cui sopra), durante pranzi e cene in cui era presente, praticamente rivolgeva la parola solo al suo paggetto, scherzosamente, gentilmente, amorevolmente. Di quando in quando rivolgeva la parola anche a noialtri, ma solo per puntualizzare, per riversare qualche severo giudizio (magari fulmine a ciel sereno), per comandare qualcosa di fastidioso, per chiedere (con tono accusatorio) se avessimo fatto questo o quello.

Un po' di mesi dopo il paggetto diede in escandescenze in chiesa. Era furente, probabilmente perché io e un altro eravamo stati finalmente ammessi al noviziato (verbalmente, con mesi di ritardo rispetto a quanto ci era stato promesso), e lui che era lì da più mesi di noi no (sospetto che il superiore non abbia trovato modo di "promuoverlo", trovandosi contro tutti gli altri che avevano un minimo di voce in capitolo, e che abbia inventato chissà cosa per indorargli la pillola, senza successo).

Nel prendersela con noi urlò "i preti son tutti ricchiоni!", e afferrò alla gola l'altro novizio, che riuscì a divincolarsi e scappare (la scenetta avvenne in chiesa, vista con sgomento anche da alcuni fedeli locali).

Pochi minuti dopo io e quest'ultimo riportammo al superiore l'evento. Ci ascoltò in silenzio, con una faccia funebre, senza commento.

Due giorni dopo il superiore ci comunica ufficialmente che il paggetto aveva ricevuto una settimana di sospensione (pensavate che un gesto violento come quello fosse di impedimento a qualsiasi carriera ecclesiastica? beh, vi sbagliate: lo sarà solo per la gente normale, non per i paggetti figliuoli prediletti).

Non ci volle molto a scoprire che la "sospensione" era consistita in una settimana di vacanza pagata presso gli amichetti del superiore, in zona piuttosto turistica. E al trionfale ritorno, in cui non si stancava mai di raccontarci di tutti i gesti turistici fatti, ebbe come bonus un supplemento di due mesi di formazione (sottinteso: preludio al noviziato), contrariamente alle decisioni del consiglio (ed infatti uno dei preti partì a sua volta per una "vacanza" e lasciò la comunità per farsi incardinare nella sua diocesi di origine). 

Della settimana di "sospensione" turistica presso i pretazzi amici del superiore, il paggetto ebbe anche l'ardire di raccontarci di essersi ubriacato al punto da non ricordare più nulla. Immediato giunse l'allegro e sorridente commento del superiore: "uuh, quindi se ti avessero viоlеntato..."

lunedì 13 ottobre 2025

Asciugare e separare! Spazzare! Il secchio! Lavare!...

Chi come me è convinto che la propria vocazione venga da Dio, non è disposto a credere alla mielosa favoletta secondo cui la anche la cattiva volontà dei superiori (incluso l'atteggiamento da mobbing) sarebbe volontà di Dio. Sarebbe come insinuare che se una donna ha voluto abortire, sarebbe stato Dio ad aver voluto privare il nascituro del battesimo di salvezza. Sono disposto a sopportare le vaccate del superiore e ad ubbidirgli anche su ciò che non capisco, ma non può chiedermi di peccare, non può comandarmi ciò che evidentemente inquina la fede e la liturgia, non ha il diritto di rendermi molto desiderabile la disubbidienza (nemmeno se si trattasse dei soli servizi di casa), se sceglie di mentirmi perde il diritto di essere creduto anche quando mi dice qualcosa che sembra vero, se bullizza non deve meravigliarsi che qualcuno ne tragga le conseguenze.

Episodio. Per una giornata liturgicamente assai importante eravamo stati tutti impegnatissimi fin da prima mattina. Ma proprio impegnati-impegnati, corri di qua, riordina di là, prepara qui, sposta lì, riaccendi là, anzi spegni lì, anzi chiedi di far accendere ma poi prima di cominciare ricordati di andare a controllare se è acceso... Nel frattempo gestisci gente, telefona d'urgenza, affronta intoppi, chiama Tizio, recupera ritardi, avvisa Caio, gestisci assenze, accòllati responsabilità non tue (tante piccole fastidiose grane)... Finalmente si arriva tutti alla celebrazione delle 12, con la processione d'ingresso dove cerchi di stroncare gli sbadigli e speri che lo stomaco vuotissimo non brontoli troppo forte, e nel frattempo sogni il momento in cui potrai stenderti per almeno qualche minutino.

In quella celebrazione la pomposità e la teatralità erano grosse quanto la nostra fame e la nostra stanchezza. Il superiore ovviamente esala una predica interminabile, gli occhi ti si chiudono, gli sbadigli sgomitano per uscire, cerchi di non pensare al fatto che una volta finita questa liturgia delle torture bisognerà pur prepararsi da mangiare e saranno tutte belve affamate. Anche i fedeli non ne possono più, ma trascinare all'infinito le liturgie è l'ars celebrandi di chi confonde la qualità con la quantità.

Al termine sgattaiolo via dalla sagrestia, quatto quatto per farmi notare il meno possibile, fiondandomi subito in refettorio ad apparecchiare e metter su una pasta col tonno (una delle poche cose che sapevo cucinare) mentre il resto della ciurma si attardava in ameni saluti e small-talk coi fedeli, felici che fosse finalmente finita. Alle due passate, sfiniti, finalmente rientrano tutti, entrando alla spicciolata in refettorio ma con passo imperioso, affamati come piranha, venendo accolti dalla tavola già imbandita mentre impiattavo l'ultima porzione.

Qual celestiale visione! Uno dei preti giovani mi ringraziò quasi fino alle lacrime, gli altri nascondevano a fatica il fastidio di non poter già affondare la forchetta nel piatto prima della preghiera obbligatoria, mentre il superiore era visibilmente combattuto dentro perché non riusciva a costruire un'accusa contro il sottoscritto assentatosi dalla liturgia dei convenevoli iniziata al termine della lunghissima celebrazione. Infine, dopo tanto rimuginìo e lotta interiore, emise finalmente una battutaccia qualificandomi "cuoco perpetuo", con riferimento all'incarico inflitto da Filippo Neri al Cesare Baronio affinché quest'ultimo non montasse in superbia. Solo che sentirla raccontare con le categorie del sadismo, con quel ghigno beffardo da bullo professionista che sfrutta la sua grande occasione, e pur sapendo che il Filippo Neri non lo aveva fatto per mobbing, mi ha istantaneamente piallato via tutte le simpatie per il santo e per la sua opera.

Accolsi la battuta con un volutamente distratto sorriso (se mi fossi agitato c'era il rischio che la condanna divenisse definitiva, perché un bullo non vede l'ora di dire "non sai stare al gioco" per infliggere altri danni). Puntualmente a fine pranzo il superiore osservò che c'erano da lavare i piatti. Avemmo tutti un conato di terrore. Si trattava di scegliere se riprendere fiato prima delle celebrazioni del tardo pomeriggio (cioè di lì a poco, a partire dalle pulizie e preparazioni) o di giocare a fare l'eroe (immagina svenire durante una celebrazione perché il superiore ha voluto che si facessero le cose in grande, come se avesse avuto il quadruplo o quintuplo degli schiavi a disposizione). Preferii non rischiare.

Il superiore scrutava una ad una le prede come una prof di matematica che vuole interrogare a sorpresa, cioè come un leone che ha bloccato le gazzelle in un vicolo cieco. Il suo figliuolo prediletto, abituato all'impunità, dichiarò di essere impegnato a preparare non si capì bene cosa, e fu automaticamente creduto (mentre noialtri sapevamo benissimo che avrebbe dormito più di noi). Così, salomonicamente, il superiore disse che ci avremmo pensato dopo (sottinteso: "ordino perentoriamente che qualcuno di voi lavi i piatti").

Ci toccò dunque lavare e rassettare, mancandoci solo la maglietta fantozziana "Bracciante". Il superiore ricomparve più tardi, a sorpresa, solo per assicurarsi che gli sguatteri fossero indaffarati. Ogni volta che stavamo per finire, la sua voce sempre più stridula ci annunciava altre cose da fare, per lo più con i verbi all'infinito. "Asciugare e separare". "Spazzare". "Il secchio". "Metti in un panno, va bene anche della carta". "Lavare". "Vieni, che c'è da lavorare".

sabato 11 ottobre 2025

Questione di coscienza?

Vedo che il domain CronicasDePapaFrancisco.com creato il 5 ottobre 2017 tramite la piattaforma Wordpress è scaduto pochi giorni fa, il 5 ottobre 2025, senza essere rinnovato. Non saprei dire se il mancato rinnovo è dovuto a distrazione, a scrupoli di coscienza, o al non voler più spendere poche decine di euro per rinnovarlo per altri anni. Resta qualche traccia sul web archive.

Per ora è ancora raggiungibile sulla piattaforma originale, cronicasdepapafrancisco.wordpress.com.

In origine il suo nome era proprio bergoglionate.wordpress.com. Evidentemente nel 2017 qualcuno avrà fatto sufficienti pressioni alla redattrice - non saprei immaginare se il confessore o qualche pezzettone grosso della gerarchia - affinché quel blog avesse un nome meno insultante, un nome che avesse meno assonanza con "coglione", "coglionate", "rincoglionito". Decisione alquanto antievangelica, visto che Nostro Signore ha insultato, e parecchio, proprio quando era necessario per farsi comprendere bene: «razza di vipere», «ipocriti», «voi avete per padre il diavolo»...

Bergoglionate vanta ad oggi quasi tre milioni e mezzo di visite, risultato strepitoso per un blog visto che al netto di titoli redazionali e qualche sporadico commento, si limitava a rilanciare pezzi di agenzia, pagine dalla blogosfera cattolica, vignette non troppo offensive. Ha fatto un lavoro documentale epico, al quale sarei stato fiero di collaborare, conscio dei meriti che ciò lucrava davanti a Dio. Ha poi dovuto dimostrare (a chi?) di essere in buona fede, ed infatti tuttora vi campeggia qualche striscione di approvazione, per esempio quello con l'affermazione anti-abortista del Bergoglio del 15 settembre 2021: quasi come a dire che almeno qualche rarissima e brevissima volta avrebbe parlato come un pontefice, perché la verità viene solo da Dio.

Il problema è che anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno, e che l'interregno bergogliano è durato parecchio, e che "l'ora giusta" era sempre sommersa in mezzo a un sacco di "ore sbagliate". Il gesuitismo - che coincide col modernismo, cioè non anela mai alla verità ma solo ai loschi risultati nel lungo termine - può persino esalare qualche occasionale affermazione vera e ortodossa, ma solo al malizioso scopo di dare una stangatina ai nemici del giorno, e sempre nella massima prontezza a lavarsene pilatescamente le mani. Li ho visti in azione, i gesuitici gesuitanti, sono stato per anni nel loro mirino, ho visto estinguersi (dopo essere stati accuratissimamente perseguitati) quei pochi ultimi superstiti che conservavano ancora un pochino di dignità.

Bergoglio - molto più che Montini - è riuscito nell'impossibile impresa di accendere anche nelle anime pie diffidenza nei confronti della figura del successore di Pietro. Diffidenza non preventiva, ma reattiva: per esempio, se il Papa si presta ad una pagliacciata come il benedire un blocco di ghiaccio, non siamo più così fessi da pensare "bof, irrilevante, dimenticabile, sicuramente una bergoglionata pre-programmata e non evitabile". Di fronte a tali eventi pensiamo invece ad un papa impossibilitato (o incapace) persino del rifiutare con un cenno di prestarsi alla pagliacciata. Cioè che non stia così saldamente al timone della barca di Pietro.

L'argentino dal passato piuttosto torbido (e di cui prima o poi qualcos'altro verrà alla luce) arrivò agli ultimi suoi giorni senza dar pubblici segni di pentimento. Motivo per cui mi permettevo di criticare la clerically correctness di Bergoglionate: quando vedi quel buonismo untuoso e benvestito, ti vien sempre una gran voglia di invitare ad applicarlo pari pari a uno Stalin o un Lutero, per vedere che effetto fa negli autori, e chiedere loro ironicamente: "questione di coscienza?". Intanto, dopo cinque mesi di pontificato prevostiano, dei clamorosi danni fatti da El Jesuita non è stato corretto praticamente nulla. (Vi aspettereste mica che dodici anni di bergoglionate debbano richiedere dodici secoli per le necessarie correzioni?)

Il mattino dopo la promulgazione del Summorum Pontificum ero in talare, fascia e saturno ad accompagnare il parroco a celebrare la messa delle otto nel paesino. Ero raggiante, illudendomi che finalmente si potesse uscire dalle catacombe. Non potevo immaginare che l'autore prima lo limitasse nella Universae Ecclesiae (evitando di menzionare l'ordine sacro: cioè "scordatevi l'ordinazione in rito tradizionale"), e poi abdicasse in favore di un lercio gesuita che non vedeva l'ora di cancellarlo (ed infatti Traditionis Custodes giunse con Ratzinger ancora vivente, ed il "giro di vite contro la Messa tridentina" programmato per l'estate 2024 fu impedito in extremis dalla convergenza di Burke e supplicanti vari, e di bergogliani scaltri che probabilmente avevano suggerito solo un ulteriore rinvio, ché c'era urgentemente da fulminare Viganò con una scomunica perché stava svelando altri scottanti retroscena).

Fino al pontificato di Ratzinger potevamo ancora illuderci che l'indispensabile (e auspicabilmente massiccia) iniezione di liturgie tridentine alla Chiesa potesse cominciare a curarne i gravi malanni. Da oltre cinque mesi in quello di Prevost ci ritroviamo ancora col divieto di fatto di tali "iniezioni" e con il quadruplo di tali malanni. E non mi stanco di ricordare che quello che succede nei sacri palazzi, produce drammatici effetti anche nella nostra vita quotidiana, nella tua e nella mia vita quotidiana. Motivo per cui sono sempre più restìo a far "sconti" a chi ha ostinatamente inquinato la fede e la vita della Chiesa.

Dal giorno in cui realizzai di essere chiamato al sacerdozio sono morte persone care (non solo parenti) verso cui provavo come minimo gratitudine (e le più care, durante la bergoglieria). Contavo (beata ingenuità) che una volta diventato sacerdote, sarei stato per loro una speranza (anche senza spendere un solo monosillabo, anche solo come presenza lontana). In questa Chiesa inquinata dal virus vaticansecondoide sono morte malissimo, senza gli ultimi sacramenti né altra possibilità di apparecchiarsi alla morte, e probabilmente tutte senza neppure il conforto della presenza di un sacerdote. Non ho alcuna remora a dire che l'intera gerarchia cattolica ha un enorme e insanabile debito nei miei confronti per quelle pecorelle che ha abbandonato al loro triste destino, e per avermi impedito il sacerdozio (a suon di scuse campate in aria) e cioè impedito di spendere anche solo un monosillabo "autorevole" quando erano ancora in vita, anche solo una presenza lontana.

Preti imbecilli ce ne son sempre stati, ma se i vertici della Chiesa vanno benedicendo pezzi di ghiaccio (ed evitando gesti di riparazione per il giubigay: han dovuto provvedere quattro vescovi di periferia), non dobbiamo stupirci che i confessionali restino deserti, che le parrocchie siano ridotte a centri sociali che arrancano, che i preti vaticansecondoidi vengano meno al loro munus specialmente di fronte a malati e moribondi, che i cattoliconi siano "amici del giaguaro" (come sulla comunione "sulle mani", quando ti obiettano che "finché non viene condannata, me ne avvalgo, perché quello che dice la gerarchia vale più di quello che dici tu o una pagina blog o un paio di sacerdoti che non avevo mai sentito nominare"), che le vocazioni siano di importazione perché i vescovi cercano solo mestieranti del sacro che non conoscano nulla al di fuori delle solite trite banalità da sagrestia.

Di fronte a tutto questo suona beffardo (oltre che ingenuo) il rinominare Bergoglionate in CronicasDePapaFrancisco. Uno che ha smollato dodici anni di pubbliche coglionate senza mai un attimo di "almeno esitazione", conscio dei loro effetti (non ditemi che non sapeva cosa avrebbe provocato quel "chi sono io per giudicare"), non merita trattamenti di riguardo, ma solo correzioni.

lunedì 4 agosto 2025

Il chierichetto cazziato

Una volta fui cazziato durante la Messa da quel finocchio del priore. Dopo tanti anni ancora non riesco a dimenticare la scena. Gli stavo servendo Messa. Si presume che un chierichetto - o equivalente - stia lì non solo come "cameriere" del celebrante, ma anche per vivere il gesto con spirito di preghiera, altrimenti non avrebbe senso la sua presenza nello spazio più sacro. Mi cazziò perché mi ritenne lento: "E dai, su", con un gesto nervoso che pareva quasi che stesse per suonarmele, e con quel tono seccatissimo che non userei nemmeno al ristorante col più arrogante e sfaccendato dei camerieri, tanto meno davanti al Santissimo Sacramento. Ci mancava quasi che dicesse che stavo rallentando l'esecuzione della messinscena.

Fin dalle origini della mia vocazione avevo chiaramente percepito che partecipare ai divini misteri (o addirittura celebrarli) non era uno spettacolo a tema sacro ma un'azione efficace sul piano soprannaturale. Già da dodicenne a servir Messa, sapevo di essere fisicamente più vicino al Signore, e di rendergli un briciolo di onore con quei piccoli gesti extra previsti dal Messale. Sapevo, cioè, che una volta giunto al sacerdozio avrei celebrato Messa e sacramenti conscio del loro inestimabile valore soprannaturale. Avrei celebrato di mia volontà, con o senza "pubblico", perché quella celebrazione aveva un immenso valore "nonostante me", nonostante la mia insignificanza, nonostante i miei peccati. Impossibile stimare quanta grazia può fluire anche soltanto da una celebrazione distratta, stanca, disturbata da circostanze (come il rigido freddo invernale o il traffico auto fuori dalla chiesa) o da gente passata a marcar presenza ma stufa di limitarsi a marcar presenza. Figurarsi quanta ne fluisce da celebrazioni dove c'è un minimo di consapevolezza del miracolo che sta accadendo.

Dunque, anche da stanco, anche in preda a fatiche, acciacchi, dolori non solo fisici, il servire le liturgie lo vivevo "con spirito di preghiera", come suolsi dire in quelle patetiche e interminabili omelie di pretazzi che non han nulla da dire. Servivo Messa consapevole che accanto a me si stava realizzando il miracolo della transustanziazione nonostante gli elementi di disturbo, e cercavo di "fare la mia parte" nella maniera più sobria e discreta possibile, nonostante la mia stessa stanchezza, il freddo e tutto il resto. Al servizio della liturgia, non dell'uzzolo momentaneo del pretino. Ero grato per quel miracolo, non misuratore di "quanti minuti mancano alla libera uscita", sapendo che la mia stanchezza non cambiava il valore di ciò che stavo vivendo.

E quindi mi beccai una cazziata. Imprevista, insensata, fuori luogo, forse udita anche da qualcuno dei fedeli. Il pretino aveva la tipica fretta idiota di chi non ha alcuna urgenza ma si stufa del momento presente (proprio il momento in cui si esprime il suo sacerdozio). Cercai di essere più "veloce" nelle apparenze ma non nella sostanza, perché mi ha sempre ripugnato l'idea che una Messa sarebbe una messinscena da velocizzare o rallentare a seconda di piccinerie del momento. Dato il tipo di prete-checca non avevo appigli neppure per potergli fare a distanza di tempo un discorsetto gioviale e untuoso sulla Bellezza della Liturgia che va Celebrata Senza Correre. Quando hai a che fare con psicotici e checche non puoi usare i ragionamenti, né l'evidenza dei fatti, né l'affabilità che Paolo elargiva ai Filippesi: non funzionerebbero, sono controproducenti, perché quei pretini che ti fanno le omelie "tanto tanto spirituali" sono i primi a non credere in ciò che dicono. Eseguono un copione, recitano un formulario, ma non ci credono. Come quel coglione che a Pasqua ci disse "domani è lunedì, lasciamo la parrocchia chiusa, tanto non viene nessuno", sopprimendo arbitrariamente le Messe di precetto festivo: si era autoassegnato un giorno di ferie, un giorno in cui sbarazzarsi dei santi misteri.

Il profondo dramma della Chiesa che ama immaginarsi moderna è che ha sostanzialmente perso la fede. Chiunque riduca la Messa ad una messinscena, ha perso la fede. La fretta nervosa nel celebrare, la foga nell'aggiungere ingredienti scenografici, il trascinare la liturgia il più lentamente possibile per fingere di starla vivendo, sono tutti pessimi indizi. Così come lo sono l'atteggiamento mondano davanti al Santissimo - trattato come un gadget molto religioso, un certificato di marcatura presenze, addirittura un obbligo amministrativo perché altrimenti chissà cosa penseranno. Chi dice che la Chiesa di oggi ha la vivacità di un cadavere tiepido non sbaglia. Tolta la fede nell'Eucarestia, non rimane più nulla. Si stufano di confessare. Si stufano di celebrare. Non si stufano mai di smollare chiacchiere vagamente religiose: parlano tantissimo perché non hanno niente da dire. Come quel prete (poi spretato), anche intelligente e sensibile, che mi confidò che nei primi tre mesi di diaconato, che gli concedevano l'onore di tenere la predica feriale, aveva già sversato tutto ciò che aveva da dire in tutta la sua futura carriera sacerdotale. Aveva confuso il sacerdozio con un mestiere, si era preparato bene il mestiere di venditore di chiacchiere, e in tre mesi aveva esaurito tutte le cartucce. Non aveva minimamente percepito che le verità di fede son così vere che non ti stanchi mai di ripeterle.

A mia memoria i preti in ginocchio davanti al Tabernacolo quando erano certi che nessuno li vedeva si contano sulle dita di una mano monca, molto monca. Chi più, chi molto di più, vivono pressoché tutti come dei mestieranti del sacro, gente incaricata di vendere sermoni - costruiti tutti con lo stesso gergo, untuoso, insignificante, sufficientemente generico da "non offendere la sensibilità di nessuno". Tirano a campare, fanno la messinscena, si sono letteralmente "abituati" a passare davanti al Tabernacolo con la stessa dimestichezza con cui passano nei pressi del bidone delle immondizie. Come quel bravo pretino anzianotto che va ciondolando a caso fra le navate, aggiustando una lampadina qui, i fiori là, la sedia del coro lì, terrorizzato dall'idea che se si ferma per un attimo, se per un attimo si nota che non è più indaffaratissimo, qualcuno gli chiede di confessarsi (orrore, orrore!). Lì c'è il Santissimo ma è come se pensassero "l'anno scorso mi sono già genuflesso una volta, vale ancora quella". E non parliamo dei pretini che appena prendono possesso di una parrocchia tramano subito per spostare il Santissimo da qualche altra parte, dove si veda il meno possibile, in modo che il palcoscenico sia più libero, sia più riconfigurabile, che lo show deve poter essere più scoppiettante.

E quindi non c'è da sorprendersi che un pretino mediamente più stufo degli altri, con voce perfida e istericamente gracchiante mi vada cazziando durante la Messa perché ha fretta. Ed è lo stesso soggetto che da tempo covava in cuor suo il desiderio di farmi fuori: non credendo alla propria vocazione, non credono nemmeno all'esistenza di altre vocazioni. Non credono a Nostro Signore presente nel Santissimo - limitandosi al massimo a considerarlo un Gadget di un Certo Valore Religioso - e quella stessa mano che adoperano per amministrare la Comunione, venti minuti dopo la adoperano per vergare nero su bianco calunnie sul conto di colui a cui l'avevano amministrata. E qualche giorno dopo l'adoperano per le solite sodomie.

Se la Chiesa di oggi sembra un cadavere tiepido che si sta inesorabilmente raffreddando, è proprio perché nel suo clero pullulano soggetti del genere.

mercoledì 30 luglio 2025

Quel tassello mancante al mosaico

Da molti anni don Ariel osa sollevare la questione: la castrazione mentale dei preti frù-frù, magari peggiore di quella fisica, intacca il presupposto di viri probati per la validità del sacramento dell'ordine?

Sembra una domanda retorica. Non ci sorprende che non abbia ricevuto risposta da teologi e vescovi. Per di più, la descrizione che fa dei frù-frù coincide alla perfezione con ciò che ho visto e vissuto io (e che su questo blog ho cercato di descrivere), e soprattutto con ciò che ho dovuto patire in quanto non affiliato all'altra sponda. Specialmente per quanto riguarda l'Eucarestia ridotta a gettoni-omaggio, per la tipica vendicatività dei soggetti, il loro sadismo, l'allergia alla genuflessione, l'esser pronti a mordere tutti assieme, l'incistarsi in curie e seminari...

Il suo articolo merita di essere non solo letto ma anche meditato. Specialmente quando introduce il concetto di charming men, che era il tassello mancante delle mie pagine blog. Il mosaico delle mie pagine era incompleto perché mi limitavo ad accusare delle precise persone, un preciso andazzo, una constatabile lobby che cresce nel clero, il fatto che certi chierici paiano soggiogati da qualcosa o qualcuno... cioè da qualche charming man, non necessariamente della loro stessa sponda. Era come se avessi descritto una ragnatela ma mancando sempre di descrivere la tessitura dei primi fili.

mercoledì 28 maggio 2025

Qualche breve appunto dopo l'elezione di Leone XIV

Forse il miglior commento sull'inizio del pontificato di papa Prevost è quello di don Ariel, prete non tacciabile di tradizionalismo (e particolarmente avvezzo a insultare - anche gratuitamente - i tradizionalisti, che dipinge sempre come un club di amanti di pizzi e merletti): «posso anche rallegrarmi, ma non riesco a gioire, né ad essere entusiasta».

Le prime parole di papa Prevost - menzionando il Bergoglio - hanno infatti spazzato via il brevissimo momento di speranzoso entusiasmo dovuto al nome scelto e a quella mozzetta. Bergoglio ci aveva dato il "buonasera", Prevost ci ha dato un "Bergoglio".

Pur sapendo che è stato eletto solo per approvazione di tanti cardinali bergoglioni (disposti a tollerare anche più di una mozzetta purché il soggetto si proclami fedele al sacerrimo Concilio), e pur considerando Bergoglio una questione tuttora irrisolta (avrà davvero avuto intenzione di essere pontefice?), tiro comunque un sospiro di sollievo, non riuscendo a gioire né ad essere entusiasta.

Quello che spero è che si sbrighi a riconoscere dignità alla Tradizione (non solo riguardo alla liturgia); date le circostanze mi sembra da sognatori sperare di più. La Tradizione è la medicina principale di cui la Chiesa ha bisogno adesso e con abbondanza. Il piccolo resto ha da essere chiaramente visibile e riconoscibile - altrimenti finisce per disperdersi, e a rischiare di prendere fischi per fiaschi (come ad esempio i minutelliani e le altre comunità fai-da-te).

Per riconoscere dignità ci vogliono atti più che parole. Basterà farsi veder celebrare la "tridentina" (gesto di coraggio che Benedetto XVI non volle fare) e correggere le bergoglionate.

«Poi, dato l'evento del giorno, toccherà rinviare...»: così dissi ad un amico il giorno della morte di Bergoglio. L'evento del giorno che entrambi ci guardammo bene dal commentare. Tra uomini non c'è bisogno di melensaggini.

Questo blog deve il suo nome e la sua esistenza ad una delle più infelici espressioni bergoglione (e la copertina celebrativa del New Yorker qui a lato ben simboleggia gli sperticati applausi mondani). Dovrei cambiargli nome, ma prima aspetterò che il Prevost de-bergoglizzi concretamente almeno qualcosa. 

Ho seguito e consigliato quel blog che inizialmente si chiamava "Bergoglionate", e che poi - dopo una strigliata da chissà chi - cambiò il nome in un molto più clerically correct "Cronicas de papa Francisco" (su Twitter/X, però, l'account si chiama ancora @bergoglionate). Nel suo editoriale conclusivo si affanna ad essere il più possibile clerically correct, evidenziando le parole di circostanza del testamento spirituale, quasi come se rettificassero un po' ciò che Bergoglio ha fatto e detto prima e dopo averlo scritto.

sabato 1 marzo 2025

La diocesi invasa dalle sètte sospiranti

Scopro per caso che una parrocchia dove a suo tempo avevo prestato servizio ha la chiesa intitolata ad un santo diverso da quello con cui l'avevamo sempre chiamata. Sul sito della parrocchia spunta l'elenco delle iniziative in corso e la foto con la faccia depressa del giovane parroco con la chitarrina. È uno con cui non ho mai avuto a che fare, entrato in seminario dopo che fui fatto fuori. In quell'elenco di iniziative ci sono anche cose che avrebbero furiosamente proibito a me, se fossi giunto al sacerdozio e avessi ricevuto un qualsiasi incarico: quando vi dicono che accedere al sacerdozio è una grazia, è vero anzitutto nel senso che le regole ferree di ieri diventano consigli poco importanti di oggi e solidi divieti domani (eccezion fatta per la Tradizione, contro la quale c'è un'ostilità indefessa).

Nelle iniziative di tale parrocchia compaiono ovviamente anche un sacco di emerite vaccate. L'ha avuta davvero vinta la corrente pretesca che voleva trasformare le parrocchie in inutili dopolavori ferroviari dove un po' di gente se la cantasse e se la suonasse quanto basta per far sembrare vispa e arzilla la comunità cristiana locale agli occhi di una platea immaginaria di giornalisti, poco importa che detta comunità non coincida quasi per nulla con quella parrocchiale, poco importa l'effetto "porta girevole" (ogni anno tot nuovi elementi entrano e altrettanti escono). Il tutto corredato da simboli da cui un cattolico sano di mente si terrebbe igienicamente alla larga, e talvolta riguardanti eventi di cronaca riguardo ai quali un cattolico sano di mente parteggerebbe per il versante opposto.

"Ma come, hai sempre da ridire?", mi obietterebbe la tipica anima pia, "fanno persino l'adorazione eucaristica!" Eh, beh, non fermarti alla grafica colorata del manifestino e prova ad andarci tu a quel mini-show canoro autogestito che arbitrariamente chiamano adorazione, in cui il Santissimo Sacramento è poco meno che un intruso.

Il segreto di Pulcinella è che attorno alle parrocchie così malridotte proliferano vere e proprie sètte, accomunate dai... sospiri. Anche in questa diocesetta scalcagnata. Fin dai primi tempi del seminario raggiunsi la sgradevole certezza che la maggior setta sospirante aveva già in pugno la formazione al sacerdozio e le decisioni ultime sugli incarichi curiali e parrocchiali. Solo che nella mia ingenuità pensavo che ci fosse ancora un po' di spazio per il "vivi e lascia vivere", pensavo che vescovo, rettore di seminario, parroci, almeno un minimo scrupolo di coscienza riguardo alle vocazioni lo avrebbero avuto, mi illudevo che avrebbero detto "ma sì, spediamolo in quella povera e squinternata parrocchietta di campagna e dimentichiamolo lì". E invece no: l'ordine di scuderia era di non ammettere per nessun motivo qualcuno che non fosse conclamatamente allineato alla setta sospirante. I rari momenti in cui qualche prete mi espresse solidarietà, si trattava di qualcuno ormai fuori dai giochi, ostacolato a sua volta da quella setta senza nome, parlandomi forse solo per combattere al posto loro contro quel gruppo di fedelissimi del santone che non si poteva nominare se non con circospezione e a bassa voce (santone che infatti riuscì a maneggiare abbastanza da diventar vescovo, e non era un mistero che aspirasse a farsi assegnare proprio questa diocesi prima o poi), gruppo di suoi pupilli che gli riferivano tutto (e che accedevano comodamente al sacerdozio tranne nei rari casi in cui la combinavano davvero grossa).

E dire che avevano tentato di cooptarmi nella setta. Fui invitato a una delle riunioni col santone. Ufficialmente per una preghiera, praticamente per una predica. C'era un mucchio di gente timoratissima, ansiosa, bramosa di ricevere una parola del santone che avrebbe istantaneamente confermato o riprogrammato scelte di vita e vocazionali (quella gente costituiva esattamente lo spettacolo che intendevano offrire ai miei occhi: "hanno trovato una guida, deciditi a riconoscerla anche tu"). Nell'incontrino, a luci soffuse, quasi al buio, il santone esalò la sua predica in cui i sospiri furono più numerosi delle parole. Disse le solite trite banalità che potete ascoltare pressoché in ogni parrocchia vaticansecondista oggi, ma con un linguaggio ampolloso, imbottito di inutili astrazioni e dotte (ma ancor più inutili) citazioni, con esempi talvolta perfino calzanti ma che sembravano buttati lì solo per tener svegli gli ascoltatori. E naturalmente con qualche piccola forzatura qua e là, sul significato di qualche versetto del salmo, o su una parola del Vangelo.

Se non l'avessi già dedotto da continue osservazioni precedenti, l'avrei capito quella sera stessa il motivo per cui i pretini sfornati dalla setta erano tutti come lo schitarrante parroco sopra citato col sorrisetto depressino, con la passione per il teatro e la teatralità (red flag: intenderanno anche la liturgia come un teatro), con un compiacersi di citare canzonette moderne per spiegare il Vangelo (poco importa che tali canzonette lo contraddicano), con quell'atteggiamento - tipico di ogni setta - che anche quando si ubbidisce al legittimo superiore (il vescovo) bisogna sempre farlo con un escamotage che promuova la setta, bisogna sempre fare in modo che sia la setta ad espandersi, che sia il santone ad essere gloriato, che i membri della setta continuino ad essere trattati come il santone vuole.

martedì 25 febbraio 2025

Coccodrillo anticipato per il sullodato

In quell'infausto marzo 2013 appresi dalla tv in cucina - una delle due o forse tre volte che avrò acceso la tv in questo secolo - l'ascesa al soglio del Bergoglio. "Catastrofe!" fu la prima reazione. Spensi la tv e mi ritirai per qualche minuto in addolorata preghiera, come tutte quelle volte in cui ci si rende conto che per molti anni a venire non ne verrà nulla di buono, né per la propria vocazione, né per la Chiesa, né per le anime. Ed infatti quasi dodici anni dopo si sono rivelate esatte tutte le più odiose previsioni: letteralmente l'andreottiano "a pensar male si fa peccato ma s'indovina".

"Corpo sociale", intitolai questo blog di sfoghi, perché in una delle sue gesuitiche elucubrazioni il Bergoglio aveva detto testualmente “non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo”. Cioè il Corpo di Cristo (l'Eucarestia), a suo dire, non merita di essere difeso se ciò urta la suscettibilità di qualche fedele (il "Corpo Sociale di Cristo"), che nel contesto era il tipico parrocchiardo risentito perché non gli si amministrava la Comunione sulle mani. (La citazione la debbo a Blondet - articolo completo riprodotto su C&PC -, che l'aveva reperita da un articolo di Tosatti su La Stampa del 23-5-2014, articolo poi misteriosamente sparito dagli archivi del giornale).

Questa paginetta di "coccodrillo" l'avrei voluta pubblicare in morte del sullodato, se non fosse che qualche giorno fa un amico allarmato mi avesse telefonato per riferirmi della "scherzosa" affermazione bergogliesca secondo cui «se non seguo le indicazioni dei medici vado dritto in Paradiso». "Scherzando" ho chiesto retoricamente se il sullodato credesse davvero all'esistenza del Paradiso, e anche in base a cosa credesse di esserselo già guadagnato automaticamente. Oppure, se quelle parole gli fossero state messe in bocca da qualche giornalista creativo per sostenere la narrativa ufficiale del Tutto va Bene Madama la Marchesa, mentre da una decina di giorni è un susseguirsi di voci ufficiose sulle condizioni sempre più gravi e sui preparativi (già in corso da una settimana) del suo funerale. Ho ricordato all'amico come lo stesso don Bosco, nell'ultimo periodo della sua vita, chiedesse preoccupato preghiere per la propria salvezza. Un gigante come lui che all'avvicinarsi dei suoi ultimi giorni aveva il timore di presentarsi al cospetto divino come il servo che ha sotterrato un talento. Che differenza rispetto al Bergoglio che gesuiticamente si autopromuove "dritto in Paradiso" anziché pensare a come ravvedersi e salvarsi l'anima!

I giornalisti di Madama la Marchesa hanno riportato infatti di questi suoi giorni di degenza la sua attività riguardo "documenti e nomine". Sembra proprio lo scenario (già avvenuto col Berlusconi) in cui del soggetto, in condizioni gravissime e magari già morto o in coma irreversibile, si posticipa un po' la morte ufficiale in modo da fargli "firmare" qualche favorino "agli amici degli amici", e di far passare qualche giorno per non sgamare troppo il giochetto. (Succede talvolta anche il contrario, come quando Woytila negli ultimissimi giorni di vita s'impuntò a voler promuovere Negri all'episcopato; o come quando Luciani fu soppresso in fretta)

Tutta questa introduzione è solo per giustificare come mai la tesi di Viganò - cioè che il Bergoglio non avesse mai avuto intenzione di «pascere gli agnelli, pascere le pecorelle» - sembra mostrare più di qualche fondamento. In tutto il suo "pontificato", El Jesuita ha mostrato per il gregge solo un malcelato disprezzo, come quando trovava il tempo per onorare di una visita privata lo sconosciuto Traettino mentre i casertani imploravano almeno un cenno di saluto, o quando onorava la fin troppo nota Bonino dopo aver sempre definito "sgranarosari" e addirittura "occultisti" i fedeli cattolici. Se c'è un punto su cui vaticansecondisti e cattolici vanno davvero d'accordo, è che il vaticansecondismo è sostanzialmente "altro" da ciò che era "preconciliare" (da cui rifugge con disprezzo e disgusto, quando non con foga distruttiva).

Sapevo bene che il gesuitismo ha gran zelo nel servizio del demonio, anche da prima di Bergoglio. Anche da prima del giorno in cui un gesuitastro, guardandomi negli occhi, mi mentiva sapendo di mentire e sapendo che io sapevo che stava mentendo (per cui non mi meraviglierei che descrizioni come questa possano avere qualche fondamento). Con la morte di Bergoglio (probabilmente già avvenuta, nonostante qualcuno fidandosi troppo della stampa la etichetti "fantasiosa") si chiude un tristissimo capitolo della storia della Chiesa (qualcuno osa sperare: "Non sorprende che coloro che gli abbiano consentito di salire sul soglio di Pietro siano oggi così atterriti dalla sua fine"). Tristissimo anche per me, visto che il mio percorso vocazionale, già irto di assurdi ostacoli in tempi woytiliani-ratzingeriani, ha visto dodici anni di durissimo deserto.

In tempi remoti, in una gita a Roma con tappa a piazza san Pietro, al momento del passaggio di Woytila gli scattai una foto. Sarò stato a pochi metri di distanza dalla papamobile ma a rivedere la foto sembrò che mi fissasse. Non ricordo se dopo o prima, trovandomi a Roma per lavoro, dovendo raggiungere un collega a via delle Fornaci, tagliai per piazza san Pietro incrociando Ratzinger (ancora cardinale) sotto il colonnato. Non lo riconobbi subito, ricordo solo che mi fissava mentre mi sbrigai a passare per non farlo aspettare. Quando parecchi metri dopo mi resi conto di dove avessi già visto quel volto, mi voltai indietro e stava già sparendo dall'altra parte del colonnato. In epoca post-ratzingeriana, trovandomi a Roma a partecipare alla processione (del Corpus Domini, penso), non riuscii a vedere Bergoglio: era come se non ci fosse, o come se non volesse esserci. Questi episodi mi hanno talvolta dato per un attimo la sensazione che la mia vocazione avesse a che fare con la figura del successore di Pietro non solo in termini gerarchici. (E dire che da sempre avrei volentieri preferito un papa silenzioso, antipatico, o scandaloso su temi mondani, ma che almeno non acconsentisse a svarioni dottrinali e liturgici, laddove il Bergoglio si è invece prodotto in abusi liturgici - per esempio amministrando personalmente la Comunione "sulle mani", cioè sdoganando l'abuso - e in svarioni dottrinali, contro cui il belato delle correzioni filiali non ha mai ottenuto nulla)

Così, oggi, mentre il successore ufficiale di Pietro sta ufficialmente morendo, licenzio questa paginetta per tempo per evitare che qualche asino venga a ragliare che dei morti si debba dire solo del bene. E per cominciare a pensare a che nome nuovo dare al blog.

mercoledì 19 febbraio 2025

Un momento di rabbit hole

Volevo solo ricordare il nome di una chiesa, e son finito nel rabbit hole dello sfogliare l'annuario diocesano online vedendo che fine hanno fatto i miei compagni di seminario, i preti che mi hanno perseguitato, e quelli che andavano per la maggiore. C'è ancora listato qualcuno che nel frattempo ha gettato la tonaca (mai indossata) alle ortiche. Anzitutto quel soggetto pieno di sé, portato come esempio dal rettore, che più volte credette utile rampognarmi, oggi sposato, onnipresente in attività diocesane, dal mestiere incerto.

Un altro è parroco, e a febbraio 2025 il sito della sua parrocchia è ancora fermo alla richiesta di un "Green Pass Rafforzato e la Mascherina FFP2". Un altro ancora, dei più mormoratori e presuntuosi, assurto a incarichi diocesanamente prestigiosi. E poi un altro di quelli che avevano lasciato il seminario per fidanzarsi, dopo pochi anni rientrava con tutti gli onori del figliuol prodigo, salvo poi gettare la tonaca (mai indossata) alle ortiche per sposarsi. E quello che minacciava di farsi venire la crisi sacerdotale se non lo avessero promosso a una parrocchia di maggior prestigio, taac!, promosso. Quell'arrogante che primeggiava per ignoranza e faciloneria ha scritto un libro, rimediando un bizzarro incarico fuori diocesi.

Uno dei migliori preti della diocesi, ignorante e facilone ma non arrogante, chiacchierato perché giocava i numeri al lotto, la vocazione ce l'aveva. Celebrava, confessava, provava fastidio per le troppe chiacchiere da bar, per l'invadenza dei laici, per i noiosi raduni del clero. Ebbi a che fare con lui solo una volta, gli chiesi di confessarmi poco prima di una processione, neanche un minuto dopo mi amministrava l'assoluzione, eppure di cose da fare ne aveva. Avrei voluto essere come lui, un prete di campagna coi suoi difettucci, uno di quelli che se gli chiedi di confessarti non reagiscono peggio che se gli avessi chiesto un botto di soldi.

mercoledì 29 gennaio 2025

Il prete intrallazziere

Si introduca qui la figura del prete intrallazziere, ossia colui che pur ordinato al sacerdozio ha come vocazione non quella sacerdotale, ma quella agli intrallazzi - e che per quanto vanti la propria chiamata al sacerdozio la ritiene fondamentalmente uno strumento per questi ultimi. Non ci si lasci ingannare dall'espressione affabile e gioconda, non tragga in inganno la parlantina brillante e farcita di paroloni del gergo cattolico: quei sorrisi e sospiri sono in vendita, e se vi concede udienza è solo perché sta valutando l'opportunità di estrarvi qualcosa o di usarvi come mezzo per concludere qualche altro affare. Il prete intrallazziere è convinto che tutti abbiano soldi di cui non sappiano che farsene e che in virtù di ciò debbano mollargli il malloppo. Il prete intrallazziere non ha a cuore la fede, la dottrina, la liturgia, le vocazioni, ma solo il proprio prestigio e ancor più i beni mobili e immobili su cui nutre più o meno segretamente speranza di mettere le grinfie dicendo che è per volere di Dio. Apparentemente una figura paterna, si rivela invece un manager dedito solo a guadagnarsi il bonus trimestrale con ogni trucco; disponibile teoricamente con tutti, risulta irreperibile tranne che ai suoi fidatissimi - quelli che ne hanno comprato (in genere con moneta sonante) il favore.

Il prete intrallazziere è di solito il diametralmente opposto di don Bosco. Don Bosco pregava (e molto) e cercava di non farsi notare; il prete intrallazziere, quelle rare volte che prega, fa in modo da farsi notare. Don Bosco aveva a cuore la salute spirituale di coloro che gli si rivolgevano; il prete intrallazziere ha a cuore l'organizzazione, i finanziamenti, il barcamenarsi fra pagamenti da rinviare, debiti da onorare il più tardi possibile, opportunità di chiedere altri soldi e donazioni, sottili piagnistei su come sarebbe bello se gli affidassero tali immobili o talaltra ricchezza, "per il Signore", certo, come no. Don Bosco passava molto tempo in confessionale, il prete intrallazziere ne farebbe volentieri a meno; don Bosco soffriva (risultato del bene che faceva), il prete intrallazziere si lamenta di soffrire ma dietro le quinte fa la bella vita (e se glielo fai notare ti dirà che dopo tante fatiche ha bisogno di riposo e ristoro); don Bosco sapeva scegliersi persone di fiducia, il prete intrallazziere ha solitamente qualche figliuolo prediletto a cui irrazionalmente non sa dir di no; don Bosco era devoto dei santi, il prete intrallazziere è devoto a chi può arricchirlo (e se proprio tira in ballo figure di santità le menziona solo a mo' di slogan); don Bosco era virile, il prete intrallazziere solitamente non lo è del tutto. Don Bosco era come un padre amabile per i suoi "figli", il prete intrallazziere è come un caporale che esige che i suoi sottoposti siano perfettamente incastrabili nel suo mutevole e arcobalenante progetto. E sì, la maggioranza della corrispondenza di don Bosco era per chiedere donazioni, mentre l'intrallazziere chiede cercando di non lasciar troppe tracce, anche perché magari ha già avuto qualche "spiacevole malinteso" con autorità civili o ecclesiastiche...

E la partenza - o la dipartita - di un prete intrallazziere lascia tipicamente lo stesso caos di quella di un hoarder, un accumulatore seriale.

Alcuni preti intrallazzieri orbitano purtroppo attorno all'ambiente legato alla Tradizione cattolica. Ho avuto a che fare con alcuni di loro, rimanendone puntualmente scottato e deluso, perché non c'è verso di accontentarli o almeno assecondarli, sarai sempre considerato l'intruso che vuole intrufolarsi nel loro regno, un figliastro ingrato sgradito anzitutto al sacro figliuolo prediletto, una spesa imprevista che sopprimerebbero volentieri e il prima possibile. Se poi hai un qualche valore di mercato - come quel seminarista sudamericano abile in sartoria ecclesiastica, o quell'altro che stava per ereditare un certo pregiato immobile - potrai aspettarti un trattamento leggermente migliore dei figliastri intrusi.

La figura del prete intrallazziere è per molti tratti sovrapponibile a quella dei pessimi preti che hanno a cuore solo robette mondane. A differenza di questi ultimi, l'intrallazziere ha un'invincibile ossessione per il micromanagement, che in qualche modo influisce sulle priorità che dà a ciò che celebra, a come (e quanto) ascolta confessioni, alle vocazioni. In breve, mentre il prete frùfrù è debole quanto alla castità, il prete arrivista è debole quanto all'obbedienza (non nel senso di disubbidiente ma nel senso di avido di potere), il prete amante dei soldi è debole quanto alla povertà, e il prete intrallazziere è un mix di questi ultimi due, avido di beni e soldi ma con la foga dell'inanellare intrallazzi e "gestire" situazioni. Immaginate dunque i danni che possono fare i preti intrallazzieri quando hanno a che fare con le vocazioni...

mercoledì 4 dicembre 2024

Quando i pazzi comandano al sano sedute dalla psicologa

Episodio: il rettore del seminario decise che il sottoscritto aveva bisogno di qualche seduta con uno psicologo. Chiesi per quale motivo, ottenendo ovviamente non una spiegazione ma un insulso guazzabuglio di parole clericali. Feci allora presente che dallo psicologo si mandano quelli che hanno qualche serio problema, e chiesi dunque quali problemi rilevavano. Il rettore, con una perfetta faccia di bronzo indistinguibile dal culo, rispose che il fatto stesso di porre la domanda implicava che ne avevo bisogno. Trattenni a stento un sorriso sarcastico mentre osservavo che dallo psicologo dovremmo mandarci i pazzi (pensavo ad almeno metà della comunità), e soggiunsi qualcosa che significava "fate come volete", visto che avevo capito che era una decisione irrevocabile.

E venne dunque la psicologa a tenere incontri comunitari. Magari era la sorella di qualche pezzettone grosso della curia, a cui non si poteva non far guadagnare qualche soldino. O forse avevano pensato che non sarei stato tanto propenso ad autoaccusarmi di qualcosa. Dopo una mezza dozzina di inutili sedute comunitarie (prezioso tempo pomeridiano sottratto a studio e riposo), in cui vomitò la solita aria fritta delle pseudoscienze fai-da-te, se ne concluse apparentemente con un nulla di fatto: il rettore non cambiò opinione su di me (che tutto sommato nelle sedute avevo brillato), né sugli altri (che tutto sommato avevano lasciato emergere qualche problemuccio). Il momento più topico fu quando lei ci chiese di descriverci come soggetti di un paesaggio immedesimandosi in delle cose, anche astratte. Chi il mare, chi un animale, io placidamente affermai il vento e lei un po' sorpresa e ammirata, disse: "oh, un simbolo dello Spirito", procurando involontariamente qualche sgomitante crampo al fegato al rettore, forse peggiore di quando la suora di clausura - di quelle moderne, che il rettore tanto shillava - disse che di tutti ero quello con lo sguardo più vivo.

Insomma, il metodo del rettore e dei suoi referenti non cambiava: i seminaristi problematici vanno tenuti perché "cresceranno", i seminaristi sospettabili di amare la tradizione bisogna invece bastonarli per bene e senza pietà, porre ossessivamente ostacoli, interporre infiniti latinorum donabbondiani e per soprammercato pure la psicologa (sottinteso: "non ci piaci, quindi devi per forza avere qualche problema, quindi non riuscendoti a farti confessare pubblicamente qual è il problema incaricheremo una psicologa di trovare qualche capo d'imputazione": letteralmente il sinedrio vaticansecondista a caccia del pelo nell'uovo). I vaticansecondisti, nella loro ipocrisia di non sembrare eccessivamente nemici del buonsenso e della fede, hanno l'invincibile fissazione ponziopilatesca di lavarsene le mani. Non c'è maggior soddisfazione per un rettore vaticansecondista di vedere un seminarista che abbandona senza accusare i superiori o il metodo.

Incappo oggi in un articolo: "Il seminarista ama la tradizione? allora ha una patologia". Oh, perdindirindina, avrei dovuto scriverlo io all'epoca un articolo del genere, e con molta meno melliflua gentilezza. La neochiesa conciliare ama abortire le vocazioni. È come se fossero convinti che una volta svuotati tutti i seminari e le parrocchie, potranno finalmente andare al bar a festeggiare "missione compiuta".

lunedì 8 luglio 2024

Quell'8 luglio 2007

In quel fatidico 7 luglio 2007 Benedetto XVI promulgava il Summorum Pontificum che diceva ciò che noialtri (perennemente caricati di etichette dispregiative, come il «lefebvrist'!» dettomi da un'amica suora indinniata dell'esistenza di fedeli alla Tradizione) avevamo sempre saputo, e cioè che la liturgia tradizionale non era mai stata abolita.

Di più, il Summorum stabiliva che tutti i sacerdoti erano liberi di celebrarla. E la lettera di accompagnamento spiegava ai riottosi vescovi (non solo francesi) che «ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.» Avevamo finalmente diritto di cittadinanza nella Chiesa!

Il mattino dopo, come di consueto, accompagnai il priore a celebrare nella cappella del borgo la Messa delle otto. Stavolta, però, ero con talare, fascia e saturno d'ordinanza. La mezza dozzina di nonnette del borgo, nel vederci camminare per le stradine abbigliati "come una volta", faticavano a non sorridere di contentezza. (La mazzata sarebbe stata solo per i vanesi che adoravano sfoggiare la talare solo quando c'era da farsi notare, ma che negli altri momenti preferivano un abbigliamento da debosciati a cui si è guastato il climatizzatore).

Non ebbi molte altre occasioni di girare in talare fuori da un contesto liturgico. Ma quell'8 luglio fu speciale, perché quel giorno girare in talare lanciava l'inequivocabile messaggio: "non siamo più dei paria, non siamo più quelli «sbagliati»: ciò che per le generazioni anteriori era sacro...".

Poco meno di sei anni dopo ci ritrovammo il catastrofico papa Buonasera. Confidai ad un amico di cui ho sempre avuto grande stima le mie primissime perplessità. La sua reazione fu spropositata: mi chiese polemicamente "ma mica crederai che Francesco voglia proibire la Messa tridentina?!" A domande del genere si può rispondere solo con brutale sincerità: "sì", gli dissi, ma prima che potessi spiegare per sommi capi come avessi maturato tale timore, mi spinse il braccio con disappunto dicendo "ma va', esagerato".

Mi piacerebbe ricordargli quel momento, viste le voci sul drammatico giro di vite in arrivo nei prossimi giorni contro la liturgia tradizionale. Mi chiedo senza alcuna ironia se domenica prossima rischi di essere l'ultimo giorno in cui posso ancora assistere senza troppi problemi alla Messa tridentina. Mi verrà tolto "diritto di cittadinanza" nella Chiesa? La domanda non è peregrina, visto che la nefanda Traditionis Custodes del 16 luglio 2021 proibisce ai nuovi sacerdoti di celebrarla. Un documento ha tolto loro la "cittadinanza", così, senza motivo (e solo chi vuol prenderti in giro ti dirà che il motivo è descritto in quelle prime righe sui "custodi della tradizione").

Fin dagli inizi, il papa Buonasera non ha mai smesso di deluderci, umiliarci, calpestarci. Come se fossimo non gli agnelli e le pecorelle affidati al buon pastore, ma l'errore da estirpare, il fastidio di cui egli si vorrebbe liberare. Nei primi mesi, quando si venne a sapere che sarebbe andato a Caserta, i cattolici della zona - a cominciare dai vescovi - ne implorarono umilmente la presenza, pronti a osannarlo "a prescindere", ma Bergoglio aveva premura solo per uno sconosciuto pastore protestante (sedicente "evangelico") e non sembra certo per invitare quest'ultimo a rinnegare l'eresia. 

Così, nei loro comodi salotti i kattoliconi dalla pancia piena si cimentarono tutti nel nuovo sport dello scovare immaginarie strategie comunicative bergogliane, del giustificare il caratterino argentino fingendo che "un papa maleducato è pur sempre un papa", dell'inventare sempre nuovi alibi per far sembrare accettabili quelle esternazioni che sotto sotto sbigottivano anche loro... e, per i nomi più famosi, sperare che la randellata del giorno fosse sempre per qualcun altro. I blogger kattolici che prima si crogiolavano nel ripostare gli interventi ratzingeriani trovandoli puntualmente "bbbbellissssimi", ora arrancavano a mettere insieme paginette che sembrassero altrettanto entusiaste per la propria vita di fede. A poco a poco si ritirarono quatti quatti su altri argomenti: meglio discettare di qualcosa di tradizionalmente cattolico che il Bergoglio non ha menzionato (cioè non ha deturpato), così da poter far finta di non aver sentito la gesuitica stronzata del giorno. E quando El Jesuita la sparava veramente grossa - come ad esempio quel mefitico Amoris Laetitia o quel "chi sono io per giudicare?" - bastava assentarsi qualche giorno dal dibattito, fingere di non sapere che i furbetti non aspettavano altro che una nuova dose di ambiguità interpretabili a 360°, e lasciare che i titoli di prima pagina della cronaca ecclesiale si occupassero di altro. (Il nome di questo blog ricorda una di quelle sparate, «perché non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo». Con l'allusione blasfema del porre il Santissimo Sacramento sullo stesso piano dei fedeli).

lunedì 1 luglio 2024

Dieci anni e nulla è cambiato

Dieci anni fa nasceva questo blog. Titolo e sottotitolo venivano da alcune considerazioni sul Bergoglio, "il Papa Buonasera", e che aveva dato a intendere che per proteggere l'ipersuscettibilità del corpo "sociale" (i fedeli modernisti) si poteva anche procedere a mettere in secondo piano (leggasi: trattare con sufficienza, insultare) il Corpo di Cristo.

Ciò che disse (o insinuò) el jesuita non era per nulla differente da ciò che avevano sempre fatto e detto i miei superiori di ogni comunità e seminario e diocesi. "La pastorale, la pastorale!" Con l'ascesa del Bergoglio, era come se si fossero avverati i loro desideri. "Non si può dire a un giovane che tale cosa è peccato, perché altrimenti si allontanano i giovani" (la rinuncia al munus docendi), "bisogna stare in mezzo alla gente" (la rinuncia al munus gubernandi), "mica uno deve limitarsi ai sacramenti" (sottinteso: sono un'attività come tutte le altre, magari secondaria: la rinuncia al munus sanctificandi, si stufavano di confessare, si stufavano di celebrare, si stufavano di portare la Comunione ai malati, ma non si stufavano mai di amministrare il Sacramento a peccatori impenitenti che hanno mangiato la loro condanna).

Volevano una Chiesa-federazione di centri sociali, fatta di riunioni, di sospiri, di assemblee pseudosessantottine ma piene di sorrisi, di frasi fatte, di "ascolto" (cioè che non avesse nulla da insegnare), di salamelecchi autocompiaciuti, di incensazione del mondo, di eterno chieder perdono per cose mai fatte... volevano una Chiesa suicida. Letteralmente la stessa moda autolesionista dell'uomo bianco etero che deve scusarsi col mondo per la propria esistenza.

A furia di bergoglionate, dall'Amoris Laetitia al Fiducia Supplicans passando per il Traditionis Custodes e la stangata anti-tridentina in arrivo, finalmente un po' di gente ha cominciato ad aprire gli occhi. Compresi - vogliamo sperare - gli spettacolari coglioni che si sforzavano di essere papisti.

sabato 9 marzo 2024

Quelli che confondono la vocazione con l'incarico diocesano

Se ti danno un calcio negli stinchi ti sfugge un'incomprimibile espressione di dolore. Lamentarsi non fa passare il dolore, ma è un segno che il dolore c'è ancora, che un danno è stato fatto. E se a quel calcio ne seguono altri dati con la stesso cinico sadismo, ci vorrà ancor più tempo prima che il dolore si attenui. E se quei calci sono durati per tanti preziosi anni della tua vita...

In tempi normali i pastori della Chiesa si chiederebbero: il candidato ce l'ha la fede? è convinto di avercela la vocazione? ce l'ha una dirittura morale? bene, tre risposte positive, lo si può ordinare, nella vigna del Signore c'è sempre bisogno di altri operai, poi si vedrà.

Ma non viviamo in tempi normali. Viviamo in tempi in cui l'esimio vescovo ebbe a dirmi che lui ordinava "per la diocesi", cioè con l'intenzione di dare nomine in parrocchia, utili alla diocesi, cioè se non riteneva adatto a tali incarichi il candidato, che quest'ultimo se ne andasse altrove. Lo diceva con convinzione, con tutta una complessa selva di espressioni per addolcire l'amara pillola, ma il senso era quello: mi stava dicendo che il sacerdozio per lui era un incarico, che la vocazione coincide con l'incarico in parrocchia. (Quando mi ci ritrovai a tu per tu osai chiedere con curiosità e senza alcuna ironia - all'ispettore dei salesiani, al provinciale dei gesuiti, ecc. - come fosse originata la loro vocazione, e seppero rispondermi solo con un elenco di attività svolte in gioventù, come se non avessero mai vissuto quel terremoto interiore, quella scoperta a cui ci si arrende con commozione e gioia, quel percepire l'inizio di una vita nuova che rende ridicola quella precedente, vita nuova che qui osiamo chiamare "vocazione").

E quando a quel vescovo che confondeva la vocazione con l'incarico in parrocchia mi permisi di chiedere "se non qui, dove?", non seppe rispondermi. Non mi voleva in diocesi ma dopo tutti gli anni di "formazione" non aveva idea di dove sarei stato adatto. Menzionò un paio di ordini religiosi a caso, come lo studentello impreparato all'esame che tenta di buttarla in calcio d'angolo. L'unica emozione che sembrò tradire fu il sollievo quando finalmente stavo andando via.

Ma anche quel bravo vescovo disponibile ad accogliere me e altri due amici nelle mie stesse condizioni finì per spedirci dal suo Responsabile delle Vocazioni, un pretino insulso che cominciò tutta una severissima litania: non è detto che vi accoglieremo, non è detto che diverrete preti, non è detto che entriate in seminario, non è detto che completerete il periodo di prova, che non si sa quando comincerà e non si sa quanti anni durerà... Quando ci fece questo discorsetto, avrei dovuto chiedergli se lui, a suo tempo, fosse stato "accolto" allo stesso modo (più fanno omelie sull'"accoglienza", e più si comportano da cinici persecutori e muri di gomma), o meglio, chiedergli: ma scusa, la tua vocazione in cosa consiste? Voglio anche venirti incontro e presumere che alla diocesi si siano presentati candidati stranissimi, loschi, senza fede, senza vocazione, senza dirittura morale, ma tu, ancor prima di conoscerci - e nonostante il parere positivo del tuo stesso vescovo - già ci stai facendo capire che ci ostacolerai in ogni modo? Ma tu che sei Responsabile delle Vocazioni, te l'hanno mai spiegato cos'è una vocazione?

E se proprio non capisse, insistere e chiedergli: te l'hanno mai spiegato che questa è una diocesi? Cioè non è un ordine religioso dove al candidato sono richieste delle qualità in più. Un francescano puoi declassarlo a diocesano senza fatica, ma un diocesano, per promuoverlo a francescano, devi prima assicurarti che sia propenso a digiuni e povertà, dico bene? Di cosa diavolo avete paura quando siete così precisini, così schizzinosi, così diffidenti?

(Ve lo dico io: vogliono una diocesi fatta di clown intercambiabili; vogliono che nello scambiare i parroci delle parrocchie X e Y nessuno si accorga della differenza perché le prediche sono sempre le stesse - specialmente nell'insignificanza -, che le attività siano sempre le stesse, che i sottoincarichi - specialmente del sostituto del viceresponsabile delle fotocopie - restino sempre gli stessi: vogliono dei robot anonimi, non dei sacerdoti)

giovedì 14 settembre 2023

Quando chiami il taxi non gradiresti per tassinaro un ragazzino senza patente

Una delle più memorabili scene della mia vita vocazionale: siamo in macchina, io e il pretonzolo a cui ero stato affidato, comincia a grandinarmi addosso una serie di accuse solidamente campate in aria. Inizia con la cazziata proibendomi l'hobby della fotografia (proprio quell'hobby che aveva consentito di creare il sito web per mettere lui e la sua opera in bella mostra), quindi altre accuse insulse che servivano solo a preparare la stangata finale del "non sei andato a dire il rosario in casa del morto", col sottinteso che alla successiva tornata di ministeri non avrei ricevuto l'accolitato che mi era stato promesso.

Mi divenne rapidamente chiaro che era una decisione già presa altrove e che gli occorreva fingere che fosse almeno un pochino motivata e che l'unica pezza d'appoggio fosse quell'episodio di un paio di giorni prima. Sto elencando questi dettagli apparentemente secondari solo per descrivere quel meccanismo perverso generalmente etichettato come clericalismo, che contiene quell'attitudine clericale a fabbricare accuse al momento del bisogno, come esemplarmente descritto nel Vangelo ("prima arrestiamo Gesù, poi dopo troveremo una scusa per giustificare l'arresto"). Non si lasci prendere dalla pigrizia mentale il lettore stanco: il contesto non è "il rosario dal caro estinto", ma il metodo pretesco di adoperare un evento del tutto casuale come pezza d'appoggio per fabbricare una scusa con cui giustificare una decisione ingiustificabile.

Dunque si trattava di un defunto della parrocchia e né il pretonzolo né il diacono avevano voglia di andar lì. Come da già inveterata abitudine, il pretonzolo rimbalza il cerino acceso nelle mani dell'ultimo seminarista arrivato, cioè il sottoscritto, giacché l'altro seminarista - essendo il figliuolo prediletto del pretonzolo - non era disposto a compiti che non gloriassero il proprio presuntamente elevatissimo pedigree ecclesiale. Cioè un emerito sconosciuto ultimo arrivato - il sottoscritto - avrebbe dovuto presentarsi in casa del defunto e dire paciosamente a tutti: salve, diciamo un rosario per il caro estinto, sperando che fra gli astanti ci fosse almeno qualcuno che sapesse recitarlo e accettasse.

Fermo restando che la cosa non mi era stata chiesta per ubbidienza e neanche ventilata come possibilità ma era solo stata distrattamente accennata in termini impersonali ("bisognerebbe che qualcuno vada a casa del defunto": il classico discorso di un don Abbondio qualsiasi che riflette ad alta voce per darsi una scusa per non andarci, come se fosse già convintissimo che ai parenti del defunto non interessasse), sarebbe stato piuttosto bizzarro presentarmi lì in abiti civili, da seminarista postulante che ha solo il lettorato, preso non lì ma a centinaia di chilometri di distanza (e ricevuto da un vescovo che per tutto il tempo della formazione aveva cercato un alibi per dimettermi), e organizzare una scenetta religiosa di ossequio alla confusa religiosità degli autoctoni, per poi tornare in sede e farmi cazziare dal prete perché all'eventuale offerta avrei certamente risposto "fatela in segreto in chiesa quando solo Dio vi vede" anziché portare qualche bel bigliettone al pretonzolo sfaticato e avido.

L'ho imparato a mie spese - e troppo tardi - che quando un pretino comincia a cercare scuse per ostacolarti la "carriera", e lo sa benissimo che tu sai benissimo che lui sta cercando scuse, non ti resta che sbaraccare e andar via senza salutare, perché non solo è diventato tuo nemico, ma pretende pure che tu finga di non accorgertene, perché vuole pilatescamente uscirsene con le mani lavate: per chi disprezza le vocazioni, la maggior soddisfazione possibile è togliersele dai piedi potendo accampare una o più delle solite scuse ("se ne è andato spontaneamente, si è preso un periodo di riflessione, ha ritenuto che non fosse la sua strada, non si trovava bene, ha sbroccato senza motivo..."), proprio come quelli che credono che ingannando gli uomini riuscirebbero poi ad ingannare anche il Signore.

Quando mi scaricò addosso come fulmine a ciel sereno quella ridicola scaletta accusatoria, l'istinto mi diceva di aprire la portiera, uscire dalla macchina e tornare a piedi (anche se erano parecchi chilometri) a far le valigie e sbaraccare. Ma lì sulla statale a cinquanta all'ora non era il caso. Mi difesi per quanto ragionevolmente e cautamente possibile, tacendo quando mi resi conto che i giochi erano già fatti, e a poco a poco mi convinsi (madornale errore!) che forse sarebbe bastato pazientare un anno in più, due anni in più del previsto, mi convinsi (ingenuità giovanile!) che continuando col fair play, con quella correttezza che dovrebbe positivamente stupire i diffidenti, qualcosa poteva migliorare, mi convinsi nella speranza di non lasciare nulla di intentato... pur sapendo che i preti sufficientemente virili da apprezzare quel fair play sono una minoranza assoluta. Ma neanche quando io e gli altri acquisimmo il "diritto" di vestire la talare tutto il giorno sarebbe stato il caso di mandarci "dilettanti allo sbaraglio" a "celebrare" un rosario a casa di un defunto. Fino al diaconato sei un emerito signor nessuno e la scusa dell'esercitarsi nel ministero è solo uno squallido accettare di fare un po' di teatrino religioso perché qualche prete si stufa dei suoi sacri doveri o qualche laico vuol essere intrattenuto.

A tutti quelli che pateticamente mi chiedevano se non sarebbe stato meglio andar davvero a casa del defunto ho dovuto ricordare sia la necessità di considerare aria fritta le espressioni in forma impersonale - se mi comandi qualcosa dev'essere chiaro che me lo stai comandando, perché se accetto ambiguità ti sto invogliando a chiedermi in modo ambiguo qualsiasi cosa che non hai il diritto di chiedermi per ubbidienza -, sia il fatto che il seminarista è solo uno studentello qualsiasi (anche quando indossa talare, fascia e saturno), dopotutto quando chiami un taxi ti aspetti che alla guida ci sia proprio il tassinaro, non un ragazzino senza patente. Davanti alla Chiesa avevo solo l'ammissione fra i candidati all'ordine sacro (che si dà in genere dopo il secondo anno di seminario maggiore, e di fatto significa solo che il vescovo ufficialmente sa che tu esisti) e il lettorato (cioè il diritto/privilegio/incarico di leggere la prima o seconda lettura durante la Messa Novus Ordo... cosa che può fare un qualsiasi laico). E all'obiezione che anche un laico può guidare un rosario occorreva rispondere sgarbatamente: e allora mandaci un laico, incarica uno dei parenti del defunto, manda qualcuno che adori far teatrino e che non sia un emerito sconosciuto in quella casa.

Ma tanto è inutile. Per quel pretino - come per tanti altri pretini - i seminaristi sono solo dei camerieri, sguatteri, autisti, stiratori, rammendatori, pulitori del bagno. In tal caso, davanti a loro non è un padre e una guida, ma solo un caporale che li divide fra buoni e cattivi, tra il gaio Figliuolo Prediletto - col quale si attarda in tanto amorevoli quanto sterili conversazioni solitarie nella camera dell'uno o dell'altro fino in piena notte - e gli altri seminaristi che invece devono sgobbare e devono essere rimproverati anche ingiustamente in modo che il Prediletto possa continuare a sentirsi il migliore, l'unico che non viene mai sgridato. (E infatti già sgobbavano: mentre il Prediletto proseguiva a tavola vuote conversazioni a base di pizzi, merletti e peccati solitari, anziché lavare i piatti che era suo turno, il sottoscritto, seccato - ma guai a mostrarlo! - di aver già perso quell'oretta di prezioso riposo pomeridiano, si mise a lavare i piatti, ma neppure eventi come questo mi salvarono dalla condanna già scritta nei primissimi giorni). Lo ripeto, qualora un lettore distratto continui a pensare: "ma non si poteva ubbidire alla faccenda rosario dal morto?" No: non era una richiesta per ubbidienza, e no, non era un comando dato personalmente, e no, non era nemmeno specificato che ci dovessi andare proprio io, e no, il dare eccessiva importanza alle frasette ambigue ed impersonali creerà "il precedente" per farsi trattare in modo disonesto, e no, se proprio è tanto necessario il rosario a casa del defunto ci deve andare il sacerdote o il diacono transeunte (e che quest'ultimo si presenti dicendo subito che fra pochi mesi sarà sacerdote), perché non è compito dei seminaristi scimmiottare i preti facendo le cose che i preti si stufano di fare, così come il tassinaro non dà le chiavi a un ragazzetto qualsiasi dicendo "fattelo tu il giro di clienti oggi (e non fare il furbo coi soldi, anche le mance spettano a me)".

Dopo tanti anni mi giunge notizia che il sullodato pretonzolo era stato abbastanza maneggione da procacciarsi un'imminente consacrazione episcopale, per grazia di Dio probabilmente rinviata alle calende greche.

A meno di un'improbabile conversione infuocata sulla via di Damasco, devo etichettarlo maneggione, perché così l'ho conosciuto, così l'ho visto in azione, così mi si è giustificato per cose che diceva e faceva in mia presenza, e pur sapendo che nel corso di tanti anni la gente può talvolta cambiare abitudini e orizzonte di vita (io stesso sono cambiato rispetto a quegli anni), ritengo spettacolarmente improbabile tale sua conversione. E dunque, ricevuta l'anticipazione, mi torna in mente l'assoluta scorrettezza con cui mi trattò a suo tempo, non solo quanto alla clericalata dell'innominato defunto ma anche quanto al compiacere il suo frù-frù preferito, un seminarista col quale aveva un rapporto ambiguo, per dire il meno, più la nomea che si portava per lo stesso motivo (e verso altri giovani frù-frù accolti nelle sue comunità) negli anni precedenti. (Ironia della sorte, non glielo feci mai pesare)

A veder gente così che fa carriera sale un po' il magone (che merda di Chiesa si configura con soggetti del genere?), specie quando si tratta esattamente di quelli che fecero di tutto per calpestare la tua vocazione. Certe scenette, pur avendone viste tante, fanno sempre male. Il vescovo che riguardo al mio caso si faceva negare al telefono ordinò al sacerdozio lo scimmione del Borneo. Soggetti con seri problemi mentali venivano fatti andare avanti in seminario da un vescovo, portati al diaconato da un vescovo successivo, e infine al sacerdozio da un altro, ognuno a lasciare il fiammifero acceso fra le dita del successore, mentre contro di me cercavano il pelo nell'uovo. Venivano poi ordinati con tutti gli onori soggetti che nel giro di sei-dodici mesi chiedevano la riduzione allo stato laicale e su cui i loro stessi compagni di corso scommettevano che sarebbe durata poco. E nel frattempo salivano all'episcopato soggetti che come unico merito avevano un'elevatissima mediocrità. Con tutte le conseguenze che ne pagheranno i fedeli.

Fin da bambino ho avuto il dente avvelenato contro quei mezzi uomini che per inseguire le loro piccinerie sono prontissimi a venir meno alle regole da loro stessi stabilite. Come quel cretino che nella partitella a pallone aveva deciso che una certa cosa dovesse chiamarsi non rigore ma ri-goal, cioè da ripetere in caso di palo, fuoricampo o parata, finché non avesse raggiunto il goal che desiderava. O il cuginetto che si inventava nuove mosse negli scacchi più il privilegio (solo per lui) di tornare indietro sulle sue mosse sbagliate. O come quando mi venne detto che non c'erano più merendine, proprio mentre stavo per aprire il mobile che le conteneva: testardamente aprii e scoprii che perfino un fratello o una sorella, sull'onda dell'ingordigia e dell'avarizia, può mentirmi.

Avevo sempre pensato che certe piccinerie non potessero avvenire nel clero: è gente che ha nelle proprie mani ogni santo giorno il Corpo e Sangue di Cristo, è gente abituata a dispensare assoluzioni dai peccati più assurdi ai soggetti più recidivi, è gente che per forza di cose deve compulsare continuamente il Vangelo... e che se proprio ne combinano una, dev'essere per forza un caso isolato dovuto all'eccessivo stress. Pia illusione! Fin dai primi giorni del pre-seminario scoprii che non era così e che nel seminario maggiore - dove c'erano preti che almeno in teoria avrebbero avuto poco interesse a tartassare seminaristi che nel giro di qualche anno non avrebbero più rivisto - fu molto, molto peggio. Ancor oggi, quando riaffiorano certi ricordi, torna sempre quell'amaro in bocca per la totale disonestà con cui puntualmente venni trattato da preti e vescovi, gente che ogni santo giorno si cibava di quel Pane di Vita Eterna, e nelle domeniche e altre occasioni anche più volte al giorno.

La delusione venne anche da quelli etichettati come tradizionalisti, come il maneggione di cui sopra, e quelli di robotica militanza pluridecennale e certificata -, anch'essi affetti dalla sindrome di don Abbondio, in teoria pronti a farsi crocifiggere sottosopra per difendere un qualcosina della fede, in pratica più lesti di un topo di fogna a scappare di fronte a un minimo impegno di carità nei confronti di una vocazione. Avrei volentieri giustificato uno che si tira indietro nove volte ma alla decima fa almeno il minimo di quello che deve fare. Invece il meglio che ho trovato fu un prete sufficientemente virile da dirmi subito: non possiamo fare nulla per te, sottinteso, non perdiamo tempo per una cosa che se pure andasse in porto ci inimicherebbe vescovi.

Nemmeno i pretastri che a suo tempo avevano passato i miei stessi guai (quelli che avevano assaggiato lo stesso ostracismo clericale!) si lasciarono almeno minimamente impietosire. Avevano vissuto sulla loro stessa pelle quel che stavo vivendo io, eppure non lo ricordavano più: si erano trasformati, erano divenuti identici a quelli da cui erano stati ingiustamente calpestati. Ora che avevano fatto carriera erano leoni pronti a ruggire su temi poco impegnativi, ma pecore impaurite quando c'era il minimo rischio per le loro comodità Terrorizzati dal veder scalfiti i loro privilegi, i loro pranzetti, le loro prebende, avevano già dimenticato ciò che a suo tempo toccò loro subire. E quando anche la situazione era cambiata a sufficienza da dar loro un ricco alibi per telefonarmi e dirmi "dai, proviamo a riparlarne che magari adesso si può sistemare qualcosa", non lo fecero, non ricordavano più, avevano altre priorità, avevano un posticino in seminario solo per il giovincello di bell'aspetto. Qualcun altro, nel corso di tanti anni, è morto, portandosi davanti al Creatore anche le responsabilità sul mio caso.

Quando mi presentai con degli amici a far presente a Sua Eccellenza Reverendissima che noialtri si partecipava alla liturgia tridentina come gruppo stabile, incontrai nel cortile un vecchio commilitone del seminario - che nel frattempo era diventato prete - che mi annunciò tutto pimpante che erano in corso i saldi di fine stagione, incoraggiandomi ad andare tranquillo e deciso. Credeva davvero che ero lì per recitare la parte piagnucolosa di colui che vorrebbe rientrare in seminario, e mi disse di due o tre nomi - che a suo tempo erano stati defenestrati per fidanzamenti o grossa indecisione - erano rientrati con tutti gli onori e qualcuno già diventato prete. Fu inutile tentar di dire a tal pretino il vero motivo dell'udienza dal vescovo, e non avevo certo il tempo di chiarirgli cosa ne penso della vita diocesana, tanto più nell'infelice epoca bergogliona, dove il "corpo sociale" - cioè le lamentele degli autoimpegnati parrocchiardi - val più del "corpo mistico".

Mendicare l'accesso al sacerdozio non è servito. Scendere a ogni ragionevole compromesso non è servito. I veri nemici del sacerdozio sono interni alla Chiesa - e sono anche tra quelli che sembrano tradizionalisti. Hanno in mente un incarico, non una vocazione, anche se facessero mille omelie per spiegare che la vocazione non è un incarico. È come se credessero che la loro stessa vocazione non sarebbe una vocazione ma un incarico. Pretastri che si stufano di confessare, e che volentieri eviterebbero di dir Messa.

Soprattutto, non credono che una vocazione - in senso tale, cioè il sacerdote che celebra non per dovere ma perché la vive, perché sa degli infiniti effetti soprannaturali di ogni Messa - meriti di essere promossa se non ha evidenti "bonus" collaterali. Vogliono le vocazioni come il pacco di merendine: se non ci esce la figurina in omaggio non le comprano. Vogliono il prete-robot celebramesse, perché loro si stufano di celebrare; vogliono il seminarista con l'auto per scarrozzarli in giro, il seminarista-cameriere che cucini, che serva a tavola, lavi i piatti, e tiri fuori anche la bottiglia di buon vino "regalata dai nonni", vogliono il seminarista dal bel faccino e che sia sufficientemente frù-frù da dilettare le loro omofantasie e i loro sogni omoerotici... Sì, perfino i tradizionalisti e sedicenti tali hanno gli stessi vizietti.

lunedì 28 agosto 2023

ACCLAMATE!!!!!!¡!!

Intervista ad un seminarista diocesano

[Intervistatore] Benvenuto, Camillo! Al termine di questo primo anno di seminario, cosa ci puoi dire del tuo cammino verso il sacerdozio?
[Seminarista] [alza le mani come se fosse minacciato di rapina, guarda verso l'alto e dice:] "ACCLAMATE!"

[i] Come, scusa?
[s] "Acclamate!" Cioè, sai, quando ti svegli al mattino con qualche canzonetta che ti ronza nella testa, e ogni tanto, così, di punto in bianco, ne canti un versetto, o solo qualche parola. Non so, hai presente i giovani? La canzonetta del momento è un tizio che dice nel ritornello: "ai wanna go, yea", e i giovani ogni tanto tirano fuori, come se fosse uno starnuto, un "wannagò" oppure "yea". Ecco, dopo un anno di seminario, uno si sveglia al mattino e gli vien voglia di dire: "ACCLAMATE!" che poi è il ritornello di "Acclamate al Signoure, voi tutti nella gioia".

[i] Vuoi dire che i canti del seminario ti sono rimasti impressi?
[s] Altroché! Ci fanno cantare, cantare e ancora cantare, tutte quelle canzonette parrocchiali, anche quelle che non avevamo mai usato. Cosa che normalmente va benissimo alla maggioranza dei seminaristi, che quando tornano in parrocchia alla fine della settimana possono vantarsi: sapete, ora vi insegno un bel canto nuovo, sapete, lo facciamo in seminario, sapete, noi l'ultima strofa la facciamo diversamente. Pensa che il primo momento comune, il primo giorno in seminario, ci portarono tutti in cappella e -indovina?- ci fecero cantare e cantare e poi ancora cantare...

[i] E ricordi anche cosa ti hanno fatto cantare il primo giorno di seminario?
[s] Non ricordo la scaletta di canti, però fu una cosa interminabile. Sai, uno arriva lì col cuore che gli scoppia di gioia: sono in seminario, comincio il mio percorso verso il sacerdozio, è un momento storico della mia vita, in paradiso ci sarà una folla di sacerdoti emozionati nel vedere me e i miei compagni di cammino... e invece quelli del seminario mi smorzano ogni entusiasmo con quei sorrisetti cretini e facendomi cantare le solite rabberciatissime e noiosissime canzonette di parrocchia. Ah, sì, ricordo l'ultimo canto, era il Salve Regina.

[i] Il luminoso canto del Salve Regina! Come fai a dire che i canti parrocchiali sono noiosi?
[s] Ma che luminoso! Fu una cosa suonata alla moviola, trascinata belando, dopo un'ora di canti non se ne poteva più e questi t'infilano pure un Salve Regina col bis dei versetti. Alla fine infatti sbagliammo tutti a cantare il bis, e il rettore del seminario ci degnò del suo finto perdono sorridendoci come un venditore di assicurazioni e dicendoci: beh, qui in seminario alla fine del canto spariamo sempre una salve in più. Si direbbe che ce l'aveva fatta cantare solo per poterci somministrare quella miserabile battutina.

[i] Quindi il problema non è il canto in sé ma il modo in cui si canta. Ma cos'hai contro il canto parrocchiale? Da prete avrai bisogno che i fedeli cantino...
[s] Guarda, forse ancora non lo hai capito: da prete dovrò cantare solo le parti della Messa, e spesso nemmeno quelle, non devo mica cantare quelle cringiate tipo "Acqua siamo noi" o "Vocazione". Sai una cosa? In seminario non insegnano né a celebrare la liturgia, né a cantare le parti proprie della Messa. L'ho saputo dai ragazzi del quinto anno. Che poi cantano anche loro "Acqua siamo noi" e "Vocazione", imperterriti, fino al quinto anno. Insomma, in seminario ci fanno cantare, cantare e cantare canti di parrocchia, e tutto questo serve solo per intrattenerci in cappella e far sembrare "partecipati" i momenti liturgici e le assemblee. Ti sgridano pure! "E che fai, non canti?" Pensa, si cantano quelle canzonette perfino in sala comune come se non gli bastasse cantarle nelle liturgie e nelle grandi occasioni...

[i] Sala comune?
[s] La sala comune è uno spazio "ricreativo", diciamo così (una stanza con due poltrone, qualche sedia, un tavolino, una caffettiera, un mobiletto con suppellettili liturgiche) utilizzata anche come sagrestia della cappella adiacente. La partecipazione alla sala comune fa curriculum. Il primo giorno, dopo pranzo, tornai in camera per sistemare le mie cose e già accorse un commilitone trafelato a reclamare la mia tassativa presenza in sala comune: "altrimenti l'animatore ti farà una pessima relazione!" Uomo avvisato, mezzo salvato...

[i] Animatore?
[s] È il termine con cui si indica il prete responsabile di una comunità del seminario (comunità composta da una ventina di seminaristi). Animatore, proprio come nei villaggi vacanze: incaricato di animare qualcosa che non ha anima... Ma oltre a fare un po' di vita comunitaria con loro (invadente quanto basta, controllore spietato, celebratore di carnevalate), è incaricato anche di redigere a fine anno una relazione su ognuno che verrà utilizzata per dare parere positivo o negativo sul proseguimento del percorso di formazione in seminario, mettendoci così letteralmente alla mercé delle antipatie di un pretino che è stato spedito in seminario per punizione (in diocesi stava combinando grossi guai, e allora il suo vescovo lo tolse per qualche annetto dalla circolazione spedendolo a fare l'animatore).

[i] Torniamo a noi: ma se non ti piacciono i canti della parrocchia perché vuoi essere prete diocesano?
[s] Una cosa alla volta. Non è che quei canti non mi piacciono. Sono brutti, sono brutti e basta. Infatti li si canta solo in parrocchia, cioè dove nessuno conosce il buon gusto. Tu sul tuo posto di lavoro canteresti più "Yu wanna gò" oppure "Tu sei la mia vita altro io non ho"? Mentre lavori ti vergogneresti a cantare i Matia Bazar o un Pierangelo Sequeri? I canti sono brutti e basta: ma guai a lamentarsene! Ci vuol poco a farsi cacciare dal seminario! "Accla-mate al Signòòòòò-re! (ta-pum, ta-pum) voi tutti della teeeee-rrà! (pim-pum, pim-pum)" E guai se non canti.

Poi una volta prete le cose cambiano. Si può gentilmente chiedere di sopprimere qualche canto, di introdurne qualche altro, e di evitare di trascinare i canti come se fossero un cadavere con le mosche intorno. Io ho già deciso il mio motto sacerdotale: "poco ma bene". Vale anche per il canto. Cantare poco (molto poco) ma cantare bene (ma molto bene). Guarda, è stato proprio questo zecchino d'oro seminaristico durato tutto l'anno a convincermene. Quando entrai in seminario non la pensavo così, mi illudevo che almeno sul canto si facesse poco e bene, che ci si distinguesse dal tipico marasma parrocchiale. E invece, che delusione. Ora dopo aver cantato per un anno quelle emerite stupidaggini, mi sono venute a nausea (mi vennero a nausea il primo giorno!) e penso che di fronte a Dio sia mio impellente dovere evitare di farGli sentire quelle patetiche canzoncine...

[i] Insomma, non ti piacciono né i canti della parrocchia né il modo in cui vengono cantati.
[s] Esatto. Sono strumenti per deturpare la liturgia, un modo per ridurre la liturgia a una cosa insopportabile. La cosa terribile in seminario è che la maggioranza dei seminaristi al momento del canto si comportano come dei robot. Mettono il pilota automatico e cantano quelle sbobbe e non se ne stancano mai. E quindi al mattino in corridoio senti uno che grida: "Acclamate!" o uno che canta: "Mille e mille grani nelle spighe d'or!" come se stesse recitando la parte del pirla nel film-documentario Scemo e più scemo.
Quel repertorio di canti è di una stupidità mostruosa, una cringiata pazzesca. Sono tutti stati composti da emeriti dilettanti nei primi anni '70, e poi non si è più riusciti a spazzarli via perché intere generazioni di cristiani hanno dovuto cantarli per decenni. Pensa che ancor oggi si canta quell'orrore di "Symbolum '77" o quel canto perfettamente agnostico di "Risposta non c'è o forse chi lo sa". L'abbiamo cantata perfino in seminario, e sai perché? per "variare". Già. Per "variare" il nostro già noioso repertorio abbiamo cantato un canto dichiaratamente agnostico rinnegato perfino dal suo stesso autore quando si convertì (al protestantesimo). Per non parlare dei canti comunisti ("Lotta per un mondo nuovo!").

[i] Ma non vorrai dire che il seminario, per preparare un prete alla diocesi, fa solo cantare?
[s] Non solo lo vorrei dire, ma lo vorrei gridare. Però guai a criticare, guai a fare osservazioni, anche innocenti: si passa subito per i bastian contrari che credono di saper meglio di vescovi e rettori come si fa a gestire un seminario. E per nemici del canto liturgico ("chi prega cantando prega tre volte!", sì, certo, ma valeva per il gregoriano, mica esigeva di trascinarsi su canzoncine imbecilli e teologicamente discutibili). Quindi, il massimo che ho potuto fare, è tentare di far entrare sottobanco qualche canto meno patetico rispetto alla media. Missione quasi completamente fallita, per cui ogni volta che mi è stato possibile ho evitato di cantare o... cantato in play-back. Muovendo solo la bocca e stando attento a non "centrare" le parole.

[i] Eeeh, canti in play-back!?!?! Solo perché non si canta quel che piace a te?
[s] Quando i seminaristi cantano rumorosamente puoi anche fingere di muovere solo le labbra e sforzarti di pensare ad altro, perché poi quelle canzonette ti trapanano il cervello: "Ho bisogno di incontrarTi nel mio cuore": come sarebbe a dire "nel mio cuore"? Allora i sacramenti a che servono? Ma di che stiamo parlando? Di un'entità astratta? Di un sentimento? E allora veramente ci vuole il play-back: ci vuole perché tutti controllano tutti, e io già dopo due settimane sono stato rimproverato dall'animatore perché non cantavo (cioè non aveva sentito abbastanza decibel fuoriuscire dalla mia bocca). All'inizio il rimprovero è dolcino e delicatino, per cui non ci avevo fatto caso. Ma uno dei miei compagni di classe mi ha avvisato di nascosto: attento che se lo segnano, e te lo ritrovi nella relazione di fine anno, e ti fanno storie, un sacco di storie! Così, per non passare per disubbidiente, fingo di cantare ogni volta che posso fingere. Vorrei anche dire che faccio di tutto per scansarmi i canti, però raramente ci sono riuscito. Il controllo è ferreo. Il primo anno di seminario passato praticamente cantando, anzi, peggio, tutti e cinque gli anni di seminario son da passare cantando, visto che quelli che finivano il quinto anno stavano ancora a cantare quelle robacce: "ho bisogno di incontrarTi nel mio cuore".

[i] Allora dimmi cosa ti piacerebbe che si cantasse in seminario.
[s] A sant'Agostino attribuiscono il detto che chi canta bene (e sottolineo bene) prega tre volte (visto che in seminario cantavamo trascinati, non abbiamo cantato bene, vuol dire che abbiamo pregato almeno il novanta per cento in meno di quel che c'è scritto nell'annuario del seminario).
Io vorrei che in seminario si cantasse pochissimo. Vorrei anche che al quinto anno si dedicasse tempo per esercitarsi a cantare il proprio della Messa. Ma non posso assolutamente parlarne, se non con i compagni di seminario più fidati e più discreti in assoluto (sperando che restino tali). Infatti ci vuol poco a passare per bigotto. Se in sala comune canti canzoni laiche ti sopportano (ma non ti cacciano dal seminario). Se nomini anche solo la possibilità di imparare a cantare il proprio della Messa, sei "uno che già si sente prete" (cioè sei un ribelle da cacciar via), sei un bigotto (cioè sei un tipo pericoloso da cacciar via), forse sei addirittura un tradizionalista (cioè sei un tipo pericolosissimo da cacciar via subito). Se invece canti "servo per amore" in cappella, in sala comune, nei corridoi, nessuno protesta, anche se quel canto dice che devi essere "sacerdote per l'umanità" (che è una cosa assurda: io voglio essere sacerdote per Cristo, e che poi questo fatto implichi un vantaggio per l'umanità, tanto meglio, ma io voglio essere per Cristo, non "per l'umanità", che sa tanto di assistente sociale. Ecco, a furia di cantare canzonette "vocazionali" cretinissime, uno finisce per credervi ciecamente, finisce per credere che il sacerdozio sia l'impiego in una ONG come assistente sociale, finisce per trovar normale che l'incarico di formatore di seminaristi venga chiamato "animatore").

[i] Praticamente nessuno in seminario sarà d'accordo con te...
[s] Purtroppo è vero. La domenica sera, di ritorno dalle parrocchie, li senti parlarne, li senti che dicono: eeeh, io al gruppo giovani ho fatto fare questo canto e quest'altro, oooh, io al gruppo cresimandi ho fatto fare quest'altro canto e quell'altro pure, iiih, io al gruppo dei bambini li ho costretti a cantare due volte "Acqua siamo noi" perché sbagliavano a dire "da un'antica sorgente veniamo"...
Sono seminaristi perfettamente inseriti nel "sistema". Non so come facciano (secondo me manca loro qualche rotella) perché uno sano di mente non saprebbe essere così passivamente meccanico. Cantano e contemporaneamente ti controllano perché, indovina un po', mors tua vita mea: quando il branco identifica il soggetto debole, lo punta e lo indica al sadico capobranco, che quindi per un pochino lascia in pace i fedeli delatori...

[i] Dai, esagerato...
[s] Fammi finire. Io ho parlato di seminaristi, ma la cosa è ancora più terribile se pensi agli animatori e al rettore. Non si stancano mai di sentir biascicare quelle canzonette, sempre le stesse, sempre più trascinate. Anzi: ci tengono! Ci tengono a vedere esibita in cappella la lavagnetta con i numeri dei canti da eseguire: I (introduzione), O (offertorio), F (finale), eccetera. Sei canti per ogni Messa. E magari qualche stachanovista dei canti che al momento della Comunione (dai, il momento più importante, quello che hai il cuore in lacrime di gioia e di desiderio) annunciano: "Canto Di Comunione: 'Ci' Trentuno: Ti Seguirò".
E così fino alla fine del quinto anno dovrò cantare quel "t'inseguirò" a velocità di moviola, come oche ubriache: "queee-queee-quequeee", per evitare qualche noticina in rosso nella relazione di fine anno che mi azzeri la carriera. I vescovi sono assetati di preti ma non vogliono essere responsabili della scelta di un pessimo candidato, per cui delegano tutto al seminario e proprio per questo i formatori hanno ampio potere discrezionale... e possono rovinare per sempre un seminarista semplicemente obiettandogli che non canta con entusiasmo le squallide canzonette parrocchiali.