Una delle più memorabili scene della mia vita vocazionale: siamo in macchina, io e il pretonzolo a cui ero stato affidato, comincia a grandinarmi addosso una serie di accuse solidamente campate in aria. Inizia con la cazziata proibendomi l'hobby della fotografia (proprio quell'hobby che aveva consentito di creare il sito web per mettere lui e la sua opera in bella mostra), quindi altre accuse insulse che servivano solo a preparare la stangata finale del "non sei andato a dire il rosario in casa del morto", col sottinteso che alla successiva tornata di ministeri non avrei ricevuto l'accolitato che mi era stato promesso.
Mi divenne rapidamente chiaro che era una decisione già presa altrove e che gli occorreva fingere che fosse almeno un pochino motivata e che l'unica pezza d'appoggio fosse quell'episodio di un paio di giorni prima. Sto elencando questi dettagli apparentemente secondari solo per descrivere quel meccanismo perverso generalmente etichettato come clericalismo, che contiene quell'attitudine clericale a fabbricare accuse al momento del bisogno, come esemplarmente descritto nel Vangelo ("prima arrestiamo Gesù, poi dopo troveremo una scusa per giustificare l'arresto"). Non si lasci prendere dalla pigrizia mentale il lettore stanco: il contesto non è "il rosario dal caro estinto", ma il metodo pretesco di adoperare un evento del tutto casuale come pezza d'appoggio per fabbricare una scusa con cui giustificare una decisione ingiustificabile.
Dunque si trattava di un defunto della parrocchia e né il pretonzolo né il diacono avevano voglia di andar lì. Come da già inveterata abitudine, il pretonzolo rimbalza il cerino acceso nelle mani dell'ultimo seminarista arrivato, cioè il sottoscritto, giacché l'altro seminarista - essendo il figliuolo prediletto del pretonzolo - non era disposto a compiti che non gloriassero il proprio presuntamente elevatissimo pedigree ecclesiale. Cioè un emerito sconosciuto ultimo arrivato - il sottoscritto - avrebbe dovuto presentarsi in casa del defunto e dire paciosamente a tutti: salve, diciamo un rosario per il caro estinto, sperando che fra gli astanti ci fosse almeno qualcuno che sapesse recitarlo e accettasse.
Fermo restando che la cosa non mi era stata chiesta per ubbidienza e neanche ventilata come possibilità ma era solo stata distrattamente accennata in termini impersonali ("bisognerebbe che qualcuno vada a casa del defunto": il classico discorso di un don Abbondio qualsiasi che riflette ad alta voce per darsi una scusa per non andarci, come se fosse già convintissimo che ai parenti del defunto non interessasse), sarebbe stato piuttosto bizzarro presentarmi lì in abiti civili, da seminarista postulante che ha solo il lettorato, preso non lì ma a centinaia di chilometri di distanza (e ricevuto da un vescovo che per tutto il tempo della formazione aveva cercato un alibi per dimettermi), e organizzare una scenetta religiosa di ossequio alla confusa religiosità degli autoctoni, per poi tornare in sede e farmi cazziare dal prete perché all'eventuale offerta avrei certamente risposto "fatela in segreto in chiesa quando solo Dio vi vede" anziché portare qualche bel bigliettone al pretonzolo sfaticato e avido.
L'ho imparato a mie spese - e troppo tardi - che quando un pretino comincia a cercare scuse per ostacolarti la "carriera", e lo sa benissimo che tu sai benissimo che lui sta cercando scuse, non ti resta che sbaraccare e andar via senza salutare, perché non solo è diventato tuo nemico, ma pretende pure che tu finga di non accorgertene, perché vuole pilatescamente uscirsene con le mani lavate: per chi disprezza le vocazioni, la maggior soddisfazione possibile è togliersele dai piedi potendo accampare una o più delle solite scuse ("se ne è andato spontaneamente, si è preso un periodo di riflessione, ha ritenuto che non fosse la sua strada, non si trovava bene, ha sbroccato senza motivo..."), proprio come quelli che credono che ingannando gli uomini riuscirebbero poi ad ingannare anche il Signore.
Quando mi scaricò addosso come fulmine a ciel sereno quella ridicola scaletta accusatoria, l'istinto mi diceva di aprire la portiera, uscire dalla macchina e tornare a piedi (anche se erano parecchi chilometri) a far le valigie e sbaraccare. Ma lì sulla statale a cinquanta all'ora non era il caso. Mi difesi per quanto ragionevolmente e cautamente possibile, tacendo quando mi resi conto che i giochi erano già fatti, e a poco a poco mi convinsi (madornale errore!) che forse sarebbe bastato pazientare un anno in più, due anni in più del previsto, mi convinsi (ingenuità giovanile!) che continuando col fair play, con quella correttezza che dovrebbe positivamente stupire i diffidenti, qualcosa poteva migliorare, mi convinsi nella speranza di non lasciare nulla di intentato... pur sapendo che i preti sufficientemente virili da apprezzare quel fair play sono una minoranza assoluta. Ma neanche quando io e gli altri acquisimmo il "diritto" di vestire la talare tutto il giorno sarebbe stato il caso di mandarci "dilettanti allo sbaraglio" a "celebrare" un rosario a casa di un defunto. Fino al diaconato sei un emerito signor nessuno e la scusa dell'esercitarsi nel ministero è solo uno squallido accettare di fare un po' di teatrino religioso perché qualche prete si stufa dei suoi sacri doveri o qualche laico vuol essere intrattenuto.
A tutti quelli che pateticamente mi chiedevano se non sarebbe stato meglio andar davvero a casa del defunto ho dovuto ricordare sia la necessità di considerare aria fritta le espressioni in forma impersonale - se mi comandi qualcosa dev'essere chiaro che me lo stai comandando, perché se accetto ambiguità ti sto invogliando a chiedermi in modo ambiguo qualsiasi cosa che non hai il diritto di chiedermi per ubbidienza -, sia il fatto che il seminarista è solo uno studentello qualsiasi (anche quando indossa talare, fascia e saturno), dopotutto quando chiami un taxi ti aspetti che alla guida ci sia proprio il tassinaro, non un ragazzino senza patente. Davanti alla Chiesa avevo solo l'ammissione fra i candidati all'ordine sacro (che si dà in genere dopo il secondo anno di seminario maggiore, e di fatto significa solo che il vescovo ufficialmente sa che tu esisti) e il lettorato (cioè il diritto/privilegio/incarico di leggere la prima o seconda lettura durante la Messa Novus Ordo... cosa che può fare un qualsiasi laico). E all'obiezione che anche un laico può guidare un rosario occorreva rispondere sgarbatamente: e allora mandaci un laico, incarica uno dei parenti del defunto, manda qualcuno che adori far teatrino e che non sia un emerito sconosciuto in quella casa.
Ma tanto è inutile. Per quel pretino - come per tanti altri pretini - i seminaristi sono solo dei camerieri, sguatteri, autisti, stiratori, rammendatori, pulitori del bagno. In tal caso, davanti a loro non è un padre e una guida, ma solo un caporale che li divide fra buoni e cattivi, tra il gaio Figliuolo Prediletto - col quale si attarda in tanto amorevoli quanto sterili conversazioni solitarie nella camera dell'uno o dell'altro fino in piena notte - e gli altri seminaristi che invece devono sgobbare e devono essere rimproverati anche ingiustamente in modo che il Prediletto possa continuare a sentirsi il migliore, l'unico che non viene mai sgridato. (E infatti già sgobbavano: mentre il Prediletto proseguiva a tavola vuote conversazioni a base di pizzi, merletti e peccati solitari, anziché lavare i piatti che era suo turno, il sottoscritto, seccato - ma guai a mostrarlo! - di aver già perso quell'oretta di prezioso riposo pomeridiano, si mise a lavare i piatti, ma neppure eventi come questo mi salvarono dalla condanna già scritta nei primissimi giorni). Lo ripeto, qualora un lettore distratto continui a pensare: "ma non si poteva ubbidire alla faccenda rosario dal morto?" No: non era una richiesta per ubbidienza, e no, non era un comando dato personalmente, e no, non era nemmeno specificato che ci dovessi andare proprio io, e no, il dare eccessiva importanza alle frasette ambigue ed impersonali creerà "il precedente" per farsi trattare in modo disonesto, e no, se proprio è tanto necessario il rosario a casa del defunto ci deve andare il sacerdote o il diacono transeunte (e che quest'ultimo si presenti dicendo subito che fra pochi mesi sarà sacerdote), perché non è compito dei seminaristi scimmiottare i preti facendo le cose che i preti si stufano di fare, così come il tassinaro non dà le chiavi a un ragazzetto qualsiasi dicendo "fattelo tu il giro di clienti oggi (e non fare il furbo coi soldi, anche le mance spettano a me)".
Dopo tanti anni mi giunge notizia che il sullodato pretonzolo era stato abbastanza maneggione da procacciarsi un'imminente consacrazione episcopale, per grazia di Dio probabilmente rinviata alle calende greche.
A meno di un'improbabile conversione infuocata sulla via di Damasco, devo etichettarlo maneggione, perché così l'ho conosciuto, così l'ho visto in azione, così mi si è giustificato per cose che diceva e faceva in mia presenza, e pur sapendo che nel corso di tanti anni la gente può talvolta cambiare abitudini e orizzonte di vita (io stesso sono cambiato rispetto a quegli anni), ritengo spettacolarmente improbabile tale sua conversione. E dunque, ricevuta l'anticipazione, mi torna in mente l'assoluta scorrettezza con cui mi trattò a suo tempo, non solo quanto alla clericalata dell'innominato defunto ma anche quanto al compiacere il suo frù-frù preferito, un seminarista col quale aveva un rapporto ambiguo, per dire il meno, più la nomea che si portava per lo stesso motivo (e verso altri giovani frù-frù accolti nelle sue comunità) negli anni precedenti. (Ironia della sorte, non glielo feci mai pesare)
A veder gente così che fa carriera sale un po' il magone (che merda di Chiesa si configura con soggetti del genere?), specie quando si tratta esattamente di quelli che fecero di tutto per calpestare la tua vocazione. Certe scenette, pur avendone viste tante, fanno sempre male. Il vescovo che riguardo al mio caso si faceva negare al telefono ordinò al sacerdozio lo scimmione del Borneo. Soggetti con seri problemi mentali venivano fatti andare avanti in seminario da un vescovo, portati al diaconato da un vescovo successivo, e infine al sacerdozio da un altro, ognuno a lasciare il fiammifero acceso fra le dita del successore, mentre contro di me cercavano il pelo nell'uovo. Venivano poi ordinati con tutti gli onori soggetti che nel giro di sei-dodici mesi chiedevano la riduzione allo stato laicale e su cui i loro stessi compagni di corso scommettevano che sarebbe durata poco. E nel frattempo salivano all'episcopato soggetti che come unico merito avevano un'elevatissima mediocrità. Con tutte le conseguenze che ne pagheranno i fedeli.
Fin da bambino ho avuto il dente avvelenato contro quei mezzi uomini che per inseguire le loro piccinerie sono prontissimi a venir meno alle regole da loro stessi stabilite. Come quel cretino che nella partitella a pallone aveva deciso che una certa cosa dovesse chiamarsi non rigore ma ri-goal, cioè da ripetere in caso di palo, fuoricampo o parata, finché non avesse raggiunto il goal che desiderava. O il cuginetto che si inventava nuove mosse negli scacchi più il privilegio (solo per lui) di tornare indietro sulle sue mosse sbagliate. O come quando mi venne detto che non c'erano più merendine, proprio mentre stavo per aprire il mobile che le conteneva: testardamente aprii e scoprii che perfino un fratello o una sorella, sull'onda dell'ingordigia e dell'avarizia, può mentirmi.
Avevo sempre pensato che certe piccinerie non potessero avvenire nel clero: è gente che ha nelle proprie mani ogni santo giorno il Corpo e Sangue di Cristo, è gente abituata a dispensare assoluzioni dai peccati più assurdi ai soggetti più recidivi, è gente che per forza di cose deve compulsare continuamente il Vangelo... e che se proprio ne combinano una, dev'essere per forza un caso isolato dovuto all'eccessivo stress. Pia illusione! Fin dai primi giorni del pre-seminario scoprii che non era così e che nel seminario maggiore - dove c'erano preti che almeno in teoria avrebbero avuto poco interesse a tartassare seminaristi che nel giro di qualche anno non avrebbero più rivisto - fu molto, molto peggio. Ancor oggi, quando riaffiorano certi ricordi, torna sempre quell'amaro in bocca per la totale disonestà con cui puntualmente venni trattato da preti e vescovi, gente che ogni santo giorno si cibava di quel Pane di Vita Eterna, e nelle domeniche e altre occasioni anche più volte al giorno.
La delusione venne anche da quelli etichettati come tradizionalisti, come il maneggione di cui sopra, e quelli di robotica militanza pluridecennale e certificata -, anch'essi affetti dalla sindrome di don Abbondio, in teoria pronti a farsi crocifiggere sottosopra per difendere un qualcosina della fede, in pratica più lesti di un topo di fogna a scappare di fronte a un minimo impegno di carità nei confronti di una vocazione. Avrei volentieri giustificato uno che si tira indietro nove volte ma alla decima fa almeno il minimo di quello che deve fare. Invece il meglio che ho trovato fu un prete sufficientemente virile da dirmi subito: non possiamo fare nulla per te, sottinteso, non perdiamo tempo per una cosa che se pure andasse in porto ci inimicherebbe vescovi.
Nemmeno i pretastri che a suo tempo avevano passato i miei stessi guai (quelli che avevano assaggiato lo stesso ostracismo clericale!) si lasciarono almeno minimamente impietosire. Avevano vissuto sulla loro stessa pelle quel che stavo vivendo io, eppure non lo ricordavano più: si erano trasformati, erano divenuti identici a quelli da cui erano stati ingiustamente calpestati. Ora che avevano fatto carriera erano leoni pronti a ruggire su temi poco impegnativi, ma pecore impaurite quando c'era il minimo rischio per le loro comodità Terrorizzati dal veder scalfiti i loro privilegi, i loro pranzetti, le loro prebende, avevano già dimenticato ciò che a suo tempo toccò loro subire. E quando anche la situazione era cambiata a sufficienza da dar loro un ricco alibi per telefonarmi e dirmi "dai, proviamo a riparlarne che magari adesso si può sistemare qualcosa", non lo fecero, non ricordavano più, avevano altre priorità, avevano un posticino in seminario solo per il giovincello di bell'aspetto. Qualcun altro, nel corso di tanti anni, è morto, portandosi davanti al Creatore anche le responsabilità sul mio caso.
Quando mi presentai con degli amici a far presente a Sua Eccellenza Reverendissima che noialtri si partecipava alla liturgia tridentina come gruppo stabile, incontrai nel cortile un vecchio commilitone del seminario - che nel frattempo era diventato prete - che mi annunciò tutto pimpante che erano in corso i saldi di fine stagione, incoraggiandomi ad andare tranquillo e deciso. Credeva davvero che ero lì per recitare la parte piagnucolosa di colui che vorrebbe rientrare in seminario, e mi disse di due o tre nomi - che a suo tempo erano stati defenestrati per fidanzamenti o grossa indecisione - erano rientrati con tutti gli onori e qualcuno già diventato prete. Fu inutile tentar di dire a tal pretino il vero motivo dell'udienza dal vescovo, e non avevo certo il tempo di chiarirgli cosa ne penso della vita diocesana, tanto più nell'infelice epoca bergogliona, dove il "corpo sociale" - cioè le lamentele degli autoimpegnati parrocchiardi - val più del "corpo mistico".
Mendicare l'accesso al sacerdozio non è servito. Scendere a ogni ragionevole compromesso non è servito. I veri nemici del sacerdozio sono interni alla Chiesa - e sono anche tra quelli che sembrano tradizionalisti. Hanno in mente un incarico, non una vocazione, anche se facessero mille omelie per spiegare che la vocazione non è un incarico. È come se credessero che la loro stessa vocazione non sarebbe una vocazione ma un incarico. Pretastri che si stufano di confessare, e che volentieri eviterebbero di dir Messa.
Soprattutto, non credono che una vocazione - in senso tale, cioè il sacerdote che celebra non per dovere ma perché la vive, perché sa degli infiniti effetti soprannaturali di ogni Messa - meriti di essere promossa se non ha evidenti "bonus" collaterali. Vogliono le vocazioni come il pacco di merendine: se non ci esce la figurina in omaggio non le comprano. Vogliono il prete-robot celebramesse, perché loro si stufano di celebrare; vogliono il seminarista con l'auto per scarrozzarli in giro, il seminarista-cameriere che cucini, che serva a tavola, lavi i piatti, e tiri fuori anche la bottiglia di buon vino "regalata dai nonni", vogliono il seminarista dal bel faccino e che sia sufficientemente frù-frù da dilettare le loro omofantasie e i loro sogni omoerotici... Sì, perfino i tradizionalisti e sedicenti tali hanno gli stessi vizietti.