Corre voce che il buon Bergoglio indulga ai piaceri della gola anche di notte. Alla Santa Marta addirittura chiuderebbero a chiave la cucina ogni sera per evitare che vada a rovistarvi e ingrassi ancora di più - come se la bomba calorica argentina (la Crema Blanca) non avesse già fatto abbastanza.
Sarebbe bello avere un papa dottrinalmente ortodosso per poter infischiarsene di eventuali ghiottonerie. O un papa amante della caccia ma liturgicamente tridentino. Oppure un papa accanito fumatore di sigari ma uomo di governo severissimo con gli ecclesiastici tiepidi o ribelli.
«Perché non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo».
sabato 27 dicembre 2014
mercoledì 24 dicembre 2014
Cosa significa quel sottotitolo
Il sottotitolo di questo blog sintetizza un'infelice espressione di Bergoglio:
«Perché non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo».
Nel contesto, il "Corpo sociale" sono dai fedeli. Per cui l'espressione significa che è meglio offendere il Corpo di Cristo piuttosto che i fedeli.
Solo che io - in qualità di "corpo sociale di Cristo" - mi sento offeso dall'essere considerato superiore al mio Signore e mio Dio.
Mi sento offeso perché quella gesuitata da gesuitante gesuitico (talmente surreale che qualche anima pia si rifiuterà di credervi) ha invertito il piano divino con quello umano.
«Perché non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo».
Nel contesto, il "Corpo sociale" sono dai fedeli. Per cui l'espressione significa che è meglio offendere il Corpo di Cristo piuttosto che i fedeli.
Solo che io - in qualità di "corpo sociale di Cristo" - mi sento offeso dall'essere considerato superiore al mio Signore e mio Dio.
Mi sento offeso perché quella gesuitata da gesuitante gesuitico (talmente surreale che qualche anima pia si rifiuterà di credervi) ha invertito il piano divino con quello umano.
martedì 23 dicembre 2014
Dall'autorità all'autoritarismo
Quando il superiore di una comunità esige insistentemente obbedienza, significa che non si fida dei suoi sottoposti.
Mentre è plausibile che un generale non si fidi dei suoi colonnelli (poiché un soldato entra nell'esercito non per scelta, non per condivisione di ideali, ma per dovere di leva o - negli eserciti moderni - per convenienza economica), è invece assurdo che il superiore di una comunità sia incapace di fidarsi dei suoi inferiori (che in maggioranza sono entrati per fede, per vocazione, per l'ideale che la comunità rappresenta: e se non sono la maggioranza, significa che ha sbagliato chi li ha fatti entrare e perciò la comunità andrebbe sciolta subito - o almeno drasticamente sfoltita).
Il superiore di comunità che non si fida dei suoi sottoposti sostituisce di fatto l'autorevolezza (che gli viene dall'incarico) con l'autoritarismo (che sistematicamente espelle i buoni elementi, trattenendo dentro solo quelli capaci di recitare ipocritamente una parte, e che al momento buono lo pugnaleranno alle spalle).
Mentre è plausibile che un generale non si fidi dei suoi colonnelli (poiché un soldato entra nell'esercito non per scelta, non per condivisione di ideali, ma per dovere di leva o - negli eserciti moderni - per convenienza economica), è invece assurdo che il superiore di una comunità sia incapace di fidarsi dei suoi inferiori (che in maggioranza sono entrati per fede, per vocazione, per l'ideale che la comunità rappresenta: e se non sono la maggioranza, significa che ha sbagliato chi li ha fatti entrare e perciò la comunità andrebbe sciolta subito - o almeno drasticamente sfoltita).
Il superiore di comunità che non si fida dei suoi sottoposti sostituisce di fatto l'autorevolezza (che gli viene dall'incarico) con l'autoritarismo (che sistematicamente espelle i buoni elementi, trattenendo dentro solo quelli capaci di recitare ipocritamente una parte, e che al momento buono lo pugnaleranno alle spalle).
giovedì 18 dicembre 2014
Come si diventa lefebvriani
Qualche tempo fa due cari ragazzi chiesero di sposarsi in rito tradizionale. Incontrarono un esercito di agguerritissimi don Abbondio di ogni livello. Finirono per sposarsi dai lefebvriani, e chissenefréga del codice di diritto canonico.
C'era poi un giovane che macinava numerosi chilometri per andare ad una Messa tridentina. Il prete, un giovane religioso polacco, si stufa di celebrarla. In città restano solo i lefebvriani e un pretonzolo che la celebra alla carlona. Il giovane comincia a dirsi che dopotutto i lefebvriani non sono più scomunicati, e ora va sempre a Messa da loro.
C'era un giovane seminarista. Primo anno di seminario maggiore: incaricato sacrista. Mette tre tovaglie sull'altare, fatte stirare "a spighe", e fa trovare ampolline pulite e sempre e solo il calice "buono" (piuttosto che i "calici" di terracotta in dotazione alla sacrestia). Quando il prete animatore trova in sacrestia un cartellino «Celebra Missam ut primam, ut ultimam, ut unicam» e sull'altare il crocifisso rivolto al celebrante, s'incazza: "e che è quel coso?". Nell'ultima Messa prima delle vacanze natalizie il giovane seminarista ricevette il poco invidiabile onore di un'omelia contro di lui: "e qualcuno, sicuramente, dopo Natale non vorrà rientrare in seminario..." (traduzione: sparisci).
Il successo dei lefebvriani è dovuto anzitutto ai vizi e vizietti del clero postconciliare. Si potrebbe tentare di spiegare, a tempo perso, ai preti modernisti, che il fenomeno dei tradizionalisti (che non riguarda solo i lefebvriani) era "gestibile" e che sarebbe bastato un minimo di tolleranza e di compostezza per non farlo esplodere.
C'era poi un giovane che macinava numerosi chilometri per andare ad una Messa tridentina. Il prete, un giovane religioso polacco, si stufa di celebrarla. In città restano solo i lefebvriani e un pretonzolo che la celebra alla carlona. Il giovane comincia a dirsi che dopotutto i lefebvriani non sono più scomunicati, e ora va sempre a Messa da loro.
C'era un giovane seminarista. Primo anno di seminario maggiore: incaricato sacrista. Mette tre tovaglie sull'altare, fatte stirare "a spighe", e fa trovare ampolline pulite e sempre e solo il calice "buono" (piuttosto che i "calici" di terracotta in dotazione alla sacrestia). Quando il prete animatore trova in sacrestia un cartellino «Celebra Missam ut primam, ut ultimam, ut unicam» e sull'altare il crocifisso rivolto al celebrante, s'incazza: "e che è quel coso?". Nell'ultima Messa prima delle vacanze natalizie il giovane seminarista ricevette il poco invidiabile onore di un'omelia contro di lui: "e qualcuno, sicuramente, dopo Natale non vorrà rientrare in seminario..." (traduzione: sparisci).
Il successo dei lefebvriani è dovuto anzitutto ai vizi e vizietti del clero postconciliare. Si potrebbe tentare di spiegare, a tempo perso, ai preti modernisti, che il fenomeno dei tradizionalisti (che non riguarda solo i lefebvriani) era "gestibile" e che sarebbe bastato un minimo di tolleranza e di compostezza per non farlo esplodere.
venerdì 12 dicembre 2014
L'albero di Natale
Il simbolo pagano dell'albero di Natale è una consolidata tradizione religiosa dei seminari e delle parrocchie. L'amorevole cura per l'albero di Natale, la metodica cerimoniale preparazione, i buoni sentimenti provati e pubblicamente espressi (e perciò la pubblica riprovazione per chi non li esprime), mi convinsero quella domenica sera della necessità di collaborare al devoto e pio esercizio del suo allestimento in seminario.
Con mio sconcerto l'albero fu installato verso la fine del corridoio del piano del seminario, lontano dalla maggioranza delle camere dei seminaristi. Non accettando il sopruso, nottetempo mi portai all'altezza dell'albero, scrutai furtivamente n entrambe le direzioni, staccai la spina delle sacre luci lampeggianti e spostai l'albero di Natale verso i tre quarti del corridoio. Riagganciai la spina, mi sincerai di non essere stato scorto da nessuno, e guardingo rientrai nel massimo silenzio nella mia cameretta.
Il mattino dopo, lunedì, un quarto d'ora prima della Messa, una delle voci più checche gracidò con quanto fiato aveva in gola: "ma l'albero di Natale è stato spostato!" Nessuno se ne curò - i seminaristi, dopo la prima settimana del primo anno di seminario, cominciano ad ottimizzare i tempi del risveglio ("Fantozzi, dopo successivi perfezionamenti, aveva posticipato la sveglia fino alle sette e cinquantuno!") e quindi nessuno ebbe tempo di riportare l'albero di Natale nella sua sede ufficiale. Al termine delle lezioni, tra sbuffi di disapprovazione e fretta di scendere in sala mensa per il pranzo (poco prima di Natale l'ora media comunitaria era già quasi un optional), finalmente l'albero fu traslato nel sacro luogo del corridoio eletto ad ospitarlo.
Senonché il mattino dopo - martedì - un'altra voce checca, più simile ad un bue che ad un uomo, mugghiò: "ma è stato spostato di nuovo, nooo". Anche stavolta si provvide, ma subito dopo l'ora di pranzo. Molti seminaristi si diedero segretamente appuntamento per organizzare turni di ronda e scoprire il malfattore. Ero tentato di aggiungermi a loro per fugare eventuali sospetti, ma in fin dei conti ritenni più prudente rinviare il giocarmi tale carta.
Il mattino successivo - mercoledì - l'albero era nuovamente nella zona dei tre quarti del corridoio, dove poteva essere gradevolmente ammirato dalla maggioranza dei seminaristi, domiciliati nelle camerette lì vicino. Si dice che il prete animatore abbia sbuffato con disprezzo per l'ennesimo spostamento illegale, ma per darsi un tono evitò di commentare prima e dopo la Messa. Lo spostamento fu annunciato dal latrato di un terzo seminarista spione che - ci potete giurare - da quel momento fu in cuor suo determinatissimo a scoprire il malfattore.
Il sottoscritto, coraggioso ma non temerario, rinunciò allo spostamento in tarda ora, preferendo rinviarlo alle prime luci dell'alba del giovedì. Anticipò la sveglia mattutina di mezz'ora e spostò celermente e silenziosamente l'albero di Natale, indi rientrò in camera, per poi uscirne - come tutti gli altri - esattamente un minuto o due prima della Messa mattutina. Anche stavolta ero convinto di aver agito nel più totale anonimato. Pareva che a Messa non si parlasse d'altro che dell'albero di Natale: le voci proferivano le formule liturgiche e i versetti dei canti, ma gli sguardi e i gesti erano tutto un fitto scambio di segnali: ma avete visto? sì, e tu? e che, non me ne accorgevo? e tu? anche tu sospetti lui? sì!
Il rumore è purtroppo alleato del nemico: il leggero scricchiolìo antelucano della porta della mia cameretta fu avvertito dallo spione dei latrati (nonostante avesse fatto le ore piccole nel vegliare contro lo spostamento dell'albero di Natale). Il quale, avendo da tempo notato che l'unico mattacchione della comunità era il sottoscritto, applicò il teorema di Agatha Christie: due sospetti fanno un indizio, due indizi fanno una prova.
Poco dopo la colazione un seminarista bulldog venne a bussare alla mia cameretta a minacciarmi: se io non avessi smesso di spostare l'albero di Natale, «ti alzo le mani addosso» (traduzione fedele dell'espressione dialettale da lui utilizzata). Con aria terribilmente innocente caddi dalle nuvole e gli chiesi perché lo dicesse a me. Lui ripeté distintamente la minaccia e, soddisfatto per aver avuto il suo momento di superiorità si girò e andò via imprecando contro "queste cose insopportabili", andando a riportare personalmente l'albero di Natale nella sede prefissata.
Poco più tardi lo spione non resistette alla tentazione di fare illazioni su di me dicendo che ero stato "visto" e che la mia "dimestichezza" non dava adito a dubbi. Dato che i verbi in forma impersonale mi ispirano antipatia, gli chiesi: chi hai visto? E lui, seccato, di nuovo sull'impersonale: «sei stato visto, non chiedermi da chi». Il sottoscritto negò ogni addebito, pur sapendo che ciò contribuiva ad aumentare i sospetti: era ora infatti della strategia della tensione.
Nonostante tutte le ronde notturne e antelucane, il venerdì mattina l'albero di Natale risultò nuovamente spostato. Due o tre seminaristi si autoincaricarono di riportarlo al suo posto un minuto prima della Messa mattutina, ed entrarono in cappella con un minutino di ritardo. Con voce glaciale l'animatore durante l'omelia annunciò che bisognava finirla con questi stupidi spostamenti notturni dell'albero di Natale, giacché disturbavano la Messa, e che "si era deciso" di porlo lì e che nessuno doveva spostarlo (notare il solito verbo all'impersonale: "io ho deciso" diventa "si è deciso"). Durante la Messa i seminaristi proferivano le formule liturgiche, ma era tutto un fittissimo scambio di segnali: ora gliel'abbiamo fatta, sì, abbiamo vinto, voglio proprio vedere, il rettore è già stato messo in guardia, stavolta ci sarà una punizione storica, che ne pensate?
Il sabato mattina l'albero di Natale non risultò spostato. L'evento scatenò una diluvio di critiche, commenti, proteste, illazioni e sospiri di sollievo. Uscii in corridoio - con la mia solita aria innocente - proprio nel momento di massimo trambusto, cercando (e subito trovando) occasione per pronunciare la formula vittoriosa: "ma come? ieri mi accusavi di averlo spostato e oggi mi accusi di non averlo spostato?"
Fino al rientro delle vacanze natalizie i seminaristi non parlarono d'altro.
Con mio sconcerto l'albero fu installato verso la fine del corridoio del piano del seminario, lontano dalla maggioranza delle camere dei seminaristi. Non accettando il sopruso, nottetempo mi portai all'altezza dell'albero, scrutai furtivamente n entrambe le direzioni, staccai la spina delle sacre luci lampeggianti e spostai l'albero di Natale verso i tre quarti del corridoio. Riagganciai la spina, mi sincerai di non essere stato scorto da nessuno, e guardingo rientrai nel massimo silenzio nella mia cameretta.
Il mattino dopo, lunedì, un quarto d'ora prima della Messa, una delle voci più checche gracidò con quanto fiato aveva in gola: "ma l'albero di Natale è stato spostato!" Nessuno se ne curò - i seminaristi, dopo la prima settimana del primo anno di seminario, cominciano ad ottimizzare i tempi del risveglio ("Fantozzi, dopo successivi perfezionamenti, aveva posticipato la sveglia fino alle sette e cinquantuno!") e quindi nessuno ebbe tempo di riportare l'albero di Natale nella sua sede ufficiale. Al termine delle lezioni, tra sbuffi di disapprovazione e fretta di scendere in sala mensa per il pranzo (poco prima di Natale l'ora media comunitaria era già quasi un optional), finalmente l'albero fu traslato nel sacro luogo del corridoio eletto ad ospitarlo.
Senonché il mattino dopo - martedì - un'altra voce checca, più simile ad un bue che ad un uomo, mugghiò: "ma è stato spostato di nuovo, nooo". Anche stavolta si provvide, ma subito dopo l'ora di pranzo. Molti seminaristi si diedero segretamente appuntamento per organizzare turni di ronda e scoprire il malfattore. Ero tentato di aggiungermi a loro per fugare eventuali sospetti, ma in fin dei conti ritenni più prudente rinviare il giocarmi tale carta.
Il mattino successivo - mercoledì - l'albero era nuovamente nella zona dei tre quarti del corridoio, dove poteva essere gradevolmente ammirato dalla maggioranza dei seminaristi, domiciliati nelle camerette lì vicino. Si dice che il prete animatore abbia sbuffato con disprezzo per l'ennesimo spostamento illegale, ma per darsi un tono evitò di commentare prima e dopo la Messa. Lo spostamento fu annunciato dal latrato di un terzo seminarista spione che - ci potete giurare - da quel momento fu in cuor suo determinatissimo a scoprire il malfattore.
Il sottoscritto, coraggioso ma non temerario, rinunciò allo spostamento in tarda ora, preferendo rinviarlo alle prime luci dell'alba del giovedì. Anticipò la sveglia mattutina di mezz'ora e spostò celermente e silenziosamente l'albero di Natale, indi rientrò in camera, per poi uscirne - come tutti gli altri - esattamente un minuto o due prima della Messa mattutina. Anche stavolta ero convinto di aver agito nel più totale anonimato. Pareva che a Messa non si parlasse d'altro che dell'albero di Natale: le voci proferivano le formule liturgiche e i versetti dei canti, ma gli sguardi e i gesti erano tutto un fitto scambio di segnali: ma avete visto? sì, e tu? e che, non me ne accorgevo? e tu? anche tu sospetti lui? sì!
Il rumore è purtroppo alleato del nemico: il leggero scricchiolìo antelucano della porta della mia cameretta fu avvertito dallo spione dei latrati (nonostante avesse fatto le ore piccole nel vegliare contro lo spostamento dell'albero di Natale). Il quale, avendo da tempo notato che l'unico mattacchione della comunità era il sottoscritto, applicò il teorema di Agatha Christie: due sospetti fanno un indizio, due indizi fanno una prova.
Poco dopo la colazione un seminarista bulldog venne a bussare alla mia cameretta a minacciarmi: se io non avessi smesso di spostare l'albero di Natale, «ti alzo le mani addosso» (traduzione fedele dell'espressione dialettale da lui utilizzata). Con aria terribilmente innocente caddi dalle nuvole e gli chiesi perché lo dicesse a me. Lui ripeté distintamente la minaccia e, soddisfatto per aver avuto il suo momento di superiorità si girò e andò via imprecando contro "queste cose insopportabili", andando a riportare personalmente l'albero di Natale nella sede prefissata.
Poco più tardi lo spione non resistette alla tentazione di fare illazioni su di me dicendo che ero stato "visto" e che la mia "dimestichezza" non dava adito a dubbi. Dato che i verbi in forma impersonale mi ispirano antipatia, gli chiesi: chi hai visto? E lui, seccato, di nuovo sull'impersonale: «sei stato visto, non chiedermi da chi». Il sottoscritto negò ogni addebito, pur sapendo che ciò contribuiva ad aumentare i sospetti: era ora infatti della strategia della tensione.
Nonostante tutte le ronde notturne e antelucane, il venerdì mattina l'albero di Natale risultò nuovamente spostato. Due o tre seminaristi si autoincaricarono di riportarlo al suo posto un minuto prima della Messa mattutina, ed entrarono in cappella con un minutino di ritardo. Con voce glaciale l'animatore durante l'omelia annunciò che bisognava finirla con questi stupidi spostamenti notturni dell'albero di Natale, giacché disturbavano la Messa, e che "si era deciso" di porlo lì e che nessuno doveva spostarlo (notare il solito verbo all'impersonale: "io ho deciso" diventa "si è deciso"). Durante la Messa i seminaristi proferivano le formule liturgiche, ma era tutto un fittissimo scambio di segnali: ora gliel'abbiamo fatta, sì, abbiamo vinto, voglio proprio vedere, il rettore è già stato messo in guardia, stavolta ci sarà una punizione storica, che ne pensate?
Il sabato mattina l'albero di Natale non risultò spostato. L'evento scatenò una diluvio di critiche, commenti, proteste, illazioni e sospiri di sollievo. Uscii in corridoio - con la mia solita aria innocente - proprio nel momento di massimo trambusto, cercando (e subito trovando) occasione per pronunciare la formula vittoriosa: "ma come? ieri mi accusavi di averlo spostato e oggi mi accusi di non averlo spostato?"
Fino al rientro delle vacanze natalizie i seminaristi non parlarono d'altro.
giovedì 4 dicembre 2014
Bismarck
Ero stato assegnato alla parrocchia di quel parroco famoso per una particolare bravata: quando aveva sentito aria di trasferimento ad altra parrocchia meno gradita, aveva minacciato di andare in "crisi sacerdotale". Il vescovo aveva finto di credere a questa baggianata (firmando così una cambiale in bianco) e il parroco non era stato più spostato.
Otto von Bismarck una volta disse che i soldati devono essere tenuti sempre indaffarati, perennemente, anche in attività inutili, purché non stiano fermi. Chi sta fermo pensa, e un soldato che pensa è un soldato pericoloso.
In perfetto stile bismarckiano il sullodato parroco mi disse che avrei dovuto occuparmi delle liturgie, preparandogli l'altare per la Messa (qui è in uso avere tutto già pronto sull'altare, talvolta perfino il vino già nel calice, di modo che il parroco esca dalla sagrestia come un presentatore, cioè senza avere altro nelle mani che il microfono wireless).
Avendo precedentemente osservato il suo modo di estrarre le particole consacrate dalla pìsside, escogitai una disposizione tale da facilitargli l'estrazione con un solo gesto senza dover "ritentare". Disponevo le ostie in cerchio, distanziate di poco meno di metà del loro raggio, in modo che fossero anche facili da contare a colpo d'occhio.
L'avreste mai indovinato? Il parroco non gradì che fosse tutto ordinato e facile. "Non perderci tempo, buttale lì pure mischiate, non è importante", mi disse con indifferenza. Gli dissi sorridendo "va bene" (la prima cosa che si apprende in seminario è rispondere ad un sacerdote sorridendo e dicendo "va bene" anche se in realtà vorresti prenderlo a pedate per un mese intero: ma come? diverranno il Corpo di Cristo, saranno il Santissimo Sacramento tra appena un'ora, assicureranno il Paradiso alle anime che lo riceveranno con le debite condizioni... e tu mi dici di trattarle come vecchie scartoffie da sgabuzzino?)
Proprio bismarckiano, con l'aggiunta che le attività in cui tenere impegnati perennemente i seminaristi devono essere poco educative. Non sia mai che un seminarista ami il Santissimo Sacramento... Era proprio vero quel detto che beffardamente ci si ripeteva in seminario: "seminaristi, nemici di Cristo".
Otto von Bismarck una volta disse che i soldati devono essere tenuti sempre indaffarati, perennemente, anche in attività inutili, purché non stiano fermi. Chi sta fermo pensa, e un soldato che pensa è un soldato pericoloso.
In perfetto stile bismarckiano il sullodato parroco mi disse che avrei dovuto occuparmi delle liturgie, preparandogli l'altare per la Messa (qui è in uso avere tutto già pronto sull'altare, talvolta perfino il vino già nel calice, di modo che il parroco esca dalla sagrestia come un presentatore, cioè senza avere altro nelle mani che il microfono wireless).
Avendo precedentemente osservato il suo modo di estrarre le particole consacrate dalla pìsside, escogitai una disposizione tale da facilitargli l'estrazione con un solo gesto senza dover "ritentare". Disponevo le ostie in cerchio, distanziate di poco meno di metà del loro raggio, in modo che fossero anche facili da contare a colpo d'occhio.
L'avreste mai indovinato? Il parroco non gradì che fosse tutto ordinato e facile. "Non perderci tempo, buttale lì pure mischiate, non è importante", mi disse con indifferenza. Gli dissi sorridendo "va bene" (la prima cosa che si apprende in seminario è rispondere ad un sacerdote sorridendo e dicendo "va bene" anche se in realtà vorresti prenderlo a pedate per un mese intero: ma come? diverranno il Corpo di Cristo, saranno il Santissimo Sacramento tra appena un'ora, assicureranno il Paradiso alle anime che lo riceveranno con le debite condizioni... e tu mi dici di trattarle come vecchie scartoffie da sgabuzzino?)
Proprio bismarckiano, con l'aggiunta che le attività in cui tenere impegnati perennemente i seminaristi devono essere poco educative. Non sia mai che un seminarista ami il Santissimo Sacramento... Era proprio vero quel detto che beffardamente ci si ripeteva in seminario: "seminaristi, nemici di Cristo".
martedì 2 dicembre 2014
Quei pontefici che...
Certi pontefici Dio li dona; certi altri li tollera; alcuni li infligge. Per i nostri tanti peccati ci è stato inflitto Bergoglio, uno dei pontefici più imbarazzanti della storia della Chiesa. Chi ama la Chiesa ne soffre come con una ferita aperta.
Al solo sentirne il nome spensi la televisione. Non mi restava più fiato per pregare. Le dimissioni di Ratzinger e l'elezione di Bergoglio mi avevano stremato: riuscii infatti a dormire, una notte lunga a agitata. Da quella sera di marzo 2013 uno dei miei ultimi solidi appigli - "guarda il Papa, per esempio!" - era svanito.
E' un dolore atroce vedersi piovere addosso le bergogliate. Quella che mi ha più addolorato nei primi tempi è stata il notare che non si genuflette alla consacrazione. Dopo che per anni e anni in parrocchia e soprattutto in seminario ho delicatamente e indelicatamente sgridato gente che si stufava di piegare il ginocchio davanti al Re dei Re (gesto fisico che implica umiltà e riconoscimento), dopo averlo fatto ricordando i santi e «perfino il Papa», dopo che in certe occasioni - come in una Messa della notte di Pasqua - ero l'unico inginocchiato delle centinaia di anime presenti (non il parroco, non il concelebrante, non i seminaristi, non il popolo), ecco il Papa che resta in piedi alla consacrazione (ma che è gesuiticamente capacissimo di inginocchiarsi in altre occasioni, come per lavare i piedi ad una giovane musulmana).
Se il Papa smette di difendere la fede, chi altro dovrà difenderla? Se il Papa può risparmiarsi nel dare onore al Santissimo Sacramento, chi penserà mai di aver sbagliato a risparmiarsi?
Sì, è in gioco la fede, perché certi gesti parlano, certi silenzi parlano, certe posture parlano. Perciò il mio dolore. Non è la difesa del singolo gesto, ma il fatto che per anni quel gesto era uno dei pochissimi punti su cui si poteva ricordare ai tiepidi e ai pigri Chi è realmente presente nel Santissimo Sacramento. Se difendiamo il gesto è perché difendiamo la fede: se il gesto fosse inutile, nessun santo si sarebbe mai consumato le ginocchia davanti al Santissimo.
E così giungiamo ad oggi.
Ogni tanto mi giunge notizia di qualche nuova bergogliata ma spesso non ci penso più. Non vale la pena discutere e criticare le bergogliate: settimana prossima sarà peggio, mese prossimo peggio ancora. Talvolta me ne capita una che non riesco a non commentare - ma è per rammarico e desolazione.
Alcuni - con più esperienza di me - hanno sempre e accuratamente evitato di parlare delle bergogliate. La loro è stata la scelta migliore. Si occupano delle cose della fede stando attenti a non toccare argomenti che riguardino le uscite dell'imbarazzante pontefice, in attesa che questi si ravveda e confermi i suoi fratelli.
Al solo sentirne il nome spensi la televisione. Non mi restava più fiato per pregare. Le dimissioni di Ratzinger e l'elezione di Bergoglio mi avevano stremato: riuscii infatti a dormire, una notte lunga a agitata. Da quella sera di marzo 2013 uno dei miei ultimi solidi appigli - "guarda il Papa, per esempio!" - era svanito.
E' un dolore atroce vedersi piovere addosso le bergogliate. Quella che mi ha più addolorato nei primi tempi è stata il notare che non si genuflette alla consacrazione. Dopo che per anni e anni in parrocchia e soprattutto in seminario ho delicatamente e indelicatamente sgridato gente che si stufava di piegare il ginocchio davanti al Re dei Re (gesto fisico che implica umiltà e riconoscimento), dopo averlo fatto ricordando i santi e «perfino il Papa», dopo che in certe occasioni - come in una Messa della notte di Pasqua - ero l'unico inginocchiato delle centinaia di anime presenti (non il parroco, non il concelebrante, non i seminaristi, non il popolo), ecco il Papa che resta in piedi alla consacrazione (ma che è gesuiticamente capacissimo di inginocchiarsi in altre occasioni, come per lavare i piedi ad una giovane musulmana).
Se il Papa smette di difendere la fede, chi altro dovrà difenderla? Se il Papa può risparmiarsi nel dare onore al Santissimo Sacramento, chi penserà mai di aver sbagliato a risparmiarsi?
Sì, è in gioco la fede, perché certi gesti parlano, certi silenzi parlano, certe posture parlano. Perciò il mio dolore. Non è la difesa del singolo gesto, ma il fatto che per anni quel gesto era uno dei pochissimi punti su cui si poteva ricordare ai tiepidi e ai pigri Chi è realmente presente nel Santissimo Sacramento. Se difendiamo il gesto è perché difendiamo la fede: se il gesto fosse inutile, nessun santo si sarebbe mai consumato le ginocchia davanti al Santissimo.
E così giungiamo ad oggi.
Ogni tanto mi giunge notizia di qualche nuova bergogliata ma spesso non ci penso più. Non vale la pena discutere e criticare le bergogliate: settimana prossima sarà peggio, mese prossimo peggio ancora. Talvolta me ne capita una che non riesco a non commentare - ma è per rammarico e desolazione.
Alcuni - con più esperienza di me - hanno sempre e accuratamente evitato di parlare delle bergogliate. La loro è stata la scelta migliore. Si occupano delle cose della fede stando attenti a non toccare argomenti che riguardino le uscite dell'imbarazzante pontefice, in attesa che questi si ravveda e confermi i suoi fratelli.
giovedì 27 novembre 2014
Di quando riportai (due volte in tutto) i vasi sacri in sagrestia
Avvenne nella parrocchia del vicario generale (eh, già, qui i preti amano cumulare gli incarichi).
Il vicario mi disse di sentirmi libero di collaborare alla liturgia (tradotto dal linguaggio clerico-stalinista, l'espressione suona così: "guai se non mostri almeno una qualche collaborazione, non so che tipo di collaborazione, invèntati tu qualcosa per mostrare a tutti - me compreso - che stai collaborando: altrimenti... guai").
Per la cronaca, almeno fino all'accolitato non c'è nulla che un seminarista possa fare al posto di un qualsiasi altro laico, e io ero ancora ben lontano dall'accolitato... Avendo notato che al termine della Messa si ritirava in sagrestia, mi feci vedere che sparecchiavo l'altare dopo che lui era rientrato.
Solo che commisi un piccolo errore di ingenuità. Con devozione raccoglievo calice, patena e tutto e li portavo in sagrestia con una mano sotto il calice e una allo stelo. Come nelle immaginette di tanti santi sacerdoti. Lo feci istintivamente, senza aver deliberatamente deciso di farlo. Dopo aver visto un'immaginetta di un sacerdote tanti anni addietro (e che non ricordavo più), avevo appreso senza ombra di dubbio come vanno trattati i vasi sacri che fino a pochi minuti prima hanno ospitato il Corpo e il Sangue di Cristo.
La devozione interiore viene notata più velocemente di quella affettata e ostentata. Dopo la seconda o terza volta qualcuno dovette denunciarmi al parroco-vicario per lesa maestà dello spirito del Concilio. Fu così che dopo una Messa il parroco, un attimo prima di rientrare in sagrestia, tornò indietro - mentre io già mi avviavo all'altare - per dirmi: lascia, lascia, ci penso io. Da allora in poi ci ha sempre pensato lui. Naturalmente non con devozione, ma con l'aria di chi raccoglie le proprie vecchie carabattole.
Hanno talmente in odio il sacerdozio preconciliare che sono disposti perfino a rinunciare ai loro tipici gesti di pigrizia liturgica.
Il vicario mi disse di sentirmi libero di collaborare alla liturgia (tradotto dal linguaggio clerico-stalinista, l'espressione suona così: "guai se non mostri almeno una qualche collaborazione, non so che tipo di collaborazione, invèntati tu qualcosa per mostrare a tutti - me compreso - che stai collaborando: altrimenti... guai").
Per la cronaca, almeno fino all'accolitato non c'è nulla che un seminarista possa fare al posto di un qualsiasi altro laico, e io ero ancora ben lontano dall'accolitato... Avendo notato che al termine della Messa si ritirava in sagrestia, mi feci vedere che sparecchiavo l'altare dopo che lui era rientrato.
Solo che commisi un piccolo errore di ingenuità. Con devozione raccoglievo calice, patena e tutto e li portavo in sagrestia con una mano sotto il calice e una allo stelo. Come nelle immaginette di tanti santi sacerdoti. Lo feci istintivamente, senza aver deliberatamente deciso di farlo. Dopo aver visto un'immaginetta di un sacerdote tanti anni addietro (e che non ricordavo più), avevo appreso senza ombra di dubbio come vanno trattati i vasi sacri che fino a pochi minuti prima hanno ospitato il Corpo e il Sangue di Cristo.
La devozione interiore viene notata più velocemente di quella affettata e ostentata. Dopo la seconda o terza volta qualcuno dovette denunciarmi al parroco-vicario per lesa maestà dello spirito del Concilio. Fu così che dopo una Messa il parroco, un attimo prima di rientrare in sagrestia, tornò indietro - mentre io già mi avviavo all'altare - per dirmi: lascia, lascia, ci penso io. Da allora in poi ci ha sempre pensato lui. Naturalmente non con devozione, ma con l'aria di chi raccoglie le proprie vecchie carabattole.
Hanno talmente in odio il sacerdozio preconciliare che sono disposti perfino a rinunciare ai loro tipici gesti di pigrizia liturgica.
sabato 22 novembre 2014
Ministri straordinari
Tanti preti andrebbero arrestati e incarcerati perché si rifiutano di compiere il loro dovere principale: amministrare i sacramenti.
Per esempio si stufano di distribuire l'Eucarestia nella Messa. Celebrano a velocità di moviola la liturgia della Parola e poi a velocità bi-turbo la liturgia eucaristica. Al momento della comunione dei fedeli, fanno intervenire strana gente a distribuire le particole. C'è la vecchia suora. C'è il pensionato incravattato. C'è il giovanotto tuttofare. C'è la casalinga di carriera (carriera parrocchiale). E infine c'è anche il seminarista.
Quando venni mandato dal parroco ciccione, appena dopo le presentazioni lui dichiarò gli incarichi che voleva affidarmi. Aggiunse subito: "e poi c'è da dare una mano con la Comunione".
Avrei voluto prenderlo a pedate, sonore pedate. Invece, sorridente e delicatamente gli dissi quasi belando: "ma il vescovo non vuole". Mentre lo dicevo mi resi conto che non gliene importava niente e che la lancetta della pressione nella caldaia già era in rosso, così aggiunsi subito: "non me la sento di prendere un altro cazziatone dal vescovo". Lui rispose con un "va bene", tentando di nascondere la seccatura, e non riuscì a trattenersi dal dire che quando me la sarei sentita di farla, la cosa sarebbe stata la benvenuta.
Benvenuti nel postconcilio: epoca in cui i preti si stufano di fare i preti e demanderebbero volentieri ai laici di fare tutto ma proprio tutto, tranne l'omelia (e a volte, stufi della vita, rinunciano anche a quella). Arriva il seminarista? Lo faccio agire da diacono: così ottengo il triplice scopo di tenere un po' sulle spine i ministri straordinari (comodi ma invadenti), di lusingarlo facendolo giocare a fare il prete, e di liberarmi della seccatura di amministrare il Santissimo Sacramento ai fedeli.
Per esempio si stufano di distribuire l'Eucarestia nella Messa. Celebrano a velocità di moviola la liturgia della Parola e poi a velocità bi-turbo la liturgia eucaristica. Al momento della comunione dei fedeli, fanno intervenire strana gente a distribuire le particole. C'è la vecchia suora. C'è il pensionato incravattato. C'è il giovanotto tuttofare. C'è la casalinga di carriera (carriera parrocchiale). E infine c'è anche il seminarista.
Quando venni mandato dal parroco ciccione, appena dopo le presentazioni lui dichiarò gli incarichi che voleva affidarmi. Aggiunse subito: "e poi c'è da dare una mano con la Comunione".
Avrei voluto prenderlo a pedate, sonore pedate. Invece, sorridente e delicatamente gli dissi quasi belando: "ma il vescovo non vuole". Mentre lo dicevo mi resi conto che non gliene importava niente e che la lancetta della pressione nella caldaia già era in rosso, così aggiunsi subito: "non me la sento di prendere un altro cazziatone dal vescovo". Lui rispose con un "va bene", tentando di nascondere la seccatura, e non riuscì a trattenersi dal dire che quando me la sarei sentita di farla, la cosa sarebbe stata la benvenuta.
Benvenuti nel postconcilio: epoca in cui i preti si stufano di fare i preti e demanderebbero volentieri ai laici di fare tutto ma proprio tutto, tranne l'omelia (e a volte, stufi della vita, rinunciano anche a quella). Arriva il seminarista? Lo faccio agire da diacono: così ottengo il triplice scopo di tenere un po' sulle spine i ministri straordinari (comodi ma invadenti), di lusingarlo facendolo giocare a fare il prete, e di liberarmi della seccatura di amministrare il Santissimo Sacramento ai fedeli.
lunedì 17 novembre 2014
Chi è avido di significati e chi pretende di assegnarli
La ragione per cui in seminario ero detestato (per dirla con termini gentili) era la mia invincibile passione per le verità di fede e i loro inevitabili effetti. Mi aveva appassionato una conferenza di Filippetti su Giotto, al punto che avevo comprato più copie del catalogo della sua mostra allo scopo di regalarle a chi le avesse potuto almeno apprezzare. Infatti quelle copie restarono nella mia cameretta per tutto l'anno di seminario e tornarono tristemente a casa: la prima copia, quella che mostravo ai seminaristi, non sollevava più di qualche "ah, uhm, bravo, bene".
I seminaristi avevano un'agghiacciante insensibilità verso la bellezza. Erano magari perfino capaci di citare e lodare l'espressione "il bello è lo splendore del vero", ma non scorgevano alcuna differenza fra un canto gregoriano e un Symbolum '77, non trovavano nessun motivo per preferire una Natività di Giotto ad uno scarabocchio di un bambino capriccioso, non ci trovavano niente di strano ad usare come spunto di preghiera e riflessione una scultura più simile a una cagata di cammello che ad una Pietà di Michelangelo. Ed infatti erano capaci di inginocchiarsi davanti a tutto e di dimenticare sistematicamente di inginocchiarsi davanti al Santissimo.
La differenza tra me e loro era proprio in questo: loro erano abituati ad assegnare significati all'arte "sacra" (addirittura a caso e al limite del frivolo), laddove io ero abituato a cercare i significati (sorprendendomi ogni volta che scoprivo qualcosa della fede tradizionale, e sorprendendomi ancora di più quando nelle opere "moderne" trovavo o il vuoto, o l'aberrante). Non a caso le poche amicizie che avevo in seminario erano inevitabilmente coi figuri che avevano ancora un minimo di sensibilità al bello, ed era una vera vittoria ascoltare da qualcuno di loro espressioni come: «però in fondo hai ragione, sarebbe più bello se facessimo la meditazione su questa Natività di Giotto». Cioè augurarsi che la spiritualità del seminario si rifacesse a qualcosa che già contiene il bello, piuttosto che da un'«opera» pescata a caso ed a cui veniva assegnato d'imperio il significato che noialtri dovevamo ubbidientemente percepire.
I seminaristi avevano un'agghiacciante insensibilità verso la bellezza. Erano magari perfino capaci di citare e lodare l'espressione "il bello è lo splendore del vero", ma non scorgevano alcuna differenza fra un canto gregoriano e un Symbolum '77, non trovavano nessun motivo per preferire una Natività di Giotto ad uno scarabocchio di un bambino capriccioso, non ci trovavano niente di strano ad usare come spunto di preghiera e riflessione una scultura più simile a una cagata di cammello che ad una Pietà di Michelangelo. Ed infatti erano capaci di inginocchiarsi davanti a tutto e di dimenticare sistematicamente di inginocchiarsi davanti al Santissimo.
La differenza tra me e loro era proprio in questo: loro erano abituati ad assegnare significati all'arte "sacra" (addirittura a caso e al limite del frivolo), laddove io ero abituato a cercare i significati (sorprendendomi ogni volta che scoprivo qualcosa della fede tradizionale, e sorprendendomi ancora di più quando nelle opere "moderne" trovavo o il vuoto, o l'aberrante). Non a caso le poche amicizie che avevo in seminario erano inevitabilmente coi figuri che avevano ancora un minimo di sensibilità al bello, ed era una vera vittoria ascoltare da qualcuno di loro espressioni come: «però in fondo hai ragione, sarebbe più bello se facessimo la meditazione su questa Natività di Giotto». Cioè augurarsi che la spiritualità del seminario si rifacesse a qualcosa che già contiene il bello, piuttosto che da un'«opera» pescata a caso ed a cui veniva assegnato d'imperio il significato che noialtri dovevamo ubbidientemente percepire.
giovedì 13 novembre 2014
Quando ci mandarono l'esperta di celibato
Una volta in seminario una giovane suora (munita di chitarra) venne invitata a tenerci una lezione sul celibato - e no, non parlò di come star lontani dalle tentazioni del corpo e dell'anima, ma dei tecnicismi sentimentaloidi che aveva scritto nella sua tesi di dottorato teologico - e la chitarra le era necessaria perché alcune cose le avrebbe espresse cantando e facendoci cantare.
Quando un prete "cade" (cioè si stufa del sacerdozio perché vorrebbe vivere con una donna), i suoi confratelli si lamentano: "andava aiutato, bisognava aiutarlo prima, si capiva bene che era in crisi sacerdotale e non si è fatto nulla per aiutarlo" (notare l'uso spasmodico di verbi in forma impersonale: nessuno si prende responsabilità, tutti se ne lavano le mani).
E dunque, come misura preventiva, si invita un'esperta di celibato a spiegare che tal sconosciuto teologo e tale autoimprovvisato mistico hanno detto che il celibato è sublimazione di non si sa cosa ed è libertà da non si sa che. Perbacco, una donna in seminario (benché suora), giovane (beh, sulla trentina abbondante)... ma no, i seminaristi non stanno coltivando pensieri cattivi: i più tra loro non provano attrazione per le donne, la maggioranza è impegnata a simulare un'espressione attenta, a cercare di prendere appunti per porre una "domanda intelligente", a farsi notare dall'animatore nella speranza che quest'ultimo scriva nella relazione di fine anno: "il seminarista ha partecipato con interesse a tutte le iniziative previste dal seminario".
Quando un prete "cade" (cioè si stufa del sacerdozio perché vorrebbe vivere con una donna), i suoi confratelli si lamentano: "andava aiutato, bisognava aiutarlo prima, si capiva bene che era in crisi sacerdotale e non si è fatto nulla per aiutarlo" (notare l'uso spasmodico di verbi in forma impersonale: nessuno si prende responsabilità, tutti se ne lavano le mani).
E dunque, come misura preventiva, si invita un'esperta di celibato a spiegare che tal sconosciuto teologo e tale autoimprovvisato mistico hanno detto che il celibato è sublimazione di non si sa cosa ed è libertà da non si sa che. Perbacco, una donna in seminario (benché suora), giovane (beh, sulla trentina abbondante)... ma no, i seminaristi non stanno coltivando pensieri cattivi: i più tra loro non provano attrazione per le donne, la maggioranza è impegnata a simulare un'espressione attenta, a cercare di prendere appunti per porre una "domanda intelligente", a farsi notare dall'animatore nella speranza che quest'ultimo scriva nella relazione di fine anno: "il seminarista ha partecipato con interesse a tutte le iniziative previste dal seminario".
martedì 11 novembre 2014
Per la barba del profeta!
In seminario c'era un mingherlino con una barbetta stile Ramsete II, un paio di occhialini stile fondo di bottiglia e una dedizione inossidabile al dialogo con l'islam. Al vederlo si direbbe che avrebbe preferito rinnegare Gesù piuttosto che Maometto: ma alla fine della giostra lui è stato ordinato sacerdote e io no.
Quasi prevedendo questa evenienza mi permisi uno scherzettino innocentino. Presi un'immaginetta di Bin Laden e ci appiccicai su la sua faccia. Con un po' di photoshop il lavoretto venne alla perfezione. Al posto di "Laden" scrissi il suo cognome (con una splendida assonanza).
Seduto nell'ultima fila dell'aula, in attesa del professore di Pastorale Giovanile perennemente ritardatario, chiamai a me il seminarista più ciarliero del seminario e gli dissi: ti fo vedere una cosa sul mio computer portatile ma devi mantenere il segreto...
Pochissimi istanti dopo una folla di seminaristi accalcati dietro di me condividevano le grasse risate: uàh, uàh, uàh! - tanto che il professionista del dialogo con l'islam dovette far fatica per scrutare almeno da lontano l'opera d'arte.
Quando il professore entrò sbraitando per il chiasso chiusi immediatamente il computer. Ci volle qualche minuto prima che le risate e i complimenti cedessero il posto alla lezione.
Il dileggiato in cuor suo meditò le più feroci vendette, e al termine della lezione corse dal rettore e dall'animatore a denunciare il terribile misfatto. La sua foga però dovette costargli in credibilità, perché la faccenda non mi fu mai obiettata - a quanto pare nemmeno nelle sovietiche "relazioni di fine d'anno". Può darsi che al suo fallimento abbia contribuito molto la sua notoria profonda empatia verso l'islam.
Aveva sulla scrivania il Corano accanto alla Bibbia. Gli si accendeva una strana luce negli occhi quando si parlava dell'islam. Spesso nella "preghiera dei fedeli" - cioè nelle omelie spontanee obbligatorie durante le liturgie delle ore e della Messa - tirava fuori qualche concetto musulmano sotto le mentite spoglie del "ieri al gruppo ecumenico..."
Il seminario è un ambiente talmente chiuso e soffocante che al puro scopo di gridare "ehi, esisto anch'io!" tanti seminaristi si inventano qualche bizzarra peculiarità per distinguersi dagli altri: e costui si era autoinvestito del compito di spacciarsi per professionista del dialogo con un islam immaginario.
Quasi prevedendo questa evenienza mi permisi uno scherzettino innocentino. Presi un'immaginetta di Bin Laden e ci appiccicai su la sua faccia. Con un po' di photoshop il lavoretto venne alla perfezione. Al posto di "Laden" scrissi il suo cognome (con una splendida assonanza).
Seduto nell'ultima fila dell'aula, in attesa del professore di Pastorale Giovanile perennemente ritardatario, chiamai a me il seminarista più ciarliero del seminario e gli dissi: ti fo vedere una cosa sul mio computer portatile ma devi mantenere il segreto...
Pochissimi istanti dopo una folla di seminaristi accalcati dietro di me condividevano le grasse risate: uàh, uàh, uàh! - tanto che il professionista del dialogo con l'islam dovette far fatica per scrutare almeno da lontano l'opera d'arte.
Quando il professore entrò sbraitando per il chiasso chiusi immediatamente il computer. Ci volle qualche minuto prima che le risate e i complimenti cedessero il posto alla lezione.
Il dileggiato in cuor suo meditò le più feroci vendette, e al termine della lezione corse dal rettore e dall'animatore a denunciare il terribile misfatto. La sua foga però dovette costargli in credibilità, perché la faccenda non mi fu mai obiettata - a quanto pare nemmeno nelle sovietiche "relazioni di fine d'anno". Può darsi che al suo fallimento abbia contribuito molto la sua notoria profonda empatia verso l'islam.
Aveva sulla scrivania il Corano accanto alla Bibbia. Gli si accendeva una strana luce negli occhi quando si parlava dell'islam. Spesso nella "preghiera dei fedeli" - cioè nelle omelie spontanee obbligatorie durante le liturgie delle ore e della Messa - tirava fuori qualche concetto musulmano sotto le mentite spoglie del "ieri al gruppo ecumenico..."
Il seminario è un ambiente talmente chiuso e soffocante che al puro scopo di gridare "ehi, esisto anch'io!" tanti seminaristi si inventano qualche bizzarra peculiarità per distinguersi dagli altri: e costui si era autoinvestito del compito di spacciarsi per professionista del dialogo con un islam immaginario.
sabato 8 novembre 2014
Anche il sangue
Quando un seminarista si lamenta della vita di seminario o addirittura dei superiori, la prima tipica reazione è quella di qualificarlo come un pigro lavativo scansafatiche che si rifiuta di obbedire. Per mia colossale fortuna assistei in diretta a questo fenomeno il primissimo giorno di pre-seminario e quindi mi imposi di ubbidire sempre e a qualunque costo.
Una volta il superiore della casa mi comandò dei lavori pesanti nonostante io fossi visibilmente abbattuto da altri lavori pesanti. Da fare prima della preghiera. Andai lesto a fare quel che mi era comandato. Senza attrezzi e col fiato del superiore sul collo, mi ferii fino a sanguinare. Il superiore era imbestialito per la fretta e quindi non potendo fermare per medicarmi, mi leccai di nascosto le ferite per evitare di sembrargli uno scansafatiche pigro lavativo ritardatario disubbidiente (posso assicurare che non avevo altra scelta).
Ma è giunta l'ora della preghiera! Presto, presto, corri, corri, in camera, il breviario, giù di corsa in cappella. Il superiore aveva cominciato la preghiera con un minuto di anticipo, in modo da farmi risultare in ritardo (il Signore saprà come premiarlo per questo episodio e per tutti gli altri dello stesso genere).
In tutta sincerità posso dunque dire che per la mia vocazione ho dato anche un po' del mio sangue, e non è servito a niente.
Gli ostacoli sul mio percorso vocazionale sono stati infatti i formatori con le loro peculiari idee sul sacerdozio, sulla formazione, sulla spiritualità sacerdotale, ecc.
Una volta il superiore della casa mi comandò dei lavori pesanti nonostante io fossi visibilmente abbattuto da altri lavori pesanti. Da fare prima della preghiera. Andai lesto a fare quel che mi era comandato. Senza attrezzi e col fiato del superiore sul collo, mi ferii fino a sanguinare. Il superiore era imbestialito per la fretta e quindi non potendo fermare per medicarmi, mi leccai di nascosto le ferite per evitare di sembrargli uno scansafatiche pigro lavativo ritardatario disubbidiente (posso assicurare che non avevo altra scelta).
Ma è giunta l'ora della preghiera! Presto, presto, corri, corri, in camera, il breviario, giù di corsa in cappella. Il superiore aveva cominciato la preghiera con un minuto di anticipo, in modo da farmi risultare in ritardo (il Signore saprà come premiarlo per questo episodio e per tutti gli altri dello stesso genere).
In tutta sincerità posso dunque dire che per la mia vocazione ho dato anche un po' del mio sangue, e non è servito a niente.
Gli ostacoli sul mio percorso vocazionale sono stati infatti i formatori con le loro peculiari idee sul sacerdozio, sulla formazione, sulla spiritualità sacerdotale, ecc.
mercoledì 5 novembre 2014
Incidente liturgico
Una volta diedi un'occhiataccia feroce a un commilitone. "Vino?" gli chiesi ripetendo la sua ultima parola, "vino?!" E lui finalmente capì e si corresse: "sì, il Sangue di Cristo, sì".
Questo commilitone aveva capito bene l'andazzo e per mettersi in mostra... imitava i preti che intuiva desiderosi di essere imitati (in compenso chiamava "vino" il Vino consacrato). Una delle prime pessime abitudini - con soddisfazione del parroco isterico - fu quella di comunicarsi "come i diaconi": ricevere il Corpo di Cristo dopo la frazione del pane (prima della distribuzione ai fedeli) e poi anche comunicarsi al calice (mentre i "ministri" straordinari si preparavano a distribuire al popolo).
Sennonché una volta avvenne un piccolo incidente liturgico. Durante una concelebrazione un concelebrante si attardò e il commilitone mise mano al calice, poi si girò verso di me e porgendomi il calice mi disse di consumare quel che restava. Preso di sorpresa e ignorante per la giovane età ubbidii, quindi deposi il calice con la massima devozione, e tornai verso il mio posto un paio di metri più in là. Ma ancor prima di sedermi il concelebrante ritardatario, trovato il calice vuoto, mi stava fulminando coi suoi occhi infuocati. Dev'essere alquanto imbarazzante per un prete concelebrare e poi fare la Comunione solo sotto le specie del pane.
A suo tempo ne fui particolarmente dispiaciuto (e mi confermò nel proposito di non fare nella liturgia ciò che non è assolutamente certo che sia da fare). Oggi invece racconto l'episodio con un sorriso amaro, pensando che i preti deficienti prima vogliono che i seminaristi siano loro cloni nelle pagliacciate e poi quando ne pagano lo scotto si infuriano contro un innocente.
Questo commilitone aveva capito bene l'andazzo e per mettersi in mostra... imitava i preti che intuiva desiderosi di essere imitati (in compenso chiamava "vino" il Vino consacrato). Una delle prime pessime abitudini - con soddisfazione del parroco isterico - fu quella di comunicarsi "come i diaconi": ricevere il Corpo di Cristo dopo la frazione del pane (prima della distribuzione ai fedeli) e poi anche comunicarsi al calice (mentre i "ministri" straordinari si preparavano a distribuire al popolo).
Sennonché una volta avvenne un piccolo incidente liturgico. Durante una concelebrazione un concelebrante si attardò e il commilitone mise mano al calice, poi si girò verso di me e porgendomi il calice mi disse di consumare quel che restava. Preso di sorpresa e ignorante per la giovane età ubbidii, quindi deposi il calice con la massima devozione, e tornai verso il mio posto un paio di metri più in là. Ma ancor prima di sedermi il concelebrante ritardatario, trovato il calice vuoto, mi stava fulminando coi suoi occhi infuocati. Dev'essere alquanto imbarazzante per un prete concelebrare e poi fare la Comunione solo sotto le specie del pane.
A suo tempo ne fui particolarmente dispiaciuto (e mi confermò nel proposito di non fare nella liturgia ciò che non è assolutamente certo che sia da fare). Oggi invece racconto l'episodio con un sorriso amaro, pensando che i preti deficienti prima vogliono che i seminaristi siano loro cloni nelle pagliacciate e poi quando ne pagano lo scotto si infuriano contro un innocente.
venerdì 31 ottobre 2014
Via la vocazione, via la fede?
Molti pii preti sanno che quando un giovane viene ingiustamente espulso dal seminario, rischia poi anche di perdere la fede (gli altri, meno pii, semplicemente abbandonano di punto in bianco la pratica della fede).
"Ingiustamente" significa che i motivi della dimissione non riguardano né la vocazione, né la vita morale, né la salute fisica/mentale.
Le cose vanno sempre allo stesso modo: i formatori del seminario prima cominciano sottilmente a farti capire che vogliono espellerti, poi tu ti umili in ogni modo per rabbonirli, ma loro continuano ad alzare il prezzo e a farti capire che la tua fine è vicina, tu ti umilii ancora di più per salvare il salvabile, e in ogni caso alla fine trovano una scusa ridicola e assurda per mandarti via. Col benestare del vescovo, anzi, con la sua connivenza (garantisco che sono parole scelte con carità). Risultato inevitabile: con tutta la buona volontà, non riesci più a fidarti dell'autorità della Chiesa.
Non riesci più a fidarti dell'autorità della Chiesa perché a poco a poco scopri tutta la meschina disonestà con cui ti hanno spazzato via. Vedi tutti gli inganni che hanno messo in azione contro di te, tutte le mezze verità e le totali menzogne, tutti i sotterfugi, i legalismi, le nuove regole retroattive su misura per inguaiarti... Vedi che coloro che ti dovevano proteggere si sono accordati per distruggerti e hanno proseguito ad ogni costo sino alla fine: come fidarsi di loro? Come fidarsi di gente che ti sorride, che ti predica il Vangelo, che ogni giorno ti amministra la santa Comunione, e contemporaneamente lavora per metterti nei guai? Come fidarsi ancora di chi nella stessa ora con una mano ti amministra la Comunione e con l'altra mette per iscritto calunnie sul tuo conto? (non è un eufemismo)
Non riesci più a fidarti dell'intera Chiesa perché vedi che tutta la mafia clericale, quando si tratta di sopprimere una vocazione, agisce come un sol uomo (è una indiretta dimostrazione dell'esistenza e dell'opera del demonio). Dovunque vai a chiedere aiuto, trovi solo dei don Abbondio che in privato magari si stracciano le vesti per l'ingiustizia e ti sommergono di parole di conforto e di promesse, ma in pubblico non ce la fanno nemmeno a emettere un sommesso belato. Loro per primi si rendono conto che la cricca dei formatori di seminario, la casta curiale, i miniclub preteschi, al pari dei clan mafiosi evitano di pestarsi i piedi a vicenda e - quel che è peggio - il vescovo non ha alcuna intenzione di contraddirli.
Non riesci più a fidarti della Chiesa perché ovunque vai - altra diocesi o altra congregazione - la prima cosa che fanno è informarsi su di te facendosi riportare per iscritto le idiozie che i tuoi ex formatori hanno vergato contro di te: lo sanno bene che sono idiozie, ma «scripta manent», e per questo ti tocca sostanzialmente ricominciare daccapo la formazione, perché tu - imputato di crimini inesistenti - devi dimostrare di essere innocente di quei crimini. E devi dimostrarlo a dei soggetti non dissimili da quelli che ti hanno annichilito. Così ricomincia tutto il supplizio di Tantalo perché i nuovi formatori, grazie a quelle vecchie carte, sanno di potersi lavare le mani di qualsiasi cosa faranno contro di te.
Una grande fortuna è di venir espulsi dal seminario (o meglio: aver motivazione e coraggio di abbandonarlo, in modo da non farsi troppi nemici) verso il primo o secondo anno, in modo da poter andare a piagnucolare presso un'altra diocesi - o anche una congregazione religiosa o di vita apostolica - con più speranza di convincere gli interlocutori che ci sono state "gravi ma superabili incomprensioni" (eufemismo per dire che quel vecchio branco di coglioni pretendeva di misurare la tua vocazione al sacerdozio a partire da cose come il femmineo servilismo dei loro figliuoli prediletti). Sicuramente è dura ricominciare tutto daccapo, ma almeno hai perso solo qualche anno.
Il guaio è quando hai fatto già tre o quattro anni di seminario: più passa il tempo e meno diventi convincente. Uno che venisse espulso al quinto anno, farebbe sollevare più di un sopracciglio curiale: ti guarderanno pensando: «ma sei un pedofilo? uno stupratore seriale? un assassino nazista? è altrimenti impossibile che qualcuno venga dimesso dopo così tanti anni di seminario... come può mai essere che un vescovo si liberi di un seminarista dopo così tanta formazione già fatta?»
Di fronte alle ingiustizie accanitamente perpetrate contro di te dagli uomini di Chiesa (e tanto più quando riguardano la tua vocazione - contro la quale possono commettere ingiustizie restando impuniti, poiché è l'autorità della Chiesa a vagliare la tua vocazione, non tu), rischi davvero di abbandonare la Chiesa.
Episodio 1.
Dopo che il vescovo ingiustamente interruppe la mia formazione (ne pagherà salatissimo conto al Signore, e per sua gigantesca fortuna ha già cominciato con la prima rata), un pio sacerdote mi organizzò d'urgenza un colloquio con certi tizi dediti al formare laici consacrati.
Con evangelica decenza gli risposi: «'sto cazzo!» Se avverto la chiamata al sacerdozio, significa che mi sento chiamato al sacerdozio, non a fare il mestiere di "diacono [con la] permanente" e tanto meno il laico consacrato. Non ho bisogno del contentino.
Se la futura sposa ingiustamente ti manda a quel paese, tu non riuscirai mai a consolarti vita natural durante con una bambola gonfiabile.
Episodio 2.
Il vescovo, dopo che avevo obiettato alle false accuse contro di me, mi rispose che non dovevo criticare i formatori del seminario, che sono coloro che Dio ha stabilito per vagliare la mia vocazione. Quindi proseguì la lettura della relazione che avevano scritto. Nella frase successiva c'era l'ennesima stangata.
"Eccellenza, siamo a luglio: come mai quest'accusa a mio carico che riguarda presunti fatti di dicembre scorso la veniamo a sapere soltanto adesso e soltanto per iscritto?"
Episodio 3.
Al telefono rispose direttamente sua eccellenza. Mi disse: «sì, ti dico subito che per ordine della CEI io non prendo seminaristi da fuori diocesi, ma se vuoi venire a parlare con me ci possiamo incontrare ugualmente».
A che serve incontrarmi se hai già detto che non vuoi accogliermi?
"Ingiustamente" significa che i motivi della dimissione non riguardano né la vocazione, né la vita morale, né la salute fisica/mentale.
Le cose vanno sempre allo stesso modo: i formatori del seminario prima cominciano sottilmente a farti capire che vogliono espellerti, poi tu ti umili in ogni modo per rabbonirli, ma loro continuano ad alzare il prezzo e a farti capire che la tua fine è vicina, tu ti umilii ancora di più per salvare il salvabile, e in ogni caso alla fine trovano una scusa ridicola e assurda per mandarti via. Col benestare del vescovo, anzi, con la sua connivenza (garantisco che sono parole scelte con carità). Risultato inevitabile: con tutta la buona volontà, non riesci più a fidarti dell'autorità della Chiesa.
Non riesci più a fidarti dell'autorità della Chiesa perché a poco a poco scopri tutta la meschina disonestà con cui ti hanno spazzato via. Vedi tutti gli inganni che hanno messo in azione contro di te, tutte le mezze verità e le totali menzogne, tutti i sotterfugi, i legalismi, le nuove regole retroattive su misura per inguaiarti... Vedi che coloro che ti dovevano proteggere si sono accordati per distruggerti e hanno proseguito ad ogni costo sino alla fine: come fidarsi di loro? Come fidarsi di gente che ti sorride, che ti predica il Vangelo, che ogni giorno ti amministra la santa Comunione, e contemporaneamente lavora per metterti nei guai? Come fidarsi ancora di chi nella stessa ora con una mano ti amministra la Comunione e con l'altra mette per iscritto calunnie sul tuo conto? (non è un eufemismo)
Non riesci più a fidarti dell'intera Chiesa perché vedi che tutta la mafia clericale, quando si tratta di sopprimere una vocazione, agisce come un sol uomo (è una indiretta dimostrazione dell'esistenza e dell'opera del demonio). Dovunque vai a chiedere aiuto, trovi solo dei don Abbondio che in privato magari si stracciano le vesti per l'ingiustizia e ti sommergono di parole di conforto e di promesse, ma in pubblico non ce la fanno nemmeno a emettere un sommesso belato. Loro per primi si rendono conto che la cricca dei formatori di seminario, la casta curiale, i miniclub preteschi, al pari dei clan mafiosi evitano di pestarsi i piedi a vicenda e - quel che è peggio - il vescovo non ha alcuna intenzione di contraddirli.
Non riesci più a fidarti della Chiesa perché ovunque vai - altra diocesi o altra congregazione - la prima cosa che fanno è informarsi su di te facendosi riportare per iscritto le idiozie che i tuoi ex formatori hanno vergato contro di te: lo sanno bene che sono idiozie, ma «scripta manent», e per questo ti tocca sostanzialmente ricominciare daccapo la formazione, perché tu - imputato di crimini inesistenti - devi dimostrare di essere innocente di quei crimini. E devi dimostrarlo a dei soggetti non dissimili da quelli che ti hanno annichilito. Così ricomincia tutto il supplizio di Tantalo perché i nuovi formatori, grazie a quelle vecchie carte, sanno di potersi lavare le mani di qualsiasi cosa faranno contro di te.
Una grande fortuna è di venir espulsi dal seminario (o meglio: aver motivazione e coraggio di abbandonarlo, in modo da non farsi troppi nemici) verso il primo o secondo anno, in modo da poter andare a piagnucolare presso un'altra diocesi - o anche una congregazione religiosa o di vita apostolica - con più speranza di convincere gli interlocutori che ci sono state "gravi ma superabili incomprensioni" (eufemismo per dire che quel vecchio branco di coglioni pretendeva di misurare la tua vocazione al sacerdozio a partire da cose come il femmineo servilismo dei loro figliuoli prediletti). Sicuramente è dura ricominciare tutto daccapo, ma almeno hai perso solo qualche anno.
Il guaio è quando hai fatto già tre o quattro anni di seminario: più passa il tempo e meno diventi convincente. Uno che venisse espulso al quinto anno, farebbe sollevare più di un sopracciglio curiale: ti guarderanno pensando: «ma sei un pedofilo? uno stupratore seriale? un assassino nazista? è altrimenti impossibile che qualcuno venga dimesso dopo così tanti anni di seminario... come può mai essere che un vescovo si liberi di un seminarista dopo così tanta formazione già fatta?»
Di fronte alle ingiustizie accanitamente perpetrate contro di te dagli uomini di Chiesa (e tanto più quando riguardano la tua vocazione - contro la quale possono commettere ingiustizie restando impuniti, poiché è l'autorità della Chiesa a vagliare la tua vocazione, non tu), rischi davvero di abbandonare la Chiesa.
Episodio 1.
Dopo che il vescovo ingiustamente interruppe la mia formazione (ne pagherà salatissimo conto al Signore, e per sua gigantesca fortuna ha già cominciato con la prima rata), un pio sacerdote mi organizzò d'urgenza un colloquio con certi tizi dediti al formare laici consacrati.
Con evangelica decenza gli risposi: «'sto cazzo!» Se avverto la chiamata al sacerdozio, significa che mi sento chiamato al sacerdozio, non a fare il mestiere di "diacono [con la] permanente" e tanto meno il laico consacrato. Non ho bisogno del contentino.
Se la futura sposa ingiustamente ti manda a quel paese, tu non riuscirai mai a consolarti vita natural durante con una bambola gonfiabile.
Episodio 2.
Il vescovo, dopo che avevo obiettato alle false accuse contro di me, mi rispose che non dovevo criticare i formatori del seminario, che sono coloro che Dio ha stabilito per vagliare la mia vocazione. Quindi proseguì la lettura della relazione che avevano scritto. Nella frase successiva c'era l'ennesima stangata.
"Eccellenza, siamo a luglio: come mai quest'accusa a mio carico che riguarda presunti fatti di dicembre scorso la veniamo a sapere soltanto adesso e soltanto per iscritto?"
Episodio 3.
Al telefono rispose direttamente sua eccellenza. Mi disse: «sì, ti dico subito che per ordine della CEI io non prendo seminaristi da fuori diocesi, ma se vuoi venire a parlare con me ci possiamo incontrare ugualmente».
A che serve incontrarmi se hai già detto che non vuoi accogliermi?
martedì 28 ottobre 2014
Quando valgono solo le mazzate
Contra negantem principia fustibus est argumentandum. (san Tommaso d'Aquino)
Contro chi nega i più elementari princìpi, si può argomentare solo a randellate.
Contro chi nega i più elementari princìpi, si può argomentare solo a randellate.
lunedì 27 ottobre 2014
Turni e scansafatiche
E così ci dividemmo i turni. Ma naturalmente il superiore era sempre fuori per impegni pastorali. Il suo prediletto, per imprecisati motivi di salute, scansava tutte le fatiche e faceva male quelle che non gli piacevano. Noialtri ci dovevamo dividere gli assegni mancati.
Uno dei giovani preti era pure impegnato negli studi, per cui cominciò a saltare i suoi turni. La prima volta ne fui seccato: la seccatura però mi fece riflettere e perciò cominciai spontaneamente a impegnarmi al posto suo. Non so se si sia mai veramente accorto del mio gesto, poiché il chiedermi spiegazioni sarebbe stato un autoaccusarsi. Quando avrebbe potuto darci una mano per le pulizie, gli dicevo: no, ci penso io, no, siamo già organizzati, non preoccuparti, torna pure a studiare. Feci perfino un po' di fatica a fargli capire che ero sincero. Volevo contemporaneamente liberare di un inutile peso un sacerdote e nel frattempo creare abbastanza "incidenti di percorso" per far notare al superiore che erano più i privilegiati esonerati (chi per un valido motivo, chi no), che gli effettivi impegnati.
Naturalmente il superiore stesso, tutto preso nel concedere favori e privilegi al suo prediletto, fece finta di niente. Troppo comodo farci sgobbare come schiavi ostentando perfino l'alibi di credere che i turni venissero rispettati. In nome del suo giovanotto prediletto era disposto a chiudere non uno ma due occhi sul fatto che anche il giovane prete (che non godeva certo delle sue simpatie) scansasse i turni di servizio.
Contrariamente a quanto recitano gli untuosi libretti devozionali settecenteschi, la Chiesa non ha bisogno di superiori sadici. Riescono non solo a devastare le comunità, ma anche ad insegnare i peggiori vizi: come quello di fare strettamente ed esclusivamente (e ostentatamente) il proprio dovere. Per di più, quando un superiore interpreta la carità come debolezza, a lungo andare non riesci più ad essere caritatevole: diventi un burocrate come gli altri. Il superiore cala la mannaia dei turni di servizio, e gli inferiori rispettano il minimo indispensabile facendo notare tutte le volte che per colpa di "qualcuno" sono costretti a faticar di più. Proprio come nei tempi d'oro dell'Unione Sovietica.
Uno dei giovani preti era pure impegnato negli studi, per cui cominciò a saltare i suoi turni. La prima volta ne fui seccato: la seccatura però mi fece riflettere e perciò cominciai spontaneamente a impegnarmi al posto suo. Non so se si sia mai veramente accorto del mio gesto, poiché il chiedermi spiegazioni sarebbe stato un autoaccusarsi. Quando avrebbe potuto darci una mano per le pulizie, gli dicevo: no, ci penso io, no, siamo già organizzati, non preoccuparti, torna pure a studiare. Feci perfino un po' di fatica a fargli capire che ero sincero. Volevo contemporaneamente liberare di un inutile peso un sacerdote e nel frattempo creare abbastanza "incidenti di percorso" per far notare al superiore che erano più i privilegiati esonerati (chi per un valido motivo, chi no), che gli effettivi impegnati.
Naturalmente il superiore stesso, tutto preso nel concedere favori e privilegi al suo prediletto, fece finta di niente. Troppo comodo farci sgobbare come schiavi ostentando perfino l'alibi di credere che i turni venissero rispettati. In nome del suo giovanotto prediletto era disposto a chiudere non uno ma due occhi sul fatto che anche il giovane prete (che non godeva certo delle sue simpatie) scansasse i turni di servizio.
Contrariamente a quanto recitano gli untuosi libretti devozionali settecenteschi, la Chiesa non ha bisogno di superiori sadici. Riescono non solo a devastare le comunità, ma anche ad insegnare i peggiori vizi: come quello di fare strettamente ed esclusivamente (e ostentatamente) il proprio dovere. Per di più, quando un superiore interpreta la carità come debolezza, a lungo andare non riesci più ad essere caritatevole: diventi un burocrate come gli altri. Il superiore cala la mannaia dei turni di servizio, e gli inferiori rispettano il minimo indispensabile facendo notare tutte le volte che per colpa di "qualcuno" sono costretti a faticar di più. Proprio come nei tempi d'oro dell'Unione Sovietica.
domenica 26 ottobre 2014
Il telefono è pubblico
Prima della diffusione dei telefonini, nei seminari c'era una cabina telefonica a gettone. Racconto un episodio della fine degli anni '90 occorso ad un seminarista che era dotato di telefonino ma si guardava bene dall'utilizzarlo in camera perché "anche i muri hanno orecchie" e perché per le telefonate urbane era più conveniente andare a gettoni.
L'episodio: un seminarista grande e grosso picchiò col pugno sulla cabina telefonica gridando: "il telefono è pubblico!" poiché il malcapitato era giunto già al quinto minuto di telefonata. Il malcapitato era del primo anno, e perciò non conosceva ancora i nomi del centinaio di seminaristi: per denunciare l'accaduto al rettore avrebbe dovuto chiedere aiuto, cioè vincere il muro di omertà (solo dopo avrebbe scoperto che quel ragazzone alto e grosso era il responsabile dei turni, capace di piantarti in servizio liturgico in tutte le occasioni più rognose, come le fastidiose celebrazioni solenni in tempo di esami o a ridosso delle vacanze).
L'aria di seminario è come quella delle caserme militari poco prima che i generali chiedessero l'abolizione della leva obbligatoria: episodi di nonnismo, di mobbing, di dispettini e vendettine infantili, di omertà... il seminario a prima vista sembra solo un college di ragazzini (età anagrafica: adulti e magari anche sopra i trent'anni; età mentale: tredicenni; dose di malizia: da alcolisti cinquantenni navigati).
Si entra in seminario tutti pieni di belle speranze, e poi l'ossessiva necessità di non sfigurare coi superiori genera il circolo vizioso: tutti nemici di tutti, tutti controllori di tutti, tutti a fingere devozione ed entusiasmo per ciò che va di moda al momento... e così il seminario diventa un casermone di apparenza sdolcinata.
L'episodio: un seminarista grande e grosso picchiò col pugno sulla cabina telefonica gridando: "il telefono è pubblico!" poiché il malcapitato era giunto già al quinto minuto di telefonata. Il malcapitato era del primo anno, e perciò non conosceva ancora i nomi del centinaio di seminaristi: per denunciare l'accaduto al rettore avrebbe dovuto chiedere aiuto, cioè vincere il muro di omertà (solo dopo avrebbe scoperto che quel ragazzone alto e grosso era il responsabile dei turni, capace di piantarti in servizio liturgico in tutte le occasioni più rognose, come le fastidiose celebrazioni solenni in tempo di esami o a ridosso delle vacanze).
L'aria di seminario è come quella delle caserme militari poco prima che i generali chiedessero l'abolizione della leva obbligatoria: episodi di nonnismo, di mobbing, di dispettini e vendettine infantili, di omertà... il seminario a prima vista sembra solo un college di ragazzini (età anagrafica: adulti e magari anche sopra i trent'anni; età mentale: tredicenni; dose di malizia: da alcolisti cinquantenni navigati).
Si entra in seminario tutti pieni di belle speranze, e poi l'ossessiva necessità di non sfigurare coi superiori genera il circolo vizioso: tutti nemici di tutti, tutti controllori di tutti, tutti a fingere devozione ed entusiasmo per ciò che va di moda al momento... e così il seminario diventa un casermone di apparenza sdolcinata.
Vita liturgica in seminario
Oh, no! Il momento più tragico della settimana: la domenica pomeriggio, l'ora di rientrare in seminario.
Si ricomincia con quei vespri trascinati e interminabili... domattina le lodi altrettanto lente e la meditazione obbligatoria (cioè permanere in cappella sotto lo sguardo vigile e pignolo dell'animatore: e guai se scorge una tua espressione del volto che non sia di feconda spiritualità sospirante e riflessiva)... alle 12:30 l'ora media col freno a mano innestato... la preghiera prima del pasto con l'omelia del rettore... l'incontrino per "preparare" la liturgia solenne della sera (solenne, cioè al rallentatore: guai se dura meno di un'ora e mezza, perché deve contenere anche i vespri), ovviamente obbligatorio per tutti, perché bisogna distribuire quanti più incarichi è possibile e bisogna fare qualche "prova di canto" di quelle sbobbe parrocchiarde inascoltabili... e quindi la messa alla moviola, con i canti fracassoni e svogliati, con la sfilata di moda dei doni all'altare, con l'incaricato dei "segni" (cioè cartelloni e idiozie varie), l'incaricato della sagrestia, l'incaricato del coro, l'incaricato della processione d'ingresso... e per non farci mancare nulla, anche la compieta diocesana, affinché fuori si sappia che noialtri siam bravi ragazzi che «curiamo anche la diocesanità» (un gesto ipocrita perché tutti ne faremmo volentieri a meno, ma nessuno è così autolesionista da farlo notare)...
Sembra che tutti i nostri formatori vogliano che si pensi che in seminario le giornate durano davvero 48 ore ciascuna. La breve liturgia delle lodi (due salmi e un cantico) si riesce a farla durare normalmente 50 minuti, cantando e cantillando in slow motion i salmi, aggiungendo le "invocazioni" personali (trasformandole in "preghiere dei fedeli", ossia in omelie personali: e guai se non ci sono almeno cinque o sei volontari a sciorinare qualche trita banalità politically correct nominando "il Signore" alla fine), facendo una considerevole pausa di meditazione silenziosa dopo la lettura del versetto, e concludendo con un supplemento di preghierine "invocatorie" (cioè un'altra razione di banalità clerically correct), e guai a chi esce subito dalla cappella.
La stessa scena fantozziana si ripete all'ora della celebrazione dei vespri: e pensare che la riforma liturgica aveva drasticamente ridotto la liturgia delle ore da nove salmi a due salmi (opportunamente accorciati) e un cantico, proprio perché i novatori non avevano più voglia di pregare. In seminario la liturgia farraginosa ottiene solo due risultati: da un lato ti fanno odiare il breviario, dall'altro ti insegnano l'ipocrisia (pregare da soli i vespri in cinque o sei minuti, e però se si è in compagnia li si trascina per almeno mezz'ora per sentirsi poi dire: "ma come sei frettoloso").
L'altra bislacca invenzione è la messa con le lodi incorporate: dopo il segno della croce si attacca coi salmi per poi proseguire con le letture della messa, le invocazioni diventano la preghiera dei fedeli, il Benedictus o il Magnificat cantato prima della benedizione, un guazzabuglio liturgico non autorizzato da nessuno, che consolida l'idea che i futuri preti possono sperimentare e inventare: se in seminario si faceva così, perché mai non dovremmo fare cosà?
Tutto questo avviene ogni santo giorno: i giorni "feriali" trasformati in "feste" liturgiche - per un santo di cui si apprende l'esistenza solo scavando nella sezione apposita del breviario, all'improvviso si organizza una liturgia obesa e gonfiata: paramenti bianchi (in seminario i preti metterebbero il bianco 365 giorni l'anno, il bianco te lo fanno odiare - e comunque "paramenti", in seminario, significa "tendaggi economici riciclati a mo' di poncho messicano, ossia casula postconciliare), fiori, "segni", gesti, cartelloni, illuminazione soffusa, seduti a terra sulla moquette disposti in cerchio, canti speciali provati per l'occasione (con ulteriori 30-40 minuti di perdita supplementare per "impararli" e provarli), il responsabile delle fotocopie che si affanna a tagliare i fogli appena fotocopiati (sgrigiati dall'eccessivo uso della fotocopiatrice: a fine anno in camera occorrerà liberarsi di un mare di cartacce), anzi, sforacchiati per poterli inserire nel proprio libretto dei canti personale... affinché lo spettacolo liturgico sembri "partecipato", ognuno deve dare il suo contributo (talvolta anche economico: c'è da comprare i fiori, c'è da comprare un "segno", c'è da pagare non si sa cosa)...
Si ricomincia con quei vespri trascinati e interminabili... domattina le lodi altrettanto lente e la meditazione obbligatoria (cioè permanere in cappella sotto lo sguardo vigile e pignolo dell'animatore: e guai se scorge una tua espressione del volto che non sia di feconda spiritualità sospirante e riflessiva)... alle 12:30 l'ora media col freno a mano innestato... la preghiera prima del pasto con l'omelia del rettore... l'incontrino per "preparare" la liturgia solenne della sera (solenne, cioè al rallentatore: guai se dura meno di un'ora e mezza, perché deve contenere anche i vespri), ovviamente obbligatorio per tutti, perché bisogna distribuire quanti più incarichi è possibile e bisogna fare qualche "prova di canto" di quelle sbobbe parrocchiarde inascoltabili... e quindi la messa alla moviola, con i canti fracassoni e svogliati, con la sfilata di moda dei doni all'altare, con l'incaricato dei "segni" (cioè cartelloni e idiozie varie), l'incaricato della sagrestia, l'incaricato del coro, l'incaricato della processione d'ingresso... e per non farci mancare nulla, anche la compieta diocesana, affinché fuori si sappia che noialtri siam bravi ragazzi che «curiamo anche la diocesanità» (un gesto ipocrita perché tutti ne faremmo volentieri a meno, ma nessuno è così autolesionista da farlo notare)...
Sembra che tutti i nostri formatori vogliano che si pensi che in seminario le giornate durano davvero 48 ore ciascuna. La breve liturgia delle lodi (due salmi e un cantico) si riesce a farla durare normalmente 50 minuti, cantando e cantillando in slow motion i salmi, aggiungendo le "invocazioni" personali (trasformandole in "preghiere dei fedeli", ossia in omelie personali: e guai se non ci sono almeno cinque o sei volontari a sciorinare qualche trita banalità politically correct nominando "il Signore" alla fine), facendo una considerevole pausa di meditazione silenziosa dopo la lettura del versetto, e concludendo con un supplemento di preghierine "invocatorie" (cioè un'altra razione di banalità clerically correct), e guai a chi esce subito dalla cappella.
La stessa scena fantozziana si ripete all'ora della celebrazione dei vespri: e pensare che la riforma liturgica aveva drasticamente ridotto la liturgia delle ore da nove salmi a due salmi (opportunamente accorciati) e un cantico, proprio perché i novatori non avevano più voglia di pregare. In seminario la liturgia farraginosa ottiene solo due risultati: da un lato ti fanno odiare il breviario, dall'altro ti insegnano l'ipocrisia (pregare da soli i vespri in cinque o sei minuti, e però se si è in compagnia li si trascina per almeno mezz'ora per sentirsi poi dire: "ma come sei frettoloso").
L'altra bislacca invenzione è la messa con le lodi incorporate: dopo il segno della croce si attacca coi salmi per poi proseguire con le letture della messa, le invocazioni diventano la preghiera dei fedeli, il Benedictus o il Magnificat cantato prima della benedizione, un guazzabuglio liturgico non autorizzato da nessuno, che consolida l'idea che i futuri preti possono sperimentare e inventare: se in seminario si faceva così, perché mai non dovremmo fare cosà?
Tutto questo avviene ogni santo giorno: i giorni "feriali" trasformati in "feste" liturgiche - per un santo di cui si apprende l'esistenza solo scavando nella sezione apposita del breviario, all'improvviso si organizza una liturgia obesa e gonfiata: paramenti bianchi (in seminario i preti metterebbero il bianco 365 giorni l'anno, il bianco te lo fanno odiare - e comunque "paramenti", in seminario, significa "tendaggi economici riciclati a mo' di poncho messicano, ossia casula postconciliare), fiori, "segni", gesti, cartelloni, illuminazione soffusa, seduti a terra sulla moquette disposti in cerchio, canti speciali provati per l'occasione (con ulteriori 30-40 minuti di perdita supplementare per "impararli" e provarli), il responsabile delle fotocopie che si affanna a tagliare i fogli appena fotocopiati (sgrigiati dall'eccessivo uso della fotocopiatrice: a fine anno in camera occorrerà liberarsi di un mare di cartacce), anzi, sforacchiati per poterli inserire nel proprio libretto dei canti personale... affinché lo spettacolo liturgico sembri "partecipato", ognuno deve dare il suo contributo (talvolta anche economico: c'è da comprare i fiori, c'è da comprare un "segno", c'è da pagare non si sa cosa)...
mercoledì 22 ottobre 2014
La vocazione a fare gli sguatteri?
Ogni volta che entravo in una comunità mi proponevo di mettere subito al corrente i miei superiori del mio stato di salute e del mio livello culturale, in modo da essere il più utile possibile fin dal primo giorno. Credevo che tutti sapessero che certe combinazioni di fisico e intelletto fossero inadatte a certi obiettivi e adattissime ad altri. Mi illudevo che per le attività comunitarie bastasse il "si fa quel che si può", ringraziando la Provvidenza per i singoli doni ricevuti. Se tutti sono diabetici, allora non c'è bisogno di comprar zucchero, no?
Invece, in ogni comunità, vigeva la fissazione delle caserme: «faccia un passo avanti chi tra voi è esperto di computer... OK: andate a lavare i cessi!» Cioè la necessità di appiattire tutti sulle stesse mansioni, e in particolar modo di umiliare inutilmente le reclute col falsissimo alibi dell'addestrarle e -peggio- di insegnar loro l'umiltà. Gradassi e arroganti che pretendono di insegnare l'umiltà (e poi ci si lamenta della tracotanza e dell'ipocrisia dei preti giovani: se per anni e anni di seminario hanno sempre avuto solo quegli esempi...) Tutto questo dietro l'alibi della necessità di un po' di lavoro manuale.
Episodio 1.
Quando mi presentai al primo colloquio di ammissione per il seminario maggiore, nel raccontare la mia vita dissi che ero laureato. Il gesuitico gesuitante che conduceva il colloquio-interrogatorio mi chiese, con aria da vipera pronta a mordere la preda, se io fossi disponibile anche a lavare i piatti. Risposi con naturalezza: «se lo fanno gli altri, non vedo perché non dovrei farlo anch'io». Il gesuitante gesuitico smorzò il sorrisetto ma evidentemente la risposta era sufficiente per passare il test. E pensare che era già sicuro di avermi colto in castagna...
Episodio 2.
Con un sorriso incredibilmente ampio mi segnalarono un giovane aspirante che era capace di rammendare e risistemare paramenti liturgici. "E' capace perfino di confezionarti una talare", disse il pretonzolo con sguardo giulivo e filo di bava che gli pendeva da un angolo della bocca. Capii subito che per entrare in certe comunità (come ad esempio quella lì) non c'è bisogno della vocazione: basta solo saper dimostrare di voler lavorare gratis in mansioni utili a preti sfaticati. Ossia cuciniere-lavapiatti-sarto-pulitore.
Invece, in ogni comunità, vigeva la fissazione delle caserme: «faccia un passo avanti chi tra voi è esperto di computer... OK: andate a lavare i cessi!» Cioè la necessità di appiattire tutti sulle stesse mansioni, e in particolar modo di umiliare inutilmente le reclute col falsissimo alibi dell'addestrarle e -peggio- di insegnar loro l'umiltà. Gradassi e arroganti che pretendono di insegnare l'umiltà (e poi ci si lamenta della tracotanza e dell'ipocrisia dei preti giovani: se per anni e anni di seminario hanno sempre avuto solo quegli esempi...) Tutto questo dietro l'alibi della necessità di un po' di lavoro manuale.
Episodio 1.
Quando mi presentai al primo colloquio di ammissione per il seminario maggiore, nel raccontare la mia vita dissi che ero laureato. Il gesuitico gesuitante che conduceva il colloquio-interrogatorio mi chiese, con aria da vipera pronta a mordere la preda, se io fossi disponibile anche a lavare i piatti. Risposi con naturalezza: «se lo fanno gli altri, non vedo perché non dovrei farlo anch'io». Il gesuitante gesuitico smorzò il sorrisetto ma evidentemente la risposta era sufficiente per passare il test. E pensare che era già sicuro di avermi colto in castagna...
Episodio 2.
Con un sorriso incredibilmente ampio mi segnalarono un giovane aspirante che era capace di rammendare e risistemare paramenti liturgici. "E' capace perfino di confezionarti una talare", disse il pretonzolo con sguardo giulivo e filo di bava che gli pendeva da un angolo della bocca. Capii subito che per entrare in certe comunità (come ad esempio quella lì) non c'è bisogno della vocazione: basta solo saper dimostrare di voler lavorare gratis in mansioni utili a preti sfaticati. Ossia cuciniere-lavapiatti-sarto-pulitore.
domenica 19 ottobre 2014
Quello che si sentiva sporco dentro
Mi disse di spazzare il pavimento del refettorio. Risposi «sì» e mi avviai a prendere la scopa, ma lui proseguì come se io avessi detto "è inutile". Disse: «ci sono le briciole, c'è tutto sporco». Il pavimento invece era già pulito.
Con pazienza certosina spazzai con cura ogni angolo, lottando contro la stanchezza, a caccia dello sporco invisibile. Appena ebbi terminato, il soggetto di cui sopra tornò imperioso: «ma non hai spazzato niente! c'è ancora sporco, lì sotto quella sedia! ripulisci per bene tutta quella parte». Nemmeno con un binocolo al laser si riuscirebbe a vedere una briciola a sette metri di distanza, ma per spirito di ubbidienza e di penitenza tornai ugualmente a ripulire quello sporco immaginario, sperando di notare almeno una briciola di polvere.
Sotto la scopa non restò nulla. Naturalmente il kapò tornò per lamentarsi che avevo pulito male. Non aggiunsi nulla e mi sforzai di rimanere il più possibile naturale. Qualsiasi cosa avrebbe potuto essere usata contro di me. Un sorriso sarebbe stato interpretato come sarcasmo. Un'espressione qualsiasi sarebbe stata interpretata come dispetto e disubbidienza. Mi sforzai di somigliare alla mia ombra inespressiva sul muro. Finalmente il preposito mi congedò, continuando a lamentarsi in corridoio. Aspettai ancora qualche attimo in silenzio, dandomi un'aria indaffarata per evitare guai in caso di suoi dietrofront improvvisi, e mi avviai compostamente a posare scopa e paletta.
Quello era il suo modo di mettere alla prova la mia pazienza e la mia obbedienza. Era convinto che la vita comunitaria non dovesse essere "rose e fiori" e perciò di proposito si comportava come un sadico (cosa che gli riusciva sorprendentemente bene). Era evidentemente la sua personalissima interpretazione dei libretti devozionali sette-ottocenteschi, dove per dare idea di fatiche e sacrifici i superiori delle comunità venivano descritti come sadici instancabili nel creare nuove forme di tortura per il santo di turno.
Ci volle un po' di tempo per realizzare che quel suo "mettermi alla prova" era in realtà il risultato di suoi problemi personali. Si sentiva sporco dentro e perciò era igienista fuori. Si sentiva debole dentro e perciò era prepotente fuori. Si sentiva indeciso dentro e perciò odiava chiunque avesse le idee chiare sulla propria vita. Si sentiva sporco dentro - maledettamente sporco, tremendamente sporco - e di conseguenza esigeva il pulito più brillante e candido: via! pulizie, contro-pulizie, ri-pulizie, eterne pulizie! Che naturalmente delegava ai sottoposti che non gli andavano a genio. A cominciare dal sottoscritto.
"Spazzare!" mi diceva imperiosamente, indicando con quel dito da Rasputin il refettorio lindo e pulito. Si sentiva sporco dentro e comandava continuamente pulizie fuori.
Con pazienza certosina spazzai con cura ogni angolo, lottando contro la stanchezza, a caccia dello sporco invisibile. Appena ebbi terminato, il soggetto di cui sopra tornò imperioso: «ma non hai spazzato niente! c'è ancora sporco, lì sotto quella sedia! ripulisci per bene tutta quella parte». Nemmeno con un binocolo al laser si riuscirebbe a vedere una briciola a sette metri di distanza, ma per spirito di ubbidienza e di penitenza tornai ugualmente a ripulire quello sporco immaginario, sperando di notare almeno una briciola di polvere.
Sotto la scopa non restò nulla. Naturalmente il kapò tornò per lamentarsi che avevo pulito male. Non aggiunsi nulla e mi sforzai di rimanere il più possibile naturale. Qualsiasi cosa avrebbe potuto essere usata contro di me. Un sorriso sarebbe stato interpretato come sarcasmo. Un'espressione qualsiasi sarebbe stata interpretata come dispetto e disubbidienza. Mi sforzai di somigliare alla mia ombra inespressiva sul muro. Finalmente il preposito mi congedò, continuando a lamentarsi in corridoio. Aspettai ancora qualche attimo in silenzio, dandomi un'aria indaffarata per evitare guai in caso di suoi dietrofront improvvisi, e mi avviai compostamente a posare scopa e paletta.
Quello era il suo modo di mettere alla prova la mia pazienza e la mia obbedienza. Era convinto che la vita comunitaria non dovesse essere "rose e fiori" e perciò di proposito si comportava come un sadico (cosa che gli riusciva sorprendentemente bene). Era evidentemente la sua personalissima interpretazione dei libretti devozionali sette-ottocenteschi, dove per dare idea di fatiche e sacrifici i superiori delle comunità venivano descritti come sadici instancabili nel creare nuove forme di tortura per il santo di turno.
Ci volle un po' di tempo per realizzare che quel suo "mettermi alla prova" era in realtà il risultato di suoi problemi personali. Si sentiva sporco dentro e perciò era igienista fuori. Si sentiva debole dentro e perciò era prepotente fuori. Si sentiva indeciso dentro e perciò odiava chiunque avesse le idee chiare sulla propria vita. Si sentiva sporco dentro - maledettamente sporco, tremendamente sporco - e di conseguenza esigeva il pulito più brillante e candido: via! pulizie, contro-pulizie, ri-pulizie, eterne pulizie! Che naturalmente delegava ai sottoposti che non gli andavano a genio. A cominciare dal sottoscritto.
"Spazzare!" mi diceva imperiosamente, indicando con quel dito da Rasputin il refettorio lindo e pulito. Si sentiva sporco dentro e comandava continuamente pulizie fuori.
mercoledì 15 ottobre 2014
Come per esempio certe donne...
Nella nostra epoca il lavoro è inteso come la misura di produttività di una macchina... umana.
Solo il clero non lo sa.
Episodio.
Messa del mattino alle otto. È una messa feriale ma il parroco fa anche l'omelia (pure dilungandosi parecchi minuti, e sempre per ripetere le solite trite banalità) e pretende perfino qualche canto.
Ogni santa mattina feriale, una donna, seduta sempre negli ultimi banchi, alle otto e quindici in punto si alza silenziosamente e sgattaiola via.
Ci sono poche persone alla messa feriale, per cui il parroco non tarda a notare lo strano fenomeno: nel bel mezzo dell'omelia (alle otto e quindici si è sempre in piena omelia) la donna se ne va.
Così un bel mattino, alle otto e quattordici in punto, durante l'omelia il parroco avvia una lunga divagazione staliniana contro le persone che vengono a messa ma se ne vanno senza gustarsela tutta, "come per esempio certe donne".
La donna contro cui il parroco sta tenendo la severa omelia, alle otto e quindici in punto, visibilmente arrossita, si alza e va via (mentre il parroco continua a lanciarle invettive anche dopo che è uscita) e nessuno l'ha più vista in quella chiesa.
Si trattava di una insegnante. Con un orario di lavoro preciso. Con preside e colleghi fiscali e pronti a ogni dispettino e vendettina. Circondata da gente che la considera una "macchina da insegnamento", per lei era già un gran risultato poter alzarsi un quarto d'ora prima per partecipare ad un po' di Messa prima di andare a lavorare nell'istituto là di fronte.
Non so se qualcuno lo abbia mai fatto sapere al parroco - che nel frattempo è stato promosso a parroco della cattedrale. Ma sono sicuro che quella testa pelata avrebbe risposto con impudenza: beh? non può andare ad una messa prima in un'altra parrocchia? i conventuali celebrano alle sette e trenta...
Sì, anticipare la sveglia di ulteriori cinquanta minuti (i conventuali sono a dieci minuti a piedi dalla scuola). Si fa presto a dire agli altri di rinunciare ad una preziosa ora di riposo al mattino. Si fa presto a lamentarsi di chi desidera passare un po' di tempo in chiesa prima di andare a lavorare.
Solo il clero non lo sa.
Episodio.
Messa del mattino alle otto. È una messa feriale ma il parroco fa anche l'omelia (pure dilungandosi parecchi minuti, e sempre per ripetere le solite trite banalità) e pretende perfino qualche canto.
Ogni santa mattina feriale, una donna, seduta sempre negli ultimi banchi, alle otto e quindici in punto si alza silenziosamente e sgattaiola via.
Ci sono poche persone alla messa feriale, per cui il parroco non tarda a notare lo strano fenomeno: nel bel mezzo dell'omelia (alle otto e quindici si è sempre in piena omelia) la donna se ne va.
Così un bel mattino, alle otto e quattordici in punto, durante l'omelia il parroco avvia una lunga divagazione staliniana contro le persone che vengono a messa ma se ne vanno senza gustarsela tutta, "come per esempio certe donne".
La donna contro cui il parroco sta tenendo la severa omelia, alle otto e quindici in punto, visibilmente arrossita, si alza e va via (mentre il parroco continua a lanciarle invettive anche dopo che è uscita) e nessuno l'ha più vista in quella chiesa.
Si trattava di una insegnante. Con un orario di lavoro preciso. Con preside e colleghi fiscali e pronti a ogni dispettino e vendettina. Circondata da gente che la considera una "macchina da insegnamento", per lei era già un gran risultato poter alzarsi un quarto d'ora prima per partecipare ad un po' di Messa prima di andare a lavorare nell'istituto là di fronte.
Non so se qualcuno lo abbia mai fatto sapere al parroco - che nel frattempo è stato promosso a parroco della cattedrale. Ma sono sicuro che quella testa pelata avrebbe risposto con impudenza: beh? non può andare ad una messa prima in un'altra parrocchia? i conventuali celebrano alle sette e trenta...
Sì, anticipare la sveglia di ulteriori cinquanta minuti (i conventuali sono a dieci minuti a piedi dalla scuola). Si fa presto a dire agli altri di rinunciare ad una preziosa ora di riposo al mattino. Si fa presto a lamentarsi di chi desidera passare un po' di tempo in chiesa prima di andare a lavorare.
venerdì 10 ottobre 2014
Il prediletto
Le disfatte dell'esercito austro-ungarico furono precedute da un fenomeno particolare: la vasta diffusione del peccato di sodomia fra le truppe e perfino fra gli ufficiali.
La disfatta delle divisioni del Papa è attualmente in corso grazie allo stesso fenomeno, con una leggera variante: l'altrettanto diffusa sodomia repressa, di tanti preti che magari non commettono mai materialmente un atto contro natura ma si comportano come se fosse l'ineluttabile obiettivo da conseguire un lontano giorno.
Nel mio itinerario di formazione al sacerdozio ho notato numerose volte tale fenomeno. Per anni l'ho chiamato "la sindrome del prediletto", finché non mi sono arreso all'evidenza. Con questi miei stessi occhi ho visto che ognuno dei formatori di seminari e comunità religiose ha sempre un allievo prediletto al quale perdona anticipatamente ogni marachella, e in nome del quale è disposto a sacrificare persino la propria dignità.
Episodio 1.
Quella volta i commilitoni l'avevano proprio combinata grossa. Tremavo anch'io per l'imminente punizione generale. Il superiore si avvicinò con aria minacciosa, eravamo presso la cabina telefonica. Nel gruppo dei colpevoli c'era il suo prediletto, che prese subito la parola con un piagnucoloso: "ma padre..."
In quel momento intuii tutto - come intuirono anche gli altri - ed ebbi perfino la prontezza di tirar fuori il cellulare e scattare una foto ricordo. Nella foto si vede il superiore con un sorriso mattacchione, il prediletto con un sorriso smagliante, e i commilitoni con un'espressione stupita come a dire: "possibile? l'abbiamo davvero scampata?"
Episodio 2.
Andammo dal preposito a riportare la grave malefatta del suo prediletto. Ce n'era abbastanza per espellerlo dalla comunità non una ma quattro volte. Il superiore ascoltò in silenzio, con gli occhi bassi, per tutto il tempo, forse pregando il suo Dio che la denuncia continuasse ad esprimersi in modo caritatevole e possibilista. Alla fine ci congedò senza dir nulla.
Il prediletto fu mandato a casa per pochissimi giorni. Ricomparì dopo la vacanzina allegro e pimpante.
Quattro mesi dopo il superiore trovò delle scuse per espellere dalla comunità colui che aveva denunciato il suo prediletto.
La disfatta delle divisioni del Papa è attualmente in corso grazie allo stesso fenomeno, con una leggera variante: l'altrettanto diffusa sodomia repressa, di tanti preti che magari non commettono mai materialmente un atto contro natura ma si comportano come se fosse l'ineluttabile obiettivo da conseguire un lontano giorno.
Nel mio itinerario di formazione al sacerdozio ho notato numerose volte tale fenomeno. Per anni l'ho chiamato "la sindrome del prediletto", finché non mi sono arreso all'evidenza. Con questi miei stessi occhi ho visto che ognuno dei formatori di seminari e comunità religiose ha sempre un allievo prediletto al quale perdona anticipatamente ogni marachella, e in nome del quale è disposto a sacrificare persino la propria dignità.
Episodio 1.
Quella volta i commilitoni l'avevano proprio combinata grossa. Tremavo anch'io per l'imminente punizione generale. Il superiore si avvicinò con aria minacciosa, eravamo presso la cabina telefonica. Nel gruppo dei colpevoli c'era il suo prediletto, che prese subito la parola con un piagnucoloso: "ma padre..."
In quel momento intuii tutto - come intuirono anche gli altri - ed ebbi perfino la prontezza di tirar fuori il cellulare e scattare una foto ricordo. Nella foto si vede il superiore con un sorriso mattacchione, il prediletto con un sorriso smagliante, e i commilitoni con un'espressione stupita come a dire: "possibile? l'abbiamo davvero scampata?"
Episodio 2.
Andammo dal preposito a riportare la grave malefatta del suo prediletto. Ce n'era abbastanza per espellerlo dalla comunità non una ma quattro volte. Il superiore ascoltò in silenzio, con gli occhi bassi, per tutto il tempo, forse pregando il suo Dio che la denuncia continuasse ad esprimersi in modo caritatevole e possibilista. Alla fine ci congedò senza dir nulla.
Il prediletto fu mandato a casa per pochissimi giorni. Ricomparì dopo la vacanzina allegro e pimpante.
Quattro mesi dopo il superiore trovò delle scuse per espellere dalla comunità colui che aveva denunciato il suo prediletto.
lunedì 6 ottobre 2014
Sterilità vocazionale
I preti non generano vocazioni; al più si limitano ad aspettare che arrivino, e quando ne piove una la spediscono all'ufficio competente.
Non le generano perché non le desiderano. Non ho mai visto un prete sinceramente fiero di ciò che è. Mai visto un prete che dica qualcosa tipo: la mia vita è così speciale che vorrei consigliarla a tutti i ragazzi che conosco.
Don Bosco diceva che la vocazione al sacerdozio ce l'ha un ragazzo su tre. Don Bosco se ne intendeva di vocazioni: alla sua morte, la sua opera aveva dato alla Chiesa oltre seimila vocazioni sacerdotali (senza conteggiare quelle "indirettamente" procurate).
Molti sono i chiamati (uno su tre!) ma pochi sono gli eletti. Solo che questo "pochi" si esprime con una percentuale desolante: tra i maschi italiani, solo un italiano su 650 è sacerdote. Al tempo di don Bosco la media era quasi il quadruplo (c'erano oltre 103.000 sacerdoti attivi in un'Italia di quaranta milioni di anime).
La vita sacerdotale è diventata insipida. Come si fa a pensare al sacerdozio vedendo la patetica monotonia della vita clericale? Riunioni, cartelloni, omelie insignificanti, abito e atteggiamenti da pensionato stufo della vita (specialmente tra i preti giovani!) e liturgia ridotta ad un noioso cerimoniale del buonismo.
La sterilità vocazionale è uno dei peggiori tumori della Chiesa postconciliare.
Non le generano perché non le desiderano. Non ho mai visto un prete sinceramente fiero di ciò che è. Mai visto un prete che dica qualcosa tipo: la mia vita è così speciale che vorrei consigliarla a tutti i ragazzi che conosco.
Don Bosco diceva che la vocazione al sacerdozio ce l'ha un ragazzo su tre. Don Bosco se ne intendeva di vocazioni: alla sua morte, la sua opera aveva dato alla Chiesa oltre seimila vocazioni sacerdotali (senza conteggiare quelle "indirettamente" procurate).
Molti sono i chiamati (uno su tre!) ma pochi sono gli eletti. Solo che questo "pochi" si esprime con una percentuale desolante: tra i maschi italiani, solo un italiano su 650 è sacerdote. Al tempo di don Bosco la media era quasi il quadruplo (c'erano oltre 103.000 sacerdoti attivi in un'Italia di quaranta milioni di anime).
La vita sacerdotale è diventata insipida. Come si fa a pensare al sacerdozio vedendo la patetica monotonia della vita clericale? Riunioni, cartelloni, omelie insignificanti, abito e atteggiamenti da pensionato stufo della vita (specialmente tra i preti giovani!) e liturgia ridotta ad un noioso cerimoniale del buonismo.
La sterilità vocazionale è uno dei peggiori tumori della Chiesa postconciliare.
domenica 5 ottobre 2014
Quel rettore sculettante
Vidi il padre rettore entrare nella saletta comune. Vide il giornale aperto sul tavolo. Trotterellando si avvicinò, sculettò (sculettò sul serio) canticchiando, girò una pagina di giornale e andò via tutto giulivo.
Il fatto è che un incarico importante (come l'essere per diversi anni rettore di un seminario) prelude di solito ad una promozione a vescovo. Chissà, magari qualcuno gli aveva detto qualcosa.
Se i miei avessero visto ciò che i miei occhi videro, mi avrebbero chiesto severamente: ma in che razza di chiesa-dei-ricchioni ti sei andato a infilare? non aspiravi al sacerdozio cattolico?
Il fatto è che un incarico importante (come l'essere per diversi anni rettore di un seminario) prelude di solito ad una promozione a vescovo. Chissà, magari qualcuno gli aveva detto qualcosa.
Se i miei avessero visto ciò che i miei occhi videro, mi avrebbero chiesto severamente: ma in che razza di chiesa-dei-ricchioni ti sei andato a infilare? non aspiravi al sacerdozio cattolico?
giovedì 2 ottobre 2014
Danza moderna
Il parroco più importante della zona ci portò in seminario un gruppo di ragazzi che avrebbero fatto una danza moderna.
Lo spettacolo era obbligatorio per tutti i seminaristi. Appuntamento subito dopo cena nella grande sala al pianterreno.
Trovammo le luci soffuse e le sedie disposte in ovale. Prendemmo posto. Il parroco spese due parole per dire quanto bravi fossero questi ragazzi, si sedette, e dalle casse audio cominciò una musica stranissima, senza filo conduttore, ed entrarono a piedi nudi questi cinque ragazzi fra i venti e i trent'anni, con addosso solo uno strano pantalone formato pigiamone del nonno che li copriva da poco sotto l'ombelico a poco sopra le caviglie.
I cinque si agitarono come dei mamelucchi col ballo di san Vito, e in certi stacchi della strana musica si bloccavano come statue. Dopo una mezz'oretta di agitazione, la musica improvvisamente terminò e i cinque, di nuovo fermi come statue, furono illuminati con l'accensione improvvisa di tutte le luci.
Il rettore del seminario cominciò ad applaudire, scrutando uno per uno tutti i seminaristi. Dall'altra parte il parroco grassone ugualmente scrutava. Eravamo sotto fuoco incrociato. Bisognava applaudire. Non avevamo scelta. Mi figurai mentalmente Ayrton Senna vincere il gran premio del Giappone davanti a quello sbruffone di Prost e riuscii a scaricare una lunga e convinta salva di applausi. Come in Arcipelago GULag, il rettore e il parroco annotarono coloro che applaudirono scarsamente e coloro che terminarono di applaudire per primi. Finalmente si capì che non c'era più l'obbligo di applaudire.
Il parroco, con un ghigno, mi scrutò più a lungo. Mi ero preparato la formuletta di circostanza («inusuale ma bello, interessante») nel caso mi avesse interrogato; per fortuna incrociò un altro seminarista e si intrattenne a scambiare elogi per i giovanotti danzerini che stavano andando a vestirsi. Una volta rientrato in camera, mi distesi sul letto supino, e con la faccia affondata nel cuscino (per attutire il rumore delle parole) dissi finalmente: «una cagata pazzesca».
Lo spettacolo era stato sicuramente pagato dal seminario. Pagato profumatamente, vista l'insistenza del parroco e l'obbligo di presenza. Non fui il solo - e neppure il primo - a sospettare che il parroco e altri (penso anche il rettore) provassero un piacere insano a vedere dei ragazzi seminudi "danzare". Per cautela evitai sempre di nominare l'evento, fino alla fine del seminario.
Lo spettacolo era obbligatorio per tutti i seminaristi. Appuntamento subito dopo cena nella grande sala al pianterreno.
Trovammo le luci soffuse e le sedie disposte in ovale. Prendemmo posto. Il parroco spese due parole per dire quanto bravi fossero questi ragazzi, si sedette, e dalle casse audio cominciò una musica stranissima, senza filo conduttore, ed entrarono a piedi nudi questi cinque ragazzi fra i venti e i trent'anni, con addosso solo uno strano pantalone formato pigiamone del nonno che li copriva da poco sotto l'ombelico a poco sopra le caviglie.
I cinque si agitarono come dei mamelucchi col ballo di san Vito, e in certi stacchi della strana musica si bloccavano come statue. Dopo una mezz'oretta di agitazione, la musica improvvisamente terminò e i cinque, di nuovo fermi come statue, furono illuminati con l'accensione improvvisa di tutte le luci.
Il rettore del seminario cominciò ad applaudire, scrutando uno per uno tutti i seminaristi. Dall'altra parte il parroco grassone ugualmente scrutava. Eravamo sotto fuoco incrociato. Bisognava applaudire. Non avevamo scelta. Mi figurai mentalmente Ayrton Senna vincere il gran premio del Giappone davanti a quello sbruffone di Prost e riuscii a scaricare una lunga e convinta salva di applausi. Come in Arcipelago GULag, il rettore e il parroco annotarono coloro che applaudirono scarsamente e coloro che terminarono di applaudire per primi. Finalmente si capì che non c'era più l'obbligo di applaudire.
Il parroco, con un ghigno, mi scrutò più a lungo. Mi ero preparato la formuletta di circostanza («inusuale ma bello, interessante») nel caso mi avesse interrogato; per fortuna incrociò un altro seminarista e si intrattenne a scambiare elogi per i giovanotti danzerini che stavano andando a vestirsi. Una volta rientrato in camera, mi distesi sul letto supino, e con la faccia affondata nel cuscino (per attutire il rumore delle parole) dissi finalmente: «una cagata pazzesca».
Lo spettacolo era stato sicuramente pagato dal seminario. Pagato profumatamente, vista l'insistenza del parroco e l'obbligo di presenza. Non fui il solo - e neppure il primo - a sospettare che il parroco e altri (penso anche il rettore) provassero un piacere insano a vedere dei ragazzi seminudi "danzare". Per cautela evitai sempre di nominare l'evento, fino alla fine del seminario.
sabato 27 settembre 2014
Una conferma da santa Veronica Giuliani
Maria SS.ma a S. Veronica: «Figlia, voglio che tu descriva i sette luoghi, più penosi, che stanno nell'inferno, e per chi sono.
1) Il primo è il luogo ove sta incatenato Lucifero, e con esso vi è Giuda che gli fa da sedia, e vi sono tutti quelli che sono stati seguaci di Giuda. (In diverse forme di falsità e il tradimento)
2) Il secondo è il luogo ove stanno tutti gli ecclesiastici e i prelati di santa Chiesa, poiché essendo stati elevati in dignità ed onori hanno pervertito maggiormente la fede, calpestando il sangue di Gesù Cristo, mio Figlio, con tanti enormi peccati.
3) Nel terzo luogo che tu vedesti, vi stanno tutte le anime dei religiosi e delle religiose.
4) Nel quarto vi vanno tutti i confessori, per aver ingannato le anime, loro penitenti.
5) Nel quinto, vi stanno tutte le anime dei giudici e dei governatori della giustizia.
6) Il sesto luogo, invece, è quello destinato a tutti i superiori e alle superiore della religione.
7) Nel settimo, infine, vi stanno tutti quelli che hanno voluto vivere di propria volontà e che hanno commesso ogni sorta di peccati, specie i peccati carnali » (D IV 744).
Maria SS.ma a S. Veronica: «In un rapimento, fosti portata nell'inferno per subire nuove pene e, nel tuo arrivo, vedesti che precipitavano in esso tante e tante anime, ed ognuna aveva il suo luogo di tormento.
Ti fu fatto conoscere che queste anime erano di varie nazioni, di tutte le sorte di stati, cioè di cristiani e d'infedeli, di religiose e di sacerdoti.
Quest'ultimi stanno più vicini a Lucifero, e patiscono così tanto che mente umana non può comprenderlo.
All'arrivo di queste anime, tutto l'inferno si mette in festa e, in un istante, partecipano di tutte le pene dei dannati, offendendo Dio » (D IV, 353)
1) Il primo è il luogo ove sta incatenato Lucifero, e con esso vi è Giuda che gli fa da sedia, e vi sono tutti quelli che sono stati seguaci di Giuda. (In diverse forme di falsità e il tradimento)
2) Il secondo è il luogo ove stanno tutti gli ecclesiastici e i prelati di santa Chiesa, poiché essendo stati elevati in dignità ed onori hanno pervertito maggiormente la fede, calpestando il sangue di Gesù Cristo, mio Figlio, con tanti enormi peccati.
3) Nel terzo luogo che tu vedesti, vi stanno tutte le anime dei religiosi e delle religiose.
4) Nel quarto vi vanno tutti i confessori, per aver ingannato le anime, loro penitenti.
5) Nel quinto, vi stanno tutte le anime dei giudici e dei governatori della giustizia.
6) Il sesto luogo, invece, è quello destinato a tutti i superiori e alle superiore della religione.
7) Nel settimo, infine, vi stanno tutti quelli che hanno voluto vivere di propria volontà e che hanno commesso ogni sorta di peccati, specie i peccati carnali » (D IV 744).
Maria SS.ma a S. Veronica: «In un rapimento, fosti portata nell'inferno per subire nuove pene e, nel tuo arrivo, vedesti che precipitavano in esso tante e tante anime, ed ognuna aveva il suo luogo di tormento.
Ti fu fatto conoscere che queste anime erano di varie nazioni, di tutte le sorte di stati, cioè di cristiani e d'infedeli, di religiose e di sacerdoti.
Quest'ultimi stanno più vicini a Lucifero, e patiscono così tanto che mente umana non può comprenderlo.
All'arrivo di queste anime, tutto l'inferno si mette in festa e, in un istante, partecipano di tutte le pene dei dannati, offendendo Dio » (D IV, 353)
giovedì 25 settembre 2014
L'incontrino prima delle elezioni
Così, all'improvviso, corse voce che il rettore aveva indetto un incontro per venerdì sera, dopo cena, per parlare di elezioni. Obbligatorio per tutti i seminaristi, naturalmente, con controllo delle presenze. Oh, non sarebbe stato un comizio: c'era solo un suo confratello, esterno al seminario, che ci avrebbe dato degli utili chiarimenti per le elezioni di domenica e lunedì.
Il confratello, più che da prete, era vestito come un anziano politicante da bar. Fece un comizio tutto zeppo di sottintesi e allusioni per dire che... bisognava votare a sinistra. Ogni volta che alludeva alla sinistra, il rettore del seminario sorrideva compiaciuto stringendosi le mani. Proprio sinistra-sinistra, mica i populisti, che orrore, mica la destra, che vergogna, mica l'estrema sinistra.
L'omelia terminò dopo un'ora e mezza e finalmente ci comandarono l'applauso di circostanza. Durò pochi secondi soltanto, e fu piuttosto un gesto di liberazione, di chi non vuole perdere altro tempo. Anche i seminaristi più sinistrorsi (cioè la maggioranza) avevano una faccia da Corazzata Kotiomkin con sottotitoli in cecoslovacco e una malrepressa fretta di svignarsela dalla sala. Il rettore mostrò una breve smorfia di disappunto nel vedere che l'applauso era durato pochi secondi soltanto.
Il confratello, più che da prete, era vestito come un anziano politicante da bar. Fece un comizio tutto zeppo di sottintesi e allusioni per dire che... bisognava votare a sinistra. Ogni volta che alludeva alla sinistra, il rettore del seminario sorrideva compiaciuto stringendosi le mani. Proprio sinistra-sinistra, mica i populisti, che orrore, mica la destra, che vergogna, mica l'estrema sinistra.
L'omelia terminò dopo un'ora e mezza e finalmente ci comandarono l'applauso di circostanza. Durò pochi secondi soltanto, e fu piuttosto un gesto di liberazione, di chi non vuole perdere altro tempo. Anche i seminaristi più sinistrorsi (cioè la maggioranza) avevano una faccia da Corazzata Kotiomkin con sottotitoli in cecoslovacco e una malrepressa fretta di svignarsela dalla sala. Il rettore mostrò una breve smorfia di disappunto nel vedere che l'applauso era durato pochi secondi soltanto.
domenica 21 settembre 2014
Due Grandi Misteri della Vita
Mistero laicale: perché mai l'ipermercato ha venti casse ma ne tiene aperte solo tre?
Mistero ecclesiale: perché mai il santuario ha venti confessionali ma ne sono attivi solo tre?
Mistero ecclesiale: perché mai il santuario ha venti confessionali ma ne sono attivi solo tre?
giovedì 18 settembre 2014
C'era poi un seminarista ciccione...
...Ciccione non perché fosse il più grasso di tutti, ma perché viveva come il gatto di casa: mangiare, cagare, dormire, la sera telefonatina a mammà per raccontarle cosa aveva mangiato, e per tutto il resto presenziare quel tanto che basta in attesa del prossimo pasto. I primi tempi uno dei miei commilitoni, con perfidia tutta da seminarista, inventò un jingle sulle note di una canzonetta parrocchiarda, cantandolo così: «Nooome Cognooome, mangia, beve e caga!»
Ad essere onesti quel trattamento se l'era proprio cercato, evitando di nascondere la sua ingordigia. Ma nei seminari quello che ti segna per sempre è l'impressione che dai nei primissimi giorni del primissimo anno. E lui il primo pomeriggio in seminario girava per i corridoi con un pigiamone da nonno (non gli avevano spiegato che il seminario non è come la casa di mammà).
Dopo averlo difeso due o tre volte da qualche episodio di bullismo da seminario, me lo ritrovai attaccato peggio di una medusa. Cercai di fargli capire che il fatto di difenderlo non significava volerlo tra i piedi ogni ora del giorno. Resistei a lungo alla tentazione di prenderlo in giro. Una volta venne a perdere tempo in camera mia. Mentre ero girato, si strafogò gli ultimi preziosi cioccolatini che avevo sul ripiano della libreria, che mi erano stati donati da una anziana donna della parrocchia (che voleva addirittura baciarmi le mani, tanta era la sua devozione al sacerdozio e dunque per estensione anche ai seminaristi). Siccome era povera (e i cioccolatini di un certo valore), mi sembrava ingiusto mangiarli tutti in un sol colpo. Con un gesto tra l'ingenuo e il liturgico, mi ero riproposto di mangiarne solo uno al giorno. Il ciccione violò quel santuario della cioccolata vocazionale. "Ma che hai fatto?!" gli dissi allarmato. E lui, con l'aria di chi si vede negare un diritto acquisito, rispose: "ma erano qui per essere consumati". E fu così che - bonariamente, molto bonariamente - mi autorizzai a prenderlo in giro nei momenti in cui avessi ritenuto necessario farlo.
Mi accorsi successivamente che anche il prete animatore e perfino il rettore del seminario si lasciavano sfuggire allusioni al ciccione (cioè si stavano preparando per cacciarlo via dal seminario).
Per problemi di salute il ciccione non si presentò alla vacanza del secondo anno di seminario (nel mese di luglio). La prima sera, durante un momento goliardico nella camerata, imitando la sua goffa voce dissi l'indicibile: «mamma! la comunità mi prende in giro! il prete animatore mi prende in giro! il rettore mi prende in giro! mamma! questi vogliono farmi fuori!»
La gigantesca risata generale fu interrotta all'improvviso: sbucò dalla porta il prete animatore che con una voce gelida e tagliente come un'affilata lama di ghiaccio e un torvo sguardo staliniano disse: «qui nessuno vuole far fuori nessuno».
Infatti il ciccione fu fatto fuori pochi giorni dopo, tra fine luglio e inizio agosto. Ufficialmente gli era stato consigliato (cioè decretato irreversibilmente) un periodo di riflessione (cioè era stato cacciato via dal seminario). Il periodo di riflessione, nei seminari italiani, consiste nel fatto che ufficialmente stai "riflettendo" sulla tua vocazione stando fuori dal seminario, praticamente la "riflessione" non te la faranno finire mai.
Ad essere onesti quel trattamento se l'era proprio cercato, evitando di nascondere la sua ingordigia. Ma nei seminari quello che ti segna per sempre è l'impressione che dai nei primissimi giorni del primissimo anno. E lui il primo pomeriggio in seminario girava per i corridoi con un pigiamone da nonno (non gli avevano spiegato che il seminario non è come la casa di mammà).
Dopo averlo difeso due o tre volte da qualche episodio di bullismo da seminario, me lo ritrovai attaccato peggio di una medusa. Cercai di fargli capire che il fatto di difenderlo non significava volerlo tra i piedi ogni ora del giorno. Resistei a lungo alla tentazione di prenderlo in giro. Una volta venne a perdere tempo in camera mia. Mentre ero girato, si strafogò gli ultimi preziosi cioccolatini che avevo sul ripiano della libreria, che mi erano stati donati da una anziana donna della parrocchia (che voleva addirittura baciarmi le mani, tanta era la sua devozione al sacerdozio e dunque per estensione anche ai seminaristi). Siccome era povera (e i cioccolatini di un certo valore), mi sembrava ingiusto mangiarli tutti in un sol colpo. Con un gesto tra l'ingenuo e il liturgico, mi ero riproposto di mangiarne solo uno al giorno. Il ciccione violò quel santuario della cioccolata vocazionale. "Ma che hai fatto?!" gli dissi allarmato. E lui, con l'aria di chi si vede negare un diritto acquisito, rispose: "ma erano qui per essere consumati". E fu così che - bonariamente, molto bonariamente - mi autorizzai a prenderlo in giro nei momenti in cui avessi ritenuto necessario farlo.
Mi accorsi successivamente che anche il prete animatore e perfino il rettore del seminario si lasciavano sfuggire allusioni al ciccione (cioè si stavano preparando per cacciarlo via dal seminario).
Per problemi di salute il ciccione non si presentò alla vacanza del secondo anno di seminario (nel mese di luglio). La prima sera, durante un momento goliardico nella camerata, imitando la sua goffa voce dissi l'indicibile: «mamma! la comunità mi prende in giro! il prete animatore mi prende in giro! il rettore mi prende in giro! mamma! questi vogliono farmi fuori!»
La gigantesca risata generale fu interrotta all'improvviso: sbucò dalla porta il prete animatore che con una voce gelida e tagliente come un'affilata lama di ghiaccio e un torvo sguardo staliniano disse: «qui nessuno vuole far fuori nessuno».
Infatti il ciccione fu fatto fuori pochi giorni dopo, tra fine luglio e inizio agosto. Ufficialmente gli era stato consigliato (cioè decretato irreversibilmente) un periodo di riflessione (cioè era stato cacciato via dal seminario). Il periodo di riflessione, nei seminari italiani, consiste nel fatto che ufficialmente stai "riflettendo" sulla tua vocazione stando fuori dal seminario, praticamente la "riflessione" non te la faranno finire mai.
mercoledì 17 settembre 2014
Quelle volte in cui è un dovere di coscienza
«La dottrina cattolica ci insegna però che il Papa è infallibile solo a determinate condizioni e che può commettere errori, nel campo ad esempio, della politica ecclesiastica, delle scelte strategiche, dell’azione pastorale e perfino del magistero ordinario. In questo caso non è un peccato, ma un dovere di coscienza per un cattolico rimarcarlo, purché lo faccia con tutto il rispetto e l’amore che si deve al Sommo Pontefice. Così fecero i santi, che devono essere il nostro modello di vita.
La Chiesa lascia questa libertà di critica ai suoi figli e non pecca chi, con la dovuta riverenza, sottolinea le mancanze delle gerarchie ecclesiastiche. Pecca invece chi tace, per viltà o conformismo. Il dramma della Chiesa di oggi sta proprio nella paura dei sacerdoti e dei vescovi, che costituiscono la pars electa della Chiesa, di denunciare la terribile crisi in atto, di risalire alle cause, di proporre rimedi.»
[De Mattei 13 febbraio 2014]
La Chiesa lascia questa libertà di critica ai suoi figli e non pecca chi, con la dovuta riverenza, sottolinea le mancanze delle gerarchie ecclesiastiche. Pecca invece chi tace, per viltà o conformismo. Il dramma della Chiesa di oggi sta proprio nella paura dei sacerdoti e dei vescovi, che costituiscono la pars electa della Chiesa, di denunciare la terribile crisi in atto, di risalire alle cause, di proporre rimedi.»
[De Mattei 13 febbraio 2014]
martedì 16 settembre 2014
Qualche breve nota sulla Prima Messa
Fino a non troppi anni fa (indovinate quanti), era pia e diffusissima credenza che il Signore infallibilmente concedesse al novello sacerdote la particolare grazia che quest'ultimo domandava nella sua prima Messa.
La prima Messa: il momento in cui i cieli si schiudono per opera di un altro sacerdote, che si aggiunge alla mai abbastanza folta schiera (la messe è molta, gli operai sono pochi) di coloro che efficacemente compiono il Sacrificio gradito a Dio, efficacemente perché è stato Gesù Cristo stesso a comandarlo.
Celebra hanc missam ut primam, ut unicam, ut ultimam, si raccomandava fino a non troppi anni fa (indovinate quanti). Celebra questa Messa come se fosse l'ultima della tua vita, con la quale ti presenterai al giudizio di colui che ti ha voluto Sacerdote. Celebra come se fosse l'unica Messa della tua vita, come se prima e dopo tu non avessi avuto alcuna opportunità. E celebrala come se fosse la tua prima Messa, quella col cuore traboccante di gioia in cui connetti il Cielo e la terra, quella in cui il Signore prenderà a cuore la grande grazia che osi domandargli.
La prima Messa: il momento in cui i cieli si schiudono per opera di un altro sacerdote, che si aggiunge alla mai abbastanza folta schiera (la messe è molta, gli operai sono pochi) di coloro che efficacemente compiono il Sacrificio gradito a Dio, efficacemente perché è stato Gesù Cristo stesso a comandarlo.
Celebra hanc missam ut primam, ut unicam, ut ultimam, si raccomandava fino a non troppi anni fa (indovinate quanti). Celebra questa Messa come se fosse l'ultima della tua vita, con la quale ti presenterai al giudizio di colui che ti ha voluto Sacerdote. Celebra come se fosse l'unica Messa della tua vita, come se prima e dopo tu non avessi avuto alcuna opportunità. E celebrala come se fosse la tua prima Messa, quella col cuore traboccante di gioia in cui connetti il Cielo e la terra, quella in cui il Signore prenderà a cuore la grande grazia che osi domandargli.
lunedì 8 settembre 2014
Le vere preoccupazioni di certi preti
Una sera stavo devotamente servendo Messa. Una Messa feriale, in un periodo dell'anno poco affollato. Ci saranno stati cinque o sei fedeli al massimo.
Ero lì in ginocchio accanto all'altare, a mani giunte, in attesa di ricevere la santa Comunione. Il celebrante finalmente mi si avvicina, si ferma davanti a me. Prende una particola dalla pisside. Quella candida particola è il Corpo di Cristo, lì tra le sue dita c'è il Corpo di Cristo, a me peccatore - che d'istinto quasi griderei «Signore, allontanati da me che sono peccatore» - viene concesso l'onore della sua Presenza, i miei occhi già pregustano quella Comunione con Lui che sarebbe avvenuta di lì ad un attimo, mangiare il Pane di vita eterna, un anticipo del Paradiso... Mio Signore e mio Dio!
Mentre ancora teneva tra le dita la particola, tentando di non alzar troppo la voce, quella checca del pretonzolo mi dice istericamente: «ma il cestino delle offerte non è stato fatto girare?»
Ero lì in ginocchio accanto all'altare, a mani giunte, in attesa di ricevere la santa Comunione. Il celebrante finalmente mi si avvicina, si ferma davanti a me. Prende una particola dalla pisside. Quella candida particola è il Corpo di Cristo, lì tra le sue dita c'è il Corpo di Cristo, a me peccatore - che d'istinto quasi griderei «Signore, allontanati da me che sono peccatore» - viene concesso l'onore della sua Presenza, i miei occhi già pregustano quella Comunione con Lui che sarebbe avvenuta di lì ad un attimo, mangiare il Pane di vita eterna, un anticipo del Paradiso... Mio Signore e mio Dio!
Mentre ancora teneva tra le dita la particola, tentando di non alzar troppo la voce, quella checca del pretonzolo mi dice istericamente: «ma il cestino delle offerte non è stato fatto girare?»
sabato 6 settembre 2014
Tazzine di vino
Nel secondo anno di seminario avevamo una saletta comune accanto alla cappella. Nella sala c'erano sia tazzine e macchinetta del caffè, sia l'armadietto-sagrestia con ceri, vino e ostie.
Tra i miei compagni di seminario c'era un ciccione che negli orari in cui nessuno lo vedeva andava nella sala, prendeva una tazzina da caffè, vi versava del vino da Messa (che è più saporito del vino da tavola), trangugiava col mignolo alzato, sciacquava la tazzina e rientrava in camera.
La sua fortuna fu che le bottiglie di vino da Messa avevano diverse provenienze. Quando l'economo del seminario non c'era, si chiedeva al rettore. Quando non c'era nemmeno il rettore, si chiedeva ad un altro addetto (e nella fretta del momento non si annotava troppo chi prendeva cosa). Talvolta ne ricevevamo una in regalo per tramite del prete animatore.
Tanto andò la gatta al lardo che ci lasciò lo zampino: una volta, in sala comune, colsi il ciccione in flagrante. "Ma cosa fai?!" gli chiesi, spaventato più dall'idea di una sgridata "comunitaria" che dall'ingordigia.
E lui: "niente, ne vuoi un po' anche tu? è buono!"
Restai in silenzio per qualche attimo, costruendo mentalmente la risposta più furiosa possibile. Ma prima che potessi aprir bocca entrò un altro commilitone - di quelli più chiacchieroni - e gli disse qualcosa come: "ma allora sei stato tu!" Evidentemente già si sapeva da tempo. Il sacrista aveva già preso qualche sgridata per la frequenza con cui si riforniva di vino da Messa.
Quella stessa sera, alla Messa comunitaria, il rettore fece una lunga omelia sul non sprecare le risorse del seminario. Tutti gli sguardi, ridacchiosi, erano naturalmente rivolti al ciccione, che con compostezza faceva finta di nulla. Si direbbe che il rettore si sia dilungato di proposito.
Il ciccione ovviamente fu fatto fuori durante l'estate (per motivi simili a questo), qualche settimana dopo che l'equipe formativa del seminario aveva salutato tutti dicendo: "buone vacanze, ci rivediamo a settembre".
Tra i miei compagni di seminario c'era un ciccione che negli orari in cui nessuno lo vedeva andava nella sala, prendeva una tazzina da caffè, vi versava del vino da Messa (che è più saporito del vino da tavola), trangugiava col mignolo alzato, sciacquava la tazzina e rientrava in camera.
La sua fortuna fu che le bottiglie di vino da Messa avevano diverse provenienze. Quando l'economo del seminario non c'era, si chiedeva al rettore. Quando non c'era nemmeno il rettore, si chiedeva ad un altro addetto (e nella fretta del momento non si annotava troppo chi prendeva cosa). Talvolta ne ricevevamo una in regalo per tramite del prete animatore.
Tanto andò la gatta al lardo che ci lasciò lo zampino: una volta, in sala comune, colsi il ciccione in flagrante. "Ma cosa fai?!" gli chiesi, spaventato più dall'idea di una sgridata "comunitaria" che dall'ingordigia.
E lui: "niente, ne vuoi un po' anche tu? è buono!"
Restai in silenzio per qualche attimo, costruendo mentalmente la risposta più furiosa possibile. Ma prima che potessi aprir bocca entrò un altro commilitone - di quelli più chiacchieroni - e gli disse qualcosa come: "ma allora sei stato tu!" Evidentemente già si sapeva da tempo. Il sacrista aveva già preso qualche sgridata per la frequenza con cui si riforniva di vino da Messa.
Quella stessa sera, alla Messa comunitaria, il rettore fece una lunga omelia sul non sprecare le risorse del seminario. Tutti gli sguardi, ridacchiosi, erano naturalmente rivolti al ciccione, che con compostezza faceva finta di nulla. Si direbbe che il rettore si sia dilungato di proposito.
Il ciccione ovviamente fu fatto fuori durante l'estate (per motivi simili a questo), qualche settimana dopo che l'equipe formativa del seminario aveva salutato tutti dicendo: "buone vacanze, ci rivediamo a settembre".
martedì 2 settembre 2014
Adorazione new age
Finalmente alle 18:05 giunse il viceparroco. Si paludò in fretta in sagrestia e, ancora non pronto, fece un cenno con la mano attraverso lo spazio della porta per indicare che stava per entrare. Solo che non c'era l'organista, destinatario di quel gesto.
Il pretonzolo allora afferra lo stereo boom-box, pesca un CD dal cassetto e dice di mettere il tutto ai piedi dell'altare. Faccio finta di non aver capito. Un laico alle mie spalle, invece, capisce benissimo: tutto contento di Aiutare la Chiesa a Celebrare, esegue l'ordine.
Il pretonzolo entra paludato nella navata a passo svelto, fa un frettoloso fervorino, espone il Santissimo, torna ai piedi dell'altare, si inginocchia per... accendere il boom-box col compact disc new-age (credo fosse di una certa Enya), regola il volume e poi, come se non ci fosse nulla di strano, si rialza, e rientra in sagrestia a togliersi i tendaggi da dosso mentre la musichetta "guida" l'adorazione dei fedeli.
Vedendolo svestirsi intuisco bene e quatto quatto sgattaiolo fuori. "Alla fine, quando finisce il CD, concludi tu, vado via adesso perché ho un impegno e sono in ritardo", dice il pretonzolo all'altro seminarista.
Mi chiedo cosa avranno pensato le nonnette sedute nei banchi.
sabato 30 agosto 2014
Turno di guardia
Il parroco annunciò che avrebbe lasciato la chiesa aperta tutta la notte, per i fedeli che volessero adorare anche nelle ore più strambe.
Sforzandomi di mantenere un volto inespressivo, mi figurai mentalmente mentre prendevo a pedate il parroco. Sonore pedate, ricche pedate, accanitamente ripetute e senza fare economia di scarpe. Lasciare la chiesa aperta agli sconosciuti? Con l'altare della reposizione a disposizione di sconosciuti? Ma è impazzito? E giù abbondantemente altre generose pedate.
Lui fingendosi ispirato soggiungeva che sarebbe bello se i fedeli andassero quella notte ad adorare. Lo disse non perché fautore dell'adorazione eucaristica, ma perché perennemente alla ricerca di qualche cosa esotica di cui vantarsi coi confratelli, e ancor più per dare l'impressione di essere uno moderno, ganzo, uno che escogita mille cose nuove. Un genio della Pastorale, uno di quelli che con uno schiocco di dita ideano e avviano qualche Grande Iniziativa che vada avanti da sola.
Congedò me e l'altro seminarista (praticamente ci ordinò di andare a casa, in modo che di lì a poco se ne potesse andare anche lui) e dopo una blanda insistenza per rimanere un altro po', accettai di andare via. Appena giunto a casa chiesi ai miei un passaggio in macchina per tornare in quella parrocchia ed eventualmente passare la notte lì (non dissi altro per non allarmarli). Ero disposto a fare la guardia del Corpo (di Cristo) per tutta la notte e sopperire silenziosamente alla genialata del parroco sbruffone.
Mio padre mi lasciò in piazza e se ne tornò.
Giunsi sulla stradina dove c'era il sagrato e con sorpresa (e con sollievo) scoprii che la chiesa era chiusa. Non so se qualcuno avesse fatto rinsavire il parroco oppure se uno dei laici dotati di chiave della chiesa avesse messo in moto il semplice buon senso.
Così mi incamminai a piedi verso casa (non potevo allarmare i miei). Dopo ottantacinque minuti a piedi finalmente rincasai.
mercoledì 27 agosto 2014
Che c'entra il calcio?
«...Siamo qui per salvare anime, che c’entra il calcio! ... Basta pensare alle giovani madri che si dividono tra lavoro e famiglia; agli amici che dopo essersi laureati in mezzo ai sacrifici non riescono a trovare un lavoro che li faccia felici, mentre nei conventi siamo sottratti alla dura lotta per il lavoro; ai giovani genitori costretti a svegliarsi di notte al pianto del loro figlio e che la mattina devono essere comunque al lavoro puntuali, mentre noi siamo attenti a recuperare sempre il sonno perduto. Davanti a tutto ciò un religioso che rifiuta sacrifici come potrà dirsi veramente un religioso! Come posso chiedere a delle giovani spose di accettare tutti i figli che Dio vorrà dar loro, per quanto eroismo possa costare, se non accetto io per primo sofferenze e fatiche eroiche!»
[Davide Canavesi, già fra' Ambrogio]
[Davide Canavesi, già fra' Ambrogio]
mercoledì 20 agosto 2014
Proverbi
Queste me le diceva il vicerettore del seminario (in dialetto suonano meglio):
«Fa più presto un seminarista a trovare un alibi, che una pantegana a trovare un pertugio per nascondersi».
«Seminarista, nemico di Cristo».
«Fa più presto un seminarista a trovare un alibi, che una pantegana a trovare un pertugio per nascondersi».
«Seminarista, nemico di Cristo».
mercoledì 13 agosto 2014
Siracide Trentanove Sei Isaia Quattro Quattro
La pagina dei miei appunti dal Ritiro Spirituale Diocesano del 12 maggio.
Come concretamente impostare una teologia della vita spirituale oggi.
Siracide Trentanove Sei, Isaia Quattro Quattro.
Soprattutto nella versione lucana. Luca Quattro Quattordici Sedici Trenta.
L'analisi di tutti i testi e la teologia di ciascun redattore.
C'è uno stacco redazionale voluto appositamente che crea una distanza... attraverso una chiarificazione di formule.
Cessa di essere una meta metastorica.
Perchè le nostre comunità esprimono così poca profezia?
Praticamente ci sta dando un progetto pastorale, una metodologia.
Deve ripartire, la situazione di uomo e donna, da questo spirituale. Ogni persona ha questo spirituale, questo mondo sotterraneo, ed è chiamato a confrontarsi con questa realtà.
Enucleare alcuni atteggiamenti che definirò spiritualità.
Se vai su Canale 5 e su Telemontecarlo, la confusione aumenta.
Bartolomé de Las Casas diceva che vale più un indio vivo che un battezzato morto.
Come concretamente impostare una teologia della vita spirituale oggi.
Siracide Trentanove Sei, Isaia Quattro Quattro.
Soprattutto nella versione lucana. Luca Quattro Quattordici Sedici Trenta.
L'analisi di tutti i testi e la teologia di ciascun redattore.
C'è uno stacco redazionale voluto appositamente che crea una distanza... attraverso una chiarificazione di formule.
Cessa di essere una meta metastorica.
Perchè le nostre comunità esprimono così poca profezia?
Praticamente ci sta dando un progetto pastorale, una metodologia.
Deve ripartire, la situazione di uomo e donna, da questo spirituale. Ogni persona ha questo spirituale, questo mondo sotterraneo, ed è chiamato a confrontarsi con questa realtà.
Enucleare alcuni atteggiamenti che definirò spiritualità.
Se vai su Canale 5 e su Telemontecarlo, la confusione aumenta.
Bartolomé de Las Casas diceva che vale più un indio vivo che un battezzato morto.
lunedì 11 agosto 2014
Pascere e confermare nella fede
Con Montini ci si vergognava di dirsi papisti.
Con Luciani non ci fu tempo per assumere una posizione.
Con Ratzinger, nonostante le ombre, finalmente ci si poteva addirittura darsi per tifosi del papa.
Con Bergoglio ci si vergogna di nuovo.
Il fatto è che nella rovinosa epoca postconciliare i papi hanno fatto e detto tante cose che non erano necessarie (spesso nemmeno utili, e in diversi casi perfino dannose), anche se non si può accusarli di ogni danno: sono stati come una banana in un convegno di scimmie (le scimmie sono cardinali e vescovi - e non solo in senso metaforico).
Alla domanda "tu sei seguace di quello lì?" oggi occorre faticosamente spiegare che il papa non "fa" la Chiesa, ma la deve solo pascere, deve solo custodire il deposito della fede («e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli»). Il di più è superfluo e possibilmente dannoso. Così come è dannoso e superfluo ostentarsi papisti (o antipapisti) sulle faccende che non riguardano strettamente né il pascere né il confermare nella fede.
lunedì 4 agosto 2014
Quella volta dai salesiani
Una volta fui ospitato per alcuni giorni presso una casa salesiana. Mi assegnarono una camera, povera di arredi ma a dieci metri dalla cappella col Santissimo. Non potevo chiedere di meglio: di buon mattino e tarda sera passavo qualche minuto in cappella (sembrava sempre vuota, sembrava disponibile solo per me).
Una mattina mi attardai un po' di più in preghiera. Verso le sette e venticinque tre novizi entrarono in cappella. Furono meravigliati di trovarvi qualcuno, per di più inginocchiato; non mi parlarono, glielo lessi sui volti. Io fui invece meravigliato che loro si meravigliassero che qualcuno pregasse fuori orario. Uno dei più terribili mali della vita consacrata è il compartimentare totalmente la vita di preghiera sradicando così il sano desiderio di passare ogni giorno, senza alcuna pianificazione, un po' di tempo col Santissimo Sacramento. Il tipico seminarista prega fuori orario solo quando deve farsi vedere da qualcuno o quando è assillato dagli esami.
Quando entrarono i seminaristi salesiani mi alzai e andai via (per la Messa andavo in giornata in una chiesa non salesiana, per evitare scomodi inviti). Ma avevano capito che l'ospite nella camera in fondo al corridoio non era un giovane qualsiasi.
Qualche giorno dopo uno dei preti salesiani mi domandò con una naturalezza accuratamente preparata, se io avessi mai pensato alla vita sacerdotale. Non risposi: mi limitai a fissarlo per un attimo, come se volessi sfidarlo a dichiarare se era una cosa buttata lì oppure se stesse facendo sul serio. Ma il suo impaccio mi dimostrò che non aveva intenzione di andare più a fondo.
Seppi poi, qualche mese dopo, che quel brillante prete che avevo imbarazzato col mio silenzio aveva lasciato i salesiani facendosi incardinare in una diocesi. Se non sei fiero della vita sacerdotale della tua congregazione allora sei incapace di invitare in modo convincente qualcuno a entrarvi.
Una mattina mi attardai un po' di più in preghiera. Verso le sette e venticinque tre novizi entrarono in cappella. Furono meravigliati di trovarvi qualcuno, per di più inginocchiato; non mi parlarono, glielo lessi sui volti. Io fui invece meravigliato che loro si meravigliassero che qualcuno pregasse fuori orario. Uno dei più terribili mali della vita consacrata è il compartimentare totalmente la vita di preghiera sradicando così il sano desiderio di passare ogni giorno, senza alcuna pianificazione, un po' di tempo col Santissimo Sacramento. Il tipico seminarista prega fuori orario solo quando deve farsi vedere da qualcuno o quando è assillato dagli esami.
Quando entrarono i seminaristi salesiani mi alzai e andai via (per la Messa andavo in giornata in una chiesa non salesiana, per evitare scomodi inviti). Ma avevano capito che l'ospite nella camera in fondo al corridoio non era un giovane qualsiasi.
Qualche giorno dopo uno dei preti salesiani mi domandò con una naturalezza accuratamente preparata, se io avessi mai pensato alla vita sacerdotale. Non risposi: mi limitai a fissarlo per un attimo, come se volessi sfidarlo a dichiarare se era una cosa buttata lì oppure se stesse facendo sul serio. Ma il suo impaccio mi dimostrò che non aveva intenzione di andare più a fondo.
Seppi poi, qualche mese dopo, che quel brillante prete che avevo imbarazzato col mio silenzio aveva lasciato i salesiani facendosi incardinare in una diocesi. Se non sei fiero della vita sacerdotale della tua congregazione allora sei incapace di invitare in modo convincente qualcuno a entrarvi.
domenica 3 agosto 2014
Quando il superiore fa le bizze...
«Come abbiamo visto, Bergoglio è uno che pesta i piedi, che fa le bizze; uno che i suoi collaboratori più vicini faticano a trattenere dal fare gesti offensivi o follemente impulsivi – come quello di andare a trovare l’amico di Caserta che lo ha infatuato, infischiandosene dei cattolici e del loro vescovo. È uno soggetto ad arrabbiature e a dar punizioni sotto l’impulso della rabbia; che agisce o perché gli salta il ticchio oppure per ripicca, per far dispetto; che se la lega al dito, che si vendica; uno soggetto a simpatie ed antipatie irrazionali, ma imperiose; è uno che finge malattie improvvise per mancare ad appuntamenti importanti con gruppi di credenti; un maleducato che mortifica il prossimo (se gli è antipatico) e che si assoggetta in modo umiliante a chi gli va a genio... in una parola, è uno, a dir poco, con gravi difetti di carattere. Che dà segni di squilibrio mentale, privo di senso delle proporzioni e di attenzione al prossimo, che non si vergogna di mostrare i suoi gravi difetti di carattere, o non sa né vuole moderarli. Uno che sovverte alla leggera l’insegnamento dei suoi predecessori, che mette tra parentesi come un fastidio la dottrina bimillenaria della Chiesa....»
[Blondet 29 luglio 2014]
Se al posto di "Bergoglio" metto il cognome di uno dei rettori, prepositi, priori, superiori e vescovi cui dovevo ubbidienza negli scorsi anni, posso ugualmente sottoscrivere quelle parole, una per una.
La loro principale caratteristica comune era infatti il considerare le vocazioni non col commosso e grato stupore di chi riconosce possibili nuovi operai per la messe del Signore, ma esclusivamente dal punto di vista organizzativo della loro comodità e delle loro piccinerie. Capaci di gesti di insana generosità nei confronti dei loro prediletti, esigevano l'impossibile da chiunque non fosse il loro prediletto preferito. Soggetti ad arrabbiature (ben mascherate dietro i sorrisetti di circostanza), distribuivano punizioni sotto l'impulso della rabbia (in genere ben mascherate dietro "incarichi" inutilmente umilianti, inutilmente faticosi, inutilmente urgenti).
[Blondet 29 luglio 2014]
Se al posto di "Bergoglio" metto il cognome di uno dei rettori, prepositi, priori, superiori e vescovi cui dovevo ubbidienza negli scorsi anni, posso ugualmente sottoscrivere quelle parole, una per una.
La loro principale caratteristica comune era infatti il considerare le vocazioni non col commosso e grato stupore di chi riconosce possibili nuovi operai per la messe del Signore, ma esclusivamente dal punto di vista organizzativo della loro comodità e delle loro piccinerie. Capaci di gesti di insana generosità nei confronti dei loro prediletti, esigevano l'impossibile da chiunque non fosse il loro prediletto preferito. Soggetti ad arrabbiature (ben mascherate dietro i sorrisetti di circostanza), distribuivano punizioni sotto l'impulso della rabbia (in genere ben mascherate dietro "incarichi" inutilmente umilianti, inutilmente faticosi, inutilmente urgenti).
sabato 2 agosto 2014
Non vedranno mai più i miei soldi
Ho smesso improvvisamente di sostenere la fraternità San Carlo nel momento in cui ho letto una notizia fastidiosissima.
Tre giovani freschi di ordinazione hanno concelebrato la loro prima Messa.
Sarebbe come dire che tre novelli sposi hanno fatto nella prima notte di nozze un'orgia per mettere in comune le mogli.
La concelebrazione è una di quelle bizzarre novità del Novus Ordo che servono solo a rendere più rarefatte le Messe e più vuoti i confessionali.
I preti postconciliari si stufano di celebrare Messa e quindi "concelebrano", con lo stesso annoiato spirito di chi va a sorbirsi la Messa di precetto di cui non gliene importa niente ma ha paura che in giro si sappia della sua assenza.
La concelebrazione di quei tre voleva essere un gesto di fratellanza, oh, certo. Ma da quando in qua la "fratellanza" prende il sopravvento sul Sacramento? Voi esistete per il Sacramento, non per compiacere le mode. Non lo accetterei nemmeno se si fosse trattato di fratelli di sangue, figurarsi tre amiconi della stessa fraternità. Lo ripeto: è come se tre amici che hanno i propri rispettivi matrimoni nello stesso giorno organizzano un'orgia per la prima notte di nozze.
Non credo che glielo avesse ordinato il vescovo di concelebrare la prima Messa. Non credo che abbiano subìto pressioni esterne verso la concelebrazione. E se pure le avessero subìte, è da veri imbecilli non avervi resistito. La prima Messa, la preziosissima prima Messa.
Perciò da me non riceveranno più nulla. Amici come prima, ma non vi sosterrò più economicamente.
Tre giovani freschi di ordinazione hanno concelebrato la loro prima Messa.
Sarebbe come dire che tre novelli sposi hanno fatto nella prima notte di nozze un'orgia per mettere in comune le mogli.
La concelebrazione è una di quelle bizzarre novità del Novus Ordo che servono solo a rendere più rarefatte le Messe e più vuoti i confessionali.
I preti postconciliari si stufano di celebrare Messa e quindi "concelebrano", con lo stesso annoiato spirito di chi va a sorbirsi la Messa di precetto di cui non gliene importa niente ma ha paura che in giro si sappia della sua assenza.
La concelebrazione di quei tre voleva essere un gesto di fratellanza, oh, certo. Ma da quando in qua la "fratellanza" prende il sopravvento sul Sacramento? Voi esistete per il Sacramento, non per compiacere le mode. Non lo accetterei nemmeno se si fosse trattato di fratelli di sangue, figurarsi tre amiconi della stessa fraternità. Lo ripeto: è come se tre amici che hanno i propri rispettivi matrimoni nello stesso giorno organizzano un'orgia per la prima notte di nozze.
Non credo che glielo avesse ordinato il vescovo di concelebrare la prima Messa. Non credo che abbiano subìto pressioni esterne verso la concelebrazione. E se pure le avessero subìte, è da veri imbecilli non avervi resistito. La prima Messa, la preziosissima prima Messa.
Perciò da me non riceveranno più nulla. Amici come prima, ma non vi sosterrò più economicamente.
mercoledì 30 luglio 2014
Il metodo della punizione generale
Diversi ragazzi del gruppo giuravano di averlo visto uscire, il giorno di Natale, da un cinema porno. "Era proprio lui, il prete, ma in abiti civili!" (non che cambiasse molto: mancava solo la linguetta-collare bianca).
Le riunioni dei preanimatori furono sospese finché non l'avessero smessa con quella infondata diceria. Tanto più che doveva essere impossibile che un prete andasse in un cinema porno proprio mentre internet stava prendendo piede (i fatti di cui parlo sono di una quindicina di anni fa).
Due mesi dopo, a fine febbraio, il prete col broncio fu promosso ad altro incarico in altra città, "come previsto già da più di un anno" (certo, certo, ci credettero tutti, nevvero?), e venne sostituito da un novizio galvanizzatissimo che naturalmente azzerò ogni cosa.
E così coloro che bramavano di far carriera ed essere promossi da preanimatori ad animatori, si ritrovarono al punto di partenza. Come nel gioco dell'oca: "torna alla prima casella".
Metodo pretesco modernista: al promoveatur ut amoveatur si aggiunge la punizione indiscriminata di chiunque possa testimoniare, di modo che qualora torni a galla il fattaccio si possa sempre rispondere che sono i soliti pazzi furiosi che ancora desiderano vendetta per il mancato avanzamento di carriera.
Le riunioni dei preanimatori furono sospese finché non l'avessero smessa con quella infondata diceria. Tanto più che doveva essere impossibile che un prete andasse in un cinema porno proprio mentre internet stava prendendo piede (i fatti di cui parlo sono di una quindicina di anni fa).
Due mesi dopo, a fine febbraio, il prete col broncio fu promosso ad altro incarico in altra città, "come previsto già da più di un anno" (certo, certo, ci credettero tutti, nevvero?), e venne sostituito da un novizio galvanizzatissimo che naturalmente azzerò ogni cosa.
E così coloro che bramavano di far carriera ed essere promossi da preanimatori ad animatori, si ritrovarono al punto di partenza. Come nel gioco dell'oca: "torna alla prima casella".
Metodo pretesco modernista: al promoveatur ut amoveatur si aggiunge la punizione indiscriminata di chiunque possa testimoniare, di modo che qualora torni a galla il fattaccio si possa sempre rispondere che sono i soliti pazzi furiosi che ancora desiderano vendetta per il mancato avanzamento di carriera.
domenica 27 luglio 2014
Il treno è in partenza, chi vuole scendere?
«Il treno per Roma è in partenza e coloro che vogliono scendere lo facciano».
[26 luglio 2014 Commenti Williamson]
Cioè: la dirigenza ha stabilito che "ora" un accordo si può fare (dopo anni che gridava che l'accordo sarebbe stato possibile solo dopo che "Roma" avesse rinnegato i propri errori). Alla faccia di tutte le povere anime che negli anni scorsi sono stati espulse dalla FSSPX in quanto "accordiste".
L'aspetto più triste della vicenda è che la gerarchia dei lefebvriani, desiderosa di "quagliare" un riconoscimento, sta commettendo esattamente gli stessi errori delle congregazioni moderniste. Cioè epurazioni interne, preminenza della prassi sulla dottrina, clericalismo (nel suo senso più profondo: autoritarismo), uso disinvolto di registrazioni clandestine...
L'immagine è quella dei generali che concordano di lasciar morire - o di mandare dritti al massacro - interi reparti solo perché questi ultimi sono posizionati in un modo che non può aiutare la tattica appena decisa a tavolino.
[26 luglio 2014 Commenti Williamson]
Cioè: la dirigenza ha stabilito che "ora" un accordo si può fare (dopo anni che gridava che l'accordo sarebbe stato possibile solo dopo che "Roma" avesse rinnegato i propri errori). Alla faccia di tutte le povere anime che negli anni scorsi sono stati espulse dalla FSSPX in quanto "accordiste".
L'aspetto più triste della vicenda è che la gerarchia dei lefebvriani, desiderosa di "quagliare" un riconoscimento, sta commettendo esattamente gli stessi errori delle congregazioni moderniste. Cioè epurazioni interne, preminenza della prassi sulla dottrina, clericalismo (nel suo senso più profondo: autoritarismo), uso disinvolto di registrazioni clandestine...
L'immagine è quella dei generali che concordano di lasciar morire - o di mandare dritti al massacro - interi reparti solo perché questi ultimi sono posizionati in un modo che non può aiutare la tattica appena decisa a tavolino.
venerdì 25 luglio 2014
Primo giorno: carta igienica
Bisognerebbe cacciar via immediatamente dai seminari tutti i seminaristi incapaci di stupirsi per il dono delle vocazioni (la propria e quella degli altri).
Coloro che si stupiscono, infatti, giungono in seminario pieni di commossa gratitudine - vorrebbero condividere le proprie piccole ricchezze con tutto il seminario. Vengono immediatamente delusi fin dal primo giorno.
Episodio.
Il primo giorno di seminario, prima di iniziare a sistemare le mie cose in camera andai al bagno (i bagni erano "in comune"). Scoprii che non c'era carta igienica. Tornai in camera a prendere un rotolo di carta igienica che avevo portato da casa non per usarlo in bagno ma per le pulizie in camera (non avendo stracci a portata di mano a casa, avevo portato quello; infatti nessuno mi aveva avvisato che la carta igienica ognuno doveva comprarla da sé).
Lasciai il rotolo in bagno, convinto di aver fatto un gesto di grande generosità, e tornai a sistemare le mie cose in camera. Cinque minuti dopo (dico: cinque minuti esatti, forse meno) ebbi da tornare in bagno per lavarmi le mani. E cosa scopro?
Miracolo: il rotolo praticamente appena "inaugurato" era già azzerato. O meglio: al suo posto era rimasto solo il cartoncino (il "rotolino"). Come se qualcuno avesse fatto a velocità supersonica il "dieci piani di morbidezza".
Lì capii che in seminario vige la legge della sopravvivenza e la legge della giungla urbana: è "lecito" tutto ciò che puoi fare senza pagarne le conseguenze. Non ho mai scoperto quale seminarista sia stato a rubare tutta la carta igienica. Fui costretto a chiederne "in prestito". Quando dissi che la carta igienica che avevo lasciato in bagno era sparita, nessuno si meravigliò.
Coloro che si stupiscono, infatti, giungono in seminario pieni di commossa gratitudine - vorrebbero condividere le proprie piccole ricchezze con tutto il seminario. Vengono immediatamente delusi fin dal primo giorno.
Episodio.
Il primo giorno di seminario, prima di iniziare a sistemare le mie cose in camera andai al bagno (i bagni erano "in comune"). Scoprii che non c'era carta igienica. Tornai in camera a prendere un rotolo di carta igienica che avevo portato da casa non per usarlo in bagno ma per le pulizie in camera (non avendo stracci a portata di mano a casa, avevo portato quello; infatti nessuno mi aveva avvisato che la carta igienica ognuno doveva comprarla da sé).
Lasciai il rotolo in bagno, convinto di aver fatto un gesto di grande generosità, e tornai a sistemare le mie cose in camera. Cinque minuti dopo (dico: cinque minuti esatti, forse meno) ebbi da tornare in bagno per lavarmi le mani. E cosa scopro?
Miracolo: il rotolo praticamente appena "inaugurato" era già azzerato. O meglio: al suo posto era rimasto solo il cartoncino (il "rotolino"). Come se qualcuno avesse fatto a velocità supersonica il "dieci piani di morbidezza".
Lì capii che in seminario vige la legge della sopravvivenza e la legge della giungla urbana: è "lecito" tutto ciò che puoi fare senza pagarne le conseguenze. Non ho mai scoperto quale seminarista sia stato a rubare tutta la carta igienica. Fui costretto a chiederne "in prestito". Quando dissi che la carta igienica che avevo lasciato in bagno era sparita, nessuno si meravigliò.
lunedì 21 luglio 2014
E le tue Esperienze Pastorali?
La domanda più fastidiosa del Secondo Colloquio fu quella sulle mie Esperienze Pastorali. Da un lato vogliono che i seminaristi non si comportino da mezzi preti e dall'altro chiedono quali esperienze mezzepretesche abbiamo fatto. Bizzarro.
Per "esperienze pastorali" intendono le pagliacciate da parrocchietta di periferia. Campi scuola (quegli inutilissimi e stupidissimi campi scuola), animazione di gruppi (come se nel Vangelo ci fosse stato raccomandato: «andate, e fate divertire i ragazzi»), organizzazione di feste di compleanno, partitelle di calcio, sedute dilettantesche di parapsicoterapia di gruppo, animazione delle liturgie (le liturgie Novus Ordo sono talmente cadaveriche che occorre rianimarle, altrimenti è un patetico mortorio)...
La crisi della Chiesa cattolica si vede anche da questo. Le parrocchie vengono ridotte a centri sociali molto burocratizzati (perbacco, guai a mancare alle Riunioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale), mettendo praticamente da parte le loro due uniche funzioni essenziali (i sacramenti e l'insegnamento della dottrina della fede) e le "vocazioni" che ne nascono sono l'ovvio risultato.
Per "esperienze pastorali" intendono le pagliacciate da parrocchietta di periferia. Campi scuola (quegli inutilissimi e stupidissimi campi scuola), animazione di gruppi (come se nel Vangelo ci fosse stato raccomandato: «andate, e fate divertire i ragazzi»), organizzazione di feste di compleanno, partitelle di calcio, sedute dilettantesche di parapsicoterapia di gruppo, animazione delle liturgie (le liturgie Novus Ordo sono talmente cadaveriche che occorre rianimarle, altrimenti è un patetico mortorio)...
La crisi della Chiesa cattolica si vede anche da questo. Le parrocchie vengono ridotte a centri sociali molto burocratizzati (perbacco, guai a mancare alle Riunioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale), mettendo praticamente da parte le loro due uniche funzioni essenziali (i sacramenti e l'insegnamento della dottrina della fede) e le "vocazioni" che ne nascono sono l'ovvio risultato.
domenica 20 luglio 2014
Perché questo blog si chiama così
Questo blog si intitola 'Corpo Sociale' ed è nato perché mi sono incazzato come una belva quando ho letto una infelice espressione bergogliana secondo cui «non si può difendere il Corpo di Cristo offendendo il Corpo sociale di Cristo».
Per venti secoli i cristiani - e soprattutto i martiri - hanno lasciato che il proprio corpo "sociale" venisse crocifisso, bruciato, decapitato, vilipeso, umiliato in ogni modo, tutte le volte che ciò era necessario per continuare ad onorare Cristo e l'Eucarestia (il Corpo di Cristo).
Il contesto di quell'affermazione era la "comunione sulle mani". Cioè dava ad intendere che il «corpo sociale» (i fedeli) si sentirebbero «offesi» (ma davvero?) qualora non ricevano "sulle mani" il Corpo di Cristo.
"Corpo Sociale" lo sono anch'io e perciò mi permetto di dissentire a quell'emerita vaccata con tutta la forza che ho.
Per venti secoli i cristiani - e soprattutto i martiri - hanno lasciato che il proprio corpo "sociale" venisse crocifisso, bruciato, decapitato, vilipeso, umiliato in ogni modo, tutte le volte che ciò era necessario per continuare ad onorare Cristo e l'Eucarestia (il Corpo di Cristo).
Il contesto di quell'affermazione era la "comunione sulle mani". Cioè dava ad intendere che il «corpo sociale» (i fedeli) si sentirebbero «offesi» (ma davvero?) qualora non ricevano "sulle mani" il Corpo di Cristo.
"Corpo Sociale" lo sono anch'io e perciò mi permetto di dissentire a quell'emerita vaccata con tutta la forza che ho.
sabato 19 luglio 2014
Due anni di diaconato
C'era poi quello che ogni tanto alzava un po' il gomito. Lo sapevamo perché certe volte al mattinolo vedevamo ancora un po' stordito. Ma lo ordinarono diacono ugualmente.
Una delle peggiori umiliazioni durante il cammino verso il sacerdozio è il veder ritardata - anche solo di poche settimane - una tappa importante. Diventi l'appestato ad alto rischio di dimissione. Tanto più quando il rinvio è senza data. Sei bloccato. Non si sa quando continuerai, non si sa se continuerai, ogni giorno potrebbe arrivarti la notizia che sei stato mandato via. Come in un romanzo di Kafka. Parenti e amici, che cominciano ad vederti come uno caduto in disgrazia (ed hanno visto giusto) perché la snervante attesa induce a sospettare che nascondi qualcosa di grosso, continuano a girare il coltello nella piaga: ma allora, quanto ancora? Ma perché non fai causa al vescovo? Ma dopo tutto quello che hai fatto? E tu non puoi confidarti con nessuno, perché sai che anche i muri hanno le orecchie e se una tua piccola lamentela giunge in curia può esserti fatale. E così passa un mese, passano tre mesi, passano altri sei mesi. Dopo più di un anno, per l'ennesima volta, vai ad umiliarti dal vescovo o da qualcuno dei suoi caporali. Non servirà a nulla. Non ti diranno quanto altro tempo devi aspettare, perché significherebbe alleviarti un peso: ma loro vogliono che tu quel peso lo soffra ogni giorno.
Così, dopo infinite umiliazioni, notti in bianco, preghiere disperate, finalmente un prete (di quelli che credevi fuori dai giochi) ti fa sapere che ha sentito dire che il vescovo sta per chiamarti per definire la data dell'ordinazione. E così avviene, non senza ripetere al vescovo e ai suoi gregari tutte le implorazioni, dalla prima all'ultima, tutte le umilianti promesse già fatte mille volte al vescovo e ai suoi gregari.
Una volta ordinato sacerdote ha ripreso a bere, stavolta anche più di prima. Ma dopo qualche anno, digeriti grosso modo tutti i traumi e maturato senza necessità di aiuti esterni, ha cominciato finalmente a moderarsi.
Solo che lo tennero in attesa per due anni, per accertarsi che avesse perso il vizietto. Ufficialmente lo aveva perso (se mai ufficialmente lo avesse avuto), ma lo tennero comunque due anni in attesa.
Una delle peggiori umiliazioni durante il cammino verso il sacerdozio è il veder ritardata - anche solo di poche settimane - una tappa importante. Diventi l'appestato ad alto rischio di dimissione. Tanto più quando il rinvio è senza data. Sei bloccato. Non si sa quando continuerai, non si sa se continuerai, ogni giorno potrebbe arrivarti la notizia che sei stato mandato via. Come in un romanzo di Kafka. Parenti e amici, che cominciano ad vederti come uno caduto in disgrazia (ed hanno visto giusto) perché la snervante attesa induce a sospettare che nascondi qualcosa di grosso, continuano a girare il coltello nella piaga: ma allora, quanto ancora? Ma perché non fai causa al vescovo? Ma dopo tutto quello che hai fatto? E tu non puoi confidarti con nessuno, perché sai che anche i muri hanno le orecchie e se una tua piccola lamentela giunge in curia può esserti fatale. E così passa un mese, passano tre mesi, passano altri sei mesi. Dopo più di un anno, per l'ennesima volta, vai ad umiliarti dal vescovo o da qualcuno dei suoi caporali. Non servirà a nulla. Non ti diranno quanto altro tempo devi aspettare, perché significherebbe alleviarti un peso: ma loro vogliono che tu quel peso lo soffra ogni giorno.
Così, dopo infinite umiliazioni, notti in bianco, preghiere disperate, finalmente un prete (di quelli che credevi fuori dai giochi) ti fa sapere che ha sentito dire che il vescovo sta per chiamarti per definire la data dell'ordinazione. E così avviene, non senza ripetere al vescovo e ai suoi gregari tutte le implorazioni, dalla prima all'ultima, tutte le umilianti promesse già fatte mille volte al vescovo e ai suoi gregari.
Una volta ordinato sacerdote ha ripreso a bere, stavolta anche più di prima. Ma dopo qualche anno, digeriti grosso modo tutti i traumi e maturato senza necessità di aiuti esterni, ha cominciato finalmente a moderarsi.
venerdì 18 luglio 2014
Descrizioni poco metaforiche
La Chiesa insegna che gli atti omosessuali sono peccato. Nella vulgata popolare "amore" significa inevitabilmente "sesso", specialmente tra i cattolici televisionati.
Episodio.
Due ragazze della parrocchia, sedute sui gradini dell'ingresso del centro parrocchiale, stavano facendo uno strano discorso. Mentre mi avvicinavo, sentii che parlavano pensosamente del cosiddetto amore omosessuale. Una di loro disse: "ma dopotutto che c'è di male? Se si amano..." e si girò verso di me per estrarmi maliziosamente una conferma o smentita, aggiungendo: "che faranno mai di male?"
Mentre ancora mi avvicinavo, presi fiato e a pieni polmoni dissi in dialetto: "quelli? ...Quelli? ...quelli se lo chiavano in culo!" Rimbombò per tutta la piazza.
Le due donzelle gridarono qualcosa come uno "yieeek!" strozzato in gola, e cambiarono immediatamente discorso, mentre io entravo nel centro parrocchiale.
Episodio.
Due ragazze della parrocchia, sedute sui gradini dell'ingresso del centro parrocchiale, stavano facendo uno strano discorso. Mentre mi avvicinavo, sentii che parlavano pensosamente del cosiddetto amore omosessuale. Una di loro disse: "ma dopotutto che c'è di male? Se si amano..." e si girò verso di me per estrarmi maliziosamente una conferma o smentita, aggiungendo: "che faranno mai di male?"
Mentre ancora mi avvicinavo, presi fiato e a pieni polmoni dissi in dialetto: "quelli? ...Quelli? ...quelli se lo chiavano in culo!" Rimbombò per tutta la piazza.
Le due donzelle gridarono qualcosa come uno "yieeek!" strozzato in gola, e cambiarono immediatamente discorso, mentre io entravo nel centro parrocchiale.
giovedì 17 luglio 2014
Fa un po' specie doversi occupare di quel che il Papa ha detto
«Ucraini crocifiggono un bambino obbligando la madre a guardare poi uccidono anche lei... A Gaza sfracellano bambini... Capisce che con questa situazione mondiale, fa un po’ specie doversi occupare di quel che il Papa ha detto a Scalfari. Siccome non leggo Repubblica, so quel che di quel colloquio hanno riportato i media: essenzialmente, ciò che interessa detti media laicisti quando parlano della fede cattolica: preti pedofili (il Papa è contro, che meraviglia!), matrimonio dei preti (troverà le soluzioni), e preti che non denunciano in modo pubblico e costante mafia e ndrangheta (il Papa li terrà d’occhio). A quel che risulta, è Scalfari che ha portato il Papa su questi argomenti a preferenza di altri (Gaza? Le forze anticristiche infurianti in Ucraina e Medio Oriente? Il satanico che ci assedia impunemente? Macché: il sesso dei preti, questo interessa). E Papa Bergoglio risponde, di buon grado, desideroso di compiacere.»
[Effedieffe 15 luglio 2014]
[Effedieffe 15 luglio 2014]
martedì 15 luglio 2014
Ventuno
I concili della Chiesa non sono né venti, né uno, ma ventuno.
Sono venti concili dogmatici - cioè da accettare come il "dogma" - ed uno pastorale - cioè da accettare come la "pastorale".
Finché non c'è alcun "dogma" che dice che la "pastorale" sarebbe "dogma", io sono tenuto a considerare "pastorale" la "pastorale".
Sono venti concili dogmatici - cioè da accettare come il "dogma" - ed uno pastorale - cioè da accettare come la "pastorale".
Finché non c'è alcun "dogma" che dice che la "pastorale" sarebbe "dogma", io sono tenuto a considerare "pastorale" la "pastorale".
lunedì 14 luglio 2014
Nuova Pastorale Vocazionale
«Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d'ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò».
[Bergoglio - 13 luglio 2014]
Prima hanno riempito i seminari di checche e frù-frù per tutto il postconcilio e ora all'improvviso vogliono far sposare i preti.
Ma a cosa mirano veramente? al "matrimonio omosessuale" fra preti? o solo a far propaganda vocazionale coi depliant con le donne nude?
[Bergoglio - 13 luglio 2014]
Prima hanno riempito i seminari di checche e frù-frù per tutto il postconcilio e ora all'improvviso vogliono far sposare i preti.
Ma a cosa mirano veramente? al "matrimonio omosessuale" fra preti? o solo a far propaganda vocazionale coi depliant con le donne nude?
martedì 8 luglio 2014
Riflettere sugli errori. Anche quelli altrui
Ristorantino dell'aeroporto militare, pranzo con diversi piloti. Uno parla della dinamica di un incidente mortale. Un altro racconta di un guasto causato dall'incompetenza. Un terzo ricorda il danno fatto in un atterraggio.
Erano convinti di avere molto da imparare dagli errori altrui. Anche quando si tratta di coincidenze impossibili o di errori banali. Perfino quando si tratta di ciò che non riguarda la propria mansione.
C'è sempre da imparare. Anche la Bibbia è zeppa di minuziose descrizioni di peccati. Quali potrebbero essere le circostanze che mi indurrebbero ad adorare il vitello d'oro? Il peccato di Davide in quali punti si poteva bloccare o evitare? Al seguito del Signore, come evitare di farsi invischiare nella discussione su chi sia il più grande del gruppo?
Oggi c'è una tripla epidemia in corso nel mondo cattolico - il perbenismo, l'ipersuscettibilità e la cafoneria - per cui diventa difficile parlare degli errori altrui senza beccarsi il solito siluro del "sei un pettegolo e ti lamenti sempre".
Eppure c'è tanto da imparare.
lunedì 7 luglio 2014
Sette anni di Summorum Pontificum
Viviamo in tempi drammatici: c'è voluto un motu proprio del Papa per dire che quella liturgia non era stata affatto abolita e che il sacerdote può celebrarla senza dover chiedere il permesso.
Ma non è servito a niente.
Dimostrazione (una fra le tante possibili).
Si chieda udienza ad un qualunque vescovo, un vescovo normale, presentandosi così:
«Eccellenza, mi sento chiamato al sacerdozio, celebrerei ogni giorno esclusivamente la liturgia tridentina».
Un vescovo normale risponderebbe: «bene! Sia lodato il Signore che si degna di mandare operai per la Sua messe, che è molta e gli operai sono sempre pochi.
Come gli sposi cristiani accettano con gioia ogni figlio che Dio dona loro, così io accetto te.»
E' facile trovare oggi un vescovo normale, vero?
domenica 6 luglio 2014
Si vocifera, si vocifera
Nei seminari italiani - come in tutti gli ambienti chiusi - la giusta discrezione viene sostituita dalla forsennata curiosità.
Episodio.
Chiesi il permesso di partecipare al vescovo facendogli notare che la cosa non interferiva col calendario del seminario. Ero convinto che l'avesse capito che non ne avevo parlato con nessun altro (per evitare l'effetto-cascata del "tento la furbata anch'io").
Pochi giorni dopo uno del mio stesso anno mi apostrofò dicendo: "poi, tu, che te ne vai anche a quegli esercizi..." Me lo disse con la cattiveria di chi svela un inconfessabile segreto del proprio nemico. Gli risposi: "ma tu come fai a saperlo, visto che io l'ho detto solo al vescovo?" E lui, con ancor più faccia tosta: "in giro si sa tutto".
Fu lì che scoprii il meccanismo del Confidente Privilegiato. Il vescovo avrà avvertito il rettore del seminario della mia faccenda. Quest'ultimo avrà notificato la cosa a qualche suo fedelissimo. Il quale a sua volta l'avrà riportata al suo confidente, raccomandando di mantenere il segreto. Quest'ultimo avrà buttato lì la cosa al suo amichetto, aggiungendo "ma non te lo dovevo dire". E quest'ultimo avrà trovato un motivo per lasciarsi sfuggire la notizia al mio commilitone che mi aveva apostrofato con cattiveria.
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